«Troppo sexy per lavorare in banca: ecco perché ho perso il mio lavoro» Debrahlee Lorenzana fa causa alla Citigroup dopo essere stata licenziata. «Il motivo? La mia bellezza» MILANO - Così avvenente da far girare la testa ai colleghi. Talmente sexy da distrarre perfino i suoi capi. Una via di mezzo, scrive qualcuno, tra J. Lo, Jessica Simpson e Audrey Hepburn. Troppo bella, insomma, per lavorare in una banca. E così, alla fine, Debrahlee Lorenzana, una 33enne di origini portoricane, ha perso il suo lavoro in una filiale di Manhattan della Citigroup. Almeno, è quello che racconta il suo avvocato al "Village Voice" dopo che la donna ha deciso di fare causa all'azienda. Secondo il racconto di Debrahlee, il suo licenziamento - avvenuto la scorsa estate - non avrebbe nulla a che vedere con le sue capacità lavorative: piuttosto, con la sua (eccessiva) bellezza. «Gli uomini attorno a lei diventano una manica di idioti» conferma una delle sue amiche. GUAI AL LAVORO - I problemi di Debrahlee sono cominciati quando sul posto di lavoro le hanno proibito di indossare determinati vestiti: gonna, pantaloni stretti e tacchi alti, per esempio. Niente di particolarmente eccessivo, tanto che Debrahlee, madre di una bimba di 12 anni, si sarebbe difesa sostenendo che l'abbigliamento delle colleghe fosse molto più audace. «Le loro forme sono diverse dalle tue» le avrebbero risposto. Un problema insormontabile, a quanto pare. «Avrei potuto indossare un sacchetto di carta, e non avrebbe avuto importanza», ha spiegato Lorenzana. «Se non era la mia camicia, erano i pantaloni. Se non erano i pantaloni, erano le scarpe». Alla fine, tra una discussione e l'altra - e forse in mezzo a mille occhiate - Debrahlee è stata licenziata. Una scelta legata agli scarsi risultati, secondo i suoi datori di lavoro. Lei invece è convinta del contrario: e cioè che si trattò di una vera e propria «discriminazione sessuale». 02 giugno 2010 Quanto è importante la bellezza fisica per poter sfondare nel mondo del lavoro? E’ sicuramente uno degli attori italiani più belli e apprezzati dalle donne italiane. Raoul Bova, classe 1971, ha recentemente dichiarato in un’intervista di essersi sentito ostacolato nella sua carriera professionale, a causa proprio della sua bellezza! L’attore ha infatti dichiarato: “…ha giocato certamente un ruolo importante, ma non mi ha sempre avvantaggiato, anzi in diversi casi mi ha anche ostacolato perché spesso si pensa che dietro la bellezza esteriore non ci sia altro, o perché certi ruoli hanno bisogno di caratteristiche fisiche diverse. Ma io non mi sono mai posto il problema, comunque, perché ho puntato sempre su altre cose che ritengo più importanti dell’aspetto fisico.” Tali dichiarazioni potrebbero sembrare piuttosto strane se consideriamo che nella nostra societ ormai la bellezza è diventato il biglietto da visita primario per essere assunti in un determinato posto di lavoro, eppure c’è qualcuno come Bova, che ritiene di essere stato “danneggiato” dalla sua stessa bellezza. Ecco allora che sorge spontanea la domanda classica in queste circostanze: nella vita, la bellezza aiuta o no? Ai colloqui di lavoro l'aspetto conta. Parola di scienziato Uno studio americano spiega perchè l'aspetto, anche fisico, può fare la differenza a un colloquio di lavoro. Quanto conta l'aspetto fisico durante un colloquio di lavoro? Il buon senso, e la legge, dicono che non dovrebbe essere un elemento di discriminazione, ma la realtà è ben diversa. Un sofisticato studio da poco pubblicato sul prestigioso Journal of Applied Psychology afferma che i candidati con imperfezioni del viso evidenti come cicatrici, grossi nei o vistose macchie sulla pelle, sono piuttosto svantaggiati nei processi di selezione del personale. Il motivo? È piuttosto banale: secondo gli scienziati gli intervistatori sarebbero distratti dai difetti epidermici e non ascolterebbero con la dovuta attenzione ciò viene detto loro dall'aspirante lavoratore. Ma che faccia c'hai? La sconcertante tesi è stata dimostrata da Mikki Hebl e Juan Madera, psicologi presso l'Universit di Houston. I due ricercatori hanno chiesto a 171 studenti di effettuare dei colloqui di selezione ad alcuni candidati per un ipotetico posto di lavoro. Le interviste sono state effettuate al PC con un sistema di videoconferenza, mentre una speciale telecamera controllava i movimenti degli occhi dei volontari registrando secondo per secondo dove si posava il loro sguardo. Alla fine dei colloqui è stato chiesto agli intervistatori di spiegare cosa ricordavano dei diversi candidati. «Solitamente, quando si parla con una persona si è attratti dal triangolo occhi-bocca», spiega Madera, «nel nostro esperimento abbiamo constato che più l'attenzione si spostava verso altre zone del viso, meno gli studenti erano in grado di ricordare ciò che aveva detto il candidato». Se l'abito fa il monaco La seconda parte dell'esperimento ha coinvolto 38 manager, abituati a condurre colloqui di selezione per le loro aziende, e alcuni ipotetici candidati con evidenti segni sulla pelle del volto. I 38 dirigenti hanno condotto le interviste dal vivo, ma nonostante la loro età ed esperienza hanno avuto non pochi problemi a gestire l'imperfezione fisica degli aspiranti collaboratori. Hebl e Madera sperano che il loro lavoro permetta alle aziende di prendere coscienza di questa pesante forma di discriminazione che viene inconsapevolmente praticata dal personale addetto alla selezione. «Gli studi che dimostrano come particolari gruppi di persone siano svantaggiati nella ricerca di un lavoro sono tanti» spiega Hebl, «ma il nostro lavoro è il primo a far luce sul perchè questo succede».