EINAUDI TASCABILI piů informazioni < > ——■■CPBI f • MlolEbookReader Modifica 5? í g > 4 44% CO Qabc- esteso Dom 13:52 Q. © is • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ P OS IL LINGUAGGIO ARCAIZZANTE CHE MARI ADOPERA IN EuRIDI-ce aveva un cane riesce a essere straordinariamente nuovo e attuale, a cavallo tra lo stile delle Operette morali di Leopardi e i giochi lin-guistici di Tommaso Landolfi». Gesualdo Bufalino, «L'Europeo» «Mari ha forse scritto il testo phi straziante e profondo degli Ultimi anni». Franco Cordelli, «Corriere della Sera» /palloni del signor Kurz, Tutto il dolore del mondo, In virtu della mostruosa intensita, Euridice aveva un cane, II volto delle cose sono alcuni degli straor-dinari racconti visionari e malinconici che compongono questo volume. Sul-lo sfondo di luoghi rassicuranti - una localitä di villeggiatura, un collegio, una scuola - ma carichi di segnali inquietanti, Mari mette in scena storie di vita quotidiana, in cui paura e umorismo, invenzioni irresistibili e finali im-previsti, attendono il lettore che ritroverä in ogni pagina i terrori e i turba-menti di ogni infanzia e adolescenza. piú informazioni < > Ú MlolEbookReader Modifica S? í g <ŠS W c > > <3> 4 44% CO Q abc- esteso Dom 13:52 Q. O • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ P 05 Ľautore Michele Mari é nato a Miláno nel 1955. I suoi libri di narrativa sono: Di beštia in beštia (Longanesi 1989), Io venia pien ďangoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998), La stiva e ľabisso (Bompiani 1992; Ei-naudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993), Filológia delľan-fibio (Bompiani 1995), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997), Rondi-ni sul filo (Mondadori 1999) e Tutto U ferro delia torre Eiffel (Einaudi 2002). p/u informazioni • MIolEbookReader Modifica 5? i s > <3> 4 44% CO Qabc- esteso Dom 13:52 q. O ;s • O • MIolEbookReader - Euridice aveva un cane o P QS Michele Mari Euridice aveva un cane Einaudi p/u informazioni • MlolEbookReader Modifica 5? í g > 4 45% CO Qabc- esteso Dom 13:52 q. O ~ • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ P OS Euridice aveva un cane Scalna non ě mai stato un paese. Scalna finiva dove finivano i ciottoli del vialetto, a quel cancello verde e al muro che da una parte e dall'altra abbracciava il nostro giardino giun-gendo a Nord sino al fienile e alia legnaia, a Sud fino alia casa. Quella era Scalna, quel giardino e quelle tre costruzioni, e il grande orto che si stendeva dietro la casa, delimitato dal-l'alta rete metallica coperta di rampicanti. A quanta esulava non concedevo dignita di nome: era soltanto «il paese». Le canine geografiche e gli orari ferroviari non mi confonde-vano: certo, recavano il nome, ma chi ce lo aveva messo, io lo sapevo, intendeva riferirsi essenzialmente alia nostra casa; e anche le frecce della segnaletica stradale non indicavano che quella casa, siccome museo o basilica antica. Avevamo dei vicini, i Baldi. La loro casa aveva un piano in meno della nostra, era piú nuova e piú piccola, e anche piú brutta. Ma non era per questo che appena li vedevo prova-vo un sentimento di commiserazione: credo fosse per saperli vivere - loro come tutti gli al-tri - in una casa che non era la vera, che non era la giusta, e per saperli ignoranti di tanta miseria. Mi sembrava impossibile che almeno qualcosa non avvertissero, un senso di priva-zione o una punta di invidia, pure era cosi, e ne ebbi la prova il giorno in cui ne incontrai casualmente uno a Milano, il Franco, e mi sentii chiedere se anch'io, come sempre, sarei andato a Scalna alia fine di giugno. «Anch'io?» pensai scandalizzato, «/o vado a Scalna, voi non so, voi verrete vicino». A Scalna, con i nonni e qualche volta con mia sorella, ci passavo tutte le estati. Estate dopo estate, lunghissimamente, dalla mia nascita fino a qualche anno fa, quando troppi sfa- celi di alberi e di cose, aprendo ferite irrimarginabili, hanno definitivamente addolorato quei ritorni, e la loro memoria. Ma le cose avevano cominciato a cambiare e gli alberi a crollai molto prima, ed era anche per guardarmi intorno il meno possibile che negli ultimi anni nou uscivo quasi mai dalla biblioteca, dove almeno tutto continuava a restare com'era, i libri ingialliti e le macchie ďumido sul muro, il divano color pera abate e il telescopio in un an-golo. Li veramente Scalna era Scalna, lí la veritá della nostra casa si riassumeva, inaccessi-bile e impartecipabile a tutte le altre case del paese. Finché disegnavo con le mie matite e poi al tempo della Freccia nera e di Billy Budd la biblioteca era stata solo un complemento al giardino, dove pure avevo i miei posti per dise-gnare e per leggere: ma in seguito, con la prima corruzione (forse fu quando crolló il muro di settentrione e lo sostitui il lauroceraso, o forse giá con la caduta del larice), essa divenne il rifugio pietoso che escludeva tutto il resto. Ai nonni che mi sollecitavano a non ammuffi-re li dentro adducevo gli esami e la necessitá d'un tavolo capace di dizionari e di risme, ma, sol che lo avessi voluto, mi sarei potuto organizzare anche fuori, sotto il pruno o l'abete. Del mio mutato rapporto con quel locale testimoniavano anche le due porte-finestre, un tempo sempre aperte (ricordo i fogli spostati dalla corrente, e i fermacarte che non bastava-no mai) e ultimamente sempre chiuse, con qualsiasi tempo, a costo di scoppiare di caldo. Di quella che dava sul retro, e che inquadrava l'orto e un mammellon collinare, e dietro, inter-rotto dai cipressi, il lago, mi limitavo a chiudere i vetri, ma dell'altra, che si apriva su uno stretto balcone lungo il fronte della casa, chiudevo anche gli scuri per non dover vedere il cielo, ad ogni alzata di sguardo, la dove il mio cuore serbava impressa la neroverde mura-glia del larice e del cedro crollati. Ma c'era un altro motivo, dietro a quella chiusura. Come ho giá detto, avevamo i Baldi per vicini. Innanzitutto, i Baldi erano tanti: due nonni, anche li, ma con zie e zii, e i loro fi-gli e generi e nuore, e poi i nipoti, cinque! che avevano piú o meno l'eta mia e di mia sorella, e che soli erano per noi due i Baldi veri e propri. Ora, avendo casa piccola, e comunque piú informazioni < > wig • MlolEbookReader Modifica 5? i g <šž i I 4 61% CO Qabc- esteso Dom 14:17 q. © ;s • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ P OS meno casalinghi di noi, tutti costoro (quando alcun d'essi non si bagnasse nel lago) soleva-no passare le lunghe giornate aggruppati nel loro giardino, piccolo anch'esso e inetto quindi a consentire un decoroso spazio personale ad ogni membro della famiglia, e pure, evidente-mente, di loro gradimento costante. Di qui un corale vocio senile e infantile cadenzato da scrosci di risa - ove non fosser rampogne - e da tonfi di palla, un vocío pressoché ininter-rotto dal mattino alia sera che mi raggiungeva al di sopra del muro di meridione: se poi ol-tre a sentire volevo anche vedere, non avevo che da salire al secondo piano in biblioteca, e di li affacciarmi al balcone: ma era cosa che non facevo quasi mai, da piccolo perché del rumore non mi accorgevo ancora, da grande perché avrei solo raddoppiato la sofferenza. Questo era strano, a pensarci: che alberi e muri e pergolati e lavandini di graniglia, e anche tant'altre cose la fuori in paese, erano cambiati realmente, deteriorandosi a poco a poco o schiantati dagli elementi o dall'ignoranza deü'uomo ma comunque cambiando, mentre in-vece quelle voci, a quanto pareva, c'erano sempre state, e solo ne era cambiata l'eco entro me, in me che a un certo punto della mia vita non potei piú sopportarle e stizzito chiedevo a mia madre, le pochissime volte che veniva a trovarci, «Ma sei sicura? Era cosi - proprio cosi- anche quando ero piccolo? Fu sempre cosí?», e per quanto lei mel persuadesse, e io sapessi che doveva avere ragione, non riuscivo a capacitarmene. Dunque sprangavo ben bene le porte-finestre della biblioteca, e tolta qualche punta insolente le voci restavano fuori. Restavano fuori anche gli angosciosi rumori del paese - le motociclette di anno in anno piú numerose, il clacson del milanese arrogante, e ancora bambini eccitati e mamme compiaciute - e almeno in questo caso sapevo che non ero solo io a essere cambiato, ma che c'erano rumori nuovi che prima non c'erano, e che quelli antichi, i soli che avessi amato (il grido «pesce-pesce... peeesce!» e queU'altro «mo-litta mo-litta», e il bong! bong! delle bombole di gas scaricate dal camion), erano tutti scomparsi. La produzione di suoni accomunava dunque i Baldi agli altri abitatori del paese, indigeni e villeggianti, e ne assimilava la casa alle loro. Ma c'era di piú. Fin da piccolo, mi ero ac- piú informazioni corto della stupefacente connivenza dei nostri vicini con il paese. Mentre io e mia sorella non uscivamo mai dal nostro cancello se non per fare qualche commissione, e sempre gio-cavamo in casa o in giardino senza mai mescerci a estrani, i cinque giovani Baldi passavano gran parte delle loro giornate in strada insieme agli altri bambini, o andavano all'oratorio o in giro in bicicletta in bande di otto, di dieci, di venti, e anche quando stavano nel loro giardino chiamavano sempre dentro qualcuno per grandi e articolati giochi collettivi, e insomnia solo aH'imbrunire il sangue si divideva, e un osservatore avrebbe potuto finalmente ca-pire chi erano i fratelli e chi gli altri, e fare un po' d'ordine in quella ramificata mistura di gambe e di mottarelli, di lecca-lecca e racchette. Erano venuti a cercare anche noi qualche volta, tanto tempo fa. Poniam ch'io fossi in cu-cina a ritagliar figure da una rivista o a rumegar la farina nel pentolino per far la colla che serviva ai miei pastrocchi, entrava la nonna e mi avvertiva che c'erano i Baldi al cancello per sapere se andavamo con loro alia cava. «Come alia cava?» «Alla cava, in bicicletta, ci sono anche degli altri bambini». «Ma quanti sono, sono tanti?» «Non li ho contati, su allora, cosa decidi, stanno aspettando voi». «Bisogna decidere subito? Adessol» «Sl, sono gia tutti pronti». «E l'Agostina?» «Dice che viene solo se vai anche tu». «Non possono incominciare ad andare, che semai li raggiungiamo dopo?» «Ma non ha senso, se andate andate adesso con loro». «L'Agostina non puo andar da sola?» «Dice che si vergogna, che viene solo con te. Ma vai, ti fa bene». «No, no». C/5 < CD 0) • MlolEbookReader Modifica 5? i g <šž i i <5> 4 61% CO Qabc esteso Dom 14:17 o. e ss • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ P OS «Vai a dirglielo, allora». «Non puoi dirglielo tu?» E glielo diceva lei, mentre io spiavo la scena dalla finestra. Dopo qualche altra volti smisero di cercarci. Sia noi sia i Baldi, del resto, eravamo coerenti con la condotta delle rispettive famiglie: piuttosto riservati e disdegnosi ďaltrui i nostri nonni e quasi sempre assenti la mamma e il papä, apertissimo alla vita del paese il loro clan, liberale di chiacchiere e indugi aH'emporio e sensibile alle iniziative del parroco (com'e a dir puntuale all'addobbo floreal del portone nel di di Sant'Anna o generoso d'azzardi ad ogni benefica pesca), assiduo della panchina in piazza, la sera, e sempre pronto, con comprensivi annuimenti del capo, a informarsi dell'an-damento scolare del Luigino e della cistite della signora Carla. Di questa diversitä mi accor-gevo in continuazione, per mille indizi. Ecco, bastava questo: quando io andavo all'emporio a comperare il pane o le uova dovevo pagare esattamente, e attendere il resto: i Baldi invece non pagavano mai, e alla fine della spesa la signora Lucia cercava nel cassetto un suo bi-sunto quaderno blu (serie scientifica, di quelli con il bulbo oculare su piastrina di plastica in finestrella quadrata), e Ii dentro, con complice intesa, "segnava". Io, in tanti anni, mai che in assenza di resto abbia visto segnare: sempre aspettare che la Lucia uscisse e cambiasse. Solo la messa, me ne rendo conto ora, avrebbe potuto rilegarci un po' di piú all'ecume-ne, ma ad andarci era solo la nonna, raramente il nonno. Dopo i primissimi anni io e mia sorella eravamo stati "esentati" - su questo punto mia madre era stata chiara -, cosi anche quell'unica occasione di incontri veniva a mancare. Non che io ne fossi scontento, anzi, mi sembrava che l'innaturale silenzio della domenica mattina, quella sospensione di ogni atti-vitä dessero ai miei giochi un sapor piú piccante, e insieme un'aura fatata: ma ugualmente, se mi capitava di assistere dal secondo piano alla partenza dei Baldi per la messa (tutti eleganti, schierati nel loro giardinetto in attesa dei ritardatari per uscire insieme, in un unico blocco) riuscivo a provare - un attimo, poi passava - un senso di ignorante esclusione. An- piii informazioni davano ad annoiarsi a morte, come se non lo sapessi, eppure chissä, mi dicevo, forse qualche volta la noia ě meno triste del divertimento. Con il passare del tempo, dunque, su quel balcone andavo sempre meno. Cos'altro infatti avrei potuto vedere, guardando a destra, se non brutture? Come le voci dei Baldi si erano fatte di anno in anno piú intollerabili al mio orecchio, cosi anche alcune salienze del loro giardino e della loro casa, giä inavvertite, mi erano gradualmente divenute percepibili fino a campeggiare nella mia coscienza come veri e propri insulti: quel presuntuoso prato all'in-glese, ad esempio, cosi diverso dal nostro prato vero e cosi in disaccordo con l'idea di cam-pagna, o quei sentierini di beole, quella ghiaietta bianca sempre rastrellata, quelle ajuolette vezzose! Guardavo il nostro dondolo sotto il pruno e vedevo una solida struttura di ferro un po' rugginoso, di un bei verdone sbiadito, pesantissima, che ci volevano sotto quattro pia-strelle per impedire che s'infossasse nella terra; guardavo il loro e vedevo una cosina moderna, da terrazzo cittadino, in alluminio inguainato di plastica bianca, con cuscini a strisce giallo-caffe e frange rosse. Guardavo i nostri alberi, o pensavo a quelli che erano caduti, e vedevo alberi seri, conifere, cachi, nespoli, castagni: guardavo di lä e vedevo ridicole betul-le in artistico gruppo, lagestremie e arbusti da lungomare nizzardo, piante da appartamento con grasse foglie lucide. E per tutto materassini e ombrelloni, occhialoni da sole e grosse radio portatili, motociclette e barbecue e i bambini di quelli che giä furon bambini, come se la campagna non fosse una cosa intima e seria, profonda, autunnale o invernale sempre, anche ďestate, un mondo ove camminare con bei scarpottoni e calzoni di fustagno e vecchi impermeabilacci, alzando i passi pesantemente come per accresciuta forza di gravitä, un mondo che sa di terra e di stalla, di legna vecchia resinosa, di foglie marcite e di funghi, un mondo lento, ovattato, dove essere ancora piú soli di quanto lo si sia in cittä, ma di una soli-tudine piú bella, piú voluta, tra le lucertole e i merli, i ragni filiformi e i červi volanti... Di lä sembrava invece una spiaggia (ma perché allora non se ne andavano al mare?), e io sarei dovuto uscire sul balcone per trovarmi di fronte a una cosi spudorata immagine dell'estate. • MIolEbookReader Modifica # i g i i 4 61% CO Qabc- esteso Dom 14:17 q. O ;s • O • MIolEbookReader - Euridice aveva un cane o P 05 quando anche a ferragosto facevo di tutto per negarmela, per fare come fosse d'autunno, che si raccolgono le castagne e non c'e in giro nessuno? Meglio tener tutto chiuso, anche gli scuri, e se la porta-finestra che dava sul lago non bastava allo studio, accendere la luce, e non uscire. II paese e cambiato. Anche se rimango chiuso in biblioteca sento tutti i cambiamenti, Ii sento uno sopra l'altro come cicatrici di frustate sulla mia schiena, i piü remoti scandalosa-mente attuali come i piü freschi. C'era il cortile del ciclista, pieno di ruote e catene, con un'enorme vasca da bagno colma di erbaglie: ci hanno fatto un parcheggio. C'erano vie anonime, che ognuno chiamava con nomi di mito, secondo il cuore dittava: ci hanno messo delle targhe, e la strada del lupo e diventata via Matteotti. Fuori del paese la cosa piü bella era un grande lavatoio di pietra, e chi aspettava la corriera si sedeva sul bordo aH'ombria, e tuffava le mani nell'acqua gelida, che anche quando era torbida di sapone sembrava pulita. Adesso c'e solo una colonnina spartitraffico, e quando, in corriera, dico «fino al lavatoio», il bigliettaio mi guarda con sospetto. A questo fervoroso spirito di rinnovamento i Baldi sembravano avere aderito senza resistenze, anzi con un loro speciale entusiasmo. Fra le cose che piü mi colpivano, nel loro comportamento, era senz'altro l'attivismo: sempre un martellare, un trapanare, un ridipingere, un amor di sostituzione, sempre un'ansia di nuovo, di moderno, di «giövane». Guardavo la nostra casa e la loro e le trovavo sempre piü diver-genti, l'una ancorata in una fissitä quasi minerale (qualcosa si era perso, si, ma per quanto atroci quelle sottrazioni non ne avevano alterata l'intima sostanza), l'altra immersa nel flus-so del tempo, che se la portava via, se la lavorava a sua imago, ne cambiava la chimica. Una casa va e l'altra resta pensavo, e nella nostra sentivo abitare lo spirito della motte, come se di due gemelli solo uno crescesse, combinando le cellule del proprio corpo con gli elementi del mondo in un connubio rigeneratore, mentre l'altro morisse bambino e si rin-secchisse cosi, come una piccola mummia; poi perö mi ribellavo a questa idea, e mi dicevo che se lo spirito della vita coincideva con la catena di scempi che si perpetrava oltre il piü informazioni muro, se vivere significa morire in continuazione, allora la motte era anche di lä, dai Baldi, e piü brutta di lä che di qua. Pensando che ci doveva essere stato un tempo in cui le due case erano molto meno lonta-ne fra loro, mi accorgevo con spavento di portarmi addosso non solo i miei ricordi, ma anche quelli degli altri: riuscivo a soffrire anche per loro, per quello che avevano perso e che nemmeno rimpiangevano, e perfino quando non avevo mai saputo cosa c'era prima, ugual-mente ne percepivo l'ombra dietro l'attualitä, come un fantasma sdegnato che impetri Vendetta. Tutto il paese era popolato di queste ombre, tremolavano ovunque e mi sembrava di essere il solo a vederle. E anche quando gettavo lo sguardo in giardini mai visti, durante giri in bicicletta sempre piü rari e piü brevi, non potevo difendermi dall'assalto di altre e altre ombre, che si levavano da tutte le parti imponendosi con la lor muta dolenza. Rientravo a casa turbato, carico di appelli e di richiami che mi frastornavano, e di quelle larve inquietate mi sentivo il custode, come 1'ultimo sacerdote di un culto che solo in lui sopravvive. Dalla parte opposta a quella dei Baldi, a ridosso del muro settentrionale, quello che poi sarebbe crollato, stava la Flora. Non ne ho mai saputo l'etä: l'ho sempre vista piena di ru-ghe, curva su se stessa, con in testa lo stesso Marino blu a pallini bianchi. II suo giardino era tutt'orto: fagiolini, cetrioli, cavoli, zucchine, e dove non era orto era pollaio. I due lati corti di quel terreno erano costituiti, verso la strada, dalla casupola della Flora, a un piano solo, e all'altro capo dal fianco del nostro fienile. Su quel fienile io salivo spesso, sporgen-domi da un balconcino, per parlare con il cane della Flora, che rispondeva a tutti i miei richiami e si ergeva bipede dalla contentezza. Si chiamava Tabu, e dopo la sua morte si chia-mö Tabu il suo successore, entrambi piccoli e a pelo lungo, a macchie grigie e nere. Con-versando con la Flora, che interrompeva sempre il suo lavoro per venire fin sotto il fienile, e che anche se era in casa usciva al primo abbaiare, mi accorgevo che per lei non esistevano un primo e un secondo Tabu: era un cane solo, sempre lo stesso: lo accarezzava sulla testa e intanto mi raccontava episodi di anni lontani, quando ancora quel Tabu non ooteva essere • MlolEbookReader Modifica 5? i g <šž i i 4 61% CO Qabc- esteso Dom 14:17 q. © ;s • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ P 05 nato: «Ti ricordi eh, - gli faceva prendendogli una zampa, - quella volta che sei scappato di casa e mi hai fatto morire di paura?», oppure: «E la Bianchina? Ti piaceva la Bianchina, eh?», e di questa Bianchina nessuno in paese serbava piú memoria, chissä da quanto tempo era terra. Anzi, da qualche particolare sospettavo che čerti racconti si riferissero a un terzo cane, o addirittura a un quarto, chissä, forse c'era una successione di Tabu che giungeva fino all'infanzia della Flora, a un mitico Ur-Tabú... Io stesso, che ho conosciuto gli ultimi due cani, ne ho un ricordo unitario, e giä allora sentivo che non era bello cercare di dirimer-ne le storie. Anzi mi dicevo che anch'io, dopo la mořte della Flora, avrei chiamato Tabú il mio cane, e 1'avrei cercato cosi, un bastardino peloso, grigio e nero, ben baffuto, con 1'oc-chio giallo e buono. Ci furono estati in cui Tabú fu il mio principále compagno. Quando parlargli dal fienile non mi bastava piú, correvo da lui («Nonna, sono da Tabu!» avvertivo nell'uscire, e lui sen-tendo il suo nome faceva un unico «Bú!», come a dire: «Confermo»). Di tutto il paese, la casa e Porto della Flora erano Punica zona a cui sentivo che era giusto estendere il nome di Scalna, come se fra lei e noi non ci fosse alcun muro. Da lei stavo bene, io coccolavo Tabú mentre lui mi faceva festa, e lei faceva festa a entrambi. Non c'era un libro, in quella casa, eppure andava bene cosi, non era come le altre case, che senza libri mi sembravano inabita-bili, Ii tutto era bello, tutto pesante di storia; credo che tranne le lampadine non ci fosse un solo oggetto posteriore alla guerra. Quando la Flora non ci sarä piú, pensavo, di questa casa bisognerebbe fare un museo, e guai a chi sposta qualcosa: poi mi vergognavo di questo pen-siero, e mi dicevo che sarebbe stato bello se tante Flore identiche si fossero succedute Puna all'altra, ognuna con il suo Tabú, e non cambiasse mai niente: lei mi guardava con i suoi occhi color nocciola, strizzandoli un po' perché ci vedeva male, e mi sembrava che mi leg-gesse dentro. I nonni non me lo dicevano apertamente, ma io sapevo che trovavano strana la mia assi-duitä con quella vecchia, quando mi sarebbe bastato, uscendo in strada, prendere a destra piú informazioni anziehe a sinistra e suonare al primo portone per trovarmi in compagnia di coetanei. Lo ca-pivo da cenni obliqui («Si sente un rumore come di ping-pong dai Baldi, perché non vai a vedere?»), ma la mia scelta era sicura. Eppure, me ne aecorgevo con disagio, c'erano delle volte in cui quelle due parti si incontravano, contaminandosi. Accadeva quando la Flora, uscendo in strada per sgranchirsi le gambe, e trovando aperto - com'era spesso - il cordiale portone dei Baldi, vi entrava naturalmente, sicura di trovare, fatti pochi metri, una delle vecchie zie con cui chiacchierare (io ne riconoscevo subito la voce, useivo sul balcone, con-trollavo: oh come ella mi sembrava fuori luogo su quell'orribile dondolo!) Ma accadeva an-che, e '1 modo m'offendeva ancor piú, quand'era alcuno dei piecoli Baldi a farle visita, a entrare nella sua casa: «Nonna sono da Tabu» urlavo nescio e contento, poi me lo trovavo Ii seduto, il Franco poniamo, o la Claudia, e la contentezza mi passava di colpo. «Ma quanta bella compagnia, - diceva la Flora, - hai visto, ě venuto il Franco», e a lui: «Hai visto, ě ve-nuto il Michele». Quelle volte mi preeipitavo subito nell'orto a parlar con Tabú, e cereavo di non rientrare prima che Paltro se ne fosse andato. Ma poteva anche capitare che, mentre io ero lä fuori, altri piecoli Baldi raggiungessero il fratello o la sorella, accampandosi soddi-sfatti su tutte le seggiole disponibili: io Ii riconoscevo alle voci, non avevo bisogno di ve-derli, e restavo li cosi, defilato tra i fagiolini, con il cane accoccolato ai miei piedi e Panimo di un assediato. Tabú sembrava capire, che se ne stava quatto quatto infrattato anche lui: ci guardavamo in silenzio, finché, commosso da una forma di solidarietä che mi pareva doves-se costargli un grande sforzo, non lo rimeritavo dei suo gioco preferito: «Chi vuole la co-scia?» sussurravo, e manovrando le dita a mo' di forbicione simulavo trinciargliela; «E lei signore? un po' di petto?», e giú a tagliare, «Uh buono questo boeconcino, mmmmh... mo-stoso, chi '1 vuole?», e zaff, via un altro pezzo: lui andava in estasi, si metteva a pancia in sú offrendomi il cuore e i fegatini, e rimanendo immobile in attesa dei prossimo taglio ronfava di piacere come un gatto. Ma alla fine, anche se quelli non se n'erano ancora andati, biso-gnava pur ritornare. Tabu restava Ii con Paria delusa, ma bastava che allontanandomi lo ras- • MlolEbookReader Modifica 5? i g <šž i i <5> 4 61% CO Qabc esteso Dom 14:17 q. O ~ mom MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ Q p OS 1 V sicurassi («E domani, Tabú in fricassea con contorno di pisellini») perché il suo tozzo codi-no si agitasse come un pendolo. Ripassando dalla casa della Flora bofonchiavo un saluto veloce diretto a lei sola, poi uscivo subito. Quanto sarebbe stato bello, pensavo in quei fran-genti, poter accedere all'orto direttamente dal nostra giardino, appoggiando al muro due scale! Ma gli imbarazzi maggiori furono di estati piú tarde, quando io e i Baldi eravamo or-mai sui vent'anni, e incontrandoci li non si sapeva che dire, non si sapeva che fare. Vicini muro a muro, con le case saldate una all'altra, ďetá consorti e di lingua, e cittá, e incontrar-ci sol If, in quel terreno neutrale, come a firmare armistiz! presso potenza garante! Mi dáváno del tu, naturalmente, a cui io, viepphi imbarazzato da quel principio di confidenza (oh, sarebbe bastato da parte mia un vera sorriso per autorizzarla a spiegarsi), rispondevo con un generico «Salve». Ora che Tabu era vecchio, e che passava le sue giornate in casa, rannic-chiato vicino alia stufa, non avevo piú scuse per scomparire nell'orto: e nemmeno potevo, davanti a quei testimoni, dirgli «Cosa vedo? ma qui é avanzato il boccone del prete!» o «Ciomp ciomp, gran cosa questa costina»: ma ugualmente, seduto al suo fianco e lasciando che parlassero loro, le mie dita disegnavano sul suo pelo le linee virtuali del taglio, retico-landolo tutto come didascalia di bovino appesa da macellier pedagogo: i suoi fremiti mi di-cevano che non aveva bisogno di glosse per riconoscere l'antico gioco. «Eh il Michele ci ha sempře voluto bene, al mio Tabú» commentava la Flora: io alzavo un istante lo sguardo, fa-cevo il piú insulso dei sorrisi, poi mi riconcentravo nella mia mansione. Tutto questo era giá abbastanza penoso, ma non mancarono episodi piú spiacevoli. Come quella volta della lampada. La Flora, di fianco al letto, aveva un lume in forma di campanula, infisso nel muro a una quarantina di centimetri di altezza dal comodino. Questo lume constava di uno stelo in ottone, un portalampadina in ceramica, e una corolla di vetro sabbiato, con una grechina blu lungo il bordo. Lo stelo si era dissaldato dalla piastra avvita-ta al muro - a mia memoria era stato sempře cosi - e rimaneva attaccato solo in virtú del-l'interno cavo elettrico; la corolla, a furia di battere e sfregare sul muro, era piena di sbrec- ciature; e anche il cordoncino del pulsante era tutto sfilacciato. Pure, il lume della Flora era quello, e io non avrei saputo immaginarne un altro. Anzi ricordo che un giorno, sentendo in mťaula dell'Universita che per il Filosofo di Stoccarda «solo il reále ě razionale», mi venne in mentě, di colpo, proprio quel lume, con le sue razionalissime sbrecciature e sfilacciature. Ma una volta... una volta vado a trovare la Flora e al posto del lume vedo un faretto rosso laccato, lampadina opalescente, bulbo orientabile. «E quello?!?» «Hai visto che gentili i Baldi? Si sono accorti che la lampada di prima faceva le scintille, e il giorno dopo sono arrivati con questa lampada nuova». Dunque era accaduto. Dunque, con la loro reiterata presenza i Baldi erano alfine riusciti a introdurre in quella casa un oggetto posteriore alla guerra! Un oggetto che partecipava della categoria del nuovo e del giovane, cioě della loro! Una firma, una bandierina ďavam-posto, un'asticella altimetrica: «Tenente, conťé la situazione della Cima 1945?», «Gli uo-mini hanno raggiunto Quota Faretto, signor Capitano», «Bene, tenere la Quota». Mi veniva in mentě la Caccia alVintruso della «Settimana enigmistica», e guardandomi intorno sce-glievo a belTagio: 1) bacile in ferro smaltato, biu alFesterno bianco dentro, scheggiato; 2) spruzza-insetticida Flit, cilindro di latta verniciata, pomello in bosso; 3) pretino a carbone, di rame, traforatura liberty, manico in faggio; 4) faretto modello «Glasnost», designér U. Bottarelli & Associati, ditta Arredolux di Limbiate. «Ma ti piace?» «Devo ancora abituarmi, pero mi han detto che e bello, che era il piú nuovo che c'era...» «Non ci sará bisogno di abituarsi. II vecchio ce 1'hai ancora, spero». Andare a Luino con il lume, trovare un elettricista amoroso e paziente, tornare da lui a lavoro finito, smontare rintruso e ripristinare il giusto ordine delle cose fu 1'attenzione di una settimana. «E ai Baldi, cosa dico?» piú informazioni Ú MlolEbookReader Modifica S? i i <5> 4 61% CO Qabc esteso Dom 14:18 q. O ;s • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ p 05 «Che li ringrazi ancora tanto del pensiero, ma che adesso ehe la tua lampada non fa piú scintille non ne serve una nuova... E poi, non sei piú contenta cosí?» «Sí». «Non ě piú bello? Guarda come ě piú bello». «Sí». «E allora fregatene, di quello ehe dicono. E per festeggiare, - e giä quello, intuendo, sco-dinzolava, - tranci di pesce-Tabú alia brace per tutti! Ziff! Ziff! va' va' i bei rondelloni, ziff!» Mi dimenticai del faretto, passö quasi un mese, poi una sera (ľestate stáva finendo, a giorni saremmo tornati a Miláno) la nonna sali in biblioteca. Non veniva quasi mai a cercar-mi lí sopra, se aveva bisogno mi chiamava dal giardino: cosí quando la vidi sulla porta, esi-tante, capii ehe stáva per dirmi qualcosa di sgradito. «Michele, sen ti, devi dirmi la veritä, tu qualche tempo f a sei andato dalla Flora a parlar male dei Baldi?» «Io? Percha?» «Ho incontrato la signora Baldi, stamattina alľuscita dalla messa, e ritornando insieme abbiamo fatto quattro chiacehiere. Prima si ě informata di te, dei tuoi studi, dice che hai proprio ľaria di un ragazzo studioso, poi, eeco... ha detto ehe i suoi nipoti sono rimasti molto male perché tu sei andato a dire alia Flora che non deve accettare regáli da loro, ehe non deve fidarsi, e cose cosí... E possibile? Io non capisco, le ho detto ehe ci sarä stato un malinteso, ma lei ha fatto una strana faccia, sostenendo ehe i suoi nipoti le raccontano sempře la veritä...» Accomodare tutto richiese piú tempo delia riparazione del lume. Si misero in mezzo prima mia nonna, poi mia mamma, poverina, ehe dopo un agosto di lavoro era venuta a trovar-ci per gli ultimissimi giorni eredendo di poter riposarsi, finché il primo di settembre, quando c'erano giä in giro valigie e io mi ero alfin rassegnato a un incontro chiarificatore, «Tut- to sistemato - mi sentii dire dalla mamma, - ě tutto spiegato». E non se ne parlö piú. Ma ugualmente, gli anni successivi, prima di andar dalla Flora mi accertavo bene ehe i Baldi non ci fossero, ehe fossero al lago o al mercato, e tranne una volta, quando per strada m'im-battei nella Claudia, e al suo cordialissimo «Ciao» risposi eccezionalmente anch'io con un «Ciao», non ci furono incontri. Questo mi disturbava, la loro gentilezza. Mi sembrava un colpo basso, un modo astuto per disinnescare la mia vocazione guerresca, retaggio antichissimo ehe ben mi sapevo. Non bastava ehe vociassero ininterrottamente dalla mattina alia sera, che non si sentissero in compagnia se non invitavano almeno dieci conoscenti, ehe coltivassero la religione delľinfante viziato e il principio «I bambini devono urlare: sono bambini»; non bastava ehe ad ogni estate esibissero un nuovo neonato, sí da perennemente frustrare il mio auspicio «Do-vranno pure invecchiare»; che offendessero la norma estetica con bermuda a fiorami e ca-nottiere gialle, che s'ingloriassero di motociclette e di radio: no, anche questo, si doveva essere gentili con loro perché loro erano gentili con noi! Mia nonna non perdeva occasione per ricordarmelo. «Non ě possibile! Adesso vado lä e gli dico di andare ad aggiustarsela alia cava, quella stramaledettissima moto!» sbottavo, e lei a rammentarmi tutti i loro servi-gi, la telefonata a Milano fatta quest'inverno per avvertirci che una delle nostre persiane era caduta, la spesa al mercato di Luino quella volta che stavamo poco bene e tu non e'eri, la serratura del cancello aggiustata dal dottor Baldi (ah non dubito, con tutti gli utensili di cui ci propina graziosamente il bel suono!), la fotocopia della mappa catastale, che ě cosí difficile averla... «Me ne impipo io, della loro gentilezza, - pensavo rientrando in biblioteca e sprangando tutto, - preferirei per vicino il boja di Treblinka, ma silenzioso: o un Desire Landru, e star lí a vedere il fumo nero che esce lento dal suo colmigno». La gratitudine dei nonni per i Baldi, me ne aecorgevo bene, era piú forte delle mie rimostranze. piú informazioni • MlolEbookReader Modifica & i g <Š§ W t ^ * 62% CO Q ABC esteso Dom 14:18 Q. © ;s • O • MlolEbookReader - Euridice aveva un cane O ■ p 05 «Uh bello questo trionfo di albicocche» dicevo scendendo in cucina, e allungavo la mano. «Lascia stare, non ě per noi». «Come non ě per noi? Sono del nostro albero...» «Sonoper i Baldi». «PeriBaldi?!» «Son sempře cosi carini con noi, gli altri anni ci hanno sempře portato le pere...» «E tu lascia stare, che magari quesťanno ě la volta buona che non ce le portano piú. Se adesso ci mettiamo anche noi inneschiamo un meccanismo che non finisce piú. E poi, scu-sa, mica gliele abbiamo chieste noi, le pere, io sinceramente ne avrei fatto proprio a meno...» Ma non c'era niente da fare. Altruismo cristiano, opportunitá di buon vicinato, terrore borghese del «debito», voglia di pere concorrevano irresistibilmente alia mia sconfitta. A nulla valevano le mie proteste, a nulla piú ostinate forme di dissenso («Guarda che non c'ě altra frutta, o la pera o niente»: «Allora niente, dovessi morire di fame!»: «Non fare lo stu-pido, dai, mangia 'sta pera»: «Mai!»). Altre volte, esasperato, affrontavo la questione in termini piú ampí: cercavo di far capire ai miei nonni che tra noi e i Baldi non c'era niente in comune, e che il semplice fatto di es-sere vicini, e separati solo da un muro, non comportava di per sé alcun tipo di fratría o affi-nitá, né doveva fame sentire il dovere; che gli interlocutori si debbono scegliere e non subi-re, che magari i nostri vicini ideali erano a cinque o a cento chilometri da lí (con loro sí, al-lora, scambi di pere e saluti, e anche visitě, partite a carte ed a scacchi, profondi colloqui, perfin matrimonii); che se uno ě un cretino non cessa di esserlo solo perché ti abita vicino (anzi, anzi! !!); che insomma se noi si veniva in campagna non era solo per il fresco o l'aria buona, ma anche per starcene un po' tranquilli e isolati, e invece cosi era come se un pez-zetto di Milano ci venisse dietro; che non bisogna lasciarsi commuovere da qualche regali- I 1 no e da qualche sorrisino, che ci sono forme superioři di gentilezza, come la discrezione, anzitutto, e il rispetto della quiete degli altri, incominciassero a essere acusticamente piú discreti e allora vedresti oh vedresti come io stesso sarei gentile, e quante albicocche porterei loro, e primizie di ogni tipol Almeno fossimo pari - pensavo poi fra me e me - almeno fossimo tanti e romorosi anche noi, sí da rendere bercio per bercio, fragor per fragore! E invece, non che appagarsi della loro schiacciante superiorita numerica, ora che i cinque "ragazzi" si erano sposati i Baldi si presentavano ogni luglio con un nuovo marmocchio. Dunque una progressione geometri-ca, dunque tra venťanni sarebbero stati il doppio, dunque di la il futuro riserbava indescri-vibili folie, di qua il vuoto, e pochi vecchi cadenti in vasti spazi... Sí, pochi vecchi, perché pur non avendone mai parlato sia io sia mia sorella sapevamo che non avremmo mai avuto bambini, e al massimo, chissä, avremmo avuto con noi gli eventuali consorti, il numero giu-sto per una malinconica scopa, carte ori e primiera, ventuno, eh questa sera avete avuto fortuna, ma domani ci rifaremo, vero Ludmilla? certo Michele, noi usciamo a vedere la luna, venite anche voi? no grazie, sono giä le dieci e devo mettere sú 1'acqua per la boule, sí in effetti ě un po' tardi, fa anche freschino, saliamo? saliamo, buona notte Agostina buona not-te Edgardo, buona notte Ludmilla buona notte Michele. Peggio, peggio, nemmeno sposati, solo noi due, inaciditi e queruli, costretti dalla nostra inettitudine a ricorrere ai servigi di contadini insolenti e di esosi artigiani, esposti all'insulto del ladro impunito e alla volgarita degli amanti, che scavalcando il cancello sarebbero venuti di notte a fare i loro sporchi co-modi nel nostro giardino («Ma sarä sicuro? E se ci vedono?», «Ma chi vuoi che ci veda, ci sono solo quei due bacucchi che vanno a letto con le galline»), e appiě della picea tu trovi al mattino preservativi e lattine, e non ti placa augurar loro la mořte, li soffochi uno sbocco di sangue e li punga lo scorpio! Ma no, ancora peggio, astretti da miseria ad alienare ai Baldi una parte della casa e del giardino e dell'orto, e cosi confinati in pochi locali assister di lí alla rovina, alberi recisi per far posto ad insipienti gazebo, mansardato da brillanti architetti piú informazioni • MIolEbookReader Modifica & i g p OS Arrivarono di sabato pomeriggio, e la cosa mi sembrö fatta apposta per consentire a mia norma di informarsi giä la mattina seguente, all'uscir dalla chiesa. Dunque la instrussi in tal senso, piú e piú volte ribadendo pedantescamente i punti acclarandi (soprattutto per quanto concerneva Tabu, che in quanto cane ben sapevo sollecitare in grado minore la sua cristiana pieta). Ero sul balcone, quella domenica mattina, quando tutta la tribú si mise in rassegna in giardino per la spedizione ecclesiale. Tenendomi defilato dietro un'arcata li contai: erano diciotto, dunque la regola era rispettata, dunque anche quell'anno un neonate era venuto a infoltirne i ranghi giä folti... Dalle loro espressioni cercavo di divinare qualcosa, di antici-pare quello che avrebbero potuto raccontare alla nonna, ma non era, quella, una speculazio-ne ben vana? Come se, qualunque cosa fosse capitata alla Flora, anche la piú tremenda, la piú dolorosa, non fossero giä passati troppi mesi perché potesse restarne un segno in gente di quella razza, interamente pervasa dallo spirito della vita e del rinnovamento e perciö stes-so portata non solo a dimenticare in gran fretta, gli occhi sol volti in avanti, ma anche ad alleggerire i decessi e gli straží di quanto v'ě in loro di definitivo e assoluto, assorbendoli in una lungimirante visione di ricambí e compensi, e consolanti statuti: sí, la razza di chi pro-palando che «la vita continua» non sente che essa non sarä piú come prima perché in essa anche la mořte continua, e che questo ben monta, e che nessuna discendenza poträ colmare il vuoto lasciato dal tuo babbo, nemmeno se ti sei affrettato a mettere al mondo cencinquan-ta marmocchi che ne ripetano le iridi e il naso, la mascella ed il nome. E pensando a queste cose, mentre giä tutti erano usciti e solo restava in giardino con 1'ultimo nato una zia, mi accorgevo di un fatto curioso: che sí, loro erano informatissimi di tutto, ma a condizion che vivesse, perché di cose e persone scomparse solo io ero custode, solo io serbavo ordinata memoria: come ci si fosse ripartiti il lavoro in archivio, a loro la parte moderna a me quel-l'antica, un faldone a te uno a me, una filza di qua una di lä... E io, io speravo di carpire da loro la commozion ďun omaggio, un senso retrorso, altro che non fosse la cronaca nuda del fatto? Finalmente la nonna fu di ritorno. Correndole incontro sul vialetto riflettei per la prima volta a quanto fosse stato sconveniente, da parte mia, averla spinta cosi aH'interrogatorio dei Baldi, dopo che per anni non le avevo perdonato la minima condiscendenza verso di loro. Ma ora su tutto importava sapere, e seppi. La Flora era molto malata, e bisognosa di eure costanti; nel corso dell'ultimo inverno Fartrosi e il diabete di cui soffriva da pareechi anni (come, si erano meravigliati i Baldi, non lo sapevamo?) si erano aggravati fino a impedirle di camminare da sola, e ultimamente pas-sava le sue giornate a letto, assistita a turno da qualche donna del paese; per le medicíně e le iniezioni veniva tutti i giorni un'infermiera da Laveno, ma la cosa non poteva durare: la Flora non aveva via niente, viveva della pensione sociale, e sapevamo anche noi quanto co-stino le medicíně (e invece no! io non lo sapevo, e mi accorsi solo allora che non sapevo nemmeno, e che non me lo ero mai chiesto, come vivesse la Flora, come fosse vissuta fino a quei giorni)... Dunque aveva venduto la casa e il terreno a un vivaista di Brezzo di Bede-ro, e si era fatta ricoverare nella Casa di eura per anziani di Cittiglio, dove si trovava attual-mente e dove loro, i Baldi, erano andati a trovarla a Pasqua: non vi stava male, diceva, ma non disperava di poter far ritorno nella sua casa, che per preciso accordo contrattuale il nuo-vo proprietario si era impegnato a tener vuota e immutata per affittargliela, qualora lei 1'avesse richiesto, fino al giorno della sua mořte. E Tabú? Non se ne era parlato. Come non ne avete parlato? Perché? Oh mio Tabú, esclu-so daH'umano compianto! Mi precipitai in strada come un forsennato, il portone dei Baldi era socehiuso, lo spalancai senza interromper mia corsa e vi feci irruzione: in tanti anni, era la prima volta che mi trovavo dall'altra parte. Per mia fortuna, tutti i Baldi si erano ritirati in casa per cambiare gli abiti della messa con i bermuda e i costumi: solo la vecehia signora, poco distante dal portone, zappettava un'ajuola. piú informazioni • MIolEbookReader Modifica g 1* P 05 «Signora, signora, la prego! - le dissi prima ancora che si potesse stupire. - So che ha parlato con mia nonna, ma e restato fuori... Ecco noi vorremmo... vorrei sapere qualcosa di Tabu, che ne e stato, se ne avete notizia». «Tabu?» «Si, il cane della Flora». «Come le liquerizie?» «Si, si, i suoi nipoti non gliene han mai parlato?» «Si, sapevo che aveva un cane, ma non so che fine abbia fatto, credo che l'abbia affidato a qualcheduno in paese, ma non saprei dirle chi, forse se chiede al parroco, quando siamo andati a trovarla lei non ce ne ha parlato, povera donna anche lei...» «Non ve ne ha parlato perche non glielo avete chiesto!» pensavo mentre mi affrettavo alla chiesa, e poi perche «anche lei»? Perche accomunarla con quella congiunzione a un im-precisato dolore del mondo, a una comune afflizione? Non si stava parlando di lei sola? di lei che stava soffrendo di un particolare dolore che era suo e solo suo, e che non si poteva ne alleggerire condividendone una parte, ne complicare con l'aggiunta di altre qualitä di dolore? Non capivo bene, ma c'era in quell'«anche» qualcosa che non mi piaceva, qualcosa di domenicale... Trovai il parroco in fondo alla chiesa ormai deserta, occupato a ripiegare i paramenti. Mi squadrö con sospetto, e ostentando una sorpresa che mi sembrö solo volta a far pesare la mia assenza alle messe. Non sapeva che in quella chiesa io ci ero venuto ancor prima di lui, da piccino, quando c'era un altro prete, un omone rustico con una larga barba nera, che du-rante la predica dava di gran pugni sull'altare, e che per via di una cannula infilata in gola parlava con una voce gorgogliante e mostruosa da cui ero affascinato. Ecco, fosse rimasto quel prete, di tanto in tanto sarei potuto venirci ancora, in chiesa, e invece per la sua etero-dossia guerrigliera lo avevano dirottato sü nell'alta Valcuvia, in una chiesina sperduta, e a Scalna avevano mandato ogni tre o quattro anni preti diversi, ma tutti con la stessa faccia cittadina, tutti lontani da quel primo modello di prete che solo sentivo legittimo, cannula compresa. Dovetti presentarmi descrivendogli mia nonna, anche se mi accorsi subito che, per con-trasto, l'accostamento a un cosi bell'esempio famigliare di religiosa osservanza valse solo a rendere piü severe il suo giudizio nei miei confronti. Quando accennai alla Flora, «Quäle Flora? - mi chiese. - In paese ce ne saranno almeno quattro, di Flore». «Ma la Flora, la Flora, quella cosi e cosi che stava in quella casa cosi e cosi, e che adesso e a Cittiglio». «Ah, la Collini». Per la prima volta in vita mia sentivo il cognome della Flora, e mi fece una strana im-pressione. Anche a quello, come allo stato delle sue finanze, al suo tenore di vita, alle sue condizioni di salute, non avevo mai pensato. Di chi era figlia, la Flora? Aveva ancora dei parenti? E quanti anni poteva avere? Mi accorsi non solo di non sapere tutte queste cose, ma anche di non essermele mai chieste. E il suo passato? Sapevo che aveva sempre fatto la contadina, che aveva avuto un piccolo cascinale sü a Pira, con una mucca e una capra, e che da piccoli io e mia sorella ci eravamo andati un giorno con lei... Ma il resto? Era vedova, o non si era mai sposata? Ed era proprio di Scalna, o vi si era trasferita da un altro paese? Aveva sempre abitato in quella casetta? E... uh quante domande! Chissä perche, ma mi ve-nivano in mente solo parlando con gli altri, come a dover per forza assumere il loro punto di vista... Forse che non si puö amare una persona pur ignorando tutto di lei? Io ero sicuro di voler bene alla Flora piü di chiunque altro, anche se la sua casa restava per me quella di Hansel e Gretel, anche se volevo dimenticare subito quel cognome perche la Flora tornasse a essere solo la Flora... Tabu, l'unica domanda che adesso ammettessi riguardava lui: ma proprio a quella il parroco seppe risponder ben poco. A quanto ricordava, un cane era effettivamente stato affida- piü informazioni • MlolEbookReader Modifica & i g P 05 to a una conoscente della Flora, non di Scalna pero, una di fuori, forse era anche una sua lontana cugina, boh, una che doveva abitare in Valganna... No, se volevo ritrovare quelFanimalino peloso dovevo ritrovare la Flora, sapere diretta-mente da lei. L'estate era appena incominciata, davanti a me avevo tutto il tempo per andare a Cittiglio, ci sarei andato piú avanti, quando fossi stato pronto. Passarono i giorni, la prima settimana; poi altri giorni e altre settimane. Dal balcone della biblioteca guardavo verso Nord, dove sapevo che, nascosto dalla siepe di lauroceraso, c'era 1'orto della Flora (sul fie-nile non avevo piú avuto il coraggio di salire), e facevo voti per il giorno dopo, «Domani vado» dicevo, e non andavo mai. Desideravo vederla, farle sapere che non mi ero dimenti-cato di lei, e c'erano momenti in cui 1'ignoranza della sortě di Tabú mi era intollerabile: ma piú di ogni cosa potea lo sgomento, che riusciva a farmi presagire, con impressionante esat-tezza, 1'indimenticabile strazio di quella visita. Avevo paura di trovare una Flora diversa, e di doverla poi ricordare cosi per il resto della mia vita, come se ció che mi aspettava a Cittiglio potesse scacciare in un momento, sovrapponendosi ad esse per sempře, centinaia di memorie dolcissime. E non tanto temevo possibili cambiamenti nella sua persona, che vera-mente sapevo senza etá, quanto di scoprire che fuori della sua casa, ritagliata via da quello sfondo, la Flora non era piú la Flora. Le avranno tolto il suo fularino pensavo, e sotto sará tutta calva, e non avrá piú i suoi barbaři anelli alle mani, e non si avvolgerá piú nella grande trapunta violacea, e intorno sará tutto moderno, e ci sará tanta luce che la staglierá sul bian-core del letto rendendola ancora piú sola, ancora piú spersa. A queste immagini mi esecravo per la mia viltá e il mio egoismo (eppure non dovevo tutelarle, quelle care memorie? Non ne ero il custode?), poi rinviavo ogni decisione al giorno successivo. Passó cosi anche ago-sto, finché 1'ultima domenica, di ritorno dalla messa, la nonna mi disse che la settimana prima i Baldi erano andati a Cittiglio a trovare la Flora, che 1'avevano trovata bene, molto de-bole ma non sofferente, che era stata messa in uiťaltra camera insieme a una vecchina molto malata e tossicolosa ma che almeno le faceva compagnia, che non smetteva mai di pen- sare alla sua casa e che sperava di tornarci, appena i medici glielo avessero permesso, che si vedeva che la visita le aveva fatto piacere. «Ah dimenticavo, - aveva poi aggiunto la signora Baldi, - ha anche chiesto di suo nipote», «Di me?», «Sí, ha detto di salutarti tanto». Non aspetteró 1'anno prossimo mi ripetevo il giorno dopo sulla via di Milano1 approfitte ró della raccolta delle castagne ad ottobre per venirti a trovare, o quando si torn< chi, anzi magari verró apposta, direttamente da Milano, si, forse sará piú bello 1'ottobre fu dedicato a un convegno e dicembre fu passato a correggere bozze, mossi mai dalla cittá. Chissá, forse se avessi fatto passare anche la primavera, Scalna per 1'estate avrei avuto la grande sorpresa di trovarla a casa, magari in pc un bel tacchino peloso da dividere in taňte porzioni fumiganti! Si, sarebbe torn che doveva essere cosi, era nell'ordine delle cose. Sarebbe tomata, se non quell la dopo. Io 1'avrei aspettata, le avrei portato un gran mazzo di fiori, e tutto sare come prima. Passó anche quell'estate, e poi quella dopo. Io a Scalna ci venivo pre meno, un po' per via del lavoro, che non sempře potevo portarmi dietro, ma per i troppi cambiamenti che mi intristivano. Appena arrivato da Milano mi bašt; re a una cormzione o a mťassenza perché mi prendesse una cupezza che poi noi va piú fino al momento di ripartire. Allora anticipavo il ritorno, inventavo de§ promettevo di fare ancora una scappata e poi non mi facevo piú vedere. Cera cui, non fosse stato per i nonni, sarei fuggito a Milano la sera stessa del mio arri\ 1'angoscia che mi prendeva mentre salivo con la valigia sú in camera mia, e gradino cercavo di convincermi che era sempře la stessa casa, non vedi? qui ě tutto come prima, cosa c'ě che non va? ě sempře la stessa casa, ě sempře la tua... Cosi mi recludevo sempře piú in biblioteca per ridurre al minimo la mia vitalita e ottun-dermi i sensi, non vedevo non sentivo non toccavo, non alzavo lo sguardo nelle direzioni dolenti, cercavo di pensare il meno possibile abbrutendomi in estenuanti lavori filologici o guardando in televisione una tappa del Giro, la sera ancora filologia poi un filmaccio. ormai piú informazioni • MIolEbookReader Modifica & i g p «No, lui non c'era, corae avrebbe potuto? Chissá da quanto tempo era morto, pověra bestia, con tutti gli anni che aveva. Nessuno ě mai riuscito a sapere con esattezza quanti fossero...» Fra poco albeggerá, ma ě questa 1'ora. Adesso sembra che anche 1'acqua si sia fermata. Bašta che io non mi volti, che rimanga cosi ancora un po', a carezzare questo bel sasso piat-to che riflette la luna. AI primo fruscío alle mie spalle, sapró che sono arrivati.