La bufera e altro 1940-1954 I FINISTERRE LA BUFERA les princes n'ont point d'yeux pour voir ces grand's merveilles, Leurs mains ne servent plus qu'a nous persecuter... agrippa d'aubigne, A Dieu La bufera che sgronda sulle foglie dure della jnagnolia i lunghi tuoni marzolini e la grandine, (i suoni di cristallo nel tuo nido notturno ti sorprendono, dell'oro che s'e spento sui mogani, sul taglio dei libri rilegati, bmcia ancora una grana di zucchero nel guscio delle tue palpebre) il lampo che candisce alberi e muri e li sorprende in quella eternita d'istante - marmo manna e distruzione - ch'entro te scolpita porti per tua condanna e che ti lega piu che ramore a me, strana sorella, - e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere dei tamburelli sulla fossa fuia, lo scalpicciare del fandango, e sopra qualche gesto che annaspa... Come quando ti rivolgesti e con la mano, sgpmbra la fronte dalla nube dei capelli, —> To ft c o mi salutasti - per entrar nel buio. •k* bufera Parte prima ■ Finisterre I LUNGOMARE II soííio cresce, il buio ě rotto a squarci, e ľombra che tu mandi sulla fragile palizzata s'arriccia. Troppo tardi se vuoi esser te stessa! Dalla palma tonfa il sorcio, il baleno e sulla miccia, sui lunghissimi cigU del tuo sguardo. SU UNA LETTERA NON SCRITTA Per un formicolio ďalbe, per pochi fili su cui s'impigli il fiocco delia vita e s'incollani in ore e in anni, oggi i delfíni a coppie capriolano coi figli? Oh ch'io non oda nulla di te, ch'io fugga dal bagliore dei tuoi cigli. Ben altro ě sulla terra. Sparir non so né riaffacciarmi; tarda la fucina vermiglia delia notte, la sera si fa lunga, la preghiera ě supplizio e non ancora tra le rocce ehe sorgono t'e giunta la bottiglia dal mare. L'onda, vuota, si rompe sulla punta, a Finisterre. !00 La buf era NEL SONNO II canto delle strigí,quando un'iride con intermessr palpi ti si stinge, i gemiti e i sospiri di gioventú, ľerrore che recinge le tempie e il vago orror dei cedri smossi dalľurto delia notte - tutto questo puö ritornarmi, traboccar dai fossi, rompere dai condotti, farmi desto alia tua voce. Punge il suono ďuna giga crudele, 1'avversario chiude ^-la celata sul viso. Entra la luna * ďimaranto nei chiusi occhi, ě una nube ls> che gonfia; e quando il sonno la trasporta piú in fondo, e ancora sangue oltre la morte. SEKENATA INDIANA % pur nostro il disíarsi delle sere. E per noi ě la stria che dal mare sale al parco e feúsce gli aloe. Puoi condurmi per mano, se tu fingi di ciedeiú con me, se ho la follia di següitti lontano e ciö che stúngi, ciö che dici, m'appare in tuo potere. Fosse tua vita quella ehe mi tiene sulle soglie ^e potrei prestartijinjvqitS, vaneggiarti figujaT] Ma non ě, non e cosi. II polipo che insinua tentacoli ďinchiostro tra gli scogli pub servirsi di te. Tu gli appartieni e non k sai. Sei lui, ti credi te. Ii 2 La buf, era GLI ORECCHINI 1 ■"1 Non serba ombra di voli il nerofumo della spera. (E del tuo noň~ě piú třaccia) Ě passata la spugna che i barluhiP r indifesi_dal cerchio ďoro scaccia. 'Letue pietre, i coralli, il forte imperio c che ti rapisce vi cercavo; fuggo - g[. l'iddia che non s'incarna, i desideri porto fin che al tuo lampo non si struggonp. Ronzano ělitre fuori, ronza il folie -mortorio e sa che due vite non contano. \ Nella cornice tornano le/molli / meduse della sera. La tua impronta verrá di giíi: dove ai tuoi lobi squallide mani, travolte, fermano i coralli. Parte prim . Finisterre La frangia dei capelli... La frangia dei capelli che ti vela hTEöntelnierfle, tu distrarla con la mano non devi. Anch'essa parla di te, sulla mia strada e tutto il cielo, la sola luce con le giade ch'äi accerchiate sul polso, nel tumulto dei sonno la cortina che gl'indulti tuoi distendono, l'ala onde tu vai, trasmigratrice Artemide ed illesa, tra le guerre dei nati-morti; e s'ora d'aeree lanugini s'infiora quel fondo, a marezzarlo sei tu, scesa dun balzo, e irrequieta la tua fronte si confonde con l'alba, la nasconde. La bufera parte Vrima FINESTRA FIESOLANA Qui clove il grillo insidioso buca i vestiti di seta vegetale e l'odor della canfora non fuga le tarme che sfarinano nei libri, l'uccellino s'arrampica a spirale su per l'olmo ed il sole tra le frappe cupo invischia. Altra luce che non colma, altre vampe, o mie edere scarlatte. II GIGLIO ROSSO ^in--diventW Mlava la pescaia tra gh stacci dei renaioli, a tufio s'inforravano ludde talpe nelle canne, torn, gonfaloni vincevano la pioggia, e il trapianto felice al nuovo sole, te inconscia si compi); il giglio rosso gia sacrificato sulle lontane erode ai vischi che la sciarpa ti tempestano d'un gelo incorruttibile e le mani, - fiore di fosso che ti s'aprira sugli argini solenni ove il bruslo del tempo piu non affatica...: a scuotere larpa celeste, a far la morte arnica. bufera IL VENTAGLIO Ut pictura... Le labbra che confondono, gli sguardi, i segni, i giorni ormai caduti provo a figgerli lä come in un tondo di cannocchiale arrovesciato, muti e immoti, ma piü vivi. Era una giostra d'uomini e ordegni in fuga tra quel fumo ch'Euro batteva, e giä l'alba l'inostra con un sussulto e rompe quelle brume. Luce la madreperla, la calanca vertiginosa inghiotte ancora vittime, ma le tue piume sulle guance sbiancano e il giorno e forse salvo. O colpi fitti, quando ti schiudi, o crudi lampi, o serosa sull'orde! (Muore chi ti riconosce?). PERSONAE SEPARATAE r me la scaglia d'oro che si spicca ÄoLroeliquefattacola nel corridoio dei carrubi^ ormai ischeletriti, cosi pure noi persone separate per lo sguardo d'un altro? £ poca cosa la parola, poca cosa lo spazio in questi crudi noviluni annebbiati: ciö che manca, e che ci torce il cuore e qui m'attarda tra gli alberi, ad attenderti, e un perduto senso, o il fuoco, se vuoi, che a terra stamp figure parallele, ombre concordi, aste di un sol quadrante i nuovi tronchi radül:e e colmi ^che le cave SKiM*formiche-Troppo « voce Uman°' tr°pP° sorda ios^ocirrK-tropp° ansios° §l0^hi di LnnT- 10cca sui nevati P.aSs6 di qui IT' La tUa for^a c3 le nai *a e lp0s6 riano si sciolse gla «motta. PlÜ che al giorno 208 La bufera '^F" . Filter* ft L'ARCA J La tempesta di primavera ha sconvolto l'ombrello del salice, al turbine d'aprile----^ s'e impigliato nel&>rWil vello d'oro : che nasconde i miei morti, i miei cani fidati, le mie vecchie serve - quanti da allora (quando il salce era biondo e io ne stroncavo le anella conlajjopda) son calati, tOvivi, nel trabocchetto. La tempesta certo li riunira sotto quel tetto di prima, ma lontano. pju lontano , , di qu^taj;erra folgorata dove bollono calce e sangue nell'imprpnta L del piede umano. Fuma U'raiftarolo in cucina, un suo tondo di rifiessi accentra i volti ossuti, i musi aguzzi e li protegge in fondo la jnajmoHay se un soffio ve la getta. Ea THfipesta primaverile scuote^d'un latrato di fedelta la miaf area, o perduti. GIORNO E NOTTE M„ma che vola pu6 disegnare Til raggio che gioca a rimp— a?:Si, il rimando dello specchio I u„ bambino, dai tetti. Sul giro delle mura strasdchi di vapore prolungano le guglie dei pioppi e giu sul trespolo s'arruffa il pappagallo dell'arrotino. Pci la notte afosa sulla piazzola, e i passi, e sempre questa dura fatica di affondare per risorgere eguali ^ scroll 0 da istanti, d'incubi che non possono ntmvare la luce dei tuoi occhi nell'antro eTf3trice C Pen8hOSa S1 destano i rU- TP La bufera Parte prima IL TUO VOLO ^Se^ap^ari^Huoco (pendono sul tuo cluffoeti stellano gli amuleti) due luci ti contendono al borro ch'entra sotto la volta degli spini. La veste e in brani, i frutici calpesti rifavillano e la gonfia peschiera dei girini umani s'apre ai solchi della notte. Oh non turbar l'immondo vivagno, lascia intorno le cataste brucianti, il fumo forte sui superstiti! Se rompi il fuofa (biondo cWre^\apem sulla ruga che tenera ha abbandonato il cielo) come potra la mano delle sete e delle gemme ritrovar tra i morti il suo fedele? A MIA MADRE , mro delie coturnici ftfii- tno eT?r liceschiera in fuga verso i chvi ^Su^iu-lr^ria, se tu cedi come un'ombra la spoglia (e non e un ombra, o gentile, non e cio che tu credi) chi ti proteggera? La strada sgombra non e una via, solo due mani. un volto, quelle mani^ quel volto, il gesto d'una vita che non e un'altra ma se stessa, solo questo ti pone nell'eliso olto d'anime e voci in cui tu vivi; ^Vrf2 t tU l3SCi h anch'essa ^°iH2- all'ombra delle croci. II DOPO MADRIGALI FIORENTINI 11 settembre 1943 Suggella, Herma, con nastri e ceralacca la speranza che vana si svela, appena schiusa ai tuoi mattini. Sul muro dove si leggeva morte a baffo buco passano una mano di biacca. Un vagabondo di lassu sciogHe manifestini sulla corte annuvolata. E il rombo s'allontana. ii 11 agosto 1944 Un Bedlington s'affaccia, pecorella azzurra, al tremolio di quei tronconi - Trinity Bridge - nelTacqua. Se s'infognano come topi di chiavica i padroni d'ieri (di sempre?), i colpi che martellano le tue tempie fin 11, nella corsia del paradiso, sono il gong che ancora ti rivuole fra noi, sorella mia. La bufera Parte seconda - Dopa DA UNA TORRE Ho visto il merlo acquaiolo spiccarsi dal parafulmine: al volo orgoglioso, a un gruppetto di flauto l'ho conosciuto. Ho visto il festoso e orecchiuto Piquillo scattar dalla tomba e a stratti, da urťumida tromba di scale, raggiungere il tetto. Ho visto nei vetři a colori filtrare un paese di scheletri da fiori di bifore - e un labbrc di sangue farsi piú muto. BALLATA SCRITTA IN UNA CLINICA Nel solco dell'emergenza: quando si sciolse oltremonte la folie cometa agostana nell'aria ancora šeřena - ma buio, P%noi, e terrore e crolli dijiltaríe_e di ponti su noi come Giona sepolti nel ventre della balena - ed io mi volsi e/lo specchio —7di mei)iů non era lo stesso perché la gola ed il petto ťavevano chiuso di colpo in un manichino di gesso. Nei cavo delle tue orbitě brillavano lenti di lacrime piú spesse di questi tuoi grossi occhiali di tartaruga che a notte ti tolgo e awicino alle fiale della morfina. L'j^djo jaurjnp non era u nostro, ma il Dio che colora * fuoco i gigli del fosso: -fjSls. invocai e la fuga ael mostro cornuto travolse 1'ultimo orgoglio anche il cuore kantáto dalla tua tosse. La buf era Attendo un cenno, se ě prossima III ľora del ratto finale: tmTERMEZZO son pronto e la penitenza s'inizia fin d'ora nel cupo singulto di valli e dirupi dell'altra Emergenza. Hai messo sul comodino il bulldog di legno, la sveglia col fosforo sulle lancette che spande un tenue lucore sul tuo dormiveglia, il nulla che basta a chi vuole forzare la porta stretta; e fuori, rossa, s'inasta, si spiega sul bianco una croce. Con te anch'io m'affaccio alia voce che irrompe nelľalba, all'enorme presenza dei morti; e poi ľululo del cane di legno ě il mio, muto. DUE NEL CREPUSCOLO Fluisce fra te e me sul belvedere un chiaro^ejubacc^ deforma col profiTodeTcoíli anche il tuo viso. Sta in un fondo sfuggevole, reciso da te ogni gesto tuo; entra senz'orma, e sparisce, nel mezzo che ricolma ogni solco e si chiude sul tuo passo: con me tu qui, dentro quest'aria scesa a sigillare il torpore dei massi. Ed io riverso nel potere che grava attorno, cedo al sortilegio di non riconoscere di me piů nulla fuor di me: s'io levo appena il braccio, mi si fa diverso l'atto, si spezza su un cristallo, ignota e impallidita sua memoria, e il gesto giä piü non m'appartiene; se parlo, ascolto quella voce attonito, scendere alia sua gamma piu remota 0 spenta all'aria che non la sos tiene. Tale nel punto che resiste alľultima consunzione del giorno .ura lo smarrimento; poi un soffio bolieva le valli in un frenetico moto e deriva dalle fronde un tinnulo suono che si disperde ra rapide fumate e i primi lumi ^egnano gti scali. 1 U bufera tra noi leggere cado^ T m un molle riverbero N 8Uardo se ticonosco; so che mai°H-S° hi da te come accadeTn n S° ntorno. Pochi istanti LT? tardo .tutto di noi: fuorche^roltirHCiat0 di un sorriso. - Parte terza - Intermezzo 223 + DOV'ERA IL TENNIS... rWera una volta il tennis, nel piccolo rettangolo di-S dalla massicciata su cui dominano i pirn selvatici, cresce ora la gramigna e raspano i conigh nelle ore di libera uscita. < Qui vennero un giorno a giocare due sorelle, due bianche farfalle, nelle prime ore del pomeriggio. Verso levante la vista era (b ancora) libera e le umide rocce del Corone maturano sempre l'uva forte per lo 'sciac-chetra'.Tfi curioso pensare che ognuno di noi ha un paese come questo, e sia pur diversissimo, che dovra restare il suo paesaggio, immutabile; e curioso che l'ordine fisico sia cosi lento a filtrare in noi e poi cosi impossibile a scancellarsi.JMa quanto al resto? A conti fatti, chiedersi il come"e il perche della partita inter-rotta e come chiederselo della nubecola di vapore che esce dal cargo arrembato, laggiu sulla linea della Pal-raaria. Fra poco s'accenderanno nel golfo le prime la7are- ortkiqM&t? ^^^DJbnflfct intorno, a distesa d'occhio, l'iniquita degli oggetti Persiste intangibile. La grotta incrostata di conchiglie evessere rimasta la stessa nel giardino delle piante sse sotto il tennis; ma il parente maniaco non verra irr" * f°to8rafare al lampo di magnesio il fiore unico, una • SOrt° Su un cacto sPmoso e destinato a CaniVslta di P°chi istanti. Anche le ville dei sudameri-prontlSem^rano chiuse. Non sempre ci furono eredi sieme a3 pidare ^a lussuosa paccottiglia messa in-da de}3 SU°n di.pesos ° di miheis. O forse la saraban-qui siarnU0Vi giunti se8na H Passo m altre contrade: 0 Perfettamente defilati, fuori tiro. Si direbbe 225 224 La bufera che la vita non possa accendervisi che pasca solo di quanto s'accumula inerte e * Iampi na in queste zone abbandonate. c%te. 'Del salön en el ängulo oscuro - silencios ta de polvo - veiase el arpa...'. Eh si, il m " y Cubier-impressionante se si potesse scoperchiare Y*° ****** del Liberty. Sul conchiglione-terrazzo sosten^r?4*0 Nettuno gigante, ora scrostato, nessuno apparve'* dopo la sconfjtta elettorale e il decesso del Leone 2 Callao; ma lä, sull'esorbitante bovindo affrescato di peri meli e serpenti da paradiso terrestre, pensö inva-no la signora Paquita buonanima di produrre la sua serena vecchiaia confortata di truffatissimi agi e del sorriso della posteritä. Vennero un giorno i mariti delle figlie, i generi brazileiri e gettata la maschera fecero man bassa su quel ben di Dio. Della duena e degli altri non si seppe piü nulla. Uno dei discendenti ri-spuntö poi fuori in una delle ultime guerre e fece miracoli. Ma allpra si era giunti si e no ai tempi del-Pinno tripolino. Questi oggetti, queste cass. erano an-cora nel circolo vitale, fin ch'esso durö/rochi sentiro-no dapprima che il Jreddo stava per giungere; e tra questi forse mio padre che anche nel piü caldo giorno d'agosto, finita la cena all'aperto, piena di fa]e?e^ -d'altri insetti, dopo essersi buttato sulle spaue scialle di lana, ripetendo sempre in francese, chiss che, « il fait bien froid, bien froid », si «orav8^oUI in camera per finir di fumarsi a letto Ü sU0 da sette centesimi. Parte terza . Intermezzo VISITA A FADIN yo^fc ^ £ SE Tg-Hn breve dove il malato ^«tZSttJ^. suli* bakonata degli m-nonSiattendev di^ ^ ^ ^ e parve . -----n: —Hooimi rasi da po- passata curabili stesi al sole. mi " . . ' Z» Aveva sempře i capelli cortissimi, . sorpreso. n ^ ^ gh occhl sorpreso. co, il viso piů scavato---- bellissimi, come prima, ma dissolti m un alone piu profondo. Giungevo senza preavviso, e in giorno mde-bito: neppure la sua Carlina, 'ľangelo musicante', po-teva esser la. II mare, in basso, era vuoto, e sulla costa apparivano sparse Je architetture di marzapane degli arricchiti. Ultima sosta del viaggio: alcuni dei tuoi compagni wasionali (operai, commessi, parrucchieri) ti avevano Papreceduto alia chetichella, sparendo dai loro lettuc- KJSľniJ.pacdu di libri>11 avevi messi Posto Hol ♦ • .r ^ U1 > " avevi messi cl ue *n* dirlo. aecce7i™0 j------«—t~. vcuni non ruor di ed* ora ;;;;:riun volumetto * ^ ^ presi ora testera mn ------- poesie che Presl dirlo COme ind°vinammo tutti e I*! era se^Pre vissutcľľn °a Ci « ľeín2ÍOSo- Exit Fadľn V°d<\uman°> cioě 5W dlre s°lo che sei , ; 0ra dlre che non K '^S-ftJ # Un aSSUm° * cui ignoriamo il significato. (Anch'essa, dun be bisogno di noi? Se e una bestemmia, ahhtf neppure la nostra peggiore). ,n°nfc Essere sempre tra i primi^e sapere, ecco cjo che ta, anche se il perche dellairappresentazione^j ^ Chi ha avuto da te quest'alta lez!one~^aT~3i^j^ tidiana (la piu difficile delle virtu) puo attendere senz fretta il libro delle tue reliquie. La tua parola non«j forse di quelle che si scrivono. .fl.AS«ES b VERSO SIENA Ohimě che la memoria sulla vetta non ha chi la trattenga! (La fuga dei porcelli sull'Ambretta notturna al sobbalzare della macchina che guada, il carillon di San Gusmě e una luna maggenga, tutta macchie...). Lascatola a sorpresa ha fatto scatto sul punto in cui il mio Diojgittó la rnaschera, e fulmino il ribelle. 50 La bufera parte quart" . 'flashes' dediche 231 SULLA GREVE Ora non ceno solo con lo sguardo come quando al mio fischio ti sporgevi e ti vedevo appena. Un masso, un solco a imbuto, il volo nero d'una rondine, un coperchio sul mondo... E m'e pane quel boccio di velluto che s'apre su un glissato di mandolino, acqua il friiscio scorrente, il tuo profondo respiro vino. LA TROTA NERA Reading Curvi sull'acqua serale graduati in Economia, Dottori in Divinitá, la trota annusa e va via, il suo balenio di carbonchio ě un ricciolo tuo che si sfa nel bagno, un sospiro che sale dagli ipogei del tuo ufficio. 232 La bufera DI UN NATALE METROPOLITAN londn Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo di fede e di pruina sul tuo lavandino e sullo specchio ovale ch'ora adombrano i tuoi ricci bergere fra santini e ritratti di ragazzi infilati un po' alia svelta nella cornice, una caraffa vuota, bicchierini di cenere e di bucce, le luci di Mayfair, poi a un crocicchio le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi, non piu guerra ne pace, il tardo frullo di un piccione incapace di seguirti sui gradini automatici che ti slittano in giu- LASCIANDO UN 'DOVE' Cattedrale Una colomba bianca m'ha disceso fra stele, sotto cuspidi dove il cielo s'annidi Albe e luci, sospese; ho amato il sole, il colore del miele, or chiedo il bruno, chiedo il fuoco che cova, questa tomba che non vola, il tuo sguardo che la sfida. La bufera ARGYLL TOUR Glasgow Tffte 4«arta •Bashes' dediche 235 VENTO SULLA MEZZALUNA Edimburgo I bimbi sotto il cedro, funghi o mufie vivi dopo l'acquata, il puled rino in gabbia con la scritta 'mordace', nafta a nubi, sospese sui canali murati, fumate di gabbiani, odor di sego e di datteri, il mugghio del barcone, catene che s'allentano - ma le tue le ignoravo -, sulla scia salti di tonni, sonno, lunghe strida di sorci, oscene risa, anzi che tu apparissi al tuo schiavo... II grande ponte non portava a te. T'avrei raggiunta anche navigando nelle chiaviche, a un tuo comando. Ma giá le forze, col sole sui cristalli delle verandě, andavano stremandosi. L'uomo che predicava sul Crescente mi chiese « Sai dov e Dio? ». Lo sapevo e glielo dissi. Scosse il capo. Sparve ^ turbině che prese uomini e case elisollev6inalto, sulla pece. La bufera SULLA COLONNA PIU ALTA Moschea di Ľamssco Dovrä posarsi lassu il Cristo giustiziere per dire la sua parola. Tra il pietrisco dei sette greti, insieme s'umilieranno corvi e capinere, ortiche e girasoli. Parte auarta . • Flashes' dediche VERSO FINISTERE Col bramire dei červi nella piova d'Armor ľarco del tuo ciglio s'ě spento al primo buio per filtrare poi sulľintonaco albale dove prillano ruote di cicli, fusi, razzi, frange ďalberi scossi. Forse non ho altra prova ehe Dio mi vede e che le tue pupille ďacquamarina guardano per lui. Ma in quel crepuscolo eri tu sul vertice: scura, 1'ali ingrommate, stronche dai geli deU'Antilibano; e ancora il tuo lampo mutava in vischio i neri diademi degli sterpi, la Colonna sillabava la Legge per te sola. 238 La bufera SUL LLOBREGAT Dal verde immarcescibile deUa canfora due note, un intervallo di tem maggiore II cucco non la civetta, ti dissi; ma intanto, di scatto tu aveví spinto 1'acceleratore parte 1«arta 'Flashes' e dediche DAL TŘENO Le tortore colore solferino sono a Sesto Calende per la prima volta a memoria ďuomo. Cosi annunziano i giornali. Aífacciato al finestrino, invano le ho cercate. Un tuo collare, ma ďaltra tinta, si, piegava in vetta un giunco e si sgranava. Per me solo baleno, cadde m uno stagno. E il suo volo di fuoco nťaccecó sull'altro. La bufera SIRIA Dicevano gji antichi che la poesia ě scala a Dio. Forse non ě cosi se mi leggi. Ma il giorno io lo seppi che ritrovai per te la voce, sciolto in un gregge di nuvoli e di capre dirompenti da un greppo a brucar bave di pruno e di falasco, e i volti scarni della luna e del sole si fondevano, il motore era guasto ed una freccia di sangue su un macigno segnalava la via di Aleppo. quarta clashes' e dediche LUCE D'INVERNO Quando scesi dal ciele di Palmira su palme nane e propilei canditi e un'unghiata alia gola m'avverti che mi avresti rapito, quando scesi dal cielo delľAcropoli e incontrai, a chilometri, cavagni di polpi e di murene (la sega di quei denti sul cuore rattrappito!), quando lasciai le cime delle aurore disumane pel gelido museo niľvľľ 6 SCarabeÍ (tU Stavi í lta) e confrontai la pomice 242 La bufera PER UN 'OMAGGIO A RIMBAUD" Tardi uscita dal bozzolo, mirabile farfalla che disfiori da una cattedra l'esule di Charleville, oh non seguirlo nel suo rapinoso volo di starna, non lasciar cadere piume stroncate, foglie di gardenia • sul nero ghiaccio delľasfalto! II volo tuo sarä piú terribile se alzato da quest'ali di polline e di seta nell'alone scarlatto in cui tu credi, figlia del sole, serva del suo primo pensiero e ormai padrona sua lassu... INCANTESIMO Oh resta chiusa e libera nell'isole del tuo pensiero e del mio, nella fiamma leggera che t'avvolge e che non seppi prima d'incontrare Diotima, colei che tan to ti rassomigliava! In lei vibra piú forte l'amorosa cicala sul ciliegio del tuo giardino. Intorno il mondo stinge; incandescente, nella lava che porta in Galilea il tuo amore profano, attendi V discoprire quel velo che t'ha tdanzata al tuo Dio . ora un giorno v SILVAE IRIDE a fumo d'un infuso di papaveri e il Volto insanguinato sul sudario che mi divide da te; questo e poco altro (se poco e un tuo segno, un ammicco, nella lotta che me sospinge in un ossario, spalle al muro, dove zaffiri celesti e palmizi e cicogne su una zampa non chiudono Fatroce vista al povero Nestoiianp smarrito); e quanta di te giunge dal nauf ragio Ue mie genti, delle tue, or che un fuoco gelo porta alia memoria il suolo 5e tuo e che non vedesti; e altro rosario se nl "a non ho> "on altra vampa tCLqIlta> di resina e di bacche, *** 1 non e simile al tuo, sonnglia al bei soriano 'UCcell° mosca suU'alloro; eguali se t'avventuri 248 La bufera parte quinta Silvae fuor deH'ombra del sicomoro o b forse quella maschera sul drappo bian queH'effigie di porpora che t'ha guidata? C°' Perche l'opera tua (che della Sua_ e una forma) fiorisse in altre luci Iri del Canaan ti dileguasti in quel nimbo di vischi e pugnitopi che il tuo cuore conduce nella notte del mondo, oltre il miraggio dei fiori del deserto, tuoi germani. Se appari, qui mi riporti, sotto la pergola di viti spoglie, accanto all'imbarcadero _del nostro fiume - e il burchio non torna indietro, ^il sole di San Martino si stempera, neroT^ Ma se ritorni non sei tu, e mutata la tua storia terrena, non attendi al traghetto la prua, non hai sguardi, ne ieri ne domani; perche l'opera Sm (the nella tua si trasforma) dev'esser continuata. KELLA SERRA S'empi d'uno zampettlo di talpe la limonata brillö in un rosario di caute gocce la falce fienaia. S'accese sui pomi cotogni, un punto, una cocciniglia, si udl inalberarsi alla striglia il poney - e poi vinse il sogno. Rapito e leggero ero intriso di te, la tua forma era il mio respiro nascosto, il tuo viso nel mio si fondeva, e l'oscuro pensiero di Dio discendeva sui pochi viventi, tra suoni ,i e,infantil! jarnburi 6 810151 s°spesi di fulmini su »e, su te, sui limoni... La bufera 251 Q' NEL PARCO Nell'ombra della magnolia che sempre piü si restringe, a un soffio di cerbottana la freccia mi sfiora e si perde. Pareva una foglia caduta dal pioppo che a un colpo di vento si stinge - e fors'era una mano scorrente da lungi tra il verde. Un riso che non m'appartiene trapassa da fronde canute fino al mio petto, lo scuote un trillo che punge le vene, e rido con te sulla ruota deforme dell'ombra, mi allungo disfatto di me sulle ossute radici che sporgono e pungo con tili di paglia il tuo viso... jyORTO Io non so, messaggera £rÄrforse),senelchiuso deimeli lazzeruoli ove sl lagnano i lul nidaci, estenuanti a sera, io non so se nell'orto dove le ghiande piovono e oltre il muro si sfioccano, aerine, le ghirlande dei carpini che accennano lo spumoso confine dei marosi, una vela tra corone di scogli sommersi e nerocupi o piü lucenti della prima Stella che trapela - io non so se il tuo piede attutito, il cieco incubo onde cresco alia motte dal giorno che ti vidi, 10 n?n so se il tuo passo che fa pulsar le vene «sayvicina in questo intrico, Prim! uChe mi C0lse un>altra ^tate ^ che una folata ^^sCsTn° Ü picco irto del Mesco ' k Ste«a che ZT ^ ml Sfi0ta la SPa% SuUa cele^r tempo d'^i nid fp0ndeva a gemiti 0ta dell lc sul mondo, 252 ú? La buf, era ľora ehe tu leggevi chlara come in u Jggendo il duro sguardo di cristallo ° 0 bene in fondo, la do ve aer i tendine di fuliggine alzandosi su lampi di officine celavano alla vista ľopera di Vulcano, il di delľlra che piú volte il gallo annunció agli spergiuri, non ti divise, anima indivisa, dal supplizio inumano, non ti fuse nella caldana, cuore ďametista. O labbri muti, aridi dal lungo viaggio per il sentiero fatto ďaria che vi sostenne, o membra che distinguo a stento dalle mie, o diti che smorzano la sete dei morenti e i vivi infocano, o intento che hai creato fuor della tua misura le sfére dei quadrante e che ti espandi in tempo ďuomo, in spazio ďuomo, in di démoni incarnati, in fronti ďangiole precipitate a volo... Se la forza che guida il disco di giä inciso fosse jun'altra, certo il tuo destino al mio congiunto mostrerebbe un solco solo. fúrie parte quinta . Silvae PRODÁ DI VERSILIA • • fflorti&e prego perché preghino ^ľePľrmieivivi com'io invoco per \ non resurrezione ma pet essi non resu h>ebbero il čomusi di queua vuit «• JZxtA e inesplicabde, loggi ffi discelno dagli Mtaontí ,apem mischiadVgue^.da schiude finestre ai raggi deUa sera, - sejjirixeT-^_, piú rar0>^Ärelestfale, un(cutgr)> lObianco-alato li posa sulla rena^T^ u^ \-CQ& oíd ^Btoli di zinnie tinte ad artificio "^G^ry^ & (nonne dal duro sôggolo le annaffiano, ^O^J&^v^N 1 chiuse lo sguardo a chi di fuorivia ^A/¥ií^^jaf' non cede alle impietose loro mani g S? suo male), cortili di sterpaglie incanutite dove se entra un gatto ~ frate gli vietano ; rifiud Tdľ0Sv macerie e Piatte al^ne ^^Ta^ un °ndulato al sol L ^ 6 °mbrelle aPe"« 8H 2*T:J*hhi* ^ non nutre selvatj i. o*1 lUco il c "uanz lC0> D fico e ľeucalipto. Wr,, 'f se abbandonati-ľ6 br^e U dfC S£ dÍSteso -tto' 254 La buf, era ďangolo, accanto alla cucina anc j Q nottetempo o nel cuore duna sie? di cicale, abbagliante nel mi0 sonnao travedevo oltre il muro, al lavandino care ombre massaggiare lemurene ' per respingerne in coda, e poi reciderle le špine; a quel perenne alto stormire ' altri perduti con rastrelli e forbici lasciavano il vivaio dei fusti nani per i sempreverdi bruciati e le cavane avide d'acqua. Anni di scogli e di orizzonti stretú P a custodire vit^ s°rriso h •ta riflessi>~??mafCCÍOSa Wve 1 del pesco3' 6 fattl sanšue e, c°n essi il tu, 0 su me scesero ly> arti í come or a. 256 La buj, era LA PRIMAVERA HITLERIANA Né quella ch'a veder lo sol si Dante (?) a Giovanni Qutt Folta la nuvola bianca delle falene imrjazzite turbina intorno agli scialbi fahali "e sullespallette, stende a terra una coltre su cui scricchia come su zucchero il piede; l'estate imminente sprigiona ora il gelo notturno che capiva nelle cave segrete della stagione morta, negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai. Da pocoisul corso é passato a volo un messo infernale tra un alalä di scherani, un golfo mistico acceso e pavešato di croci a uncino ľha preso e inghiottito, si sono chiuse le vetrine, povere e inoffensive benché armate anch'esse di cannoni e giocattoli di guerra, ha sprangato il beccaio che infiorava di bacche il muso dei capretti uccisi, ^ la sagra dei miti carnefici che ancora ignoratio s'e tramutata in un sozzo trescone d'ali sc-v^ di larve sulle golene, e ľacqua séguita a r le sponde e piů nessuno ě incolpevole. Tutto per nulla, dunque? - e le candele g romane, a San Giovanni, che sbiancayano ľorizzonfe, ed i pegni e i lunghi addii forti come un battesimo nella lugubre f"6^ dell'orda (ma una gemma rigö l'aria stiHan sui ghiacci e le riviere dei tuoi Hdi :„ta . Silvae. y ,r j fino a che il cieco sole che in te porti si abbácini nelľAltro e si distrugga in Lui, per tutti. Forse le siréne, i rintocehi che salutano i mosrri nella sera della loro tregenda, si confondono giä colsuono che slegato dal cielo, scende, vince -ol resD.ro di un'alba che domani oer u saunu mc aicgaiu uíu ik-iu, o respiro di un'alba che domani si riaffacci, bianca ma senz'ali raccapriccio, ai greti arsi del sud... per tutti di s hufcrj VOCE GIUNTA CON LE FOLAGHE Poiche la via percorsa, se mi volgo, e piü lunga del sentiero da capre che mi porta dove ci scioglieremo come cera, cd i Eiiunchi fioriti non leniscono il cuorc 'raa le^ejmene, il sangue dei cimiteri, "eccoti fuor dal buio , che ti teneva, padre, erto ai barbagli, senza scialle e berretto. al sordo fremito che annunciava nell'alba chiatte di minatori dal gran carico semisommerse, here sull'onde alte. L'ombra che mi accompagna alla tua tomba, vigile, e posa sopra un'erma ed ha uno scarto altero della fronte che le schiara gli occhi ardenti ed i duri sopraccigli da un suo biocco infantile, l'ombra nöh ha piü peso della tua da tanto seppellita, i primi raggi del giorno la trafiggono, farfalle vivaci l'attraversano, la sfiora la sensitiva e non si rattrappisce. L'ombra fidata e il muto che risorge, quella che scorporö l'interno fuoco e colui che lunghi anni d'oltretempo (anni per me pesante) disincarnano, si scambiano parole che interito sul margine io non odo; l'una forse Parte <*» ■ SilVaC .^erä la form* in cui bruciava 1Ai Chi la mosse e non dl se, ;:°;äto sbigottisce e teme che Tlarva di memoria in CUI si scalda ai suoi 6gli si spenga al nuovo balzo. _ Ho pensato per te, ho ricordato per tutü. Ora ritorni al cielo libero che ti tramuta. A^ra questa rupe ti tenta? Si, la Sättima e la stessa di sempre, il mare che ti univa ai miei Iidi da prima che io avessi l'ali, non si dissolve. Io le rammento quelle mie prode e pur son giunta_con le folaghe a distaccarti dalle tue^JemoriaV ^=r~ non e peccato fin che^giovaZJööpo e ietargo di talpe, abjezione ^kfanghiscc suse... - — cf°nde l'0mbra yi 11 del g^no "luttante ' . 1 aItra ancora u. c in un mezzo che respinge le mie mani, e il respiro mi si romi nel punto dilatato, nella Jossa W>>fcN che citconda lo scatto delj^ordp. ( Cos\ si svela prima di legarsi a immagini, a parole, oscuro senso reminiscente, il vuoto inabitato *e occupammo e che attende fin ch'e tempo /■ ^colmarsi di noi, di ritrovard... La bufera Varte 4*"ta S'Hvae 261 Ľombra della magnolia... L'ombra della magnolia giapponese si sfoltisce or che i bocci paonazzi sono caduti. Vibra intermittente in vetta una cicala. Non ě piů il tempo delľunisono vocale, Clizia, il tempo del nume illimitato ehe divora e rinsangua i suoi fedeli. Spendersi era piü facile, morire al primo batter d'ale, al primo incontro col nemico, un trastullo. Comincia ora la via piü dura: ma non te consunta dal sole e radicata, e pure morbida cesena che sorvoli alta le fredde banchine del tuo fiume, - non te fragile fuggitiva cui zenit nadir cancro capricorno rimasero indistinti perché la guerra fosse in te e in chi adora su te le stimme del tuo Sposo^flette il brivido del gelo... Gli altri arretrano e piegano. La lima che sottile incide tacerä, la vuota scorza di chi cantava sarä presto polvere di vetro sotto i piedi, ľombra ě livida, - ě ľautunno, ě ľinverno, ě ľoltrecielo che ti conduce e in cui mi getto, cěfalo saltato in secco al novilunio. Addio. IL GALLO CEDRONE tVbbatti dopo il breve spare STtua voce ribolle, rossonero anchlo riparo, brucio anch 10 nel fosso. Chiede aiuto il singultoJEra piíi dolce vivere ehe affondare in questo magma, piů facile disfarsi al vento ehe i y p. qui nel limo, incrostati sulla fiamma.j ormroj^^, Sento nel petto la tua piaga, sotto un grumo d'ala; il mio pesante volo tenta un muro e di noi solo rimane qualche piuma sulľilice brinata. Zuffe di rostri, amori, nidi d'uova deCr6' dÍVÍne! °ra la §em™ Scľľľ ^ C°me U 262 La bufera L'ANGUILLA L'anguilla, la sirena dei mari freddi che lascia il Baltico per giungere ai nostri mari, ai nostri estuari, ai fiumi che risale in profondo, sotto la piena avversa, di ramo in ramo e poi di capello in capello, assottigliati, sempre piu addentro, sempre piu nel cuore del macigno, filtrando tra gorielli di melma finche un giorno una luce scoccata dai castagni ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta, nei fossi che declinano dai balzi d'Appennino alia Romagna; l'anguilla, torcia, frusta, freccia d'Amore in terra che solo i nostri botri o i disseccati ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di recondazione; l'anima verde che cerca vita la dove solo morde l'arsura e la desolazione, la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito; l'iride breve, gemella di quella che incastonano i tuoi cjgU ___ e fai brillare intatta in mezzo ai fig11 . . dell'uomo, immersi nel tuo fango, Pu01 non crederla sorella? So che un raggio di sole (di Dio?) ancora puö incarnarsi se ai piedi della statua di Lucrezia (una sera ella si scosse, palpebrö) getti il vol to contro il mio. Qui nell'androne come sui trifogli; qui sulle scale come la nel palco; sempre nelľombra: perché se tu sciogli quel buio la mia rondine sia il falco. 266 La bufera 267 Hai dato il mio nome a un albero> Nnn ž. „ • i c POCO' pure non mi rassegno a restar ombra, o tronco di un abbandono nel suburbio. Io il tuo ľho dato a un fiume, a un lungo incendio, al crud gioco delia mia sorte, alla fiducia sovrumana con cui parlasti al rospo uscito dalla fogna, senza orrore o pieta o tripudio, al respiro di quel forte e morbido tuo labbro che rjesce, nominandOj^a^cj^are^ rospo fiore erba scoglio - queřcíá pronta a spiegarsi su di noi quando la pioggia spollina i carnosi petali del trifoglio e il fuoco cresce. Se ťbanno assomigliato. Se t'hanno assomigliato ^isce'che divide, che sconvolge rinfranca il selciato (il tuo terrazzo le strade presso il Cottolengo, il prato, l'albero che ha il mio nome ne vibravano felici, umidi e vinti) - o forse solo per l'onda luminosa che diffondi dalle mandorle tenere degli occhi, per l'astuzia dei tuoi pronti stupori, per lo strazio di piume lacerate che puo dare la tua mano d'infante in una stretta; se t'hanno assomigliato a un carnivoro biondo, al genio perfido delle fratte (e perche non all'immondo C d? la scossa> alla torpedine?) u eiPer^ 1 ciechi n°n ti videro s* scapole gracUi le ali, n°n Vider° * Presagio « ma tronte incanrW~„^ _ , nešime attuľ/ San§Ue' CrOCe cresi™ pe«Wne e ľ VOt° vale Crede"i Piú chľľZa; 56 non sePP«o • ti , me st«de se ' U dalle scale? La bufera parte sesM 269 LE PROCESSIONI DEL 1949 Lampi d'afa sul punto del distacco livida ora annebbiata, poi un alone anche peggiore, un bombito di ruote e di querele dalle prime rampe delia collina, un rigurgito, un tanfo acre che infetta le zolle a noi devote, ... se non fosse per quel tuo scarto in vitro, sulla gora, entro una bolla di sapone e insetti. Chi mente piú, chi geme? Fu il tuo istante di sempre, dacché appari. La tua virtu furiosamente angelica ha scacciato col guanto i madonnari pellegrini, Cibele e i Coribanti. tfubi color magenta... 1 , maeenta s'addensavano fu£g*mAngal d'oltrecosta SÍÄVÄ salto Äeľsi staccô dal fango, sciolse il volo tra le bacche del rialto. Nubi color di rame si piegavano a ponte sulle spire delľAgliena, sulle biancane rugginose quando ti dissi « resta! », e la tua ala ďebano occupô ľorizzonte col suo fremito lungo, insostenibile. Come Pafnuzio nel deserto, troppo volli vincerti, io vinto. Volo con te, resto con te; morire, deľl "ľ PUnt° S0l°' un 8r°PP° tinto tuo colore, caldo del respiro Ua CaVema> f°ndo, appena udibile. Ä La buf, era giorno 'teSXÍarva girino PER ALBUM Ho cominciato anzi giorno a buttar Famo per te (lo chiamavo 'il lam0') Ma nessun guizzo di coda scorgevo nei pozzi limosi, nessun vento veniva col tuo indizio dai colli monferrini. Ho continuato il mi. sempre spiandf ' frangia di rampicahte francolino C gazzella zebu ocäpi ' nuvola nera grandine prima della vendemmia/ho spigolato tra i filari inzuppati senza trovarti. Ho proseguito fino a tardi senza sapere che tre cassettine - sabbia soda sapone, la piccionaia da cui parti il tuo volo: da una cucina -si sarebbero aperte per me solo. Cosi sparisti nell'orizzonte incerto. Son c'e pensiero che imprigioni il fulm"1 a chi ha veduto la luce non se ne priva-Mi stesi al piede del tuo ciliegio, ero giä troppo ricco per contenerti viva. Vtrte DA UN LAGO SVIZZERO Mia vdpe, un giorno fui anch'io il 'poeta Ľ- lä nel noccioleto I quella tana un tondo di zecchino accendeva il tuo viso, poi calava lento per la sua via fino a toccare un nimbo, ove stemprarsi; ed io ansioso invocavo la fine su quel fondo segno della tua vita aper ta, amara, atrocemente fragile e pur forte. Sei tu che brilli al buio? Entro quel solco pulsante, in una pista arroventata, älacre sulla traccia del tuo lieve zampetto di predace (un'orma quasi »vwhile, a Stella) io, straniero, ^«5ttSdfino aLnuovo mi ta strada, per bruciarsi. bufcru concľ .USIONI ľpROVVlSORlE ANNIVERSARIO Dal tempo delia tua nascita sono in ginocchio, mia volpe. É da quel giorno ehe sento vinto il male, espiate le mie colpe. Arse a lungo una vampa; sul tuo tetto, sul mio, vidi ľorrore traboccare. Giovane stelo tu erescevi; e io al rezzo delle tregue spiavo il tuo piumare. Resto in ginocchio: il dono ehe sognavo non per me ma per tutti appartiene a me solo, Dio diviso dagli uomini, dal sangue raggrumato sui rami alti, sui frutti. PICCOLO TESTAMENTO Ouesto che a notte balugina ; a calotta del mio pensiero, traccia madreperlacea di lumaca o smeriglio di vetro calpestato, non é lume di chiesa o d officina che alimenti chierico rosso, o nero. Solo quest'iride posso lasciarti a testimonianza ďuna fede ehe f u combattuta, d'una speranza che brucio piü lenta di un duro ceppo nel focolare. Conservane la cipria nello specchietto quando spenta ogni lampada la sardana si fara infernale e un ombroso Lucifero scenderä su una prora del Tamigi, del Hudson, delia Senna scuotendo ľali di bitume semi- jjjozze dalla fatica, a dirti: é ľora. Non é un'ereditä, un portafortuna Chf Puo reggere alľurto dei monsoni *ul ä di ragno delia memoria, a üna storia non dura che nella cenere ^Pemstenza é solo ľestinzione. non Inw Jf."i^5í^Bn^irM^isato Ofinun faUÍre nel ritrovar"- erľ ľC°n0SCe 1 suoi: ľor8°glio vile T ^ non era ntenUe bagliore strofinato n°n era qudlo di un fiammifero. La buf. era IL SOGNO DEL PRIGlONlERo e notti qui variano per pochi segni. Albe II zigzag degli Storni sui battifredi nei giorni di battaglia, mie sole ali, un filo d'aria polare, l'occhio del capoguardia dallo spioncino, crac di noci schiacciate, un oleoso sfrigolio dalle cave, girarrosti veri o supposti - ma la paglia e oro, la lanterna vinosa b focolare se dormendo mi credo ai tuoi piedi. La purga dura da sempre, senza un perche. Dicono che chi abiura e sottoscrive puö salvarsi da questo sterminio d'oche; che chi obiurga se stesso, ma tradisce e vende carne d'altri, afferra il mestolo anzi che terminare nel päte destinato aglTddii pestilenziali. Tardo di mente, piagato dal pungente giaciglio mi sono fuso col volo della tarma che la mia suola sfarina sull'impiantito, coi kimoni cangianti delle luci sciorinate all'aurora dai torrioni, ho annusato nel vento il bruciaticcio dei buccellati dai forni, mi son guardato attorno, ho suscitato iridi su orizzonti di ragnateli .«* «""" ' aHcci delle Infekte, ,i sui traUCL1 - duto „ rd i PasSl' eicolPisiliPoe,s=nsartaHestino e^'Ci«VaUesa e lunga,