iL NOTAIO GlACOMO DA LENTINI LA SCUOLA SICILIANA «1 Siciliani», come li chiamerä compendiosamente il Petrarca nel Trionfo ď Amore, precisando ehe «giä fur primi», ma nel corteo dei rimatori facendoli sfilare per ultimi (saranno cioě superati dal suo gusto), furono i primi trovatori o poeti aulici in volgare di si. Iniziatori di questa forma di poesia cortese erano stati i trovatori in senso stretto, operami dunque in lingua ďoc: ľantica lingua letteraria delia Francia meridionale, da noi chiamata, per mag-gior vicinanza delia sua regione estrema ai nostri confini, pro-venzale. Ľinvenzione delia poesia trobadorica risale agli inizi del secolo XII: il piú antico trovatore di cui siano stati tramandati versi ě Guglielmo, VII come conte di Poitiers e IX come duca di Aquitania (la Guyenne, provincia che ha per capitale Bordeaux), morto nel 1127. Essa costitui il modello di iniziative analoghe nel corso del secolo: in francese propriamente detto (lingua d'oi'l), in medio alto-tedesco (il cosiddetto Minnesang, letteral-mente «canto d'amore»), nella lingua letteraria nobile delia peni-sola iberica (che fu il galiziano-portoghese). L'italiano doveva seguire solo nel secolo XIII, e neppure prestissimo. Torna alia pagina 813 Pagina 93 Pagina 94 4 paglne rimanenti nel capltolo La definizione di Scuola siciliana ě jconsegnata, come altre della nostra letteratura delle origini (benché qui egli dichiari di ereditarla dalla tradizione), a parole di Dante; il quäle appare per tal modo anche il nostro primo critico. Pur abbassando legger-mente la data reale, ľautore della Vita Nuova, dunque poco oltre il 1290, fa risalire l'arte della urica provenzale a 150 anni prima: il trovatore piu antico che egli conosca ě Pietro d'Alvernia. Nel libro I del De vulgari Eloquentia, riconosciuto che «tutto quanto gli Italiani compongono in poesia ě detto siciliano», Dante rintraccia ľorigine di quest'abitudine nel fatto che i migliori prodotti poetici dei primi tempi erano venuti in luce alla corte (rispettiva-mente imperiale e regia) di Federico II e del suo degno figlio Manfredi, la cui sede era la Sicilia. Sembra certo che l'iniziativa italiana risalga a Giacomo (o Jacopo) da Lentini (a nord di Sira-cusa), detto per antonomasia il Notaio, funzionario della corte di Federico: a questa conclusione inducono la parte di caposcuola che Dante gli assegna nelľepisodio di Bonagiunta, e la posizione che egli occupa, poiché da lui esso comincia, nel piu ricco e auto-revole canzoniere dei Siciliani e loro successori, quello Vaticano, opera fiorentina forse ancora della fine del secolo. Non mancano indizí precisi a persuadere che l'epoca debba essere stata quella stessa dei documenti redatti o firmati dal Notaio, fra il 1233 e il 1240. La poesia provenzale, almeno nel suo filone fondamentale, applica all'amore profano la dottrina cristiana delľamore mistico ed ě insieme poesia di corte, che assimila il servizio amoroso al rapporto feudale. II valore sostanziale dell'essere amato ě totale, quello dell'amante nullo: la passione si fonda dunque su una sproporzione essenziale, su un assunto temerario temperato dal-l'abnegazione per cui il volere dell'amante coincide con la volontä dell'amata. Per il secondo aspetto, in realtä piuttosto fuso col primo che aggiunto, la donna ě come il signore a cui il vassallo deve obbedienza e fedeltä totali. Naturalmente questa metafisica cosi teologica come politica, unificata da un sentimente gerarchico di «umiltä», diventa presto, e in particolare quando, pressoché esaurita la massima produzione occitanica, se ne trasmette l'ereditä in Italia, un semplice sistema di tropi e di metafore convenzionali. Su questo fondo di cultura ormai indi-retta e interamente letteraria va letta la pur onorevole poesia feudale del Duecento italiano. Diversamente da quella provenzale, che era di norma poesia per musica, cosi che di solito uno era ľautore del testo e della melódia, la poesia siciliana ě ormai semplice poesia per la lettu-ra. Ciö produce importanti conseguenze formali, e anzitutto questa: che, mentre in maggioranza le poesie provenzali classiche hanno identita, come di melódia, cosi di rime nelle varie strofe, le canzoni siciliane, nonostante eccezioni, cambiano le rime pas- Torna alla pagina 813 Pagina 95 Pagina 96 2 paglne rimanenti nel capltolo sando da stanza a stanza; hanno insomma, come dicevano i teo-rici di Linguadoca, «coblas» (strofě) «singulars» (individuali) e non «unissonans». Anche le loro stanze constano di due parti, la fronte e la sirma (dalla parola che significa la coda o strascico della veste), una delle quali, o anche tutt'e due, si suddividono in due elementi identici o simmetrici, i piedi per la fronte, le volte per la sirma: la stanza risulta pertanto tripartita o quadri-partita. Giá predominano i metri che si costituiranno in tradizio-nali, l'endecasillabo (corrispondente al decasillabo di Francia) e il settenario; e accanto alia canzone e a generi meno diffusi (quale il discordo, liberamente asimmetrico, anzi indivisibile) s'introduce un'importante novitá, certo dovuta al Notaio, il sonetto, nella sua prima apparizione a rime esclusivamente alter-ne. Ě una particolare forma di stanza di canzone. Il repertorio siciliano, con poche eccezioni di attestazione meno antica, ci ě giunto largamente e progressivamente tosca-neggiato dai copisti. Ma lo studio del metro e in particolare delle rime prova che il linguaggio, anche per gli autori non isolani, era nettamente siciliano, s'intende di quel siciliano che con imma-gine dantesca si suol chiamare «illustre», adoperato doe con intenzione non dialettale, bensi letterariamente nobilitato e regolarizzato a ideale imitazione della lingua universale e gram-maticale per eccellenza, il latino. Le alterazioni introdotte sono state di grande momento, poiché gli adattamenti fonetici e spe- cialmente vocalici investivano la rima: sotto l'accento il siciliano ha solo cinque vocali, non conoscendo distinzione di aperte e chiuse, invece delle sette del toscano, di modo che i corrisponde non solo a i ma anche a e, u non solo a u ma anche a 6 del toscano; e nella sillaba atona finale, invece di quattro come il toscano (a, e, i, o), possiede tre soli elementi, di cui i vale come e e i del toscano. Ne consegue che le rime perfette di aviri con sirviri e di usu con amurusu ecc, tradotte dai copisti continentali in avere:ser-vire e uso:amoroso, si trasformavano in rime imperfette, tuttavia accettate dalla cultura duecentesca e ancora trecentesca, e adope-rate anche da autori sommi. Questa particolare rima imperfetta si suol chiamare «rima siciliana»: sono tali quelle di lume con nome e come nella Commedia o di voi con altrui nel Canzoniere petrarchesco; rime che sono state livellate in un senso o nell'al-tro dai gusto umanistico, originando cosi licenze di rima di cui l'esempio piu famoso e il nui (in rima con lui) del Cinque maggio. Si aggiunga senz'altro che, poiche in siciliano una parola quale amari poteva anche trovarsi in forma latineggiante e provenzaleg-giante come amori, con l'unico o ivi possibile, che e poi quello di cori, per un processo analogo a quello descritto l'italiano ammette la rima, viceversa negata alia poesia provenzale, die e 6 rispettivamente con eeo. Nei testi che seguono, tuttavia, la ritraduzione in sicilianc all'interno del verso presenterebbe singoli problemi non pas p§[ Torna alia pagina 813 Pagina 97 Pagina 98 Ultima pagina del capitolo di soluzione unica, non ě stata eseguita; la forma adottata ě la piú siciliana ehe documentino i manoscritti toscani (o, in piu rari casi, settentrionali), e volta per volta si segnalano gli elementi siciliani direttamente presenti o ricostruibili. Comunque un'idea chiara delia veste linguistica degli origináli sarä fornita dalla canzone di Stefano Protonotaro. MERAVIGLIOSAMENTE... Famosa canzonetta «firmata», secondo 1'uso di qualche provenza-le, come il grande Arnaut Daniel (la firma ě nell'ultima strofa con valore di congedo, rivolta - e 1'abitudine si ritroverá fino allo Stil Novo - al componimento stesso personificato). In essa il Notaio lancia il terna, anch'esso attivo fino allo Stil Novo, dell'a-mata dipinta nel cuore: piú che 1'applicazione psicologica alla tradizionale timidezza dell'amante, importa il motivo delPesem-plare ideále di bellezza; questo (terza strofa) ě esplicitamente assimilato a un'immagine sacra, garanzia per fede della futura visione diretta, cosa che conferma 1'origine teologica di tali luo-ghi poetici. I versi sono tutti settenari; la fronte ě divisa in due piedi iden-tici (abc), la sirma ě indivisa, con una rima uguale all'ultima dei piedi (c) detta «chiave» (ddc). Qualche ripetizione di parola col-lega la seconda stanza alla prima (porto, porti) e la quinta alla quarta (pass(o) ...guardo, guardo ...passo), secondo un artificio del manierismo medievale che si sorprende anche fuori di tale colle-gamento (il verbo parere iterato nella seconda stanza). Rime sici-liane si hanno nei w. 3-9 (da leggere sempře -ura), 30-36 (-usu), 39-45 (-ari;pare sarä 2a persona), 47-50 (se arti ě singulare), 48-54 (4ti); forme serbate in rima sono vio 22 [viu] «vedo», conoscio 44 [canusciu] rifatto sulPinfinito, singa 52 probabilmente plurále («segni») e il corrispondente linga. Siciliane sono molte altre forme, eo, meo, foco senza dittongo, zo «ciö», auro ecc. Meravigliosamente1 un amor mi distringe2 e mi tene ad ogn'ora. Com'om che pone mentě in altro exemplo3 pinge 5 la simile pintura, cosi, bella, facc'eo, che 'nfra lo core meo porto la tua figura. In cor par ch'eo vi porti, Torna alla pagina 813 Pagina 99 Pagina 100 2 paglne rimanenti nel capltolo