ScienzePolitiche.COMUNIC@L “Sfera pubblica: tra internet e società dello spettacolo” (Intervista di Silvia Iachetta) Per Jürgen Habermas la sfera pubblica è “un piano di mediazione tra mondo della vita e sistema funzionale, una sorta di “rete” che attraverso l’agire comunicativo tematizza opinioni e conferisce rilevanza pubblica a questioni che sorgono in seno alla società civile”. Ma com’è cambiato il concetto di sfera pubblica nel tempo? Dove si manifesta oggi? Abbiamo affrontato la tematica con il sociologo e filosofo, Davide Sparti, docente dell’Università di Siena. Prof. Sparti quando nasce la definizione di “sfera pubblica”? Habermas nel 1962 pubblica il suo primo importante lavoro dove mostra l’emergere storico del concetto di sfera pubblica, che nasce proprio come sfera intermedia tra gli apparati dello Stato e la società civile. Una cosa che mi ha particolarmente colpito di questo lavoro è il rapporto che nasce tra la sfera pubblica e la lettura. Fino al Settecento – dice Habermas - si leggevano e rileggevano testi classici. Ad un certo punto, però, si inizia ad affiancare un altro tipo di lettura: quella delle riviste, dei giornali e delle pubblicazioni che aiutano a capire cosa succede nel mondo. Insomma, ci si comincia a informare sulle novità correnti. Questo rappresenta il salto che genera la propensione ad informarsi, a dibattere, a prendere la parola e anche a prendere posizione. Sorge un po’ il modello di vita dialogica che configura poi in forma embrionale quella che diventerà la sfera pubblica. Le tappe successive sono legate, per certi versi, allo sviluppo e all’espansione, quindi alla capacità di recepire istanze che provengono dal basso, dal mondo della vita, per tradurle in forma di richieste, esigenze, proteste, rivendicazioni nei confronti delle Istituzioni. Il percorso ideale è quello di un gruppo di persone che si riuniscono per dibattere una questione collettivamente rilevante e ne discutono sospendono l’uso della forza, senza far valere i ruoli di autorità, ma facendo valere l’argomento migliore. Quest’ultimo viene poi canalizzato verso le Istituzioni le quali idealmente ne tengono conto. Possiamo definirlo un modello di vita democratico, una democrazia deliberativa legata alle esigenze che provengono dal basso, alla deliberazione, alla discussione e poi alla loro traduzione in qualcosa di istituzionale. Com’è cambiato nel tempo il concetto di sfera pubblica? Storicamente le cose sono cambiate in virtù di due trasformazioni principali. La prima è che si specializzano i professionisti della politica e quindi la sfera pubblica viene affrancata da questo compito, viene esonerata e viene delegato ai rappresentanti e quindi, fondamentalmente, ai partiti e a quello che noi eleggiamo. Nella forma minimale la sfera pubblica si riduce nel momento in cui io vado all’urna elettorale ed esprimo una preferenza e al resto “ci pensano loro”. Non è così estrema, ma è una prima trasformazione che alleggerisce e diminuisce il profilo della sfera pubblica. L’altra trasformazione è quella mediatica, la quale progressivamente, in termini più recenti, trasforma la politica e anche la componente politica della sfera pubblica in qualcosa che obbedisce di più alla logica o alla cornice dell’intrattenimento. Questo lo si vede perfettamente prendendo in considerazione quegli stessi professionisti della politica di cui parlavo prima, cioè i delegati, gli eletti, gli esponenti di partito i quali assumono anche le connotazioni fisiche del mondo dello spettacolo: l’abbronzatura, il lifting, le donne patinate, i festini, l’atteggiarsi, l’inflazione degli slogan e delle immagini. Tutto questo rischia di aggiungere un ulteriore elemento di allontanamento dalla sfera pubblica: invece che prendere una posizione critica nei confronti di chi ho eletto, dibattere, discutere, protestare tendo ad osservare questo spettacolo come osservo gli spettacoli televisivi, i talk show e persino le fiction. C’è questa depoliticizzazione che passa un po’ attraverso l’atteggiamento dei cittadini, che sono sempre meno cittadini politicamente impegnati e sempre più individui al massimo incuriositi di vedere cosa succede, come se fosse proprio uno spettacolo d’intrattenimento che si segue per il gusto di seguire. Si può dire che questa deriva sia un po’ anche la conseguenza di una perdita della funzione degli “intellettuali”? Sembra che essi abbiano smarrito la loro capacità critica, facendosi a loro volta trascinare da questa società dello spettacolo… Ci sono molti intellettuali che sguazzano nello spettacolo mediatico, ne fanno parte, lo riproducono, lo alimentano; sono felici di dire la loro sulla questione della guerra in Iraq accanto all’ultimo vincitore del Grande Fratello. Questo ovviamente vuol dire perdere il proprio ruolo, tradire la loro funzione di intellettuali che dovrebbe essere da una parte quella di mantenere sempre un distacco critico rispetto a quello che avviene. Essi, inoltre, dovrebbero renderci consapevoli, descrivere ciò che avviene e anche proporre delle alternative. Tuttavia questa responsabilità non riguarda tutti gli intellettuali; sono molti coloro che poi prendono delle iniziative politiche o proto politiche, come ad esempio organizzare manifestazioni, far firmare petizioni ecc. Non direi che c’è una colpa particolare, ma direi che anche questi soccombono un po’ a questa tendenza e assumono, anche nel modo di ragionare, i connotati della società dello spettacolo in cui non conta la capacità di elaborare lentamente, riflettere e far riflettere, ma conta la risposta veloce, la reattività, la rapidità la quale nuoce alla capacità di riflettere. Il quadro non è interamente apocalittico, i media non sono solo i grandi media, ma ci sono anche media alternativi, siti autogestiti, televisioni di strada, radio libere che fanno controinformazione e ci sono molte minoranze attive che si danno da fare. Però, certamente la sfera pubblica si è trasformata e ridimensionata. La sfera pubblica si creava soprattutto in alcuni luoghi fisici, come le piazze, i caffè, i teatri. Questi luoghi hanno ancora la stessa capacità? Ad esempio, la fruibilità dei caffè è cambiata nel tempo? Habermas insiste molto sul fatto che questo modello di vita idealogico fiorisce in alcuni luoghi che sono anche dei luoghi fisici, come il caffè, la piazza, ecc. Ovviamente una sfera pubblica richiede luoghi in cui articolarsi. Non consiste, non coincide con il luogo, ma i luoghi favoriscono lo scambio tra le persone e quindi agevolano il fiorire della sfera pubblica. Però molti luoghi che erano luoghi di conversazione, come appunto i caffè, sono oggi per lo più luoghi di consumo, e non necessariamente luoghi dove si discutono temi di interesse pubblico o dove si prende una decisione. Un tempo nei caffè, mi riferisco a quelli storici come ad esempio quelli viennesi, ci si passava il tempo innanzitutto perché era un luogo dove riscaldarsi, visto che le case erano fredde. Ci andavano molte più persone e ci stavano per più tempo. La consumazione, poi, era tutto sommato secondaria; quello che tutti citano dei caffè viennesi era l’usufruibilità dei giornali, non solo locali ma anche internazionali. Quindi, erano anche luoghi dove ci si informava. Oggi tutto questo è molto mitigato. Anche gli intellettuali non vanno quasi più nei caffè, mentre prima era un luogo dove ritrovarsi anche per scrivere, discutere e scambiare idee. Ultimamente c’è una diffusione dei cosiddetti “caffè letterari”. È una semplice tendenza o c’è il bisogno di ricreare luoghi dove la sfera pubblica può dispiegarsi? Sono anche una moda però, secondo me, rivelano anche un bisogno di confronto culturale che c’è presso almeno una parte degli italiani. Non sono un’operazione nostalgica, non sono nemmeno solo un’operazione di moda, sono il sintomo di una forma di ritrovo legato anche alla cultura. Questo lo suggerisce anche il successo di molteplici Festival, da quello della Filosofia a quello del Diritto e via dicendo, che certo sono anche un po’ una moda, ma la gente non ci andrebbe se non fosse interessata. Che questo sia sfera pubblica non ne sono certo. Sono forme di socialità in cui le persone si aggregano, usufruisco e producono cultura; raramente però poi danno luogo a forme di azione collettiva, a forme di protesta, di critiche di fronte a quelle che sono le questioni pubblicamente rilevanti. La rete internet in questo contesto che ruolo gioca? È anch’essa un luogo che può creare una sfera pubblica? Habermas distingue tre livelli: quelli della sfera pubblica faccia a faccia, effimera, informale, quella dei luoghi fisici in cui le persone si radicano; poi c’è la sfera pubblica messa in scena collettivamente in luoghi come il teatro, il museo, una manifestazione religiosa; infine c’è una sfera pubblica delocalizzata, che non si radica in un territorio ma che connette una rete di persone attraverso internet o altre piattaforme virtuali. La prima risposta è sì, esiste anche questo livello. Se si va nello specifico, come ad esempio la blogosfera oppure la comunità virtuale, essendo una rete di persone che scambiano qualcosa o mettono cose in comune è certamente qualcosa di socialmente significativo. Però bisogna fare delle distinzioni. Se penso, ad esempio, al blog come un diario personale in cui racconto me stesso con testi, immagini, video, direi che li non c’è sfera pubblica, ma c’è l’esigenza di presentarsi agli altri al fine di essere fondamentalmente riconosciuti o avere conferma di esistenza. Un secondo caso, invece, è quello dei blog legati ad una tematica particolare. Per esempio ci sono dei blog o dei siti interessanti costruiti intorno al cinema, magari su film minori non distribuiti, che sono visitati da persone che contribuiscono aggiungendo a loro volta un film nuovo, ma anche discutendo su una pellicola piuttosto che un’altra. Si innesca in questo modo un embrione di dialogo. Ci sono inoltre i blog di iniziativa o di protesta con un profilo un po’ più politico, come quello ad esempio di Grillo o della Guzzanti, che fanno informazione o controinformazione rispetto all’informazione mediatica, danno più spazio ai cittadini di dire la loro e, soprattutto, sono quasi sempre collegati a delle iniziative che portano poi ad impegnarsi in azioni collettive. Anche facebook può dare origine ad una sfera pubblica? Sì, può avvenire. Però facebook è una piattaforma neutrale quindi chiunque potrebbe potenzialmente aggregare delle persone per prendere un’iniziativa. Secondo me funzionano meglio i siti specificatamente dedicati a comportamenti che si vogliono esemplari, quindi manifestazioni o comizi o iniziative o petizioni come se questo fosse il loro obiettivo principale, mentre facebook, in quanto rete che mette insieme molte persone, è una piattaforma ideale per coagulare un eventuale interesse, però non è di per sé orientato a certi interessi pubblici.