LA LOCANDIERA Commedia in tre atti rappresentata per la prima volta nel 1753, è una delle più famose e stilisticamente riuscite tra le numerose scritte da Carlo Goldoni (1707- 1793). In breve la trama: il conte di Albafiorita e il marchese di Forlipopoli, ospiti nella locanda di Mirandolina a Firenze, si contendono il suo amore, il primo con doni che può facilmente permettersi grazie alla sua buona posizione economica, il secondo, appartenente a quella parte di nobiltà decaduta e ormai senza mezzi, tenta di conquistarla con promesse di protezione. Nella locanda viene ospitato anche il cavaliere di Ripafratta, un convinto misogino che si vanta di essere immune al fascino femminile ed anzi sostiene di disprezzare l'intero sesso "debole". Mirandolina, risentita del suo atteggiamento e della sua insensibilità, decide di provarsi nel farlo innamorare di sé e senza troppe difficoltà ci riesce, causando gelosie e liti tra i tre pretendenti. Riuscita nell'intento di far capitolare il cavaliere, ella però ne rifiuta l'amore così come prima aveva rifiutato la corte dei due nobiluomini e concede la propria mano al cameriere della locanda Fabrizio. Questa commedia, che non fu mai tra le preferite del Goldoni (a cui piacevano di più le sue commedie d'insieme, corali), fotografa però chiaramente l'ormai raggiunta maturità artistica del suo autore. Non solo l'assoluta padronanza del mezzo scenico: la sapiente organizzazione delle varie scene, l'attenta caratterizzazione di tutti i personaggi, i dialoghi ben calibrati, il chiaro delineamento dell'ambiente sociale all'interno del quale si svolge l'azione; ma anche il raggiungimento di una "forma" teatrale originale e a lungo ricercata negli anni, la materializzazione scenica di quella riforma teatrale goldoniana che è storicamente il principale merito attribuito dai critici al grande commediografo veneziano. L'opera di Carlo Goldoni, infatti, si colloca in un periodo di acceso dibattito, in Italia ma anche nel resto d'Europa, sulle modalità e sugli intenti del teatro: sempre di più prende piede, sulla spinta del pensiero illuminista e dell'opera di Diderot in Francia o di Lessing in Germania, il cosiddetto dramma borghese, un tipo di teatro che doveva ispirarsi alla società contemporanea, i cui intrecci dovevano risultare plausibili e che doveva avere fini educativi e di denuncia. In Italia, in particolare, Goldoni si trovò a dover fare i conti con l'ingombrante eredità della Commedia dell'Arte: il successo che continuava ad arridere alle maschere ed ai canovacci, seppur usurati, di questa tradizione teatrale rendeva più difficile qualsiasi innovazione per l'opposizione sia del pubblico, appunto, sia degli attori poco propensi a lasciare il loro ruolo di istrioni, maghi dell'improvvisazione, per piegarsi alla fedeltà ad un testo scritto; abituati a recitare sempre solo la stessa parte, ad indossare la stessa maschera - Arlecchino, Pantalone, Colombina - il cui comportamento e linguaggio si erano "sclerotizzati" da tempo, erano riluttanti a doversi calare ogni volta in un nuovo personaggio a seconda della commedia. In questo contesto la "riforma" goldoniana dovette procedere gradualmente, tenendo conto sia dei gusti del pubblico che delle necessità degli attori e degli impresari, ma passo passo Goldoni riuscì a modificare le convenzioni drammaturgiche. Furono sostanzialmente due i punti fermi di questa riforma: innanzitutto l'introduzione di un testo scritto fisso, non modificabile dagli attori, in sostituzione dei canovacci della Commedia dell'Arte, più che altro delle semplici situazioni base, dei punti di partenza che lasciavano ampio spazio all'improvvisazione degli attori; e poi l'eliminazione delle maschere, vale a dire il passaggio dai tipi ai caratteri, a degli individui ben precisi. Tutto ciò per rendere il suo teatro realistico, raffigurazione sulla scena di un mondo reale. Così Mirandolina ne La locandiera è un personaggio ben definito non solo caratterialmente, ma anche socialmente; non è più la "servetta" intrigante della commedia precedente, il tipo della "donnina brillante e capricciosa", ma è una locandiera con i suoi affari, i suoi interessi. È un personaggio radicato in una precisa realtà sociale, lontano da generalizzazioni e stereotipi, il cui comportamento è dettato non da caratteristiche fisse ed immutabili, ma dalle sue esperienze e dalla sua posizione sociale ed è significativo che a conclusione della commedia Mirandolina sposi un borghese come lei, il cameriere Fabrizio. Una conclusione che conferma come molti siano i temi di quest'opera. L'irrompere sul palcoscenico di valori borghesi, quali l'operosità, il senso della misura, l'attenzione al guadagno, non rappresenta il solo motivo di interesse, per così dire, sociologico che questa commedia propone: non va tralasciata infatti la parte di "eroe positivo" che la donna ricopre all'interno de La locandiera come pure in altre commedie di Goldoni. La pubblicistica illuministica di quegli anni dibatteva ampiamente sulla necessità di un nuovo e più importante ruolo per la donna nella società e l'autore veneziano ne rende testimonianza fedele nel suo teatro, aderendo anche in questo caso a quelle spinte modernizzatrici che stavano scuotendo l'ancien régime in tutta Europa. Tanti elementi diversi che però non fanno che confermare la validità e la godibilità di questa commedia ancora oggi a più di due secoli di distanza dalla sua stesura. Il Cavaliere di Ripafratta Il Marchese di Forlipopoli Il Conte d'Albafiorita Mirandolina, locandiera Ortensia, comica Dejanira, comica Fabrizio, cameriere di locanda Servitore, del Cavaliere Servitore, del Conte La scena si rappresenta in Firenze, nella locanda di Mirandolina L'autore a chi legge Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute. Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli uomini. Principia a entrar in grazia del disprezzator delle donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse. Superata con ciò l'avversione che aveva il Cavaliere per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle finezze studiate, mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta l'ardire. Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite mortali. Il pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare impossibile, che in poche ore un uomo possa innamorarsi a tal segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha seco loro trattato; ma appunto per questo più facilmente egli cade, perché sprezzandole senza conoscerle, e non sapendo quali sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha creduto che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai colpi dell'inimico. Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si vede, mi è riuscito di darlo vinto alla fine dell'Atto secondo. Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene. La Scena dello stirare, allora quando la Locandiera si burla del Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è il luogo questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto! Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia ho fatto. Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta; l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia un linguaggio straniero. Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei si serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno sarà a dover penneggiato. Ma lo scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche questa comodità.