Nino Oxilia, II saluto ai poeti crepuscolari 568 Bruno Aschieri, Visita a Boccioni 572 Giuseppe Ungaretti, Sono una creatura 573 Giuseppe Ungaretti, S. Martino del Carso 574 Gabriele d Annunzio, da Notturno 575 Carlo Betocchi, La messa disertata 580 LA GUERRA RICORDATA 583 Piero Jahier, Seconda marcia alpina 601 Giuseppe Ungaretti, Ritorno 602 Giovanni Comisso, Anniversario 603 Diego Valeri, Vicenza 604 Ettore Serra, Apocalisse 605 Sergio Solmi, II fiore 607 Sergio Solmi, Ricordo 608 Sergio Solmi, I leoni 610 Umberto Saba, da Autobiografia: 14 612 Camillo Sbarbaro, da Sproloquio d'estate 613 Biagio Marin, E Dio ť ha tolto 614 Giacomo Noventa, Cô se géra soldäi... 615 Eugenio Montale, Valmorbia, discorrevano il tuo fondo 617 POST-FACTUM. LA GUERRA POSTUMA 619 Andrea Zanzotto, Rivolgersi agli ossari 667 Franco Buffoni, Nel piü alto campo di battaglia 669 Fabio Pusterla, Folia sommersa 670 Fabio Pusterla, Verso lo Zebio 672 ILSENNODIPOI Che cosa ci insegna la letteratura di guerra 673 FOGLIO MATRICOLARE Schede biobibliografiche e indice per autore 723 FRA LE PARENTESIDELLA STORIA La verita della poesia Umberto Saba, 1950: "Quello che di piu importante ci ha lasciato, nel campo della poesia, l'altra guerra, oscilla fra due poli. Uno di questi e tenuto da Ungaretti, che in alcune brevi poesie sparse in Allegria (di naufmgi) ha reso il sentimento di dedizione, di rinuncia, di sacriflcio di se stessi, di cosciente-mente (direi quasi voluttuosamente) accettata fatalita interna ed esterna [...]. Ungaretti era un poeta che fece la guerra. Bar-ni - che tiene il polo opposto - era un soldato che la guerra fece per poco tempo - e si direbbe per caso - poeta"l. La dicotomia tra uomini di poesia che fecero la guerra e uomini di guerra che fecero la poesia e in qualche misura ri-proposta anche da Paul Celan: quando distingue la poesia-Arte, "come alcunche di dato e d'incondizionatamente pre-supponibile", da una poesia che rechi iscritte le proprie 'date' - 1 Umberto Saba, Di questo libro e di urt altro mondo [1950], in Id., Tutte le prose, a cura di Arrigo Stara, introduzione di Mario Lavagetto, Milano, Mondadori, 2001, p. 908. Lo dice, Saba, anche in Storia e cro-nistoria del Canzoniere [1948], ivi, p. 175: "Saba non fu il poeta dell'altra guerra. I poeti dell'altra guerra furono Ungaretti, e su un altro piano (popolare) Giulio Barni". Una simile dicotomia venne proposta, sin dal titolo, dall'antologia di Kurt Ziesel, uscita nell'Austria nazificata dopo YAnschluss'. Krieg und Dichtung. Soldaten werden Dichter-Dichter werden Soldaten, Wien, Wiener Verlag, 1943 {cit. in Giulia A. Disanto, La Poesia al Tempo della Guerra. Percorsi esemplari del Novecento, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 81). 12 LE NOTTICHIARE ER ANO TUTTE UN'ALBA il proprio essere nel tempo. La poesia di Celan porta inesora-bilmente "inscritto il suo '20 gennaio"'2. Personalmente sono tutt altro che convinto che nel mondo ci sia spazio solo per una di queste due forme di poesia. Non c'e dubbio, tuttavia, che i componimenti qui raccolti 'portino inscritta la propria data'. E vero letteralrnente, intanto: come e facile constatare censendo i brevissimi paratesti che figurano in cake a tanti componimenti qui raccolti. Ma e vero soprat-tutto (come in Celan) in senso metaforico. II criterio selettivo che ha guidato la scelta, infatti, e stato la considerazione dei te-sti dentro la storia; la storia della Grande Guerra. Certo, questa condizione storica varia da un autore a un altro, e persino da un testo all "altro dello stesso autore. Ma tale condizione non pud essere intesa in forma diretta, 'speculare': la negazione assoluta della guerra e dei suoi valori - come la troveremo per esempio in Sbarbaro - rappresenta infatti, a sua volta, una condizione radicalmente storica (nel senso adorniano per cui "nel la propria differenza dall'essente Ibpera d'arte si costituisce necessaria-mente in relazione a cio che essa come opera d'arte non e e che solo la rende opera d'arte")3. Del resto questa storicita e un connotato ribadito, per primi, dagli stessi poeti. Per esempio il lavorio variantistico di Ungaretti - il "poeta che fece la guerra" - arriva sino a riscrivere di sana pianta i componimenti del Porto Sepolto, senza lasciare quasi nulla dei testi originali. Ma lascia intatte le loro date. La data della prima registrazione, 1 E la data, del 1942, nella quale, nel corso di una conferenza segre-ta a Wannsee, venne decisa dai nazisti la Soluzione finale. Le citazioni sono prese da Paul Celan, II meridiano. Discorso tenuto in occasione del conferimento del Premio Georg Büchner. Darmstadt, 22 ottobre I960, in Id., La veritä della poesia. "II meridiano" e gli altri scritti in prosa, a cura di Giuseppe Bevilacqua, Torino, Einaudi, 1993, p. 10 e p. 13. La precisa-zione sul "20 gennaio" e ntWIntroduzione del curatore, a p. XII. 3 Theodor W. Adorno, Teoria estetica [1970], a cura di Gretel Adorno e Rolf Tiedemann, traduzione di Giovanni Matteucci, nell'edizione a cura sua e di Fabrizio Desideri, Torino, Einaudi, 2009, p. 12. FRA LE PARENTESI DELLA STORIA 13 entro quel "diario"4, resta fissata per sempře; segno discreto ma incombente di unbccasione originaria, senza la quale quel testo infinitamente variabile non avrebbe mai potuto iniziare il suo percorso5. 4 La definizione di "diario" ě ďautore: nelle Prefazione nWAlle-gria nell'edizione Předa del 1931 (ora in Giuseppe Ungaretti, Vita ďun uomo. Tulte le poesie, a cura di Carlo Ossola, Milano, Mondadori, 2009, pp. 761-2): "Questo vecchio libro ě un diario. L'autore non ha altra am-bizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero akre, se non quella di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano dunque i suoí tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazio-ní del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo. Egli si ě maturato uomo in mezzo ad avvenimenti straordinari ai quali non ě mai stato estraneo". 5 Viene da pensare alia definizione da parte di Gianfranco Contini di "espressionismo" in letteratura: "il precario frutto duna forza scate-nata, una momentanea deformazione sollecitata da un movimento, in altre parole una spazialitä che includa il tempo" (Espressionismo letterario [1977], in Id., Ultimiesercizied ekeviri, Torino, Einaudi, 1988, p. 42; mio il corsivo). Naturalmente non tuttô il nostro repertorio puö essere visto sotto la specie espressionista {ma si, intanto, quasi tutti i suoi autori piü eminenti: da Rebora, Boine, Jahier, Onofri e Sbarbaro a Campana, Ungaretti, Tessa, Gadda e Bontempelli). D'altra parte, se i tempi sono grosso modo corrispondenti al periodo coperto in area germanica dalla celebre antológia eponima del 1920, Menschheitsdämmerung Ein Dokument des Expressionismus di Kurt Pinthus, viene da pensare a un (non casuale) air de famille transnazionale. La definizione continiana, poi, pare com-patibile con un campo piü ampio come quello disegnato dalla nozione (in origine non elaborata in ambito italiano, e per questo entrata con ritardo nel nostro dibattito) di modernismo. Si vedano i saggi ora riuniti in Sul modernismo italiano, a cura di Romano Luperini e Massimiliano Tortora, Napoli, Liguori, 2012, in The Great War & the Modernist Imagination in Italy, numero monografico a cura di Luca Somigli e Simona Storchi di "Annali d'Italianistica", 33, 2015, e in Romano Luperini, Dal modernismo a oggi. Storicizzare la contemporaneity Roma, Carocci, 2018. 14 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA FRA LE PARENTESIDELLA STORIA J5 E, molto spesso, quelle date recano traccia anche del luogo di composizione: come a legare la memoria delľoccasione sia al paesaggio che l'ha vista prodursi, sia alia condizione delJa rielaborazione formalizzante (di quel tempo e di quel luogo), sia al gesto finale della consegna ai lettori6. Sono molto spesso * Un libro che si ě preso il partito di verificare, con sopralluoghi pun-tuali, le condizioni geografiche di composizione dei singoli testi del Porto Sepolto e deWAllegria ě quello di Nicola Bultrini e Lucio Fabi, Pianto di pietra. La Grande Guerra di Giuseppe Ungaretti, prefazione di Andrea Zanzotto, Chiari, Nordpress, 2007. E un opera séria e appassionata, oltre che indispensabile alio studioso (rinvio alia Scheda biobibliografica relativa a Ungaretti, in fondo a questo volume), ma che difficilmente si puô considerare senza fare riferimento al 'turismo di guerra' che in quest'ul-timo decennio ha fatto, dei tanti luoghi 'mitici' di un secolo fa, dei veri e propri percorsi a tema (con tutta una capillare topografia museale; si veda 1 Musei della Grande Guerra. Guida, Dall'Adamello a Caporetto, a cura di Lucio Fabi, Rovereto, Osiride, 2000). Exploitation da considerare a sua volta nel quadro di un fenomeno tipico del nostro tempo come la mercifi-cazione della memoria collettiva (ma una precedente vague di 'turismo di guerra' si registro significativamente a cavallo del 1930: il Touring Club Italiano pubbiicô fra il 1927 e il 1937 un'intera collana di guide Sui campi di battaglia; cfr. il numero monografico a cura di Massimo Baioni e Claudio Fogu della rivista "Memoria e Ricerca", 7, gennaio-giugno 2001, su La Grande Guerra in vetrina. Mostre e musei in Europa negli anni Venti e Trenia). Va in ogni caso segnalato, nell'ambito dello spatial turn in corso, come alcuni fra i piú interessant! contributi storico-letterari recenti, sul nostro repertorio, abbiano scelto una modalita geografica, per non dire topografica: ě il caso di Giuseppe Sandrini, // Piave degli scrittori, in II Piave, a cura di Aldino Bondesan, Giovanni Caniato, Francesco Vallera-ni e Michele Zanetti, Verona, Cierre, 2000, pp. 448-60, dei saggi raccolti in Antonio Daniele, Magnaboschi. Storie di güerra, di scrittori e d'.altopia-no, ivi 2006, e naturalmente delľinformata sintesi di Enrica Bricchetto, La Grande Guerra degli intellettuali, ntWAtlante della letteratura italiana diretto da Sergio Luzzatto e Gabriele Peduliä, vol. III, Dal Romantiásmo a oggi, a cura di Domenico Scarpa, Torino, Einaudi, 2012, pp. 477-89. Piü tradizionale l'impostazione 'locale' dell'antologia di Mario Rigoni Stern, 1915-1918. La guerra sugliAltipiani. Testimonianze di soldáti al fronte, prefazione di Carlo Azeglio Ciampi, Vicenza, Neri Pozza, 2000. poesie di lutto, queste. Dunque le date che portano hanno la stessa funzione di quelle che stanno sulle lapidi. La considerazione su tempi e luoghi di composizione ci porta dritti alia questione - radicale al punto da apparire inge-nua - della veridicitä di questi testi7. Gran parte del dibattito sulla letteratura di guerra, infatti, ě stato volto a demistificare i componimenti che hanno fondato quello che ě stato definite il mito della Grande Guerra: privilegiando, rispetto ai 'monu-menď (cioě i testi, a torto o a ragione, costituiti in 'valori' storico-letterari), i 'documenti'8, e dunque dando maggiore ascolto a voci che raccontassero, della guerra, una veritä non mediata 7 Nella storiografia recente, dopo la riscoperta negli anni Novanta di Témoins (un libro del 1929 dello storico franco-americano Jean Norton Cru, che sottoponeva a un rigoroso fact-checking filologico e storio-grafico, al fine di sindacarne la 'veritä' documentaria, i piů celebrati testi della letteratura di guerra come II fuoco di Henri Barbusse; dopo una fama vastissima e un altrettanto profondo oblio, questo testo d'indubbia potenza ě stato di recente riproposto al pubblico italiano addirittura in cinque diverse edizioni: ritradotto da Lorenzo Ruggiero per Kaos nel 2007 e da Adele Maltesi per Catelvecchi nel 2014, e riproposto nella vec-chia versione di Giannetto Bisi da Elliot nel 2015, dal "Corriere della Sera" nel 2016 e da Gingko nel 2017), si ě riaccesa su questo punto una discussione metodologicamente sintomatica. Rinvio alia Postfazione, sotto, alle pp. 693 sgg. (e si veda pure, su questo punto, Giorgio Nisini, Testimoniare il conflitto. La memorialistica della Prima guerra mondiale, in "Bollettino di Italianistica", 2014,2, pp. 9-37). 8 La distinzione fra documento e monumento (che data almeno a par-tire da Jacques Le Goff, Documento/monumento, in Enciclopedia, vol. V, Torino, Einaudi, 1978, pp. 38-48) resta attuale nel dibattito storiografico ed estetico (Remo Ceserani ha definito monumenti "le opere che si pre-sentano come valide in sé: quest'ultime possono naturalmente anch'esse, con la dovuta cautela, essere usate come documenti storici, ma hanno la propria ragione di esistere soprattutto in se Stesse, nella propria ricchezza e densitä di significati, nello splendore della realizzazione formale, nelle proprie qualitä estetiche": Storicizzare, in II testo letterario. Istruzioni per I'uso, a cura di Mario Lavagetto, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 80-1). 16 LE NOTO CHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA - e quindi non compromessa - dai filtri delia tradizione let-teraria9. Ľirnmagine della Grande Guerra ne ě stata radical-mente modificata: mentre i testi 'bassľ sono usciti dalľombra, quelli 'alti' sono tornati ai laboratoři asettici degli specialisti. O spesso, piuttosto, direttamente nel dimenticatoio. Con ciô finendo per riprodurre una stratégia delľesdusione: al 'mito* di Vittorio Veneto subentrava, in un certo senso, il 'mito' di Caporetto10. ' Sul ŕinire degli anni Sessanta gli storici della generazione succes-siva a quella ehe aveva edificato il sacrario retorico di Vittorio Veneto hanno iniziato a cercare tracce e reperti della controveritä di Caporetto. In particolare un libro di Mario Isnenghi, I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra (Padova, Marsilio, 1967), denunciava la co-scienza letteraria della Grande Guerra - prodotto di una minoranza estremamente coesa come quella degli ufficiali interventisti - nella sua íncapacitä di percepire il senso di un evento come Caporetto: spia di una piú generále cecitä di fronte alle dinamiche profonde della guerra. Le valenze politiche attuali di un'operazione archeologica come quella erano evidentí: Caporetto, "parentesi vergognosa per ľltalia del Ľuce, resta una equivoca parentesi per ľltalia attuale; mutati i criteri del giu-sto e delľingiusto, potrebbe domani essere recuperato come un punto di partenza - mancato -, inserendosi nella difficile gestazione delValtra Italia" (ivi, p. 9). La panoramica si confermava e ampliava nel libro successivo di Isnenghi, II mito della grande guerra. Da Marinetti a Mala-parte (Bari, Laterza, 1970; poi, senza il sottotitolo, Bologna, il Mulino, 19893, giunto nel 2014 alla settima edizione). Un ulteriore e fondamen-tale tassello, in quella traumatica preša di coscienza di un'altra storia della Grande Guerra, fu nel 1968 Plotone ďeseeuzione. I processi della prima guerra mondiale, di Enzo Forcella e Alberto Monticone: testimo-nianza sconvolgente sui piecoli e grandi crimini commessi dalla giusti-zia militare, opportunamente riproposto da Laterza nel 1998, nel 2008 e nel 2014 (si veda ora Irene Guerrini e Marco Pluviano, Le fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale, Udine, Gašpari, 2004, e la sin-tesi degli stessi studiosi La giustizia militare, in Dizionario storico della Prima guerra mondiale, a eura di Nicola Labanca, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 137-46). 10 A questa impostazione era legáta, negli anni Ottanta, la ricca ricostruzione storico-letteraria di Maria Bartoletti sulla Memorialistica FRA LE PARENTESI DELLA STORIA 17 Intanto, perö, i testi letterari - 'alti' o 'grandi' che si voglia-no deíinire - restano. Con il loro posto, e il loro peso specifico, nella storia letteraria del Novecento. Con la loro cattiva coscienza, le loro mitologie, le loro menzogne. Con la loro veritä, cioě. Nel 1970 un libro-chiave come II mito della grande guerra di Isnenghi si poneva aLTavanguardia di un uso neostoricista della letteratura (nel senso di un New Historicism, s'intende, allora ben di la da venire). Certo quesťuso distorceva la natura (o meglio, la funzione) tradizíonale dei testi che prendeva in esame, e Isnenghi se ne rendeva ben conto. Non a caso (per un certo imbarazzato rispetto, cioě, nei confronti degli 'stru-mentť utilizzati, che la maggior parte dei neostoricisti a venire non si sogneranno neppure), i testi letterariamente piú canonici delTarea del Mito venivano appena sfiorati, quando non proprio aggirati: nello specifico restavano fuori i poeti, "rispetto ai quali", ricorderä Isnenghi a posteriori, "appariva ancor meno legittimo quell'uso a fini impropri". Quella leňte ustoria, di guerra (in Storia letteraria ďltalia, diretta da Armando Balduino, vol. XI, II Novecento, a eura di Giorgio Luti, Padova, Piccin-Miiano, Vallardi, 1989, torno I, pp. 623-53). In seguito si ě ritenuto opportuno privilegiare addirittura quella che, sociologisticamente, ě stata defi-nita "paraletteratura" di guerra (cfr. Fabio Todero, La letteratura e la Grande Guerra: problemi e prospettive di ricerca [1995], in Id., Pagine della Grande Guerra. Scrittori in grigioverde, Milano, Mursia, 1999, pp. 194-212). Piů equilibrata giustapposizione hanno trovato, da ultimo, i due repertori nelle distinte sintesi offerte rispettivamente da Franco Contorbia {Guerra, memoria, serittura. 11 caso italiano, alle pp. 631-44) e Fabio Caffarena (Le seritture dei soldáti semplici, alle pp. 645-60) nel II vol. deil'edizione italiana (e dal curatore italiano Antonio Gibelli opportunamente integrata) dell'enciclopedia diretta da Stephane Audoin-Rouzeau e Jean-Jacques Becker, La prima guerra mondiale [2004], tra-duzioni di Carolina Briguglio, Maria Lorenza Chiesara e Stefania Pico, Torino, Einaudi, 2007. Si vedano anche i saggi raccolti in Giovanni Capecchi, Lo straniero nemico e fratello. Letteratura italiana e Grande Guerra, Bologna, CLUEB, 2013, e in Id., Ifronti della serittura. Letteratura e Grande Guerra, Milano, Unicopli, 2017. LE NOTTI CHI ARE ERANO TUTTE UN'ALBA FRA LE PARENTESIDELLA STORIA 19 insomma, si soffermava piuttosto sui "piccoli" (gli Stanghellini, i Frescura, i Salsa) che sui "grandi delia Ietteratura"11. Circoscrivere, come nel mio caso, ľattenzione alia poesia - il genere letterario piü legato a convenzioni retoriche e stilistiche, quello nel quale il filtro delia letterarietä appare costitutivamen-te piü spesso e opaco12 - significa porsi, allora, in una situa-zione-limite. Eppure, se ogni rappresentazione formalizzata del reale é qualcosa di molto remote dal reale stesso, le rappresen-tazioni piu formalizzate (come la poesia, appunto) saranno -per un paradosso solo apparente - le piü 'oneste'. Denunciando subito i propri codici e le proprie convenzioni, esibendo impu-dicamente le proprie 'armi', la poesia si costituisce come tradu-zione intellettuale e fantastica delia realtä, senza pretendere di essere una sua impossibile immagine obiettiva (almeno se non é pessima poesia). II 'filtro' delia letterarietä si rivela allora piuttosto uno scbermo, frapposto tra ľosservatore e la realtä. Su uno schermo si proietta la veritä soggettiva continuamente elabora-ta; e, alio stesso tempo, con esso ci si ripara dalla sostanza traumatica di quanto si trova al di la. Se la modalita di lettura qui adottata consisterä essenzialmente nella verifica e nelľanalisi ŕunzionale, nei testi, delia sostanza traumatica della guerra, ciô avverra senza mai dimenticare l'esistenza di questo schermo. Passando il palmo della mano sulla sua superficie, si sentiranno " Mario Isnenghi, Postfazione, in Id., II mito della grande guerra, cit., p. 398. Stratégia parallela a quella, assai fruttuosa, che lo storico del fa-scismo adotterä poi nei confronti di quelli che chiamerä gli intellettuali "funzionari" del regime, dal comportamento piü rivelatore di quello dei "militanti", cioě degli intellettuali di punta (si veda YIntroduzione in Id., Intellettuali militanti e intellettuali funzionari, Torino, Einaudi, 1979; poi in Id., L'ltalia del fascio, Firenze, Giunti, 1996, citazione a p. 130) 12 Facendo cenno a una letterarietä di tipo costitutivo come quella del těsto poetko (contrapponendola implicitamente a quella condiziona-le di testi di altra natura quali i diari, le lettere, i memoriali eccetera), mi riferisco alle categorie introdotte da Gerard Genet te, Finzione e dizione [1991], traduzione di Sergio Atzeni, Parma, Pratiche, 1994. a fior di pelle discontinuitä rivelatrici: piccole e grandi ferite, graffiature sottili e squarci oscenP. La Grande Guerra si configura - per usare le categorie dell ultimo .Lotman - quale uno di quei "momenti di esplosio-ne, che possono creare come delle finestre nello strato semioti-co. Cosi il mondo della semiosi non ě fatalmente chiuso in sé: esso forma una struttura complessa che continuamente 'gioca' con lo spazio che gli ě esterno"w. E la "Ietteratura di guerra" ě il piu sintomatico punto di tangenza tra la "serie" della Ietteratura e quella della storia: il luogo in cui la Ietteratura ha giocato una partita terribile con lo spazio del tutto nuovo che a un tratto le si ě aperto davanti. Entro il Novecento, insomma, la Grande Guerra ě la prima importante finestra ehe si apra, permettendo di spingere lo sguardo al di lá. A patto che ci si ricordi del vetro nella sua cornice. ha zona morta "Una citazione. 'Va bene. E va anche bene che a chi piange e muore faccia da correttivo chi ride e vive; e ľarte (non so che 13 Ho abbozzato una teória dello schermo nel saggio Sugli schermi: BurriBallard Cronenberg, uscito in tre puntate su Ipso Facto, 1,2, settem-bre-dicembre 1998, pp. 97-110; 1,3, gennaio-aprile 1999, pp. 107-29; II, 4, maggio-agosto 1999, pp. 115-34 (un 'incubo ermeneutico' concepito proprio durante la stesura della prima edizione di questo libro). 14 Jurij M. Lotman, La cultura e ľesplosione. Prevedibilita e impre-vedibilitä, traduzione di Caterina Valentino, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 38. Sulla Ietteratura di guerra come cifra interpretativa dei Novecento in generale, cfr. Alberto Casadei, Romanzi di Finisterre. Narrazione della guerra e problem! del realismo, Roma, Carocci, 2000 (e la sintesi ancora piu generale dello stesso autore, La guerra, Roma-Bari, Laterza, 1999), e Umberto Rossi, II secolo difuoco. Introduzione alia Ietteratura di guerra del Novecento, Roma, Bulzoni, 2008. 20 LE NOTT1 CHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA FRA LE PARENTESIDELLA STORIA 21 sia) balk per conto suo, senza guardare da che parte venga la musica. Per il 'mondo intellettuale', poi, la guerra ě ora-mai affare liquidato, salvo le pendenze morali, ed estetiche; la sua capacitä emotiva ě esaurita, o attende semmai qualcosa di nuovo e di piü forte'. Leggo queste parole del poeta demente Rebora, 1917. Mi chiedo se non si debba, guardandosi intor-no, ripeterle. Ma con una correzione importante. Non 'per il mondo intellettuale' ma per il mondo, la societa, 'la guerra ě ormai affare liquidato"'. Cosi Franco Fortini nel 1991, durante la guerra del Golfol5."Il 28 giugno del 1992, senza prean-nuncio, il presidente francese Mitterrand fece un'improvvisa e inattesa comparsa a Sarajevo, centro di una guerra balcani-ca che doveva provocare nel resto di quell'armo la morte di 150.000 uomini [...] un aspetto della visita di Mitterrand pas-so quasi sotto silenzio, benché fosse uno dei piu importanti: la data. Perché [...] proprio quel giorno? Perché il 28 giugno era l'anniversario dell'assassinio dell'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo nel 1914, un episodio che condusse nel giro di qualche settimana alio scoppio del-la prima guerra mondiale. Per ogni europeo colto dell'etä di Mitterrand balzava agli occhi il nesso tra la data, il luogo e il ricordo di una catastrofe storica innescata da errori di valu-tazione politica". Cosi Eric Hobsbawm aH'inizio del Secolo breveli. I due gesti si assomigliano. In ambedue i casi la memoria della Grande Guerra ě venuta alia mente nel momento in cui l'uomo occidentale, cullato per quasi mezzo secolo dalla pace 15 Franco Fortini, Ma dov'efinito il "piccolo uomo"?, in "L'Espres-so", 24 febbraio 1991, p. 78 (la cítazione ě da Arche di Noe sul sangue, una prosa del 1917 che si legge ora in demente Rebora, Poesie, prose e traduzioni, a cura di Adele Dei con la coilaborazione di Paolo Maccari, Milano, Mondadori, 2015, pp. 197-8). 16 Eric J. Hobsbawm, II secolo breve. 1914-1991: Vera dei grandi cata-clismi [1994], traduzione di Bruneilo Lotti, Milano, Rizzoli, 1995, p. 14. nucleare, si ě reso conto di come i conflitti armati siano tutt'al-tro che estirpati dall'orizzonte del possibile. II ricordo della prima campagna bellica dell'era tecnologica assurge insomnia a paradigma della sostanza traumatica dei mondo, e questo sebbene alia Grande Guerra ne sia seguita un'altra, infinita-mente piü distruttiva, che ha conosciuto gli orrori assoluti dei bombardamenti strategic! e dello sterminio razziale. Come se nella memoria collet ti va fosse da sempre sedimentata l'idea di uriunica lunga guerra durata trent'anni, che occupi per intero la prima meta del "secolo breve". (Non ě privo di significato che Benjamin Britten abbia usato per il proprio War Requiem - nel secondo dopoguerra, 1961 - le parole di Wilfred Owen, il poeta inglese vittima della prima guerra mondiale.)17 Sulla tesi di Hobsbawm s'e discusso parecchio. Su un suo assunto, in ogni caso, pare difficile dissentire: se forse il Novecento non ě iniziato nel 1914, solo in quel momento ě comunque finito il 'secolo' precedente. In termini tipologico-culturali si puö vedere la successione delle due ere come una lunga zona 'crepuscolare', il periodo di compresenza di due serie distinte: delle quali una (quella deH"'Eta degli Imperi", per continuare a usare le formule di Hobsbawm) ha un chiaro terminus ad quem, mentre 1 altra (l'"Etä della catastrofe") trova nelP"even-to esplosivo" - la Grande Guerra, appunto - qualcosa di simile a un catalizzatore brutale che intervenga in una reazione chimica giä da tempo in corso. Nella coscienza di chi ha attra-versato quel periodo storico appare evidente, in ogni caso, la 17 II testo usato da Britten, Anthem for Doomed Youth, si legge in Wilfred Owen, Poesie di guerra, a cura di Sergio Rufini, Torino, Einau-di, 1985, p. 20. L'osservazione ě in Jay Winter, II lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea [1995], traduzione di Nicola Rainö, Bologna, il Mulino, 1998, p. 292. Come rammenta George L. Mosse, in diversi casi per ricordare le vittime della seconda guerra mondiale si decise "semplicemente di aggiungere i nomi dei morti [...] a quelli della prima" {La guerre mondiali. Dalla tragedie al mito dei caduti, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 236). 22 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA soluzione di continuitä. A coloro che li vissero fu subito chiaro che nulla, dopo gli avvenimenti del 14-18, sarebbe raai piü stato come prima. Da subito, il "prima" inizia a colorarsi di proiettive tinte idilliache18, come nel grande componimento che nei Canti ano-nimi, pubblicati nel 1922, Clemente Rebora ae.dicd.vdi Al tempo che la vita era inesplosa: la piu bella poesia del dopoguerra - di ogni dopoguerra, forse. La metafora di questo testo rivela tut-tavia la natura reale della pace nella quale "la campagna che va dal piano al monte / Tessendo siepi in giro alle covate, / Ma di verde inghirlanda ogni contrasto / Nel fior dí tutti i giorni, lbrizzonte"19. Sotto quel verde di abbacinante serenitä, sotto l'"Erba recisa che sempře rinasce", era sepolta - allora ancora "inesplosa" - una materia pericolosa, destinata a spazzare via tutto quanto. Come dicono sempře i Canti anonimi: "II cuor che nell'uomo / Se va in basso ě una bomba / Esplode a un ostacolo duro / E fa del presente una tomba"20. 18 Ricordando la profezia del Wille zur Macht, cosi terminava Hobsbawm Létá degli imperi 1875-1914 {1987, traduzione di Franco Sal-vatorelli, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 373): "Dall'agosto 1914 noi siamo vissuti nel mondo delle guerre, rivolgimenti e esplosioni gigantesche profetizzato da Nietzsche. Ě questo che ha circondato Fěra anteriore al 1914 di un retrospettivo alone di nostalgia, come un'etä dorata ďordine e di pace, di prospettive senza problemi". 19 Clemente Rebora, Al tempo che la vita era inesplosa, in Id,, Canti anonimi raccolti da demente Rebora, Milano, II Convegno Edkoriale, 1922; ora in Id., Poesie, prose, traduzioni, cit., p. 220.1 versi rievocano -ci informa la prima biografa di Rebora, suor Margherita Marchione, in L imagine tesa. ha vita e 1'opera di Clemente Rebora, prefazione di Giuseppe Prezzolini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, I960, 19742, p. 145 - i soggiorni infantili a Calolzio, un paese vicino a Lecco dove la famiglia Rebora aveva trascorso le vacanze estive fra il 1896 e il 1899. 20 Clemente Rebora, Sacchi a terra per gli occhi, in Id., Poesie, prose e traduzioni, cit., p. 228. II toccante ricordo dello zio, opera di Roberto Rebora, ha scelto per titolo proprio questo incipit dai Canti anonimi. Nel quadro di una ben differente interpretazione del testo, trovo suggestive FRA LE PARENTESI DELLA STORIA 23 Naturalmente c'era chi non indulgeva affatto all'idealizza-zione del passato. Nell'estate del 1914 il piú grande narratore della sua generazione, Henry James, ě vecchio, stanco e malato (morira neppure due anni dopo). Esistono pochi document! che rendano quanto le sue lettere di quel periodo il senso della tremenda disillusione venuta a spezzare gli orízzonti rosei della generazione della Belle époque; che ci facciano toccare con mano la loro traumatica scoperta del senso - finalmente autentico - del passato, Tutto il periodo di pace e di progresso, che per quaranťanni era stato variamente idealizzato - pur fra mille tensioni - dall'intera corporazione intellettuale, rivela ora la cicatrice che offendeva da sempře, non vista, la meta na-scosta del suo volto. Una violenza a lungo compressa che ora si libera senza freni: "scopríre alia fine quale abominio la nostra etä celasse nel proprio sangue, dover constatare che per tutto il tempo non mirava che a questo, ě come dovere ammettere, im-provvisamentě, che čertí nostri famigliari o amici, apparente-mente degnissimí, altro non erano che una banda di assassini, farabutti o malfattori: lo shock ě identico"23. La metafora uti-lizzata da James ě suggestiva: il tempo danteguerra, teso nella propria concentrata inesplosione, "mirava" a questo. Come il soldato dei Versi militari di Saba, teso a mirare con la massima concentrazione al Bersaglio rappresentato dalla propria stessa catastrofe. Letto in quest bttica, il primo quindicennío del XX queste considerazioni: "C'ě sempře qualcosa al di lä, per tutti, qualcosa di inesploso che, per Clemente, segnera la strada del suo progressivo annullamento-vita [...]. La non esplosione ě un accidente, {'inesplosione un destino. L'inesplosione indica un dopo, awerte che il suo significato comincerá a rivelarsi (nel bene e nel male) quando l'evento-vita aprirá determinati spiragli di coscienza e di esperienza" (Roberto Rebora, Al tempo che la vita era inesplosa. Ricordo di Clemente Rebora, Milano, Scheiwiller, 1986, pp. 16-7). 21 Henry James a Claude Phillips, 31 luglio 1914, in Id., II gelso ca-duto. Lettere 1914-1915,'ä eura di Lucio Angelini, Roma, Biblioteca del Vascello, Roma 1992, p. 11. Corsivo dell'autore. 24 LE NOTTI CHI ARE ERANO TUTTE CN'ALBA secolo appare come una rincorsa a rit mo crescente su un piano inclinato, che non poteva che sfociare neu"1 inutile sirage" (si veda, sot to, il capitolo La guerra attesa). Se cerchiamo le origin i del la buf era che ě stata il Novecen-to22, non posslamo non interrogarci sul ncsso tra modernita e violenza. Quel nesso che ha dettato, dalk non casuale data del 1989 in avanti, una ridefinizione filosofica, oltre che storiogra-fica, del concetto di modernita. La tradizionale interpretazione della civilizzazione moderna come progressiva, lineare cinan-cipazione dcH'umanitä dalla barbaric e dalla violenza c stata contraddetta dalla riflessione recente suila Shoah23. Come il 22 "Ciö che noi chiamiamo il progresso, ě questa bufera", scriveva Benjamin nel 1940: Sul concetto di storia [1942], a crura di Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997, p. 37. 23 Si deve soprattutto a Zygmunt Bau man (Modernita e olocausto [1989], iraduzione di Massimo Baldini. Bologna, il Mulino, 1992; Modernita e ambívalenza [1991], iraduzione di Catcrina D'Amico, Torino, Bollati Boririghieri, 2010; II teatro dell'immortalitä. Mortalita, immor-talitä e altre strategie di vita [1992], traduzionc di Giovanni Arganese, Bologna, il Mulino, 1995) la tesi secondo la quale, anziehe contraddire il vettere progressive delia modernita, la Shoah ne costituirebbe il nodo al pettine - una sorta di apocalittko 'come volevasi dimostrare'. Per Bernd Hüppauf (Modernity and Violence: Observations Concerning a Contradictory Relationship, nella raccolta di saggi da lui stesso curata War. Violence and the Modern Condition, Berlin-New York, Walter de Gruyter, 1997, pp. 1-29) ě la sempltcita della tesi di Bauman, capovolgendo la rassícurante vulgáta precedente, ad averla resa cosi popolare. In questo dibattito (Hüppauf ě una lodevole eccezione) si ě in genere omesso di con fronta rsi con il těsto fondativo della eritica alia declinazione stru-mentale della ragione, la Dialettica dell'illuminismo di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Vi si legge un'avvertenza che non si dovrebbe mai dimenticare: "Non abbiamo il minimo dubbio - ed ě la nostra penzione di principio - che la liberta nella societa c inseparabile dal pensicro illuministico. Ma riteniamo di aver compreso, con altrettanta chiarezza;. che il concetto stesso di questo pensiero, non meno delle forme storíche concrete, delle istituzioni sociali a cui ě strettamente legato, implicano giä il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque. Se 1'ik PRA LE PÁRENTESí DELLA STORIA ||:;;V::y:V;;, genocidio ebraico era stato irsterpretato quale insorgenza di -.'.'una rimossa barbaric 'premoderna', che aveva riportato indie-'l^g-.y:^:\ito i'umanitä, per spiegare I'irrompere della morte di massa 'MMt:::^'- suilo scenario europeo con la Grande Guerra si era fatto ri-■ corso alia metafora del ritorno della barbarie, (Non a caso, giä Ig ■:.>.■ ■.../,.,, cJaiia propaganda del tempo lo scontro veniva presentato come .|......:;;:=;■:: .- derby finale tra due modi contrapposti, e inconciliabih, di ^^^f^j.'-v-.concepire la civilta: Kultur vs. Civilisation2*) Al contrario, si :|^^;;^:;'-tende oggi a indicare proprio nel processo postilluministico Wt-^-K- di modernizzazione 1 affacciarsi del carattere strumentale del-l'a razionalitä e del prevalere dell'efficienza nci confront! della ::i0*:responsabilitä etica e morale. II predominio della tecnica, che iplr ■ ^nei campi di battaglia tecnoiogici mostra il suo terrificante po-^^:^;^:V'-'''tenziale, rivelerebbe il proprio autentico vol to nellbrganizza-:.^^:'^'-.y:;:-''zione dello stcrmmio25. Lequazione, scandalosa, e quella fra Sf^^'V-v;-v' modemitä e barbarie. Mhiminismo non accoglie in sé la coscienza di questo momenta regressivo, ^firma la propria condannď (Dialettica dell'illuminismo [1947], traduzione Ě;=;di Renato Solmi, Torino, Einaudi, 1966, p. 5). Una critica alia modernita wdeve ncccssariamente svilupparsi, dunque, dall'interno delia modernita: :vvv.ogni regressione premoderna si priva di strumenti di comprensione che íi;:;.resta no indispensabili, proprio se si vuole portare in profonditä tale critica. :■■ :24 Importante la discussione su questo punto in Daniel Pick, La ^guerra nella cultura contempomnea [1993], traduzione di Giovanni Ferra-% vi°ii Uberti, Roma-Bari, Laterza, 1994, specie alle pp. 217-39. ':0l]:23. - II Saggio sulla violenza di Wolfgang Sofsky (1996, traduzione di ^Barbara Trapani e Luca Lamberti, Torino, Einaudi, 1998), non fa propria l^nessuna delle due interpretazioni, e si conclude su una cifra paradossale. Ě;iSe infatti si ribadisce che "la fede nella civilizzazione ě un mito eurocen-tdco in cui la modernita adora se stessa. Ě una fede priva di qualsiasi |:::foödamento reale" (p. 193), la violenza di massa non appare collegata da ^^i^'W-^P^y al processo di modernizzaaione, il quale darebbe solo nuovi stru-jšmenti, e quindi nuove dimensioni quantitative, a quelle che gli appaiono i^gulšioní eterne, e costitutive, dell'u manit ä (non a caso ii suo libro si con- ■^i^^'i^ffe n£lnome & Freud), Questa interpretazione ha oggi mold attrezzati jíš^špohenti. Limito i miei rinvii a tre libri tanto belli quanto problematici: 26 iE NOTTI CHIARE ERANO TUTTÜ UN'ALBA FF.A LE PARENTESIDELLA STOMA 27 Giorgio Agamben ha indicalo proprio nella prima guerra mondiale io choc fondativo delia poiitica moderna2fe, Mentre la poiitica ckssica trovava íl suo fondamento nell 'ordittamento territoriale,., cioě nella localizzazione (quella che Cari Schmitt definiva Ortung, e considerava reversibile solo negli "stati cl'ec-cezione", quali la guerra, sanciti dal "potere sovrano")27, quella moderna rompe questa griglia per passare a gestire la "nuda vita" dei cittadini. Si trasforma in biopolüica: "cioě nell'impli-cazione crescente delia vita naturale delľuomo nei meccanismi e nei calcoli del. potere"25. Franco Cardini, Quella antica festa cmdele. Guerra c cultura delia guerra dal Medioevo alia Rimluzione francese [1982], Miláno, Mondadori, 1995; Barbara Ehrenreich, Ritt di sangue. Alľorigine delia passione delia guerra [1997], traduzione di Adriana Bottini. Miláno, Fekrinelli, 1998; e James Hillnian, Un terribile amore per la guerra [2004], traduzione di Adriana Bottini, Miláno, Adelphi, 2005. Naturalmente queste interpretazioni, piü o meno reccnti, discendono da archetipi alti, nella storia del pensiero, come quelli d i Roger Caillois c Georges Dumézil. Trovo la migliore ri-sposta a una simile impostazione nelle parole di un grande pensatore ehe durante la Grande Guerra si mantenne doppiamente neutrale, per con-vinzione personale oltre che per nazionalitä (come dice Maurizio Serra, che lo cita nei suo DAnnunzio le Magnifique, Paris, Grasset, 2018, p. 364), Jose Ortega y Gasset: "questa storia per cui la realtä non si da che nella lotta mi pare una storia fasulla, ehe si basa solo sul pathos e non anche sulľetbos dell'umana coesistenza. Ě la storia dei moment! piü drammatici nelľesperienza di un popolo e non delia sua continuitä vitale; deíle sue frencsie e non del suo normale metabolisme. Insomnia, non ě una storia ma un polpettone storico" {La interpretation bélica de la história [1925], in Id., ElEspeciador VI. La interpretáciou de la história; poi in Id., Obras, I, Madrid, Espasa-Calpe, 1943, pp. 556-80, traduzione mia). 26 Cfr. Giorgio Agamben, Homo sacer. II potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995, pp. 44-5. 27 lvi, pp. 23-4. U riferimento di Agamben ě a Carl Schmitt, II nomas delia terra nei diritto internationale delto "jus publicum Europaeum" [1978], a eura d i Franco Volpi, traduzione e postfazione di Emanuele Castrucci, Miláno, Adelphi, 1991. 2* Giorgio Agamben, Horno sacer, cit., pp. 131-2. If ■;.....Iv íl- Ora, la Grande Guerra non solo ha sconvohu in profonditä íl nesso fra nascíta e nazione ídando inizio al piů grande periodo dí .migrazione interna che 1'Europa abbia ma i conosciuto, in seguito al quale, tra il 1915 e il '33, gli Stati europei si dotano di ordinamenti di legge in grado di denazíonalizzare e denatural i 22a re i propri cittadini: presupposto gíurídko degli ordinamenti nazisti che sospesero í diritti degli ebrei cittadini tede-schip, ma ha anche prodotto una gran massa di territorio nei quail lo stato di eccezione ě divenuto, de facto, 'regoia', Ossía ha prodotto qucH'ambiguitä anomica che sfugge alia dicotomia di Schmitt e si pone quale condizione necessaria al concepirnento del campi di stcrminio'0. Un altro segno inquietante della dialettica del moderno che la Grande Guerra mette in luce risulta dalle ricerche di Gio-vanna Procacci (che hanno rivelato, della guerra patriottica', un dato in precedenza del tutto rimosso dalle storie, ufficiali e non, di quest ultimo secolo31, e che lascia semplicemente senza 29 Cfr. ivi, pp. 145-6. 50 "II nesso fra localizzazione (Ortung) e ordinamcnto {Ordnung), che costituisce il 'nomos della terra' [...] ě, dunque, ancora piů complcs-so di come Schmitt lo descrive e contiene al suo interno un'ambiguifä Ibndamentale, una zona illocalizzabile d'indifferenza o deccezione che, in ultima analisi, finisce necessariamente con I'agire contro di esso come un principio di dislocazione infinita. Una delle tesi della presence ricerca ě che proprio lo stato di eccezione, come struttura poiitica fundamentale, nei nostro tempo emerge sem pre piü in primo piano e tende, in ultimo, a diventare la regoia. Quando il nostro tempo ha cercato di dare una localizzazione visibile permanente a questo illocalizzabile, il risultato ě stato il campo di concentramento" (ivi, p. 24), " La storia ě stata ripresa da Angelo Del Boca in Italian; brava genie. Un mito duro a morire, Vicenza, Neri Pozza. 2005, pp. 125 sgg., in Id,, Grande guerra piccoli generali. Una cronaca feroce della Prima guerra mondiale, Torino, UTET, 2007, pp. 205 sgg., nonché da Cento anni -film del 2017 hello e passato sotto silenzio, diretto da Davide Ferrario e sc rit to con Giorgio Mastrorocco -. dove viene raccontata da Marco Paolini. 28 LE NOTTI CHI ARE ERANO TUTTE UN'ALBA fiato: il destino di mořte di centomila prigionieri di guerra ita-liani nei campi tedeschi, lasciati al loro destino dalle autorita militari italiane che li consideravano in massa dei traditori e che impedirono alle famiglie di far loro giungere, come a tutti gli altri prigionieri e come previsto dalle convenzioni inter-nazionali, indispensabili generi di prima necessitä): "la prima vera esperienza di prigionia su scala mondiale fu vissuta durante gli anni della prima guerra mondiale. Fu allora [...] che si pose per la prima volta in termini reali, e spesso drammatici, il problema dei prigionieri di guerra, e del loro trattamento"32. Per dirla con Agamben, cioě, quella fu l'esperienza iniziale di gestione biopolitica del potere da parte degli Stati europei. Ed ě questa l'ombra piů fonda che la Grande Guerra proietta sul 'paradigma del campo'33. I campi di prigionia - le "cittä dei morenti", come vennero definiti - sono davvero un'inquietan-te prefigurazione dei campi di sterminio. E alcuni di essi, come Mauthausen e Theresientadt, una ventina d'anni dopo verran-no riutilizzati davvero come tali. Quello militare nell'Italia degli anni di guerra era assimila-bile, in termini giuridici, a un vero e proprio regime totalitario - e come tale, spesso, si comportö. Forse la chiave di tutto sta in una fräse agghiacciante che si legge in una lettera del generale Carlo Porro, vicecapo di Stato maggiore, al presidente del Consiglio Paolo Boselli (in data 19 giugno 1917): "Vi ě un criterio di giustizia relativa, risultante dal contemperamento del principio di ragione con quello di utilita sociale, in base al 52 Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite [1993], Torino, Bollati Borin-ghieri, 2000, p. 175. 53 Quando si legge che il comando supremo - resosi impraticabile il progetto originario di impedire del tutto lo scambio dei prigionieri con (Austria e la Germania, una volta cessati i combattimenti - progettava di confinadi in massa in Libia o in Macedonia (cfr. ivi, pp. 359 sgg.}, non si riesce a non pensare alia soluzione che i nazisti valutarono prima di scegliere quella finale: il confino in massa degli ebrei in Madagascar. FRALEPARENTESI DELLA STORIA 29 quale ogni provvedimento deve essere esaminato sotto il rifies-so della realtä storica. 'E giusto ciô che ě necessario'"34. C'e tutto: la compartimentazione della morale usata per giustificare le decisioni piu disumane, ľuso strumentale della ragione che si piega sino a spezzarsi in un pensiero schizoide35, il richiamo del potere a compiti di entita biopolitica. C e ínsomma, in questa frase di un involontario portavoce del pensiero della Zona di Guerra, tutto il sistema di coordinate che renderä pensabile, di li a vent'anni circa, Yestremo del Novecento. La Grande Guerra, si sa, ě stata una guerra 'di posizione'36. Per piu di quattro anni, .una fascia territoriale di larghezza variabile tra pochi metri e qualche chilometro ha spezzato in due il continente europeo. Ě la 'terra di nessuno': quella che si estende fra le punte avanzate dei due schieramenti e che avan-za o arretra di pochissimo, restando in definitiva quasi sempre fissata sulla stessa minima porzione di terreno. Nella perce-zione dei milioni di soldáti al fronte (tra i quali anche, come ě notissimo, i protagonisti del totalitarismo interbellico), si tratta di un terrítorio álľinterno del quale non solo sono sospesi 1 diritti elementari degli individui, ma in cui persino la nátura ě stata costretta dall uomo - dalla violenza delle sue macchine, H Cfr. Giovanna Procacci, Soldáti e prigionieri italiani nella Grande guerra, cit., p, 44. 35 La "schizofrénia sociále propria dei regimi totalitari" deriva, per Tzvetan Todorov (cfr. Di fronte all'estremo [1991], traduzione di Elina Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti, 1992, p. 157 e pp. 166-7), dalla tendenza a suddividere la coscienza in compartimenti perfettamente stagnil'uno rispetto all'altro: una "frammentazione" psicologica e morale che ě il corrispettivo individuale della frammentazione sociále. 36 Sui due opposti paradigmi della guerra di posizione e della guerra di movimento - e su come l'introduzione del secondo sia stata la causa principále del disastro di Caporetto neli'ottobre del 1917 - si ve-dano i saggi raccolti in Fabio Vander, Posizione e movimento. Pensiero strategico e politica della Grande Guerra, Milano-Udine, Mimesis, 2013. 30 LE NOTTICH1ARE ERANO TUTTE UN'ALBA dei suoi artificiali congegni di morte e distruzione - a sospen-dere le proprie leggi universali, a invertire cicli millenari, a far mancare alľuomo i codici di riferimento basilari". Piü che un luogo, la terra di nessuno ě un non-luogo - una piega (e una piagd) entro il continuum spazio-temporale in cui tutto puô accadere e tutto appare estraneo, ostile alľurnanitä. No man's land, appunto. Un'aberrazione topologica nel tessuto del reale geograficamente rappresentabile, una condizione astratta ed estraniata [snaturata dal braccio metallico delia tecnologia piů avanzata) ehe si allarga alia fascia circostante, quella che ab-braccia ľuniverso orrendo dei due sistemi di trincee contrap-posti e, ancora oltre, le retrovie col loro carico di sofferenza e angoscia: quanto cioě viene definito, nel suo complesso, Zona di Guerra. Chi vi si trova incluso perde la propria coscienza locale, si deterritorializza (quando scrivevano a casa i soldáti, non potendo per motivi di censura indicare il luogo in cui si trovavano realmente, erano costretti a locahzzarsi in una regione segreta e convenzionale: la Zona di Guerra, appunto). Mente acuta di psicologo, che a dispetto del suo credo re-ligioso preferi mettersi al servizio delle ragioni della guerra, fu quella di Agostino Gemelli38. Fu lui, nelle pagine raccolte nel 1917 nel volume II nostro soldato, a diagnosticare, a coloro ehe si trovavano in questa zona, un "restringimento del campo della coscienza"39 che poteva avere conseguenze catastrofiche sull'equilibrio psichico. In quello stesso anno un suo piu giova- w Per una lettura anche in chiave 'ecologica' di questo punto rinvio alia Postfazione, sotto, alle pp. 706 sgg. 58 Cfr. Sergio Luzzatto, "Un chierico grande vestito da soldato". La guerra di padre Agostino Gemelli, in Gli italiani in guerra. Conflitti, identita, memorie dal Risorgimento at nostri giorni, a cura di Mario Isnenghi e Daniele Ceschin, vol. III, La Grande Guerra: dall'Intervento alia "vit-toria mutilata", Torino, UTET, 2008,1.1, pp. 452-62. 35 Agostino Gemelli, // nostro soldato. Saggi di psicologia militare, prefazione di Giovanni Semeria, Milano, Treves, 1917 (cit. in Donatella e Gianandrea Piccioli, L'altra guerra, Milano, Principato, 1974, p. 96). Si FRALEPARENTESI DELLA STORIA 31 ne collega, soldato semplice e volontario ehe si trovava dalľal-tra parte dei fronte e che negli anni seguenti sarebbe diventato uno dei padri della psicologia sociale, Kurt Lewin, seriveva un breve saggio dal titolo Paesaggio di guerra nel quale - antici-pando cogli strumenti della Gestalt-psycbologie il concetto di Ortung dello Schmitt dei Nomos della terra - mostrava ehe, mentre quello di pace ě uno spazio "arrotondato, senza davanti e senza dietro", quello di guerra ě un "paesaggio delimitato'*10, marchiato e vettorializzato dali Wo che della terra fa il combat-tente. (Un paradigma dei quale pare ricordarsi, senza citarlo, proprio Schmitt quando serive le pagine straordinarie sul "ca-rattere tellurico" delia guerra nella Teória deipartigiano^.) Distruzioni ereatrici II secolo sul quale la Grande Guerra ha impresso il suo marchio di fuoco, insomma, ě un secolo abbreviato in spazi convulsi e lancinanti. Nel cuore dei Novecento si apre una pa-rentesi funerea, dai colori lividi e minacciosi; la Zóna di Guerra: una mutilazione non rimarginabile, una zóna morta. Se il campo, luogo delľillocalizzabile, costituisce "il paradigma veda ľacuto commento a questo passo in Matteo Gianeotti, Paesaggidel trauma, Milano, Bompiani, 2017, pp. 29-30. 40 Kurt Lewin, Paesaggio di guerra [1917], a cura di Raffaele Scolari, Milano-Udine, Mimesis, 2017, p. 9. Ebreo e socialista, costretto all'esi-lio nel 1933, Lewin avrä in sorte di coniare un'espressione resa funesta dai nazisti: Lebensraum, "spazio vitale". 41 Cfr. Carl Schmitt, Teória del partigiano [1963], traduzione di Antonio De Martinis [1981], con un saggio di Franco Volpi, Milano, Adelphi, 2005. Di questo paradigma ha fatto un uso brillante Gabriele Pedullä nella lettura dei testi della Seconda guerra mondiale, nelľe-dizione da lui eurata dei Racconti della Resistenza, Torino, Einaudi, 2005. 32 LE NOTTl CHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA nascosto dello spazio politico della modernita"42, questo paradigma viene sperimentato per la prima volta, in concrete, sulla pelle degli uomini e sulla pelle della terra, durante la Grande Guerra. Non si tratta solo del fenomeno per cui il paradigma della Shoah viene indiscriminatamente applicato alle riflessioni e ai fenoméni piú disparati; e non ě solo la pur ovvia considerazío-ne di come le tension! social! e politiche che porteranno alia Seconda guerra mondiale e alia Soluzione finale siano legate ai nodi lasciati irrisolti alia fine del conflitto precedente43. II Campo trova nella Zona di Guerra il suo antecedente diretto e il suo presupposto indispensabile per ragioni squisitamente 'tecniche'. (Con tutta la mancanza d'innocenza che la 'tecnica' puô avere in un contesto come questo, certo.) La Zona di Guerra ě infatti il primo spazio di violenza della modernita44. II campo di battagiia tecnologico převede una violenza legittimata non piú come eccezione, ma precisamente come norma (e in quanto tale sanzionata da apposite deco-razioni, celebrata da apposite retoriche). La Zona di Guerra, poi, ě il regno della distanza: per la prima volta la tecnologia bellica non solo permette, ma impone una condotta dei com- 43 Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., p. 135. 45 Quelio che ě stato probabilmente il maggior storico militare del Novecento, John Keegan, iniziava da questo punto il suo La Seconda guerra mondiale. 1939-1945. Una storia militare [1989], traduzione di En-zo Peru [1989], ora a cura di Maurizio Pagliano, Milano, il Saggiatore, 2018, p. 13. Sintetizza Giancarlo Alfano: l'ultimo colpo sparato nella Grande Guerra ě "il primo della guerra successiva": "tra luno e l'altro conflitto si sviluppa una sovrapposizione di situazioni e immagini, di destini" {Esserei stato. Esperienza, testimonianza, racconto nella guerra del Novecento, in Rappresentare I'irrappresentabile. La Grande Guerra e la crisi dell'esperienza, atti del convegno di Messina, 24-26 ottobre 2016, a cura di Pierandrea Amato, Sandro Gorgone e Gianluca Miglino, Ve-nezia, Marsilio, 2017, p. 303). 44 Cfr. Bernd Hüppauf, Modernity and Violence, cit., pp. 14-5. FRA LE PARENTESI DELLA STORIA battimenti a distanza, cioě senza che ľawersario sia visibile. (Il fucile della Grande Guerra ě mortale sino a quasi duemila metri di distanza, mentre ľartiglieria spara in genere a cinque chilometri circa dalľobiettivo. I comandanti in capo dirigono le operazioni ben lontani dal fronte, in quartier generali col-legati telefonicamente alle prime linee, e nei quali ě possibile tenere sotto controllo i campi di battagiia mediante informa-zioni desunte dalle ricognizioni aeree e aerostatiche45.) Con la Grande Guerra inizia quel processo di smaterializzazione dell'awersario, di 'sottrazione del corpo', che culminerä nel conflitto seguente con ľuso del radar (e prosegue oggi con la guerra 'intelligente' condotta via telecamere mobili e armi te-lecomandate)46. Ma ě proprio questa invisibilitä della violenza il presupposto della sospensione della morale, e quindi della legittimazione della violenza stessa: "l'aumento della distanza fisica e/o psi-chica tra ľazione e le sue conseguenze [...] annulla il significa-to morale delľazione"47. Questa distanza, nelle societa totalita-rie, viene prodotta attraverso diverse tecniche (come la propa- 45 Cfr. Stephen Kern, II tempo e lo spazio. La percezione del mon-do tra Otto e Novecento [1983], traduzione di Barnaba Maj, Bologna, il Mulino, 1988, pp. 390 sgg. Per una contestualizzazione italiana si veda ľimportante saggio di Antonio Gibelli, Guerra e modernita [2002], in Id., 11 colpo di tuono. Pensare la Grande Guerra oggi, Roma, manifestoli-bri, 2015, pp. 119-68. 46 Si deve a Gabriele Frasca la piú penetrante analisi del processo di sottrazione del corpo da parte dei mezzi di comunicazione applicati alia condotta di guerra, e poi in tempo di pace: cfr. La scimmia diDio. Lemozione della guerra mediale, Genová, Costa & Nolan, pp. 69 sgg. (ma passim). Paul Virilio ha seguito invece ľevoluzione tecnica dell'im-magine del campo di battagiia riprodotta a scopi di ricognizione: cfr. Guerra e cinema. Logistica della percezione [1991], traduzione di Dario Buzzolan, Torino, Lindau, 1996 (cfr., per la Grande Guerra, le pp. 23-47). Sulla tematica della distanza consentita e prescritta dalle tecnologie di guerra moderne rinvio alia Postfazione, sotto, alle pp. 698 sgg. 47 Zygmunt Bauman, Modernita e olocausto, cit., p. 46. 34 LE NOTTÍ CHIARE ERANG TUTTE ON'ALBA ganda e la segretezza), ma trova un precedence tanglbilmente fisico nella guerra modern a; 'Tesempio piu ovvio della tecnica che colloca le vittime fuori dal campo visivo, rendendole cost inaccessible al giudizio morale, e dato dalle armi moderne"45, Un altro aspetto del campo che vale come tragica sincddo-che della modernita e il suo carattere indusiriale. L'industria dell assassinio di massa, in scrie, ha infatti caratteristiche per-turbantemente simili ad altri tipi d'industria. Nella macellazio-ne su larga scala, per esempio49, Tindustrializzazione - la razio-nalizzazione estrema dei procedimenti, il contingentamento di tempi e luoghi di lavorazione e la costruzione di appositi spazi con determinate caratteristiche, collocati a distanza strategics dai centri urbani - inizia negli anni Sessanta dell'Ottocento (contemporaneamente ai primt conflitti modificati dalla rivo-luzione industriale: la guerra di Secessione negli Stati Uniti e la guerra franco-pmssiana in Europa), e viene codificata negli anni Dieci del Novecento (i Principles of Scientific Management di Frederick Taylor vengono pubbiicati nel 1911)'°. La specificita dell'industria della maceilazione si deve al fatto che la sua 'produzione' passa attraverso la 'distruzione' della vita. Analogamente, il campo di sterminio sara paragona-to al "moderno sistcma di fabbrica. Invece di produrrc merci, esso utilizzava gli esseri umani come materia prima e sfornava la morte come prodotto finale, con le quantita giornaliere ac- 48 Ivi, p, 261. Cfr. anche Wolfgang Sofsky, Saggio sulk violenza, cit, pp. 20-35 {il capitolo su "L'arma"). 49 II parallelo e svolto da Daniel Pick, La guerra nella cultuta con-temporanea, cit., pp. 247-70. 50 Cfr. ivi, pp. 254 sgg. Non mancarono, neH'ambito della pubblici-stica militare durante la Grande Guerra, richiami cspliciti alia necessita di organizzare l'esercito moderno in senso "tayloristico" (cfr. Antonio Gibelli, L'officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino, Bollati Boringhicri, 1991, p. 104 e pp. 242-3). Nel nostro repertorio si segnala la consapevolezza, al riguardo, di Lorenzo Montane (si veda, so no, il capitolo La guerra-riflessione). FRA LE FARENTESI DELIA STGRIA 35 curatamente ríportate sul rendíconto dei dirigenti. Le címinie- rc, simbolo stesso del moderno sistcma di fabbrica, sputa vano 1'acre fumo prodotto dalla combustione della carne umana. La rete ferroviaria dell'Europa moderna, perfettamente orga-nizzata, trasportava alle fabbriche un nuovo genere di materia prima"51. La dinamica perversa fra pmduzione e distruzione, che s'in-staura nella societa industriale moderna, ě un aspotto ben noto del sistema capitalistico. La produzione di nuovi generi di consumo ě resa possibiie proprio dailo smaltimento rapido, cioě dalla distruzione, deile eccedenze del ciclo produttivo. E la guerra moderna ě un'immensa occasione di smaltimento, un gígantesco rituále di spreco (cfr., sotto, il capitolo La guer-ra-festa). Solo che nella guerra - come nel macello, come nel ampo - non vengono distrutti solo i materiali. Per prima cosa occorre smaltire deile creature viventi, che per loro sfortuna sono entrate a far parte del ciclo produttivo: gli esseri umani. La guerra, a questo punto, appare in effetti "un'estensionc del complesso industriale"; non piu un tempo eccezionale che si frappone nel ciclo produttivo sabotandolo, ma al contrario im suo voláno determinante: "questa guerra trasformö i campi di battaglia in giganteschi sistemi che pmducono la distruzione; deile vite umane, dei paesaggi, dei materiali e dei valori simbo-lici, seguendo sempre le regole del sistema capitalistico, ancora piu rigidamente che in tempo di pace"52. 51 Henry L. Feingold, How Unique is the Holocaust?, in Genocide. Critical Issues of the Holocaust, a cura di Alex Grobman e Daniel Landes, Los Angeles, The Simon Wiesenthal Centre. 1983, pp. 399-400, in Zygmunt Bauman, Modernitä e olocausto, cit., p. 25. Bernd I lüppauf. Modernity and Violence, cit., p. 17. Traduzio-ne e corsivo miei. Giä col suo primo at to, la cosiddetta mobilitdzio-ne totale. Ja guerra moderna evidenzia il proprio carattere di massa, di serie, il proprio forsennato industrialismo insomma. Non a caso ii reduce per antonomasia, Ernst Jünger, utilizzerä campi metaforici ie-gati alia propria espcrienza di guerra per dipingere il ritratto ideale 36 LE NOTTICHIARE ERANO TUTTE UNALBA In un passo deWUomo senza qualitä si trova forse il giudizio piü sottile e penetrante, sul tempo che andiamo interrogan-do. Scrive dunque Robert Musil (siamo nel capitolo 99 della seconda parte - quella pubblicata nel 1933 -, dedicato alio "scandalo chiamato etä moderna"): Cera inoltre una cosa che veniva chiamata espressionismo; non si poteva indicare con esattezza che cosa fosse, ma come del lavoratore (L'operaio. Dominio e forma [1932], traduzione di Quirine. Principe [1984], Parma, Guanda, 1991), ľuomo-massa perfetto ingranaggio della macchina totalitaria. L'operaio, indurito dalla vita di trincea, sarä pronto alle battaglie quotidiane delľimmane fucina in cui Jünger vorrebbe si trasformasse lo Stato postbellico. E infatti la mobilitazione totale (1930, in Id., Foglie e pietre [1982], traduzione di Flavio Cuniberto, Milano, Adelphi, 1997, pp. 113-38) diviene con Jünger paradigma totalizzante dello "Stato totalitario ideale" (cfr. Fer-ruccio Masini, La guerra come "nomos" della catastrofe, in La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini, atti del convegno di Rovereto, 26-28 settembre 1985, a eura di Diego Leoni e Camillo Zadra, Bologna, il Mulino, 1986, pp. 355-70. Cfr. anche Eric J. Leed, Terra di nessu-no. Esperienza bellica e identita personale nella prima guerra mondiale [1979], traduzione di Rinaldo Falcioni, Bologna, il Mulino, 1985, pp. 192 sgg.). Neile pagine respingenti della Battaglia come esperienza in-teriore, testo del 1922 che l'autore presenta come "uno spaccato molto personale", "pendant" ďintrospezione spirituále al capolavoro invece tutto 'esteriore' che due anni prima era stato Nelle tempeste d'aecia-io, "la macchina" viene definita "l'intelligenza del popolo fusa in una forma d'acciaio", e "la matéria paria la sua lingua dura come il ferro"; "oggi scriviamo poesie d'acciaio e componimenti di cemento armato, lottiamo per il potere in battaglie il cui .ritmo vanta una precisione macchinica" (traduzione di Simone Buttazzi, Prato, Piano B, 2014, le citazioni alle p. 7 e 138-9). Cfr. anche Sandro Gorgone, "Storia naturale della distruzione". Ernst jünger e la Grande Guerra, in La filosofia e la Grande Guerra, atti del convegno di Messina, 26-27 novembre 2014, a eura di Pierandrea Amato, Milano-Udine, Mimesis, 2015, pp. 141-63, e Caterina Resta, Ernst Jünger e la guerra come esperienza interiore, in Kappresentarel'irrappresentabile, cit., pp. 69-91. FRA LE PARENTESI DELLA STORIA 37 diceva la parola era una sorta di spremitura; di visioni costrut-tive, forse, e tuttavia, se confrontate con la tradizione artistica, anche distruttive, ragion per cui le st poteva anche chiamare semplicemente "struttive": ě un termine non impegnativo, e ľespressione "concezione struttiva del mondo" ha un suono piuttosto rispettabile.53 II periodo di cui si parla ě appunto il nostro (il celebre incipit meteorologico del romanzo, come si ricordera, fissa l'inizio deLTazione' a "una bella giornata dagosto dellanno 1913"). Ľíronia di Musil allude anche alia sua stessa poetica ďanteguerra, ben deserivibile in questi termini (per esempio nelle due straordínarie novelle raccolte nel 1911 sotto il titolo Unioni): "struttiva", la sua concezione del mondo, in quanto costitutivamente tensiva tra frammento e totalita; e questo in-dipendentemente, appunto, se il vettore del Kunstwollen sia volto alla distruzione o alia ricostruzione (del romanzo della maturita, non a caso fimasto incompiuto, si puô ben dire che vada in entrambe le direzioni). Ma al di lä dei suoi conti da regolare, una visione come quella di Musil fornisce la migliore sintesi del primo quindicennio del Novecento. Non solo: delľintero secolo, forse, che ci divide da quel momento-chiave. Un secolo che molto spesso si ě dovuto accorgere di come la sua volontä di costruire I'avvenire abbia lasciato sul campo solo macerie. E che, di converso, solo dai frammenti di quella catastrofe, in apparenza incomponibi-li, ě riuscito dawero a costruire qualcosa. Se la tradizione delle avanguardie - da Mallarmé, con la sua Beatrice destruction, in avanti - si puô identijficare in quello che Marjorie Perloff ha definito il loro "momento futurista", cioě nelľatteggiamento clastico, distruttivo (quello lei chiama "linguaggio della rottu- 35 Robert Musil, Ľuomo senza qualitä [1930-33; 1943], a eura di Ada Vigliani, Milano, Mondadori, 2013, p. 466. i 38 LE NOTTÍ CHIASE ERANO TUTTE UN'ALBA FRA LE PARENTESI BELLA STORIA 39 ra")54? la piü ampia tradízlone della modernita převede infatti, in dissonante sintesi con questo, anche unbpposta attitudine plastica, costruttiva. Ě questo insomrna il carattere struttivo, per dirla appunto con Musil, della modernita novcccntesca. Nonché, con ogni probabilita, dí quanto le tiene dietro. Se ě vero che quesťambivalenza, paradossalmente fondante, solo ora cí si mostrá appíeno riconoscibile; nella sua "volonta di costruire, di erigere" alla quale, nello stesso momente, "si contra ppone sempře 1'opposto: la volontá di distruggere" (cosi ha sintetizzato, di recente, Marco Belpoliti)53, Lo ha detto Alaín Badiou in una série di lezioni sul Secolo tenute, non a caso, tra il 1999 e il 2001: "il nostro secolo, agitato dalla passione del reale, ě stato in tutti i modi possibili, e non solo in politica, íl secolo della distruzione". Ma ě vero pure che "la passione del reale ě sempře la passione del nuovo". Sicché resta aperta la domanda decisiva: se cosi stanno le cose, "che cos'e il nuovo? E, come chíedeva Brecht, quando arriverä, e a che prezzo?"'6. Ě una domanda, questa, cui non ě íacile rispondere. Se ě vero che da giusto un secolo ce la poniamo. La maledizione di Boccanera In molti sensi la Grande Guerra fu un'epidemia di schizofrénia di massa. La giustizia relativa del generále Porro non ě che un esempio fra i molti che si potrebbero addurre. Col suo carattere irriducibilmente ancipite, col suo essere Xalba di M Cfr. Marjoric Perloff, The futurist moment, Avant-garde, avant-guerre, and the language of rupture, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1986 (20032). " Marco Belpoliti L'etd dell'estremismo, Milano, Guanda, 2014, p. 141. 56 Alain Badiou II secolo [2005], traduzione di Vera Verdiani, Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 70 sgg. ■íl: "iX- una nuova era, ma anche I'interminabile r.otie che sancisce la fine di quella precedente, la Grande Guerra e infatti segcata in prosondita da una serie di ambivalenze. Sono le ambivalenze - fra modernitä e barbarie, fra norma ed eccezione, fra produzione e distruzione ~ di quella che chia-miamo 'letteratura di guerra.'. Per la maggior parte, quelli che hanno resistito al tempo sono testi di denuncia, piü o meno in-tenzionale, degli orrori, del disastri della guerra"'1. Sono, spesso, testi mutitati; in varia misura danneggiati dagli eventi attraver-so i quali sono passati i loro autori. Sono testi che imendono restituire la sostanza traumatica della guerra al lettore che non sa, che non ha visto. Ed e proprio in questa necessitä di fare a tutti i costi partecipi della propria traumatica esperienza colore che l'hanno evitata che sta la fundamentale ambivalenza della letteratura di guerra58. II suo paradosso consiste nel fatto che, piü ci si affanna a imporre l'esperienza al riluttante corpo sociale dei 'borghesi', piü ci si allontana dall'obiettivo. Piü si dipinge l'eccezionalita dell'esperienza di guerra, l'enormitä delle cose viste, 1'intolle-rabilitä delle condizioni. vissute, piü si accent ua quella che Eric Leed ha definite la liminarita della guerra59. Come diceva giä Paul Fusscll, "1'immagine di una divisione rigorosa domina nella Grande Guerra il concetto di Prima e Dopo, specialmente se la mente indugia sul contrasto tra Fidillica realtä di prima della guerra e l'oscena realtä del tempo di guerra"61'. L'antropologia ha definite questa classe di eventi "liminari", sviluppando il con- 57 Sul titolo di Goya (nelPinterpretazione di Jean-Luc Nancy) rin-vio alia Postfazione, sot to, alle pp. 709-10. 58 Anche su questo punto riinando alia Postfazione, sotto, alle pp. 715 sgg. 59 Cfr. Eric J. Leed, Terra di nessuno, cit., pp. 23-9 e 46-8. 40 Paul Fussell, La Grande Guerra e la memoria modema [1975], traduzione di Giuseppina Panzieri, introduzione di Ernesto Galli della Loggia {poi, da! 2000, con introduzione di Antonio Gibelli), Bologna, il Mulino, 2014, p. 103.