IL CICISBEO Cicisbeo — o cavalier servente — era il gentiluomo che nel Settecento, con l’assenso del marito, accompagnava una nobildonna sposata nelle occasioni mondane, feste, ricevimenti, teatri e l'assisteva nelle incombenze personali: toletta, corrispondenza, compere, visite. L’etimologia della parola sembra essere connessa in modo parzialmente onomatopeico alla fitta conversazione, al cicaleccio, cinguettio, chiacchiericcio che costituivano la principale delizia dei cicisbei. Tiepolo, Promenade Illustrazione per le Commedie di Goldoni Questa pratica sociale, spesso severamente condannata da intellettuali italiani e stranieri, come ad esempio Parini e Montesquieu, e considerata tratto distintivo del costume italiano, è stata di recente oggetto di studi e ricerche approfondite, tra cui il saggio di R. Bizzocchi Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia (2008). Secondo l’autore il costume del Cavalier servente segna una tappa fondamentale dell’emancipazione della donna, fino ad allora ristretta nell’ambito domestico, allorché il cicisbeo ha invece la precisa funzione di scortare la dama in uno spazio sociale pubblico (passeggiate, teatro, viaggi) fino ad allora a lei precluso. Il cicisbeo è fondamentalmente una figura centrale della “civiltà della conversazione”, termine questo che in origine non designa il dialogo tra parlanti ma proprio la sociabilité (la socievolezza, la “conversazione”) di cui discutono gli storici francesi; il cicisbeo si configura dunque come una via d’uscita tutta italiana alle costrizioni feudali dell’istituto del maggiorasco e del fedecommesso, che assegnando i patrimoni al primogenito condannava al celibato anaffettivo i cadetti, i quali da Cavalier serventi trovavano così ruoli, funzioni sociali e una parvenza di vita sentimentale. Bizzocchi aggiunge che il cicisbeo era la risposta di una società arretrata che concedeva libertà alla donna, ma al contempo la limitava proprio con l’ accompagnatore ufficiale: tutore sì, ma soprattutto custode rigido della ritrovata libertà femminile. Inoltre lo storico mette in evidenza come il cicisbeismo non fu solo un fenomeno italiano: attraverso rapidi e conclusivi cenni accerta che tale pratica sociale fu presente sia in Spagna e in Austria che in Inghilterra, e che il fenomeno per lungo tempo è stato indicato solo come italiano, quasi facente parte strettamente della sua identità nazionale, solo perché l’Italia era al centro del Grand Tour, quindi sotto particolare lente di osservazione, non sempre benevola. Il cicisbeo compare anche in una commedia di Goldoni, La famiglia dell’antiquario, i cui temi fondamentali sono: la mania dell’antiquariato, le tensioni familiari e sociali (suocera aristocratica contro nuora borghese), la critica al cicisbeismo. Carlo Goldoni La Famiglia dell'Antiquario Personaggi: Il Conte Anselmo Terrazzani antiquario La Contessa Isabella sua moglie Il Conte Giacinto loro figliuolo Doralice sposata al conte Giacinto, figlia di Pantalone Pantalone de' Bisognosi mercante, ricco veneziano I Cavaliere Del Bosco Il Dottor Anselmi uomo d'età avanzata, e confidente della contessa Isabella Colombina cameriera della contessa Isabella Brighella servitore del conte Anselmo Arlecchino amico e paesano di Brighella Pancrazio intendente di antichit Servitori del conte Anselmo La scena si rappresenta in Palermo. ATTO PRIMO Scena prima Camera del conte Anselmo, con vari tavolini, statue, busti e altre cose antiche. Il conte Anselmo ad un tavolino, seduto sopra una poltrona, esaminando alcune medaglie, con uno scrigno sul tavolino medesimo; poi Brighella. Anselmo: Gran bella medaglia! questo è un Pescennio originale. Quattro zecchini? L'ho avuto per un pezzo di pane. Brighella: Lustrissimo (con vari fogli in mano). Anselmo: Guarda, Brighella, se hai veduto mai una medaglia piú bella di questa. Brighella: Bellissima. De medaggie no me ne intendo troppo, ma la sarà bella. Anselmo: I Pescenni sono rarissimi; e questa pare coniata ora. Brighella: Gh'è qua ste do polizze... Anselmo: Ho fatto un bell'acquisto. Brighella: Comandela che vada via? Anselmo: Hai da dirmi qualche cosa? Brighella: Gh'ho qua ste do polizie. Una del mercante da vin, e l'altra de quello della farina. Anselmo: Gran bella testa! Gran bella testa! (osservando la medaglia). Brighella: I xe qua de fora, i voleva intrar, ma gh'ho dito che la dorme. Anselmo: Hai fatto bene. Non voglio essere disturbato. Quanto avanzano? Brighella: Uno sessanta scudi, e l'altro cento e trenta. Anselmo: Tieni questa borsa, pagali, e mandali al diavolo (leva una borsa dallo scrigno). Brighella: La sarà servida (parte). Anselmo: Ora posso sperare di fare la collana perfetta degl'imperatori romani. Il mio museo a poco a poco si renderà famoso in Europa. Brighella: Lustrissimo (torna con altri fogli). Anselmo: Che cosa c'è? Se venisse quell'Armeno con i cammei, fallo passare immediatamente. Brighella: Benissimo; ma son capitadi altri tre creditori: el mercante de' panni, quel della tela, e el padron de casa che vuol l'affitto. Anselmo: E ben, pagali e mandali al diavolo. Brighella: Da qua avanti no la sarà tormentada dai creditori. Anselmo: Certo che no. Ho liberate tutte le mie entrate. Sono padrone del mio. Brighella: Per la confidenza che vossustrissima se degna de donarme, ardisso dir che l'ha fatto un bon negozio a maridar l'illustrissimo signor contin, suo degnissimo fiol, con la fia del sior Pantalon. Anselmo: Certo che i ventimila scudi di dote, che mi ha portato in casa in tanti bei denari contanti, è stato il mio risorgimento Io aveva ipotecate, come sai, tutte le mie rendite. Brighella: Za che la xe in pagar debiti, la sappia che, co vago fora de casa, no me posso salvar: quattro ducati qua, tre là; a chi diese lire, a chi otto, a chi sie; s'ha da dar a un mondo de botteghieri. Anselmo: E bene, che si paghino, che si paghino. Se quella borsa non basta, vi è ancor questa, e poi è finito (mostra un'altra borsa, che e nello scrigno). Brighella: De ventimile scudi no la ghe n'ha altri? Anselmo: Per dir tutto a te, che sei il mio servitor fedele, ho riposto duemila scudi per il mio museo, per investirli in tante statue, in tante medaglie. Brighella: La me perdona; ma buttar via tanti bezzi in ste cosse... Anselmo: Buttar via? Buttar via? Ignorantaccio! Senti se vuoi avere la mia protezione, non mi parlar mai contro il buon gusto delle antichità, altrimenti ti licenzierò di casa mia. Brighella: Diseva cussí, per quello che sento a dir in casa; per altro accordo anca mi, che el studio delle medaggie l'è da omeni letterati; che sto diletto è da cavalier nobile e de bon gusto; e che son sempre ben spesi quei denari che contribuisce all'onor della casa e della città. (El vol esser adulà? bisogna adularlo) (da sé, parte). (…) (…) (…) Scena quattordicesima Il Cavaliere Del Bosco e dette. Cavaliere: Permette la signora contessa? Isabella: Cavaliere, siete venuto a tempo. Ho bisogno Cavaliere: Comandate, signora. Disponete di me. Isabella: Se mi siete veramente amico, ora è tempo di dimostrarlo. Cavaliere: Farò tutto per obbedirvi. Isabella: Doralice, che per mia disgrazia è sposa di mio figliuolo, mi ha gravemente offesa; pretendo le mie soddisfazioni, e le voglio. Se lo dico a mio marito, egli è uno stolido che non sa altro che di medaglie. Se lo dico a mio figlio, è innamorato della moglie e non mi abbaderà. Voi siete cavaliere, voi siete il mio più confidente,... tocca a voi sostenere le mie ragioni. Cavaliere: In che consiste l'offesa? Colombina: Ha dato uno schiaffo a me. Cavaliere: Non vi è altro male? Isabella: Vi par poco dare uno schiaffo alla mia cameriera? Colombina: Sono dieci anni ch'io servo in questa casa. Cavaliere: Non mi pare motivo per accendere un sí gran fuoco. Isabella: Ma bisogna sapere perché l'ha fatto. Colombina: Oh! qui sta il punto. Cavaliere: Via, perché l'ha fatto? Isabella: Tremo solamente in pensarlo. Non posso dirlo. Colombina, diglielo tu. Colombina: Ha detto che la mia padrona non comanda piú. Isabella: Che vi pare? (al Cavaliere). Colombina: Ha detto che è vecchia... Isabella: Zitto, bugiarda; non ha detto cosí. Pretende voler ella comandare. Pretende essere a me preferita, e perché la mia cameriera tiene da me, le dà uno schiaffo? Cavaliere: Signora contessa, non facciamo tanto rumore. Isabella: Come? dovrò dissimulare un'offesa di questa sorta? E voi me lo consigliereste? Andate, andate, che siete un mal cavaliere; e se non volete voi abbracciare l'impegno, ritroverò chi avr piú spirito, chi avrà piú convenienza di voi. Cavaliere: (Bisogna secondarla) (da sé). Cara contessa, non andate in collera; ho detto cosí per acquietarvi un poco; per altro l'offesa è gravissima, e merita risarcimento. Isabella: Dare uno schiaffo alla mia cameriera? Cavaliere: È una temerità intollerabile. Isabella: Dir ch'io non comando piú? Cavaliere: È una petulanza. E poi dire che siete vecchia? Isabella: Questo vi dico che non l'ha detto; non lo poteva dire, e non l'ha detto. Colombina: L'ha detto, in coscienza mia. Isabella: Va via di qua. Colombina: E ha detto di piú, che avete da stare accanto al fuoco. Isabella: Va via di qua; sei una bugiarda. Colombina: Se non è vero, mi caschi il naso. Isabella: Va via, o ti bastono. Colombina: Se non l'ha detto, possa crepare (parte). ___________________________________________________________________________________________________ Scena quindicesima La contessa Isabella e il Cavaliere Del Bosco. Isabella: Non le credete: Colombina dice delle bugie. Cavaliere: Dunque non sarà vero nemmeno dello schiaffo. Isabella: Oh! lo schiaffo poi gliel'ha dato. Cavaliere: Lo sapete di certo ? Isabella: Lo so di certo. E qui bisogna pensare a farmi avere le mie soddisfazioni. Cavaliere: Ci penserò. Studierò l'articolo, e vedrò qual compenso si può trovare, perché siate soddisfatta. Isabella: Ricordatevi ch'io son dama, ed ella no. Cavaliere: Benissimo. Isabella: Ch'io sono la padrona di casa. Cavaliere: Dite bene. E che anche per ragione d'età vi si deve maggior rispetto. Isabella: Come c'entra l'età? Per questo capo non pretendo ragione alcuna. Cavaliere: Voglio dire... Isabella: M'avete inteso. Ditelo al conte mio marito, ditelo al contino mio figlio, ch'io voglio le mie soddisfazioni, altrimenti so io quel che farò. Cavaliere, vi attendo colla risposta (parte). Cavaliere: Poco mi costa secondar l'umore di questa pazza, tanto piú che con questa occasione spero introdurmi dalla signora Doralice, la quale è piú giovine ed è piú bella (parte). Scena sedicesima Salotto nell'appartamento del conte Anselmo, Brighella ed Arlecchino vestito all'armena, con barba finta. Brighella: Cussì, come ve diseva, el me padron l'è impazzido per le antichità; el tol tutto, el crede tutto; el butta via i so denari in cosse ridicole, in cosse che no val niente. Arlecchino: Cossa avi intenzion? Che el me toga mi per un'antigaia? Brighella: V'ho vestido con sti abiti, e v'ho fatto metter sta barba, per condurve dal me padron, dargh da intender che sí un antiquario, e farghe comprar tutte quelle strazzaríe che v'ho dà. E po i denari li spartirem metà per uno. Arlecchino: Ma se el sior cont me scovre, e inveze de denari el me favorisce delle bastonade, le spartiremo metà per un? Brighella: Nol v'ha mai visto; nol ve conosce. E po, costa barba e costi abiti parí un armeno d'Armenia. Arlecchino: Ma se d'Armenia no so parlar! Brighella: Ghe vol tanto a finzer de esser armeno? Gnanca lu nol l'intende quel linguagio; basta terminar le parole in ira, in ara, e el ve crede un armeno italianà. Arlecchino: Volira, vedira, comprara; dighia ben? Brighella: Benissimo. Arecordev i nomi che v'ho dito per vendergh le rarità, e faremo polito. Arlecchino: Un gran ben che ghe volí al voster padron! Brighella: Ve dirò. Ho procurà de illuminarlo, de disingannarlo, ma nol vol. El butta via i so denari con questo e con quello; za che la ca' se brusa, me voi scaldar anca mi. Arlecchino: Bravissim. Tutt sta che me recorda tutto. Brighella: Vardè no fallar... Oh! eccolo che el vien. Scena diciassettesima Il conte Anselmo e detti Brighella: Signor padron, l'è qua l'armeno dalle antigaggie. Anselmo: Oh bravo! Ha delle cose buone? Brighella: Cose belle! cose stupende! Anselmo: Amico, vi saluto (ad Arlecchino). Arlecchino: Saludara, patrugna cara. (Dighia ben?) (a Brighella). Brighella: Pulito. Anselmo: Che avete di bello da mostrarmi? Arlecchino: (fa vedere un lume da olio, ad uso di cucina) Questo stara... stara. (cossa stara?) (piano a Brighella). Brighella: (Lume eterno) (piano ad Arlecchino). Arlecchino: Stara luma lanterna, trovata in palamida de getto, in sepolcro Bartolomeo. Anselmo: Cosa diavolo dice? Io non l'intendo. Brighella: L'aspetta; mi intendo un pochetto l'armeno. Aracapi, nicoscopi, ramarcatà (finge parlare armeno). Arlecchino: La racaracà, taratapatà, baracacà, curocú, caracà (finge risponder armeno a Brighella). Brighella: Vedela? Ho inteso tutto. El dis che l'è un lume eterno trovà nelle piramidi d'Egitto, nel sepolcro de Tolomeo. Arlecchino: Stara, stara. Anselmo: Ho inteso, ho inteso. (Oh che cosa rara! Se lo posso avere, non mi scappa dalle mani) (da sé). Quanto ne volete? Arlecchino: Vinta zecchina. Anselmo: Oh! è troppo. Se me lo deste per dieci, ancor ancora lo prenderei. Arlecchino: No podira, no podira. Anselmo: Finalmente... non è una gran rarità. (Oh! lo voglio assolutamente) (da sé). Brighella: Volela che l'aggiusta mi? Anselmo: Si, vedi se lo desse con dodici (gli fa cenno con le mani che gli offerisca dodici zecchini). Brighella: Lamacà, volenich, calabà. Arlecchino: Salamin, salamun, salamà. Brighella: Curich, maradas, chiribara. Arlecchino: Sarich, micon, tiribio. Anselmo: (Che linguaggio curioso! E Brighella l'intende!) (da sé). Brighella: Sior padron, l'è aggiustada. Anselmo: Sí, quanto? Brighella: Quattordese zecchini Anselmo: Non vi è male. Son contento. Galantuomo, quattordici zecchini? Arlecchino: Stara, stara. Anselmo: Sí, stara, stara. Ecco i vostri denari (glieli conta). Arlecchino: Obbligara, obbligara. Anselmo: E se avera altra... altra... rara, portara. Arlecchino: Sí, portara, vegnira, cuccara. Anselmo: Che cosa vuol dir cuccara? (a Brighella). Brighella: Vuol dir distinguer da un altro. Anselmo: Benissimo: se cuccara mi, mi cuccara ti (ad Arlecchino). Arlecchino: Mi cuccara ti, ma ti no cuccara mi. Anselmo: Sí, promettera. Brighella: Andara, andara. Arlecchino: Saludara. Patrugna (parte). Brighella: Aspettara, aspettara (vuol seguirlo). Anselmo: Senti (a Brighella). Brighella: La lassa che lo compagna... (in atto di andarsene). Anselmo: Ma senti (lo vuol trattenere). Brighella: Vegnira, vegnira. Pol esser che el gh'abbia qualcossa altro. (Maladetto! I mi sette zecchini) (parte correndo).