Le varietà linguistiche A) La varietà diamesica La diamesia considera il mezzo fisico con cui la lingua è usata,: scritto e parlato, sms, messaggi personali, formali, informali; la dicotomia fondamentale dell’asse diamesico è tra scritto e parlato, ma ricordare che c’è scritto e scritto e parlato e parlato: la differenza fondamentale è la maggiore o minore pianificazione, alle interruzioni e ai ripensamenti del parlato corrisponde nello scritto una più accurata pianificazione precedente; nello scritto gli elementi prosodici del parlato, come pause o innalzamenti di tono, sono resi imperfettamente dalla punteggiatura; inoltre nel parlato sussistono elementi paralinguistici come gesti e distanza dell’interlocutore, che possono solo essere descritti come avviene nei romanzi. Tuttavia la dicotomia è imperfetta, può esservi un parlato che si basa su una traccia scritta, nel caso di lezioni universitarie e notizie lette dai giornalisti in tele, o un testo scritto che imita il parlato, il copione recitato dagli attori. B) La varietà diastratica La diastratia è la variazione riguardante lo strato sociale del parlante, condizione difficile da determinare e valutata secondo vari parametri: censo, istruzione, attività lavorativa intellettuale o manuale, ma possono non essere attendibili. Vi sono differenze seppur lievi tra italiano degli uomini e delle donne con un maggior controllo dell’uso di termini volgari da parte di quest'ultime. C) La varietà diafasica La diafasia è la variazione relativa alla situazione comunicativa: distingue registro aulico, colloquiale, ammesso che variano a seconda della situazione o dell’interlocutore o dell’argomento; la differenza dalla diastratia è che la lingua di una persona non può mutare a livello di condizione sociale, ma può mutare il registro linguistico. D) La varietà diacronica La diacronia considera l’evoluzione della lingua nel tempo; l’evoluzione di fonetica, morfologia e sintassi avviene nel corso di epoche molto estese, il mutamento del lessico è più frequente, talvolta da una generazione all’altra, in particolare nel linguaggio giovanile. E) La varietà diatopica La diatopia considera la variazione della lingua rispetto al luogo in cui è parlata, macroluogo o microluogo, l’intero Nord Italia o le singole realtà cittadine. In Italia coesistono italiano e dialetto tra i parlanti ad eccezione di Milano ed in parte Roma; secondo statistiche recenti il 50% dei parlanti è in grado di utilizzare il dialetto e l’italiano, e sceglie l’uno o l’altro a seconda della situazione (distinzione diafasica), il 2,5% circa è in grado di parlare solo dialetto, mentre il restante 48% circa utilizza solo l’italiano. Si preannuncia spesso la scomparsa dei dialetti perché alla fine della seconda guerra mondiale i parlanti solo italiano erano il 18%, ma in realtà i dialetti resistono soprattutto nelle situazioni informali. I dialetti non sono varianti dell’italiano ma lingue diverse da esso, molto variamente distribuite nel territorio: si differenzia il lessico, le parole usate nelle varie aree derivano da basi diverse tanto che non risulta trasparente il loro significato né il rapporto con i sinonimi dell’italiano standard a chi non parli quel dialetto; variazioni significative si hanno anche in aree non molto distanti. - Italiano standard cièco (da caecum): Italia del Sud cecato, siciliano órbu, piemontese órgnu. - Italiano standard culla: romagnolo cùndla, Marche del Nord cùna, Abruzzo del Sud cónnələ, Abruzzo del Nord nanna. Cambiano anche le strutture sintattiche: ad esempio nel territorio italiano vi sono due usi sintattici degli avverbi sempre, mai, già: in italiano standard e in molti dialetti ricorrono dopo il primo verbo declinato, in dialetto triestino ricorrono prima, così come nel dialetto umbro pur molto simile alla varietà toscana e all’italiano standard. I dialetti italiani si dividono in tre macroaree: settentrionali, al di sopra della linea La SpeziaRimini, isolati dal resto d’Italia dagli Appennini che interrompevano le comunicazioni; centromeridionali, in cui quelli del centro e del Sud sono separati dalla linea, meno marcata, Ancona- Roma. Il rapporto tra italiano e dialetto è molto complesso, i parlanti non scelgono o l’italiano o il dialetto ma svariate sono le contaminazioni tra essi, e si parla perciò di italiani regionali: possono esserci espressioni in italiano ma con alcuni tratti dialettali, e tra i due estremi i passaggi intermedi sono numerosi. Anche in questo caso la motivazione è diafasica, o giocata all’interno della diatopia (ad esempio tra un napoletano e un campano di altra zona, con cui il primo usa un dialetto edulcorato). Poiché i dialetti sono lingue a tutti gli effetti, si applicano ad essi le stesse variabili dell’italiano e non possono essere considerati come unità immobili: esistono al loro interno diversi livelli di formalità (variazione diafasica) e sono soggetti ad evoluzione. I dialetti, anche se non sempre si distinguono dall’italiano, interagiscono in modo produttivo con esso, tanto che molte parole dialettali sono entrate a pieno titolo nell’italiano, cioè sono comprese da qualunque parlante: per dire ragazzo si usano toso dal veneto, guaglione dal napoletano, picciotto dal siciliano; abbiamo poi pennichella dal romanesco ecc. Le differenziazioni nell’uso dell’italiano sul territorio riguardano oltre al lessico la fonetica, la -L’apocope vocalica è più frequente al Nord che al Sud. es. Andam via (andiamo via); usciam da qui! (usciamo da qui!) - In morfosintassi nell’italiano settentrionale si usa solo il passato prossimo e mai il passato remoto. it. settentrionale: ieri abbiamo mangiato; campano: ieri mangiammo -Nell’italiano meridionale è diffuso l’accusativo preposizionale. es. ho incontrato a tuo padre; ho incontrato a un po’ di gente; conosco a uno molto bravo