Letters inicrnazionale Scrtttorl .ill 11 specctdo Camilleii: lamia Sicília Quello di Andrea Camilleri ě stalo il caso pin interessante della letteralnra italiana degli ullimi anni. Un successo arrivato tardi, a dieci anni dálin pubblicazione del prime rorr.anzo, e che ha sorpreso la critica. Camilleri 6 una voce nuova del panoram;1, leue-rario italiano: usa il dialetto e la sua lingua ne acquista chiarezza espressiva; amhienta le sue storie ne! microcosmo immaginario di Vigata, piccolo paese delia Sicília, e da questo angolo di mondo riflette sulla sloria italiana e sul peri-colo delia perdita delia memoria storica; parla di mafia c dclla corruzione dell'Italia di oggi, con un tono leggero e ironico; e sceglie il gene-re giallo per parlare dei grandi temi umani. E intanto parla anche all'Europa. Le prime tradu-zioni delle sue opere sianno per uscire in Francia, Germania. Portogallo, Spagna - nellc due lingue casligliana e catalana - Olanda, Grecia, ma la prima in Európa ad accorgersi di lui é stala una casa editrice in lingua gaelica Uno strano paradosso che pero seinbra mostrare una strada: quella di un'integrazione europea che convive con le identita linguistiche. Lei si č dedicato per moltissinii anni alia regia sia teal rale che televisiva ed ha puhhli-cato il suo primo romanzo, // Corso delle cose, a piii di 50 mini, n el 1978. Qual ě la genesi delia sua attivitä letteraria? Io in realta ho cominciato a scrivere giova-nissimo, e non a scrivere di teatro. Scnvevo poesie, scrivevo racconti. La cosa straordinaria era che, pur vivendo in Sicilia in qucgli anni tanio dil'ficili, parlo del '43, '44, '45, qnaniio noi Sicilian) non eravamo collegati, e per arriva-re a Romo ci si meltevano tre giorni, io spedivo poesie. Ricordo l'emozione di due poesie spedi-te, una al premio Saint Vincent nel '47, e una al concorso Libera Stampa di Lugano che era prc-sieduto da Gianfranco Contini e in giuria aveva r.omi come Carlo Bo e Giansiro Ferrata. Mi mandarono un ritaglio, un comunicato scritto che conservo gelosameme, nel quale dissero che la giuria aveva scelto sei giavani finalisti tra cui David Maria Turoldo, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotio, Andrea Camilleri, Danilo Dolci; cioě praticamenie eravamo tuni 11, cui prima e chi dopo. Quelle poesie vennero pubblicate in un'antologia, con prefazione e scelta di Unga-retii. di quella che era la piii prestigiosa collana di poesia, «Lo specchio» di Mondadori, e in ri-viste di grandissima importanza nazionale, come «11 Mercurio», e «Inventario», che dirigeva a Firenze Derti con un comitato di redazáone che andava da Elliot a Nabokov. Lo stesso av-veniva per i racconti che quotidiani come «ľO-ra di Palcnno», «Itaiia socialista» di Roma, pubblicavano in terza pagina. E il suo interesse per il teatro come nasce? Nel '48 io scrissi la mia prima e unica piece di leauo, si chiauiava Giudizio a mezvxnolie. La raandai al concorso di Firenze la cui giuria era presieduta da Silvio D'Amico e vinsi il primo premio. Quella commedia ľho distrutia. Non esistono copie, esistono solo gli aiti pubblici che ciinfermano che avevo vintocon quella comme- Intervista di Giuliana Pieri dia. Pert questo faito innesco il rapporto con D'Amico; mi scrisse e mi disse di provare a fare I'esame all'Accademia Nazionale d'Arte Dram-matica di Roma. Diedi I'esame all'Accademia, e vinsi. Io ero I'unico allievo regista s quindi mi Uovai, ogni giomo, di fionte a un peisonaggio eccezionale che era il tnio maestro di regia, Ora-zio Cosia, il quale SpOSto il miocervello letteral-mente verso il teairo. Per inolto tempo non sono stato piu capace di scrivere. Quando a quaranra-due-quaraniatrd anni, stufb di raccontare storie d'altri con parole d'altri, decisi di raccontare la storia mia, io pert riprendevo un discorso inter rotlo con la letteratura. II teatro era stata una pa-reiilesi. Non pensai neanche loiitanamentc di scrivere una piece teatrale, ma di riprendere la mia amata scrittura. E ci furono dei problemi, soprattutto quello dell'individuazione di un lin- guaggio. Questo mi ha portato via tempo, e in questo primo libro, ľ. corso delle cose, si nota proprio il te.ntativo di raggiungere un certo lipo di iinguaggio. Pubblicato quel libro, due anni dopo pubblicai con Garzanti UnJllo difumo. Ľascendente dei teatro ě pero rimasto alla base della sua serittura, ehe ě diversa da lina čerta tradizione letteraria italiana perché i sinu' personaggi sono caratterizzati, piú ebe dalla deserizione, dal modo in cui parlano. I dialnghi assumonn una grande importanza nei smii romanzi. Questo ě il risultato delľattivita teatrale. lo ho piena fiducia nel dialogo, che invece tanti serittori di romanzi non hanno. Una singularita Michele Perťetti. Ouvertuře;, 1908 Si-rittori «Ho qi«rhin Lellera intcrnazinnak dd tealio e data dal fatto che il personaggki teatrale si presenta da se per quello che dice. Nel romanzo invece e il narratore che presenla il peisuiiaggio. L'abitudine leatrale fa si che In trasmissione avvenga attraverso il corpo, la voce, l'anima dcl-l'aiiore, ed 6 per queslo die io ho lusogno di personaggi a tutto londo che abbiano tre dimensio-ni. Nor riesco a lasciare un personaggio non definito. Io scrissi il primo giallo. La forma dei-i'acqua, in cui il personaggio del commissario Montalbano, per quanto avesse giä dei iratti enratteristici, era ancora una finzione. In seguito io mi portal deriiro questo personaggio, che non avevo pienainenie defmiio, c il secondo Iibro Io scrissi an che per definirlo. Con il terzo e il quarto romanzo cominciavo a divertirmi, rna la necessitä di inodellare il personaggio, di far-lo ernergere a tutto londo. t nata dalla non-finitezza del primo romanzo. Lei usa un linguaggio par-ticolarissimo. E una prosa so-stanzialmente italiana su cui perö si innesta il dialctto sici-liiijin. Da Hove nasce quest'i-dea? Ci sono dei riferimenti lettcrari precisi? No. Si 6 detto che io devo molio a Gadda, ma in realtä a Gadda devo solo una cosa fon-damentale: il coraggio di scrivere in questo modo. Soltanto dopo aver letto La cognizione del dolore, o me-glio Quel pasücciaccio brutto, io ho trovato il coraggio di scrivere eosi. Altrimenii il coraggio non Io avrei avuto. Avrei porulo seguire 1' esem-pio di Sciascia, col suo iialiano nitido e straordi-nario. Se ho seguito l'altra strada. Io devo a Gadda. Ma mentre quella di Gadda e una ricer-ca veramente finissima e di altissimo livello. la mia Io e molto meno. Noi in Sicilia cosl si par-lava. Quello e il linguaggio delle classi inedie o medio-colte siciliane: una parte di dialetto e una parte di italiano. II mio problema e il dosaggio dell'uso del dialetlo e dell'uso dell'kaliano al-I'interna del discorso. Quindi e una lingua che deriva dalla sua esperienza personale, non e l'invenzione di un linguaggio? Non e un'invenzionc, anche se una cosa e parlare e una cosa e scrivere. Quando comin-ciai i miei esereizi di scritiura, io lo confesso, scrissi lc prime pagine in italiano, ma non mi funzionava e fu allora che intrapresi questo tentativo. Inizialmente mi era sembrato ornpi-lanle il fatto che un linguaggio familiäre poies-se valere extra-moenia. fuori dalle mura no- Miehde Perfetti, Ouvtrtums, 1998 stre, ma quando lo rilessi, vidi die funzionava. Tentai ancora di riportare le parole siciliane in italiano, sperando di ottenere lo stesso grado di espressivita die avevo oltenuto col dialelto. II risultato fu un italiano desueto, e fu allora che intervenne 1'csempio di Gadda. Fu a quel pun-to che mi accadde un'allra cosa tbrtunuta. Fu la lerinra di un saggio di Pirandello, dove a un certo punto egli dice, con una scmplicila estre-ma, che di una data cosa la lingua esprime il concello, e della medesima cosa il dialetlo esprime il sentimenco. Quel saggio divenne per me come la Bibbia, e questo mi chiari il senso di quel dosaggio, di quel pastiche di linguaggio che e il mio. A quests spcrimcntazionc lingui.stica Lei accompagna anclie quella narrativa. Ncl suo romanzo // birraio di Preston seompone il racconto, affída la narrazione a voci divtr.se. invita ii lettorc a ricostruire la sequenza degli eventi. Ci sono dei modelli per questa opera-iione? lo tengo molto sopraltuiio a due libri: uno ě // birraio e 1'altro h La concexsione del telefo- no. A quest'ullimo tengo per essere riuscito apparenicmente a reslar fuori dall'intervcnto del narratore: «Cose dellc» e «Cose scritte». II che ě vero solo in parte, perché uno scrit-tore é sempře clandcstinamenle anche un pilota. Quanto a II birraio di Preston, io l'avevo scritto cronologicamenle, ed era di una noia mortale. Non mi piaceva. Arrivato a un cerlo punto ebhi come un'illumina-zione. E l'ebbi leggendo un Iibro di Vazquez Montalbán. Se devo qualche cosa a Montalbán, non ě per Pepe Car-valho. ma per un romanzo die si chiama // pianista, dove c'ě una sorta di alterazione tempo-rale del tempo del racconto. Allora ho cominciato anch'io questo gioco, ed ě proprio questa alterazione del tempo narrative che pill mi interessa nc // birraio di Preston. L'altra cosa che mi interessa ě il capitolo primo scritto in coda, perché quella e la dogmatizzazionc della storia Questo a me inte-ressava, sopraltuiio, del libro di Vazquez Momalhiin. Accanto si suoi romanzi stnri-ci, ci sono quelli del commissario Montalbano. Com'e nata in Lei I'idea di scrivere romanzi gialli? Nei romanzi storici come Un fi-!o di fumo o La stagione della caccia, io sono sempře partito da un nucleo di sloria vera, cioě da un cpisodio accaduto, e io di questo input per iniziarc ho assoluto bisogno. Io parto sempře da quel nucleo che piü mi ha eccitalo e comincio a scrivcrne; pci per cerchi centrifughi. e in realta anche ceniripeli, scrivo tulto il romanzo atlomo ad essi. Naturalmente quest'occhio del ciclone nou ě delto che sia cciiiralizzato. ncl romanzo. pyo essere ancha spostnto alia fine, ma il punto di crescila, il seme centrale, é quello. Querto ě un modo anarchico di scrivere, o almeno cosi lo giudicavo 10. Allora mi sono chiesto sc Ibssi ca-pacc di scrivere un romanzo dalla «A» alia «Ze ta», capitolo primo e capiiolo uliimo. e fredda-mente mi dissi che forse l'unico modo che mi poiessc ingabbiare era un romanzo giallo, dove ci deve csscrc uno sviluppo logico delle vicen-de Leonardo Sciascia scriveva che il romanzo giallo ě il romanzo piu onesto die possa esiste-re, perché e'e poca possibilitä di barare. Ecco pereně io ho scritto il mio primo giallo, La/ mo libro scritto nel '27, e l'ultimo scritto nel '60, I'ispettore sembra uvere la stessa etä, le Stesse convinzioni. Questo ě un rischio insito nel giallo seriále. Agatha Christie, invece, cambia protagonista, va da Miss Marple a Her-cule Poirot e questo le da la possibilitä di va-riare moltissimo. II mio Montalbano invecchia con le sue inchieste. II giallo continua a essere un genere lettc-rario sostanzialmente soltovalutato. Non Le somhra che questo sia un equivoco, non solo a livello europeo, ma soprattutto in Italia, dove abbianio avuto Gadda che ha scritto uno dei gialli piu affascinanti della letteratura eu-ropca? Ceno chc i cosi. Parliamo del giallo con la letteratura dentro, come diceva Gramsci, sempře citando Chesterton. Gadda nel Pasticciaccio in realta infrange le regole del giallo. La struttu-ra ripetitiva del giallo ě l'omicidio, con tutte le variazioni possibili: dentro a una stanza, fuori della stanza, in mezzo aLla gente, cambia il numero degli nssassini, ma é sempře in fondo un alto innaturtile di cui bisogna poi scoprire le ra-gioni naturali. Gadda scrive tutto questo, salvo che la soluzione. Bel colpo, devo dire! Riesci a digerirlo lo stesso. Non ti arrabbi. La ccntralita della detection finale ě un demerito. in un certo senso, del giallo normále. Secondo Lei si sta superanrio qucst'idea del giallo come genere ietterario secondario? Si. si sta superando. Oggi, per esempio, in Italia abbiamo nuovi scrittori di gialli come Carlo Lucarelli, o come Marcello Fois. Questa separazione sta saltando. II giallo era sempre stato stimato un genere para-letterario. In un'I-talia che ha avuto la «non narrazione» degli anni '30 e '40 come bandiera, il giallo, che era la narrazione per eccellenza, era out. E in Italia piimeggiava quello sciittore importance, in un italiano splendido, che era Ernilio Cecchi. Ma Corrado Alvaro che raccontavn storie doveva sudare. Bacchelli per avcrne raccontale troppe, e troppo bene, rompeva 1'anima a tutti. Ora stiamu ritrovando il gusto del racconto. lo soil o contento che ci sia questo successo del genere giallo, perché e un'esercitazionc all'intcl-ligenza. Nei suoi romanzi poli/ieschi e storici, ma anche nei saggi, invariabilmenle Lei racconta storie siciliane. Perché al centro delle sua narrativa e'e sempre ia Sicilia? Non saprei raccontare d'altro. Quando scrissi il mio prima romanzo tanti anni fa, feci una nota in coda al libro, nella quale spiegai che sareb-be stato bellissimo per un racconta-slorie, quale credo di essere io. ambientare un libro a New York. E siccome si pubbiicano sempre piu delle buonc guide - dove si sa persino dov'e e quul ě il tabaccaio - io avrei potuto ambientarlo li. Solo che degli uomini che passano sopra quelle stradě, o enirano da quel tabaccaio, io non so nulla. Dovrei tirare a indovinare, applicando lato un sistema di pensiero, delle psicologic. che non mi appartengono. E invece di quelli che camminano sulle mie stradě, ie, nel 99 per cento dei casi posso anche sbagliare, credendo di aver capito, ma l'uno per cento mi basta per scrivere una storia. Nella tradi/.ione letteraria siciliana chi sono i suoi maestri? Pirandello, ma nascosto, «ammucciato», come si dice da noi. Nel '25 o nel '26, credo, Benedetto Croce scrisse un saggio bellissimo, in- titolato - ed era una litote - Perché non pos-siamo non dirci cristiani, lui che era laico e liberate. E noi dobbiamo dire: «Perché non pos-siamo non dirci pirandelhani» Sciascia, io, soprattutto quelli della provincia. L'altro giorno riflettevo a una cosa che puo sembrure para-dossale e non lo ě: Garcia Márquez si ě inven-tato il Macondo, William Faulkner si era fatto la sua meravigliosa contea, lunge il Mississippi, io mi iono fatto questo piccolo paese che ě Vigata. Come mai Pirandello non si e mai in-ventato un mondo suo? La risposta ě in una constderazione che aveva fatto Leonardo Sciascia, il quale djsse che, se Girgenti non fosse mai esistita, e Pirandello fosse stato nella ne-cessilá di crearsi un paese, avrebbe edificato Agrigento, Girgenti. E perché? Ci sono degli element! ispiratori purticolari, secondo Lei? L'uomo. II tipo. Dice Sciascia, in quel bcl libro che ě // dizionario pirandelliano, che l'uomo girgentano, nel quale Pirandello am-bienta romanzi e novelle a uon fijiire, non é un uomo attento alia donna, o attento alia «roba» ma ě attento a se stesso. Fino ai Iimiti della follia. Sono questi i personaggi pirandelliani, no? Una cosa le voglio raccontare. E un piccolo episodio, ma merita. Quando sono nato, e'e-ra gia da trent'anni a casa mia una cameriera, chc aveva una figlia di due o trc anni piu grande di me. Questa giovane, arrivals a diciassettc anni. si sposó. Ebbe il tempo di convivere col marito solo qualtro giorni, perché il marito am-mazzó uno in una lite di osieria. Ando in galéra. Nel corso degli anni lei si mise con altri uomini e la cosa arrivo all'orecchio del marito che era in galera ad Agrigento. Quando usci, sette anni dopo - perché allora nel codicc era previsto che lo stato di ebbrezza fosse un'atte-nuante - sembrava la cronaca di un delitto an-nuneiato. F invece scoprimtnn che lui i'requen-tava la moglie nottetempo. Allora io glielo chiesi: troverá che l'ho messo nel mio primp romanzo questo episodio, che é autentico. Mi disse : «Io dalla finestra entro», e difatti in quella casupola, che aveva una porta e una Finestra, lui entrava dalla finestra. «Come gli amanti - aggiunse - mentre voi entrate dalla porta come mariti, Sono io che metto le cor-na». Non ě una situazione pirandelliana? Ě II gioco delle parti di Pirandello. H contrihuto della letteratura siciliana alia letteratura italiana postunitaria ě fondanien-tale. F. forse la tradizione letteraria piu importante che abbiamo avuto. Secondo Lei, come si spiega che i imiui piu grandi siano di scrittori siciliani? L'esempio ě dato da Verga, che scrive le Novelle Milanesi, poi torna in Sicilia e tira fuori tutto quello che ha da dire. Noi scrittori siciliani non possiamo essere altro che siciliani. E forse per questo riusciamo a dare I'esempio di un di-scorso assni piň ampio. Se si prende per esempio D'Aruiunzio, si trova che lui usa la parola come qualcosa di astratto. cioě non la parola ra-dicata nella cosa, nella «roba», per dirla con 6 Sirittori all» specchio Lctlcra internazioiiíilc Vcrga. Quesi'ultima ě una caratterislica dei sici-liani. E poi la nostra grande letteratura e stata anche la difesa di fronte al genocidio culturulc dovuto all' unita d'ltalia. La letteratura conic una Forma di difesa sociále? In lo credo, ne sono perfetramcnte convinto. Basta pensare a Capuana. Verga, De Rabeno, i quali contano prima di tulto per la Sicilia, poi per tutta la lelteratura italiana. lo credo che l'in-sularitá e la difesa di ulcuui valuii, e anche di una lingua, abbiano influito moltissimo. Che quesli scrittori siano nati li e torse un caso, pero sono nati li e poi ci sono nati Brantati. Vittorini. Quasimodo, Sciascia. Questo fa pensare al easo clamornso della letteratura sud-amcricana. Si potrcbbe dire che una letteratura grandissima nasce spesso in una situazionc sociále di est rem a difficulta. Lei e d'accordo? SI. secondo me questo ě vero. Per esempio. se riprendiamo il caso di Verga. noliamo la sua attenzione verso la disgrazia, il faio, la «mala-voglia», e tutto questo da parte di un signore che non ha nessuno di questi problcmi, Era un ricco, politicamente era avverso anche a cgni tentativo di riforma, ma I'artista che era in lui. il creators, non poteva disgiungersi da questa realtá. Tanťě vero che, nel momento in cui se ne vuole tirare fuori. che vuole ritrovare la sua atmosféra di gran signore, e vuole scrivere La duchessa di Leila, non riuscirá mai a finirla. Avcva perso il linguaggio. Quando si parla di Sicilia, si parla anche di mafia. Nei suoi romanzi e'e da un lato chiaramente una enndanna, ma insienie anche un tentativo di spiegare, risalendo alle radiči storichc, il perché di questo fenomeno. Io ha cercato di far capire questo perché piú nei romanzi cosiddetti storici che non nei gialli. Voglio dire che // binaio di Preston o La concessione del telefone) illuminano l'ltalia di oggi piú di quanto non la rispecchino le vi-cende di Montalhano che sono ambientate nel-1'oggi. Poi ho scritto in materia anche un sag-gio. La bolla di compnnenHa, í! fatlo e che io ccrco di far capire le radiči, o almeno alcune dclle radiči, perché il fenomeno ir.afia ě estre-mameme ccmplesso, e li mi fcrmc. quando mi chiedono perché non vado olue, rispondo che finirei col parlare della mafia di trenta anni fa. che b cosa divcrsa. La mafia subisce un'evolu-zione quolidiana che ě troppo seria per roman-zarla. Se si rilegge // giorno della civetta di Leonardo Sciascia, In figura del capumafia. don Mariano Arena, sembra medioevale. Non c'c piu la mia mafia della quale io polevo parlare, e che avevo conosciuto attraverso perso-ne di quel calibto, e di quel tipu. Putrei ricru-durne i modi del parlare, ma non sono piii le stesse cose. Un giorno, nel '49, il boss deH'Agrigentino Nicola - Nick - Gentile, un signore di una ses- nntino ft'inni Hi iin'irnnin í*hp A nliplln php ci Micliele Perfciti. Om enures. 1998 ritrova nei miei romanzi. un assassino, - non ě che stiamo parlando di un santo - mi disse: «Vedes.se, dottoreddro, se vossia ü annato e io sono davar.ti a vossia disarmato, e vossia tira Tuuii una pistola e mi dice, "Nicola inginoc-chiati". mi inginocchio. Ma vossia non ě mafio-so. Vossia e solo uno strunzo con una pistoia in mano. Metliamo conto a riversa. Io vengo da lei disarmato. E lei ě atmato. E io le dico "Don Neně, si deve inginocchiare". lei mi chiede "perché"?, io le spiego le ragioni, la convince, e lei si inginocchia. Con una pistola in mano tutti siamo bravi, ma i msfiosi sono un'altra cosa». Stiaoidinario. Tcrribile. «Ti persuado», come scrive Manzoni helií Storia della colonna infame: «Ditemi cosa volete che io dica». Oggi invece questi sparano, non ritengono piii che per un mafioso sia una sconlltta spararc. rtcntilp intpnrlpvn nnriiinln nnpsto' «Sp a idrlo io gli spáro ě perché non I'ho convinto. sconfiUa mia ě, e non sua». Questa era la logica, che oggi non e'e piii. Stiamo parlando sempře di logica di assassini. Non ě che ci sia una differenza tra mafia buona c mafia cattiva. Scmprc la slcssa cosa ě. Ma di quelli di oggi io non sono in gra-do di parlare. anche perché non li conosco piü e temo che siano cosi inconoscibili che tanto vale lasciarlo a Caselli questo probleina. cioé alia gente che seriainente lo affronta, con le carte giuste in mano, e non romanzarlo. Secondo Lei, come fa allora uno scrittore a parlare di mafia o di siluazioni sociali cosi complesse? Io ne posso parlare da giornalista. Non mi sento in grado di parlarne romanzescamente, mi narrehbe di allepi?erire il nroblema. Lei lern internationale Camilleri: la inia Sitiilia Che ě quello che lianiio fatto anchc altri nostri scrittori impegnati politicamente. Una volta, negli anni '50, c'era ľ engagement che si metteva dentro il romanzo e si scrivevano pessimi romanzi. Io preferisco, seguendo certe linee di Sciascia, o di Moravia, o di Pasolini, il doppio uso della lingua. Un tenia che Lei affronta in varie occasio-ni, e che ě centrale nel suo saggio La bolla di componenda, ě la corruzione del clero sicilia-no. Trova che sia un aspetlo centrale per comprendere la collusionc tra mafia e istitu-7i