La vacanza nel club? E' in rianimazione Circa settecento strutture, solo in Italia. Poteva essere l'estate del rilancio, ma è proprio il modello che mostra dei limiti. L'evoluzione degli animatori: sempre di più professionisti delle pubbliche relazioni ROMA - Dietro recinti fioriti, tra un ballo di gruppo e un aperitivo, animatori sottopagati provano a distrarre clienti sempre più ansiosi e preoccupati. La crisi globale accerchia anche i ghetti dorati dei villaggi vacanza. La Sardegna è stata penalizzata dal caro traghetti e ora ha perdite a due zeri, la Puglia arranca nonostante sia molto di moda, la Campania tiene ma ha giocato le sue carte tutte al ribasso. Gli altri osservano l'andamento di prenotazioni e arrivi, una curva impazzita come quella di Piazza Affari. "Poteva essere l'estate del ritorno ai villaggi", dicono i tour operator, ma così non è stato. La formula della vacanza chiusa in un piccolo microcosmo, dove la giornata è scandita dallo svago e l'unico impegno è l'intrattenimento ha perso il suo appeal. L'animazione estrema, la socializzazione forzata è passata di moda e da tempo i villaggi navigano nella tempesta del turismo soggetti ai cambiamenti del gusto come ai passaggi di proprietà, insidiati da nuovi stili di vita e dai nuovi padroni dei mercati. Eppure sono stati anche loro un'espressione del made in Italy, ma ora come tutti sprofondano nell'incertezza. Che cosa è accaduto a quelli che sono stati i luoghi simbolici della vacanza? E dove è finito quel modello di divertimento programmato e organizzato? In Italia sono un centinaio i villaggi, club, resort dei principali brand, ma sono più di 600 le strutture che riprendono la formula del villaggio e hanno al loro interno l'animazione. "Intrattenere" è infatti ancora la parola chiave che caratterizza il villaggio, dove continua ad avere un ruolo importante il lavoro degli animatori. É passato molto tempo da quando Gerard Blitz, nel 1950, creò a Maiorca il primo Club Mediterranée, era un nuovo tipo di vacanza all'insegna dello sport e del divertimento. Fu una rivoluzione. Quel modello si diffuse in Europa e ai Tropici, in Africa come in Polinesia, nel tempo si è evoluto, è cambiato, a seconda delle scelte si è specializzato nello sport o nello spettacolo, si è rivolto ai ragazzi o ai genitori, ma loro, gli animatori, sorridendo sono rimasti. I professionisti del divertimento. Sono circa 50 mila gli animatori, sono nei villaggi, negli alberghi, nelle navi da crociera, ragazzi che lavorano quando gli altri sono in vacanza, nei villaggi lavorano 6 giorni e mezzo su sette, dieci ore e più al giorno. Lo stipendio base è di 400 euro al mese. Gli animatori sono gli operai del divertimento, i forzati del sorriso, cominciano la mattina con i giochi in spiaggia, continuano con l'acqua gym e il gioco-aperitivo, si danno da fare al mini club. E dopo la pausa pranzo, alle quattro, ricominciano tra un ballo di gruppo e un torneo di bocce. Fino alla sera alle undici e oltre. Gli animatori dormono nel villaggio, anche tre in stanza, a volte in camere-loculi ma pasti e bevande sono gratis. Il loro lavoro spesso è in nero, quando va bene hanno contratti a progetto, inquadrati come lavoratori dello spettacolo. Alcune agenzie hanno la sede in Svizzera. E' il modello call center, delocalizzato e sottopagato. "I grandi villaggi arrivano ad avere anche 50 ragazzi, la situazione cambia con i piccoli, è un lavoro che andrebbe inquadrato e riconosciuto ma ancora non lo è", dice Andrea Mulargia, consulente di Movida. "E' un mestiere che si basa sul contatto, bisogna esserci portati, in genere si fanno stage di 3/4 giorni per vedere se uno idoneo". E' un lavoro faticoso, dove bisogna essere disponibili, fare squadra, saper stare dentro un ruolo. Tutto il giorno. "Capita anche di passare la selezione e poi non reggere i ritmi, lo stress, la stanchezza, circa il 20% abbandona dopo la prima settimana". Ci sono stati anni in cui i villaggi sono stati il laboratorio che forgiava nuovi talenti televisivi, l'animazione è stata la gavetta da cui sono partiti molti personaggi del piccolo schermo. Ad intrattenere i clienti negli anni '80 e '90, l'epoca d'oro, c'erano animatori come Fiorello, Magalli, Bonolis, Mammuccari, Papi. Mediaset aveva una convenzione con Valtur e i dirigenti venivano nei villaggi a caccia di facce e tendenze. Oggi i tempi sono più difficili. "Prima arrivavano anche diciottenni ora l'età si è alzata, si presentano ragazzi di trent'anni, molti cercano un lavoro e basta per questo poi non reggono, è un'attività soprattutto di pubbliche relazioni dove non c'è posto per i musoni". Secondo il Gruppo Samarcanda il 30% degli animatori è costituito da professionisti, un'altra quota analoga è formata da studenti universitari, il 40% è costituito da occasionali che cercano un lavoro quale che sia. "Una buona animazione può far dimenticare altre carenze del villaggio. È importante. Ma il cliente oggi non vuole più l'animatore invadente che viene a disturbarti sotto l'ombrellone, già la parola "animatore" non va bene, sa di giullare", dice Andrea Mulargia. "Adesso i clienti sono sempre più alla ricerca di servizi personalizzati, di professionisti, basti pensare che è aumentata la richiesta di personale che lavora nei miniclub". La gabbia è sempre più dorata e la famiglia non ce la fa più Chiudersi per una settimana in un villaggio ormai può costare facilmente un migliaio di euro a persona e pochi se lo possono permettere. La presenza dei nuclei familiari è scesa dal 37 al 30 per cento. E la gente riparte dal "fai da te" ROMA - Ma chi sono i frequentatori dei villaggi, come è cambiata la clientela? É un cliché ormai logoro quello dei villaggi affollati di single e giovani in cerca di svago e occasioni, oggi oltre il 60% delle presenze è costituito da famiglie che cercano nei ghetti più o meno dorati del "tutto compreso" la certezza del prezzo bloccato e la comodità di avere qualcuno che intrattenga i bambini. Ma le famiglie hanno sempre meno soldi da spendere. Una settimana in un villaggio ha un costo intorno ai 1000 euro, che può arrivare anche a 1700 in alcuni club più esclusivi, questo per quanto riguarda i maggiori brand, una cifra impegnativa per famiglie che hanno visto ridurre negli ultimi tempi il proprio budget. Nei primi tre mesi del 2011 la presenze della famiglie in tutte le strutture ricettive è diminuita passando da circa il 37% del 2010 al 30%. E la spesa media per una vacanza è passata dagli 844 euro del 2009 ai 530 del 2010. "Chi ha figli apprezza le comodità del villaggio", dice un tour operator, "ma quest' estate quattro persone che vogliono andare in Sardegna con automobile, andata e ritorno, possono arrivare a pagare fino a 1000 euro solo di trasporti, così si ripiega su soluzioni più economiche magari dove si ha la possibilità di cucinare in proprio nel bungalow o nella casetta mobile". La formula del villaggio si globalizza, si espande, ma si appiattisce verso il basso. "Si può dire che dei circa 8 milioni di italiani che ogni anno scelgono una vacanza organizzata, sia in Italia che all'estero, sono quasi il 30% quelli che si rivolgono alla formula di villaggio in senso ampio", spiega Cinzia Renzi, presidente della Fiavet nazionale, "il turista scegliendo un villaggio non vuole solo una destinazione ma un modo di vivere la vacanza". Ma che posto occupa oggi il villaggio nella classifica delle vacanze, che posto ha nelle preferenze di chi parte? La prima scelta degli italiani va agli hotel dove nell'ultimo anno sono aumentate le presenze in quelli ad una e due stelle, così come in quelli a cinque stelle. Si parte poi per andare in casa di amici e parenti o nella seconda casa, si scelgono gli appartamenti in affitto e i bed&breakfast, poi i villaggi. "Oggi c'è una ripresa della vacanza fai-da-te e un calo della vacanza "tutto organizzato" non c'è più tanto il desiderio di chiudersi dentro un recinto ma la ricerca del legame con il territorio", spiega Andrea Mulargia, che si occupa di risorse umane per Alpitour. Negli ultimi cinque anni sono aumentati gli agriturismi e i bed&breakfast. Strutture che propongono un'altra filosofia, più a contatto con la natura, con i luoghi, una vacanza meno socializzante e più rilassante. Negli anni dell'individualismo si è fatta strada la vacanza esperienziale, culturale o enogastronomica che sia, dove più che il contatto con gli altri ognuno coltiva le proprie esclusive passioni. 18 agosto 2011