L'arca Pubblicata su «Tempo», a. VII, n. 196, 25 febbraio 1943, anche L'arca ě una poesia ispirata dal lutto per la morte delia madre che qui suscita una riflessione sui pcrduti e sulla memoria: ě proprio la memoria, infatti, l'arca che puö mettere in salvo i ricordi prima che scompaiano tra i flutti del tempo (secondo lo spun-to biblico usato in A Liuba che parte, vv. 5-8: «La casa che tu re-chi / con te ravvolta, gabbia o cappelliera?, / sovrasta i ciechi tempi come il flutto / area leggera - e basta al tuo riscatto»). Come giä in Personae separatae, il lutto privato si fonde con la tragédia delia guerra, ormai allegoricamente trasposta in un dantesco bulicame di «calce e sangue» (cfr. ľallusione nei vv. 13-15). Tuttavia, rispetto al testo ehe lo precede, questoě ben piü mosso e variato nei suoi toni, che trascorrono dall'ele-giaco al tragico alľallucinato. Visioni domestiche e frammen-ti di memorie infantili coabitano con una tensione metafisica sensibile nell'immagine mitologica del «vello d'oro» (rivisita-ta in maniera del tutto originale) e nel lessico aulico (cfr. sake, anella). L'anafora di «la tempesta» struttura il componimento senza irrigidirlo in un tono oratorio, ma anzi conferendogh un ritmo discorsivo, quasi affabile (aecostabile forse alio «sW* con termine delia contemporanea narrativa modernista»: Sea -fai 2007, p. 183). Una studiata variatio sintattica produce efl* ti fluidi, come la struttura a chiasmo in apertura (cfr. «La e Pesta [...] ha sconvolto»; «s'ě impigliato [...] U vello d'oro»'" pare fotografare con naturalezza un angolo di giardino nei q compare, inaudito, un «vello d'oro». jchia-Levento iniziale, ossia «la tempesta di primavera», ma La bl'fera e i suoi «tuoni / marzolini» (vv. 2-3), reďPe Jone f ra ambigua; in particolare, la primavera assume °S ľntiano di stagione in cui ritorna ciö che ě mor- qlli il vaw ^ come ji vento ha «sconvolto / l'ombrello w t 'nter[a,i0^ ne' ha fatto ondeggiare la chioma), un «turbi-jelsalice» ^ .^^a e solleva la cortina (il «vello d'oro») che nC d a,de i tnorti, i «cani fidati», le «vecchie / serve». II sipario MSC°n riporta in scena i Lari familiari di un mondo infantile '''ouandfl il sa'ce era biondo e io ne srroncavo / le anella con 1 londa»): tutti «calati, / vivi, nel trabocchetto», ossia ancora , .'j e Soltanto nascosti alia vista dal trabocchetto, reductio "co-mica" della morte. La tempesta «Ii riunirä sotto quel tetto / di prima», ma dovrä essere un ricovero lontano dalla guerra: ecco allora la visione dei parenti e dei cani intorno al focolare do-mestico,simboleggiato dal ramaiolo. Idillio e tragedia sono tuttavia inestricabili, se proprio la superficie metallica della sto-viglia riflette le tracce della morte, ossia i «volti ossuti, i musi aguzzi», mestamente allungati e deformati. A proteggerli vi e solo un altro albero: la magnolia, eventualmente sospinta dalla tempesta verso quel fondo dove loro hanno trovato riparo («se un soffio ve la getta»). Suggella questa visione perturbante un'apostrofe ai perdu-tl: la «tempesta / primaverile scuote d'un latrato / di fedeltä a mia area, o perduti», ossia commuove il poeta e lo induce a una regressione, che lo porta istintivamente a confondersi con suoi amati cani. Travolta dalla tempesta, egli finisce quindi le orizzarne la funzione rivelatrice; dapprima assalito dal-mort ^0ne'se ne ^a ora custode geloso, secondo la «dinamica sitiva f Vl a' distruzione/protezione che ha nella coppia oppo-2(X)7, pe?i8m'a/Primavera la sua Prima manifestazione» (Scaffai v'scenza d \ u ha Portato cosi a una sorprendente revi-rio fragile ^ E 'aTCa scossa dal vento - con il suo sacra-^un'«oEe'e^SPeSO metansicamente tra la citcina e la magnolia -l978Ä"1Vazion[e] della stessa memoria umana» (Blasucci NellespiP-201)-^ 'v' 4] e i\ e8aziom a Guarnieri leggiamo: «L'arca. II vello d'o-f ^ ^agn 'aSi sudario ch-e quando si alza scopre i ricor-[vv. 2o 2„ r 18' * un semplice albero e il latrato di fe-alceeSan 1J e del cane ma anche naturalmente del poeta. 8 e lv-14], immagini della guerra vista come fatto 8l 80 permanente, quasi un'istituzione. Magnólia [v. 18], Cane [v a serve [v. 7] ecc. tutti ricordi reali» (OV, p. 944). ' A margine, ě degno di nota un passo di una lettera a Gi como Debenedetti del 1926 in cui Montale confessa una sor ta di affinitá elettiva con la simbologia biblica dell'arca, intesi non solo come «fluttuante edifizio» (cosi scrive a ConHni nella lettera del 7 maggio del 1943: cfr. Eusebio e Trabucco, p. 90) ma forse anche come area delľ Alleanza, cassa o serigno chc custo-disce ľidentitä oltre il dolore e il lutto: «a Milano mi si crede ebreo, per via del "caso Svevo". Se fosse possibile essere ebrei senza saperlo, questo dovrebbe pur essere il mio "caso", tanta ě la mia possibilitä di sofferenza, e il mio senso dell'arca, piú ehe delľhome, fatta di pochi affetti e ricordi che potrebbero seguirmi dovunque, inoffuscati» (Gurrieri 1994 [2007], p. 98). METR1CA II těsto ě formato da un'unica strofa, composta prevalentemente di endecasillabi (tra i quali possiamo inclu-dere il primo verso, dodecasillabo ma di fatto endecasillabo ipermetro, e ľultimo, che invece sarebbe ipometro); ě variato solo da aleuni settenari (w. 3, 5, 7) e da un senario sdruccio-lo (v. 2). Nel complesso i versi brevi (ciaseuno dei quali - al-meno i settenari - puô essere inteso anche come emistichio di endecasillabo) danno un passo sincopato alla sequenza ínizia-le delia tempesta nel giardino (e non ě casuale la presenza, in questa zona, di parole sdrucciole quali salice e turbině)- «11 definitivo assestamento delia misura canonica delľendecasilla-bo corrisponde [...] alľinizio delia sequenza piú propriamen-te lirico-rievocaHva (v. 8: "quando il salce era biondo e io ne stroncavo / le anella"), nella quale anche il registro lessicale^ nosce un innalzamento [...]. Per quanto si apprezzino su diversi, la ritrovata regolaritá nel metro e ľazione compe" tiva delia memoria sono, dunque, fenoméni quantomeno comitanti» (Scaffai 2007, p. 179). Particolarmente degno di n e, allora, 1'ultimo verso, considerabile come un endecasi 1 f,thma con dialefe tra mia e area. „•.c0- Non molte le rime, rutte interne: impigliato: latrato.fit* ■ . t,salce:calce,trabocehetto: tetto,lontano... lontano:unf*' per-Pndo, ossuti perduti; si awertono maggiormente le nn* W tt6'Che »»*> sempře rawicinate: sconvolto : orto e orto ■ , lontano: impronta, tondo : volti (quelle piú distan-LnPbenavvertibili, se non dall'orecchio air meno munque ben awe: ri jono co^ ^ _ primaverile, oro: allora e vello: anella). L'anafo-Ja"lesta, infine, sembra rafforzata dalle vicine parole con s-" dteS (come sconvolto e scuote), specie nelle occorrenze all'i-""toealla fine della poesia, che suggella con moto circolare. La tempesta di primavera ha sconvolto l'ombrello del salice, al turbine d'aprile s'e impigliato nell'orto il vello d'oro che nasconde i miei morti, 5 i miei cani fidati, le mie vecchie serve - quanti da allora (quando il salce era biondo e io ne stroncavo le anella con la fionda) son calati, vivi, nel trabocehetto. La tempesta io certo li riunirä sotto quel tetto di prima, ma lontano, piú lontano * questa terra folgorata dove o Iono calce e sangue nelľimpronta • piede "mano. Fuma il ramaiolo is accT3' Un SU°tondo di riflessi eii«ítra i volti ossuti, i musi aguzzi *un J86 in fondo la magnolia P^aľeril°pVela8etta-LatemPesta difedpi! escuoted'unlatrato 20 eltalamia area, o perduti. Ľ3 ^'Cabit:' Scerve: la "tempesta primaverile» rientra nell'isoto-^che- ""ofemof-—1- • ■ ■■ . .-»____.k... th, he sgrond meteorologica e in particolare riprende la «du-^rZ°lini e la » SUT f°8'ie 1 dure della magnolia i lunghi tuoni / la*iom n"16" {La bufera'vv-1_3)-Q"'écoIta mentreUrta 1 di un salice piangente (o Salix babylonica, caratte- 82 rizz cele M f rizzato däW'ombrello): la pianta, giä presentc nelle Occasion (cfr A celerato, v. 9 e Tempi rfi Bellosguardo I, w. 6-7), si lega qui alio scenario di Monterosso, e insieme alia memona di Carducci, D'Annuivi0 Verdi (Scaffai 2007, p. 188 e n. 1); sará rařfigurata nel disegno aU'ac quaforte dal titolo Salice e vespa, del 1976. La funziono funerea e ri-velatrice delia primavera, quella di scoprire i morti, rammenta Bas-«i marca, vv. 10-12: «Vienc col soffio della primavera / un lugubre risuechio / ďassorbite esistenze»; e naturalmente Vincipil di The Waste Land di Eliot, vv. 1-4: «April is the cruellest month, breeding / Lilacs out of the dead land, mixing / Memory and desiiv, stirring / Dull roots with spring rain» (Scaffai 2007, pp. 185-86). al turbine d'aprile: per le consonanze lessicali (turbine e anche sconvolto e tem-pesta), cfr. forse Lucia di Lammermoor, atto 11: «Imperversate... turbi-ni...sconvolto / sia l'ordin delle cose [...]. Chi mai della tempesta / rra le minacce e l'ire, / chi puote a me venire?» (Aversano 1984, p. 64). s'é impigliato nelľorto: ľorto é quello del giardino (della casa di Monterosso), ma assume qui anche il valore del reliquiario pro-spettato nell'antica poesia In limine (Giachery 1985, p. 36). II ver-bo impigliato si lega non all'idea di un ostacolo ma a quella di un senso effimero che possa illuminare l'esistenza (cfr. Su una lettera non scritta, w. 1-3: «per pochi / fill su cui s'impigli / il fiocco della vita»). vcllo ďoro: tratto dal mito degli Argonauti, ě inteso come «il sudario che quando si alza scopre i ricordi» (OV, p. 944): una sorta di sipario (cfr. «che nasconde i miei morti...»), dal valore quasi schopenhaueriano. Sebbene Montale per primo abbia scoraggiato l'interpretazione mitologica, andrá notáto che neWArgonautica esso «era custodito sugli alti rami di un orno: dunque si trovava lette-ralmente "impigliato" a un albero» (Scaffai 2007, p. 190). Suggesh-va poi l'ipotesi che l'immagine derivi dallo spunto reale del man-to del salice strappato dal vento (cfr. Lonardi 1980, p. 143): Yoro del vello sarebbe quindi la rielaborazione preziosa del suo colore btofr do (v. 8), anche se l'aggettivo si riferisce al passato e sembra vale piunosto come "giovane", secondo un uso raro e letterario del teniae (Scaffai 2007, p. 195). i miei morti,/i miei canifidati: aecantoa parenti morti (cfr. «1 miei morti» di Proda di Versilia, v. 1), sc-no n vocah i cani avuti durante l'infanzia, che spesso si materializz corne fantasmi nelle prose della Farfalla di Dinard: Galiffa, <«• ; ntto sulle zampe, trafelatissimo>» in Sul limite, con «tutti gh anin^ ; ,deJVUa arca privata< F"fi e Gastoncino, Passpoil e Bubu, » «la Valentina... Non temere, potrai rivederli tutti»; PassP0,1pipPo, ľsr ľ rÍer di purezza mo't° dubbia.., il canelupo Buck e P PP . net bf[ írazza>>' ricorda" ^ Ľangpscia e in Reliquie; e nella Bufera Da una torre, vv. 5-6: «Ho visto il festoso e oreceruut 84 dalla tomba». le mie vecehie /serve: le anziane do-piquill° sc?*tarure ricorrono fantasmaticamente nella Farfalla, come niesticne'chef oni dl ia donna barbuta: «Vecchia fin dalla nascita, |a Maria Bor ^ ^ barrjuta da sempre», evocata giä in La casa delle analfabeta.'.CUvecfr ancne ľaffermazione del protagonista: «Si dis-jHtpäMy ^. vj|ieggjatura coi miei morti: passeranno in fret- * p0C|hlpaľmina di Le rose gialle, o ancora le «due robuste servotte hidoro» di Ballerinial Diavolo rosso, fino alia «serva / zop-did°Monghidoro» di Botta e risposta III, vv. 26-27 e alia «vecchia .analfabeta / e barbuta» di Quel che resta (se resta), w. 6-7 (in-eŕessante poi che nel disegno Salice e vespa compaia vicino al salice una figura tozza, intenta a lavare le scale della casa). Proprio le ombre delle «vecchie / serve» hanno indorto a ipotizzare la suggesrio-nediLaservante au grand coeurái Baudelaire (Lonardi 1980, p. 143). 7-\0.-quanti... trabocehetto: il trattino ě seguito da quanti, riferito ai soggetti appena elencati (cfr. Nel sonno, v. 6: «[...] - tutto questo»). Dal tempo delľinfanzia, le cui memorie sono racehiuse nella pa-rentesi e affidate a una lingua aulica (cfr. sake e anella) che le rende solenni, molti di loro sono caduti vivi nel trabocehetto: ossia la loro esistenza ě stata interrotta quasi alľimprovviso, tanto da essersene andati da "vivi" e da sembrare ancora in vita a chi li ricorda; perciô la morte ě una sorta di evento irreale, quasi una ridicola trappola, come una "botola" teatrale (sulľirnmagine pienamente vitale che il poeta conserva dei suoi morti cfr. i racconti della Farfalla di Dinard c e mett°no in scéna ľincontro con i revenants, rra cui in particola- * M limite e La donna barbuta: cfr. Scaffai 2007, p. 196). sake: cfr. vv 6-7?°r0 Ĺ d' colonne e di salci ai lati» (Tempi di Bellosguardo I, le RiV bmdo: cfr- giä ľ«eucalipto biondo» della poesia giovani-f0glig ?ť(v-7 e quanto detto sopra nella nota ai vv. 1-7. anella: le 10-15. úľ* Che sembrario inanellate in riccioli. posto dicenlPeSta' umano: nella versione su rivista si leggeva, al madre(co °ra' Probabilmente riferito alla recente morte della mutesemb SUppone 8ia Isella 2003, p. 42). La madre e le sue pre-'ntom0 a del rest° alľorigine di questo allucinato ritrovarsi n°nhaunani °' <> (dove ú deittic0 tud'ne affett ecedente cui legarsi nel testo, ma esprime la consue- 'Pa^Oconce"°.Sa con ur>a casa: cfr. Scaffai 2007, pp. 197-98). Lo |ano,> da]]a ter aT qUesto ritorno dei morti ě «l°ntano, piú lon- *J!>°ňa- iyľ laniata daHa guerra (ě forse lo stesso spazio del- fu ""P'onta /J f" 198>- terra folgorata dove / bollono cake e sangue deT^^Uabuf "m""0: la terra f°l8°rata é 1uella colpÍta da' P'ede") l'ha ľuomo al suo passaggio (impronta vale "orma ^110 inferno, simile al Flegetonte dantesco, il ri- bollente ftume di sangue nel quale sono puniti i violenti e i Hra (cřr. inf. XII, vv. 46-48: «Ma ficca li occhi a valle, ché s'approCCb/' la riviera del sangue in la qual bolle / quel che per violenza in J trui noccia»: Isella 2003, p. 42 e giá Nosenzo 1995-1996, p. 2i6) Z sangue ě mescolata la cake, usata per «le sepolture sommarie d cadaveri» (Romolini 2012, p. 94 e giá Nosenzo 1995-1996, p. 216)' 15-19. Fuma il ramaiolo... ve la getta: il ramaiolo ě un mestolo (o anche una «pentola di ferro o di rame»: GDLIXV, p. 3S93) ed evoca il fwola-re domestico. La sua convessitá accentua la deformitá dei volti riflessi (ossuti) e dei musi canini affilati (aguzzi). II metallo della sua superfi-cie rivela cosi i volti dei morti (secondo un processo di disvelamen-to macabro, quasi allo "specchio", che puó ricordare il finále di G/i orecchini). Su un altro registro ě la rievocazione di commensali morti in La časů delle due palme («era il sapore di famiglia che si tramanda di generazione in generazione e che nessuna cuoca potrá distrugger mai. Una continuitá che distrutta altrove resiste negli unti dei sof-řritti, nel fortore degli agli, delle cipolle e del basilico, nei ripieni pe-stati nel mortaio di marmo. Per essa anche i suoi morti, condannati a un cibo piú leggero, dovevano tornare talvolta in terra»: Romolini 2012, p. 94). tondo: cřr. // ventaglio, v. 3. accentra: vale "concentra", "fa convergere" in un punto. e li protegge in fondo la magnolia: «un semplice albero», da includere nei «ricordi reali» (OV, p. 944), ma in-sieme «simbolo larico» (Isella 2003, p. 42) e protettivo: una pianta le cui foglie dure e coriacee non si piegano alla tempesta (cfr. La bufera, w. 1-3). Forse ě immaginata come visibile da una finestra della cu-cina (cfr. Scaffai 2007, p. 203). Nel poemetto pascoliano // giorno dei morti, w. 19-24, si assiste a una simile riunione famigUare all'ombra di una pianta, come un tempo intorno al focolare: «Non i miei morti. Stretti tutti insieme, / insieme tutta la famiglia morta, / sotto il a-presso fumido che geme, / stretti cosi come altre sere al foco / (urta-va, come un pověro, alla porta / il tramontano con brontolio roco» (Scaffai 2007, p. 201). se un soffio ve la getta: "se un soffio di ventoi porta lá con loro": la frase condizionale ě posposta alla fine dell pe ^ ^ * ~on effetto di sospensione intonativa (cfr. Bozzola 2006, p-y-> prepara 1'evocazione finále della tempesta nell'i do con effetto di sospensione intonativa (cfr. Bozzola 2006, p-soffio prepara 1'evocazkme finále della tempesta nelTultimo perw^ 19-21. La tempesta... perduti: la «tempesta / primavenle» - np puntuale deWincipit - scuote 1'arca suscitando un -latrato / a £ aeia. («del cane ma anche naturalmente del poeta»: OV, p-h reaZ10ne istintiva e affetruosa con cui il poeta, come i suo ^ h cam, nsponde al pericolo e difende intimamente le P»P« « Sn?6 V- Sr0pri valori" Sull° sfondo cfr. 1'altra "iden^ ; áel 12ZtBí>Ma SCritta «"« clinica, w. 44-45 («e poi 1 u 1 le^° ě 11 mio, muto»: Isella 2003, p. 42). 86 v SILVAE La quinta sezione di La bufera e altro si compone di undici testi scritti quasi tutti nella seconda metá degli anni Quaranta: «Le Silvae (esclusa hide che ě del '44) sono state scritte tra il '46 e il '50» (OV, p. 961). In parte anteriori e in parte coeve ai 'Flashes' e dediche, le Silvae costituiscono il cuore del libro, e non solo sot-to il rispetto cronologico. Nell'indice della raccolta ancora in fieri e provvisoriamente intitolata Romanzo - inviato a Macchia nel 1949 - le Silvae non erano ancora previste ma al loro posto figurava il ciclo L'angelo e k volpe. In un secondo momento esso si diffrange in due se-zioni, dedicate rispettivamente a Irma Brandeis e a Maria Luisa Spaziani, intitolate Silvae e Madrigali privati. Le Silvae, come vuole il genere latino richiamato nel titolo (praticato da Sta-zio e piú avanti, tra gli altri, da Poliziano e dal poeta baroc-co John Dryden), hanno un carattere miscellaneo, policentri-co, letteralmente selvoso. Non ě un caso che alia fine non tutte siano dedicate aWangelo, anche se di certo - con hide - si apro-nosottoil suo segno. E questo il testo piú oscuro e difficile della Bufera. Irma ě Jas '8Urata in Iride, titolare di una missione di salvezza: di-t3't0ma COn unaPParizione onirica e visionaria. La te rj 6 SUa storia terrena ě ancora rievocata e implicitamen-sentr1]1311^' ma ProPrio sacrificio della sua umanita con-nerataa ?0eta di nconoscerla come Cristofora: una figura ve-quasi -e'.nsieme Ion tana, eniemarica nelle sue manifestazioni, In r'^- Pria VicenH ComPonimenH successivi Montale rilegge la pro-nda esistenziale in chiave allegorica: i motivi della 233 memui ia, uch u mu i/Lid t ueii aaoiescenza, delia e funzione salvifica della donna sono intre'cciati tra 6 de"a accade mirabilmente per esempio nell'Orfo (dovľil^V011* minile ě quanto mai complesso). Altri grandi tesť' řn dalla prima edizione della raccolta, si legge la nota: «La Vimavera hitleriana. Hitler e Mussolini a Firenze. Serata di gala J'teatro Comunale. Sulľ Arno, una nevicata di farfalle blanche» !/' P- 966). La lirica si apre proprio con un'inquadrarura na- al«tica, che coglie l'anomala nevicata di blanche falene, nunc^ Una "uvola sestra che aleggia per le vie di una Firenze i?' e che si deposita a terra rendendo impossibüe non tanto me la mos^uosa coltre. Con le farfalle un geh - altret-ga fin?°mal° considerando l'«estate imminente» - si propa ^tta ľ VP°nde »bbiose dell'Arno (cfr. «questi rena.4 * ,e^rdi di u™ strofa descrittiva, ma anche de'la ni''9 nel «ppresentare, sotto forma di un ^Cl? 6 della Sta8ione' clualc0sa di PÍU P 81 0 del male in senso ontologico. La seconda strofa procura a questo principio si Cessaiia dimensione storica. Hitler ě il «messo irtfe n°" hasřilatosul corsoeora assiste a un'opera (il SimonIT °he di Verdi) allestita in suo onore al Teatro Comunale °CCy^ra sione addobbato di svastiche («croci a uncino») Corn0 see, il tema politico del testo diviene qui esplicito e sottolinea il contrasto tra le attivitá inoffensive de'i n ^ »°nta'e ti fiorentini e il propagarsi del male, giungendo a evoMrTlT quiescenza dei «miti carnefici», ossia di coloro che 30 gersene, chiudendo le vetrine in ossequio alia "festa", si resero colpevoli. Nella rievocazione, anche le loro merci acquistano un insospettabile valore profetico: le armi-giocattolo prefigu-rano la guerra, i «capretti uccisi» le vittime innocenti. La par-tecipazione di massa ai festeggiamenti ě trasfigurata in uno spettacolo lugubre e grottesco: ě il «sozzo trescone d'ali schian-tate», ossia il ballo indecente delle falene dell'esordio, ed ě anche il ballo delle «larve sulle golene» dell'Arno, con un'impli-cita denuncia della condizione larvale cui ě ridotta l'umanita. L'ultima strofa, la piú lunga e complessa, segna uno scarto perché abbandona la cronaca storica e fa entrare in scena la spe-ranza, impersonata dalla figura femminile salvifica cui ě dato qui, per la prima volta, il nome poetico di "Clizia". Questo ce-lebre senhal ě mitico, perché ě il nome della ninfa innamorata del Sole, crudelmente mutata in girasole ma sempre fedele a suo astro, di cui racconta Ovidio nelle Metamorfosi. Dietro Clizia riconosciamo, ancora una volta, Irma Brandeis, che gia > Nuove stanze, del 1939, era contrapposta (in forma ancoraa^^ siva) all'evento funesto della visita fiorentina di Hitler, tuttavia non ě piú solo - come la donna di Nuove stanze (p vocata nell'Orfo) - simbolo di chiaroveggenza, di un pr^ ^ conoscitivo e morale opposto all'accecamento pro ^llettiva: barbarie nazifascista. Qui agisce su una dimensione ^ con ormai disincarnata, svolge un compito sacrificale, p are al il suo annullamento nel divino («d'Altro», Lui) Pu°c^zia ě 10' riscatto dell'umanita intera, a un'epocale rinascita. de (cfr. hide), capace di passare al di la del tempo- ^ ^ ona Tuttavia, come di consueto, Montale prende le dj Irrr,a, circostanza reale, ricordando alcuni istantidel con?arn0 semPfe che avrebbe lasciato una volta per tutte lTtaha (si , 1038, non piü nei giorni d. magg,o della visita di Hitler ma risamente il 24 giugno, giorno dei patrono di Firenze «San Pnvanni»): evoca i «pegni e i lunghi addii», arricchiti di un ribile valore rituále nel clima prebellico (cfr. «nella lugubre "La / dell'orda»). Di qui in poi il tono si innalza e si impre-"iosisce con vari riferimenti visionari: la sovrannaturale Stella Jadente nei cieli freddi dei Nordamerica (la gemma che «rigö l'aria», i «ghiacci e le rivieře dei ruoi lidi»), i biblici «angeli di Tobia»', «la semina / dell'avvenire», e infine «gli eliotropi nati / dalle tue mani». In questi versi - grazie all'uso di una lunga pa-rentetica che produce un efřetto di mise en abyme - Montale il-lustra una sorta di realtä sdoppiata: nella scena notturna a Firenze, dove si consuma l'addio terrestre, si inserisce quella dei cieloamericano attraversato dalla luce, promessa di un ritorno in chiave diversa, ultraterrena (cfr. «Ma se ritorni non sei tu» di Iride, v. 40). Viene delineata cosi la funzione agonistica della donna, che ora va ben oltre «gli occhi d'acciaio» con i qua-li, in Nuove stanze, resisteva al maligno «specchio ustorio» dei nemico (w. 32 e 30). Ě dantesco l'invito «Guarda ancora / in alto, Clizia, ě la tua sorte, tu / che il non mutato amor mutata serbi»: qui Montale cita il verso «e '1 non mutato amor mutata serba» tratto dal sonetto Nulla mi parve mai piü crudel cosa..., in-dirizzato a Giovanni Quirini e di dubbia attribuzione (secondo l'edizione delle Rime di Dante curata da Contini dei 1939 e ri-vista nel 1946), da cui giä deriva l'esergo («Ne quella ch'a ve-der lo sol si gira...»). Chzia diviene a tutti gli effetri una nuova Beatrice. Ě pro- - «atrraverso il sacrificio, si spera in Pace» (Croce 1977 [1997], pp. 71-72). 291 290 METRIC A Tre strofe di lunghozza cresconte, compos^ d| s dodici e ventiquattro vers] (quest*ultima strofa e bipartit 11*"° tro da un verso a scalino, che la suddivido in due tempi) | v " hanno una misura lunga, che nella prima parte della poesi 1 ria dal doppio ottonario (alia Thovez), noi w. 1,2, •■), 17 ig ^ * nione di ottonario e novenario, nei vv. 4,7,8,10,16 (natura'lme te si contano dialefi in cesura nei vv.9, 18 e sinalefe in ...i undno» nel v. 10). L'altemanza del modulo ottonario e novenario checa ratterizza i versi lunghi di questa prima meta del testo civ.i un andamentodi tipoesametrico. Ariprova del ritmoafl.iluilatorio, si nota che le prime due strofe coincidono con due soli periodi sintattici. Ai versi lunghi fanno da contrappunto gli endecasilla-bi, dapprima rari e poi sempre piu fitti verso la tine della |w-sia, dove portano un ritmo piCi caden/ato e risolutivo, sino.il di-stico finale: nella prima strofa sono endec.1sill.1bi solo i vv. lex nella seconda i cinque versi eentrali (vv. 11-15) e quelle di chiu-sa (v. 19, con dialefe tra tUSSUHO e I); nell'ultima i vv. 20,22,25-36,38,42-43. Nell'ultima strofa, gli endecasillabi sono poi inter-calati ai martelliani perfetti, contribuondo alia catarsi conclusiva (vv. 21,23,24,37,39-41; un martelliano, isolato, era gia .il v. 6). Le rime sono pressoche assenti (si avverte solo qualche te nue ripresa fonica interna, come/o/f« : coltre, morta : i»"< " no : vetrinc, bttttesimo : attesa, nati: succhiato : piagala)ipe maggiore e anzi flagrante e decisivo I'eflelto dell ""^^^ sensibile, che si realizza nell'invocazione a Chzia n' strofa: I'interna mortc : sorte, riecheggiata unpenu_. j(_ porti. lntenso il consueto contrappunto degli sdrucci^ ^ tutto interni: mivola, turbiru, zucchero, scawlca"°''!Lvoie'lb e tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate, di larve sulle golene, e l'acqua seguita a rodere lesponde e piu nessuno e incolpevole. I'utto per nulla, dunque? - e le candele romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente 11 orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii 'wti come un battesimo nella lugubre attesa doll'orda (ma una gemma rigo l'aria stillando Sl" Bhiacci e le riviere dci tuoi lidi 20 .. " - «- 11V11-1U Ul'l HUM I Kl I JT** di Tobia, i sette, la semina avvenlre) e gli eliotropi nati Ue mani - tutto arso e succhiato 25 ' 11 Pollino che stride come il fuoco haPuntedisinibbio... pril*aver3 x ;" t °n la Pia8ata '"W, P"rfestaserWla lnalto Cr s morte! Guarda ancora Ch°'l non 'dlatua sorte'tu f'n° a ch. futato an™r mutata serbi, S' abbacini CÍe™ S°le che in te porti 1 "ell'Altro e si distrugga 30 35 292 1 in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi che salutano i mostri nella sera della loro tregenda, si confondono giä col suono che slegato dal cielo, scende, vince col respiro di un'alba che domani per tutti si riaffacci, bianca ma senz'ali di raccapriccio, ai greti arsi del sud... Né quella cha veder lo so/ sigira...: v. 9 del sonetto pseudodantesco Nulla mi parve mai piü crudel cosa... (nell'ed. Contini delle Rimeě ü n. 74, posto nella sezione delle Rime dubbie). Nella prima terzina il poeta si dichiara piü sfortunato della ninfa Clizia nel mito ovidia-no: «Ne quella ch'a veder lo sol si gira / e '1 non mutato amor mu-tata serba, / ebbe quant'io giä mai fortuna acerba»; con le parole di Contini: «Clizia, figlia dell'Oceano ed amante del Sole, che, aven-do per la sua gelosia provocato la morte di Leucotoe, fu dal Sole abbandonata e si trasformö in eliotropio o girasole; come narrano quelle Metamorfosi (IV 234-70) che tanto materiále mitico suggeri-rono a Dante, da Glauco a Piramo e Tisbe, dalle Piche ad Ataman-te e Learco. (Un lettore intelligente, l'Eliot, scrive che Dante "deve piú a Ovidio che a Virgilio")» (Contini 1939 [1995g], p. 267). Dante a sua volta cita Ovidio, Met. IV, vv. 269-70: «lila [Clizia] suum, quamvis radice tenetur, / vertitur ad Sólem, mutataque servat amorem». I puntini sospensivi alla fine di questo esergo prepara-no il completamento della citazione, che arriverä al v. 34. 1-7. Folta la nuvola... questi renai: l'awistamento delle falene, cntf -la notte, ě realistico: probabilmente furono attirate dalle luci seminate sul Lungamo (cfr. «II corteo va ora per il Lungamo ha un aspetto di fantasia: le acque dell'Amo sono i'1"™1^1^ fasci di proiettori e palpitano di luci di argento le spallet eí v due rive e i ponti sono come immersi nel tremolio rossas ^ tre ventimila "chiocciolini": ě la tradizionale fiaccolata h ^ che saluta l'ospite, mentre la folla che si accalca en0™*L0dell» transenne lo accompagna con l'impeto schierto e VI£°"\ voce»: passo di «II Nuovo Giomale» cit. in Leporatti -Ol '^g^. Ma qui la massa innaturale delle falene, e la loro conse^.timonia' ria, diviene allegoria di un sovvertimento della natura, - ^jr. to anche dall'inverno fuori stagione descritto nella ^^j,.; cfr te della strofa, turbina intorno agli scialbifanali e suUe >/ gocchi di bambagia» (Gozzano, In casa del so-Turt""3 den% ^scialbi fanali: i proiettori luminosi, che emettono 0ssuto, v. 7)- biancasrra. Furono usati anche in altri "spetta-! Pri'che ebbero luogo a Firenze (cfr. Cwllo dt cenere: «[...] fascisn c aJe si accedeva alla spalletta del fiume. Mi trovai ii pendäo dal qua^ muretto üluminato da uno scialbo fanale, lon-.^toaccantoa " • ^ ^. dd fjume Amo ^ ano dalla to nPfel si deposita a terra un manto di falene mor-"'^^schiantate» al v. 17), scricchiolante sotto il piede; cfr. ., ,tr le "a^e(la urma cne la mia suola / sfarina sull'impiantito» ^"Zlvrigioniero, vv. 20-21). L'immagine della coltre si lega al SdJrSliinopassaggio dell'invemo, dei w. 4-7. capiva: al :t üüransihvo capire vale «essere contenuto» (CDU II, p. 685* Lestate imminente libera ora il gelo nottumo che era contenuto r (ossia va a snidare l'invemo residuo nei suoi ultimi nascon-iigli). nelle cave segrete della stagione morta: "nelle segrete cavi-:.~jell inverno". Ma il senso di cave si precisa indirettamente nel verso seguente. negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai: nei giardini che da Maiano scendono fino a queste sponde sab-biose". Ortie latinismo e vale "giardini": quelli di Maiano, locali-•j che sorge sul colle di Monte Ceceri ed e famosa per le sue cave come giä nota Romolini 2012, p. 286), nelle quali si estraeva la pie-m arenaria usata per la costruzione dei palazzi di Firenze. Le cave * 6),allora, non saranno solo astratte grotte che racchiudono l'a-^ gelida dell'invemo, ma veri e propri siti di estrazione. Gli orti «valcano a», ossia scendono quasi " franando" sulla cittä sotto->«nte. Per scaivkare come "estendersi" cfr. GDLl XVII, p. 899'°; i ro 'sono Posamente gli spiazzi prossimi ai Lungarni horenti-549 & ' , P00* alle Graz»e (.CDU XV, p. 797). ^uesta se^rrf COrS°'' nessu"° e incolpevole: come la prima, anche 1:1 ^ parte d8 coincide con un unico periodo: e suddn isa ^"«(w. S-lO)^"3" storic°-Pol'tica sulla giomata fiorentina di *(Vv- H-15) p ■ sfuma in una profezia della guerra imminen-|yy-16-19). Sin^ &ludizio morale sulla responsabilitä collettn a J unrn^ ,Smtassi a chiasmo: verbo + soggetto («e pas-ruottiS!?.^:50886"0 + verbw (, da ciel messo»: Inf. IX, v. 85: Lonardi 2008 n 2^ CCOrsich'elliera rani: il saluto al Führer e al Duce fu un triplice aklň ""í"'" *'**> usato come formula di ovazione nelle adunanze L Sľ° dÍ gUerra sciste. Di derivazione greca (e mitologica) il terminľľr if"*fa" impiegato in poesia da Pascoli («ti getto allora un IS Stato Ľ«more, v. 13) e nelle tragedie La nave e La Fedra da SZnl^T per primo ľaveva proposto come motto bellico durante IW Fiume. Gh Odieraní sono gli "sgherri" (GDL1XVII, p. 959) i EJ fascisti. un goľ/o misŕíco acceso / e prasato di croci a unarm, nei teátri (qui il Teatro Comunale, dove Hitler assiste alľopera prima di ripar-tire per Berlino), il «golfo mistico» ě lo spazio sorto il palcoscenicori-servato alľorchestra, non visibile dalla platea; deriva da un'ideaar-chitettonica di Richard Wagner e dalľespressione tedesca mystisches Abgrund, ossia "abisso mistico"; cfr. gia «il mistero del Golfo Mistico» nel dannunziano Trionfo delia Morte (Balduino 1976, p. 14). Ě illuminate (acceso) e imbandierato (pavesato: GDLl XII, p. 873) di sten-dardi con le svastiche («croci a uncino»). ľha preso e inghiottitcr. il «messo infernale» sembra "risucchiato" nelle viscere del teatro,ove si deposita come il seme del male si sono chiuse le vetrine- era suto proclamato un giorno di festa, catmoni egiocattoli k che le vetrine dei negozi di giocattoli sono annate (v. 12), ye ^ piccole armi-giocattolo sembrano evocare la guerra "^T^. non persino propiziarla senza accorgersene. '"'^"'^J^ anChe in co e dialettale per "macellaio" (GDLl II, p. 1* h P ' ctil uc-Dante (Purg. XX, v. 52). infiorava I di baeche Ú tmao_m ^ ^ cisi: "adornava" (infiorava) con bacche; i capreif', •> I 'jnntlfenH del-toli, sono una premonizione allegorica delle vini .^on,mni le stragi nazifasciste. la sagra dei müi carnefn i t ^ ^ „-r sanguc. "la festa dei carnehci miti ehe non ai sato del sangue"; l'ossimoro «miti camehcv>. < viotenzař^ ma piü in generale esprime la «ms.i[H'vo^ net. ata ovunque, anche in cio ehe ŕ apparen u pl tannine Mgm'si lega a un dettaglio reale, onore di Hitler, ehe m if si- delta celebra/.ioni in ste calcio, i s.ll'.h uu lo > ulmine della trasfigiira/.ioiu- lragico-s _ sta. trastiguia/iono che torna Circo la" |rlK dollo falonc, at.uvIumhIoU com M1""'1 ia «' u ,arve II trescone e un ballo contadino «tipico dei foJc ore di alcu-tdon centro-settentrionali, (...) caratterizzato da salt. e piroette SffiSE si scamb,ano la dama» (GDU XXI, p. 318); le go-Z sono zone di terreno comprese tra il letto di magre. di un corso d'aequa e i suoi argini, sommerse d'aequa nei penodi di piena (cfr. GDU VI pp 962-63); nella prima pubblicazione su «Inventano» la lezione era cascate. e l'acqua seguita a rodere / le sponde e piü nessu-no e incolpevole: "e l'acqua continua a corrodere le sponde e piu nes-suno e innocente". Per il moto dell'acaiM come simbolo di eterna e imperturbabile consunzione cfr. «II cammino frnisce a queste pro-de / che rode la marea col moto alterno» (Casa sul mare, w. 34-35) e «l'acqua morta / logora i sassi» (Lindau, w. 3-4). Sulla risolutez-za dei giudizio morale qui espresso cfr. Romolini 2012 (p. 287), che ricorda il duro commento montaliano sull'epitaffio «Colpevoli di-nanzi agli uomini - innocenti dinanzi a Dio» riferito da Montanelli a tre personaggi, di cui uno fascista, dei suo romanzo Qui non ripo-sano: «Innocenti forse, come tutti gli uomini, o meglio irresponsabili di fronte a se stessi e magari dinanzi a Dio: ma sempre figure farse-sche che poco si comprende come oggi, dopo tanta bufera, il Montanelli abbia avuto l'anima di mettere al mondo» (Una «Tragedia ita-liana» [1945], poi confluito in Auto da je: AMS, pp. 43-44). 20-24. Tuttoper nulla, dunque? -... dell'orda: la prima parte della lun-ga strofa finale si apre con un'interrogativa-emistichio, «Tutto per nulla, dunque?», che serve a introdurre la donna e il valore simbo-jico che le deriva dal suo sacrificio (cfr. quel Tutto), cominciato con la partenza dall'Italia. Da notare il trattino, a cui segue la rievoca-zione degli ultimi istanti trascorsi insieme, scanditi dalla sintassi Paratattica («e le candele / (...) ed i pegni e i iunghi adii /[...] e gli otropi»), fermata al v. 28 da un secondo trattino. e le candele / r"»mne, a San GUwanni: fuochi d'artificio di forma eilindrica e in gWdo di produrre esplosioni colorate (cfr. CDU II, p. 6229), tradi-ni»?al|mente sParati a F'renze il giorno dei patrono («San Giovan-^4 giugno. che sbianeavano lenle / l'orizzonte: lo spettacolo uir.'T"'1"0 ' qu,,si rjllont'lto no1 ricordo (lente), come a conferire valore solenne alla scena dell'addio (cfr. poi «i Iunghi addii»). i lore" t "r''": le Proniesst" e g'i addii lenti e a-iterati (liiii^ln), dal va-t"ini".''Ul1'1 POri ' 1uo"°t1i un h.ittesinio iieH'attes.i luttuos.i delle ,.fr °. ;fer come "massa di KirKiri" se non "turba bellica" 24-27 ''''"'"X'"'^- •■»■ '•icend avivnire): "ma im.i Stella atrraverso il cielo, Ii- .,nl!J P!>n ,',>' sui «hiacci e sui laghi e i fiumi delle tue terre i sei "atonoii r°b'n' 1,1 s,'",i^,, do1 hituro". La parentetiea i- incasto-1 a scena dei congedo ed e aperta da congiun/.ione a\ \ ersa- 297 tiva: con i suoi riferimenti biblico-visionari essa d compito di Clizia, che si situa su una dimensionľdZ^ quella terrena del saluto tra gli amanti. una gemma hj ? do Ism ghiaca: la gemma ě una sorta di stella cadente of 'Ulkr< meta (cfr. «un foco vano rigô ľaria» in Laus vitae III v nľ T** pi 1977, p. 164); «ě una personále proiezione delia Stella ri,0*' il cammino di Betlemme ai re magi,. (Bonora 1983 p 103) r* mere dei tuoi lidi: per lidi come, genericamente, "terre" cfr cnn t p. Ó55; per riviere come corsi d'acqua, fiumi o laghi cfr GD/JXvi p 10631; le ,) nprendono l'immaeine lacwll del ..fornello dell'Ontario» in hide, v. 3 (dove pure av\eniva un^m prowisa accensione luminosa, e in corrispondenza con il buiosul nostro continente). gli angeli di Tobia, i setře, la semina/delľavmi-re): gli «angeli di Tobia» sono i serte arcangeli sempře pronti a en-trare alia presenza della maestá di Dio (cfr. «Io sono Rafael, uno dei sette angeli che stanno davanti alia gloria del Signore e van-no e vengono dinanzi a lui»: Job 12, 15); qui sono precipitati dalla Stella e cadono sul terreno come semi che permetteranno alia vita di rinascere (l'immagine del seme ě anch'essa biblica). Carpi 1977 (p. 163) suggerisce l'influsso delle Elegie duinesi tradotte da Leone Traverso nel 1937: specie della seconda, «con le sue perentoriepre-senze angeliche [...] e [...] con citazione privilegiata [...] [di] Tobia", e della decima, «con la finale e bene auspicante pioggia fecondatn-ce di primavera». Casadei 2011 (p. 35) vede nel riferimento a Tobia un'allusione alia sua «ricerca di una sposa, andata a buon fine con ľaiuto delľangelo Raffaele» e quindi, in chiave allegorica, un cen-no autobiografico alľ«unione fra i due amanti separati", vag^ giata come se «ancora potesse compiersi». Piu in genera le, ne di Tobia la figura angelica si caratterizza per il suo ruolo a g scesa tra gli uomini e a loro vicina. sconoda'' 27-30. e gli eliotropi nati/dalle tue máni: i girasoli che Hon le mani della donna culminano l'elenco dei gesti sac ^ eJitlte al momento del congedo: rappresentano il suo potere ^» m0^vo (con un'interpretazione originate, in chiave salvi u?' mUtata; metamorfico ovidiano: li la ninfa sopravvive neltó ^. rica|ca qui Clizia genera simboli di rinascita). La Par , >tt0 pseu^ "eliotropio", usato da Contini nel commence- al - ^ ja n-dantesco (cfr. supra). - tutto arso... sinibbto: al *f^qUe9Wř*j; sposta alia domanda posta in apertura distro niat.i da 11,1 perduto". Ogni speranza sembra bruciata e OS «p"nt line che come il fuoco stride ("fischia" al venW ^ „ v0cn[ jasemorduiu«.«---- . «pui"* tride ("fischia" *«*^Jbi£Í nibbio»: ossia ě gelido come il sinibbto, per U q freL\d\* rio lucchese di Nieri 1901, p. 209: «Rovaio; Sizza, nte che gela la punta dei naso»; cfr. la lezione di tanto veeme ^ ^ ^ sferzata dal rovaio«, che compa-S^SWSa2one dattiloscritta inviata a Conrini (cfr. OV. p. 933;. K in una rea ^ fecondatore ma infernale, e un emblema della QaeS>OP0Jritäaveta hitleriana; persuasiva l'ipotesi di identificar-^TSre delle falene (Gioanola 1986, p. 437). In «stridecome si avverte qualche consonanza lessicale con le parole di '' ^ena «Srride la vampa! - la folla indomita / Corre a quel fuo-^"lieta in sembianza» (Trovatore, atto II), di cui Montale si ricor-der'ä anche in Anniversario, v. 5 («Arse a lungo una vampa») e poi aplicitamente in Satura, Xenia I 7, v. 5 («"Strana pieta!". Azuce-na, atto secondo"). 30-31 Oh la piagata... questa mortel: il verso a scalino segna una svol-ta drammatica, e infatti il poeta formula un auspicio di annichili-mentodell'orrenda primavera: "Oh la primavera ferita e comunque [pur] festa se raggela in morte questa morte", ossia se con il letale sinibbio raggela «questa morte» (la quäle corrisponde, in astrat-to, allo stato funesto descritto sopra; e in concreto probabilmente alla moria delle falene, che dei resto e un correlarivo dei passag-giodeidittatori). L'idea paradossale di poter far morirela morte e biblica (cfr. san Paolo, lCor 15, 26: «Novissima autem inimica de-struetur mors»), ed e stata usata in poesia da Shakespeare fnel so-netto Poor soul...), Donne (sonetto sacro Death, be no proud...) e Michelangelo (Ancor che 1 cor giä motte volle sia); cfr. inoltre Petrarca (to/327, v. 7: «i' chieggio a Morte incontra Morte aita», e 332, v. 42: "necontra Morte spero altro che Morte»). In ogni caso, l'evocazio-1 una catarsi, di un intervento insieme vitale e distruttivo, pre- ludeall apparizione di Clizia. ne :^mrda ancora / in alto, Clizia, ě la tua sorte: per la derivazio- doch del n0me Clizia cfr-11 caPPell° introduttivo. Lo sguar-„qu edmi^'Sriľe Montale ricordi l'invito «Guarda in alto, Hannah» cinemato faplin' nel fina|e di // grande dittatore, uscito nelle sale le); come8ran he italiane nel 1946 (Blasucci, comunieazione ora-questiver^-. m.emoraDÍle scena conclusiva del film, anche in bi: u°mo Pi'j' rea,izza una comunieazione psichica a distanza tra ,-. ~ ^ ia donr»=» ^__■ ■ • ■• ■ ■ __________«-'- Palmare K i m/u«««,«!»»«!/»»- ...........--- muta'a serK c,tazior|e pseudodantesca di «e 'I non mutato amor na amata. tu /che il non mutato amor mulata ser- du^ione^•b~\(^/l''/', "": Parve mai piü crudel Cosa..., v. 10), giä tra-^^tam^r 'Mel-IV- v. 270: «vertitur ad Solem, mutataque 1 arnon ern>> (cfr. supra), fino a che il cieco sole che in le porti/si 299 298 / in Lui. per twr* ü «c*w* . •portadentTod,^ V* "\ .-i_____, . ^ e I arnr»»_ •Meritu neUAltrc e si d sia U "sole nascosto" cue chil«» in Wi (quasi sprigionato da un tfrasoVin^ľ ' ^°"ř» contender* in Dio («neu Altn^ e d^tru^, £í" *** ** tum. Anche per questo ruolo medianicodi Chzi ä -fT « * ©.doveDanteguaidandoBeatrice^mv^ddU,!^ ¥ vma: .Beatrice tutta ne letteme rote fissa con Iw^ľľL* io in Wi le hKi fissi. di la su rimote. Nol su~™^^ nu fei qual si fe Glauco nel gustar de l erba che I * ^ " in mar de Ii altri dei». 37-40. Focsrif stnw.-. ciinr -: "Forse le siréne, i rintocchi (defc cm-panel che salutano i mctstn nella sera della Wo Ttrai wk. a o»-fondono pá con il suono che. staccatosi (statuty dal riete sxniř* \ince'. In questi ultima versi e protetizzata la vittona del bene Mttsrrf: Hitler e Mussolini, fn^nwh il raduno diabohco (ctr J.\ \\l pp IN""-0^ o ctr gü la -tregenda d uommi» d; V vv. 13-V4 va questa poesia rimandano atvhe i rmhvcfc. che sere queili della campana di Palazzo \ecvhkx cfr. intatti «hatte ils«oť»> co tocco la Martinella» e la nota dt de Rogatis 2011 p :; 4l-kvcor rrspňv di un atta... dri sud..: al trattino finale segw ?■* postilla con ľimmagine rasserenanto della nuova alba di F**£* sari bianca ma senza le »ah di racvapnccio» ossu le ^ täte» delle t'alene che formavano la racvapricciante """""T^j Ca» deJľtncrpif. Tomera attacviandosi ai «greti arsi del siM" con la doppia data/ione del teste - W>>- Pa n° ' si in (v. 421. Voce giunta con le folaghe La lirica ru pubbhcata con il titolc Umivectěgm** com jf>ut nwc ť {tum* cm •V *i^cAť. su «La Fiera letteraria». a. \"III n. insieme tra i al-tro a Cintjťde protvisorio (la futura Pico*» tesimmentv). U testv> confluito nel libn> r> sestanzialmente identkv a quel-lo pubblicatv> su rix ista tper le poche varianti cfr. Ol', p °r^1 mentre il tih->lo e reso piu incisivo. perehe c\m\ lelimina/ione dellarticolo e del prvMiomo la :\\r si accampa luetatisicamen-te nel \-uoto. L"aevvmp»igna siMo uno sK^rnio di uocelli: la rola- ••• • č un \ olaf.le dal psutnaggio s^iuv che all arn- v o del t'reddo si sposta \ erso sud alia riceiva di laghi o psiludt cui stanziarsi. Migra volando di notte. txl tN al limite tra not-tť e giorno che la Urica pv>r\« ambientata. ^ on\e gii in .A mm nuJn: gli uccvlli si legano alia fenonie-«ologia autunnale della memoria: si> lä lecotunuci t\>nipe\ ano S i stormi sopra i «elivi vendemmiati del Mesco». ptx«ss<> il ci-'»itei\> di Monti>rosso dove era stata da poco seppellita la mare del poeta, qui ľarrivo stagionale delle fv>laghe fa da sťondo 1 eammino \ erso la Unnba del j\idre tanch egli nel eimi- w monterossinoV tino al momenKi in cui l'ombra di questi to o J]m imPrvn \ ls.unente Kil/ando tuori dal buio della not- e della morto («iveoti fuor dal buio»). I appari/ione non ě e »n ncordo. e infatti il padtv o eolto nel mondo che era suo. »01 »00 nelľatto discrutare il mare, alle prime luci delľalh re 1 arnvo delle chiatte dei minatori a' Per \'ede Voce giunta con lefolaghe viene quindi a crearP , i genitori defunti, e di A mia madre ripropone , t UÍCoPer e riflessivi. Domenico Montale, ďaltronde en, Jt' C°mp°sti (é «colui ehe lunghi anni ďoltretempo / '[ 1d? ° nel 1931 per questo motivo la poesia non é toccata dal sensľľn0>>): (come invece, almeno in parte, A mia madre), ed e dedič! dal principio, al terna della memoria. II registro sapienzialľ tratti filosofico-eliotiano, si mantiene posato anche di fronte aíle impennate visionarie: non solo quella corrispondente alľappaC rizione delľombra paterna, ma pure quella, piú sconcertante, ehe fa entrare in scéna Clizia, nella seconda strofa. Colpisce ehe il personaggio salvifico della Primavera Meriam ritorni qui, in un contesto privo di légami con la storia, sotto forma di ombra. Della sua figúra terrena Clizia conserva ľaspetto altero e in qualche modo statuario («posa sopra un'erma ed ha uno scarto / altero della fronte ehe le schiara / gli ocehi ardenti ed i duri sopraccigli / da un suo biocco infanrile»), ma ha perso ogni consistenza fisica («i primi raggi / del giorno la trafiggono, farfalle / vivaci ľattraversano»). A lei, divenuta dantescamente una guida tra le ombre, spetta il compito di pronunciare un mo-nito potente, ehe riguarda proprio il rapporto tra vivi e mor^ Dapprima il poeta assiste, escluso, a un dialogo tra le due ombre, e intuisce il timore del padre dl esse^la come ticato dai suoi figli; poi ode la voce di Clizia, ehe pa^ ^ ^ una sorta di coscienza collettiva («- Ho pensato p ^ ' n. cordato / per tutti») e richiama il suo inteúoCU°a questa te («Ora ritorni al cielo libero / ehe ti tramuta. * dQ. „Me-rupe / ti tenta?»), intimandogli di non eccedere n ^ talpe, moria / non é peceato fin ehe giova. Dopo / e [n^co^ abiezione // ehe funghisce su sé... -»■ La me^ ^ zSS®^ proliferazione indebita, ritorno su un P^ssa^isi e prig' - avverte Clizia - erea una condizione di p ^fta - Questa sentenza vale in primo luogo per 'u devcJ la donna sta dialoeando. Per Montale, in» ' di cu> com risce ^alogando. rev tv»u»«-~'" animento u- a, pletare quel processo graduale di s ^oxúete delU\ . giä la prosa Sul limite (apparsa sul' Urernor>da nel 1946); qui é illustrato proprio il perco soglia in soglia, conduce il defunto a perdere ogni memoria H Ha vita terrena e acquietarsi nel nulla: «"Lo so, la prima vol-íasi ě ancora attaccati alle storie di prima. Ě come aceadeva a rne quanďero tra i vivi, ehe dico?, tra i morti dell'Antelimite da cui ťu giungi ora; sognavo e al risveglio ricordavo ancora il sogno, poi anche quella memoria si perdeva. Lo stesso ora succede'a te; c'e ancora una frangia terrestre da addormentare nella tua mente, ma ě questione di poco [...]"». D'altro canto, ě chiaro che ľ«ombra viva» ammonisce anche il figlio, interponendosi tra lui e il genitore, ed emetten-do una sentenza opposta alľumana tensione al mantenimen-to dei ricordi dei cari perduti. Nei versi finali delľultima strofa il processo mnestico ě effettivamente interrotto, nel senso ehe la visione si dissolve e il poeta puö, per un istante, percepire il «vuoto inabitato / ehe oceupammo e ehe attende fin ch'e tempo / di colmarsi di noi, di ritrovarci». Se la voce di Clizia era giunta con le folaghe a liberare padre e figlio dalle sponde (cfr. le prode) della memoria, ora il mattino (il «vento del giorno») svela ciö che ě persino anteriore «a immagi-ni, a parole». Ě un'altra faccia della memoria, che non ci appar-tiene: l'«oscuro senso / reminiscente» che coincide con il vuoto, con ciö che ě stato prima e che sarä dopo le nosrre coscienze. Montale riprende cosi il motivo escatologico che attraversa la Bufera, e sviluppa non tanto la questione della sopravviven-za nel ricordo o in un eventuale aldilä, centrale in A mia madre, quanto l'idea dell'oscuro compimento esistenziale presente giä m Pröda di Versilia, dove per i morti era auspicato «il compiersi di quella vita ch'ebbero / inesplicata e inesplicabile» (vv. 4-5). Qui - si puö aggiungere - ě anche per il vivo che, dispensato dal peso del ricordo, viene auspicata la stessa misteriosa continua-Z'one. Ľinvito a non vivere di memoria, a non perlustrare i luo-8 i del passato e a non pretendere di essere ricordati, allontana a padre defunto come forse dalla stessa Irma. E la percezione metafisica del vuoto, insieme liberatoria e inquietante, suggeri-sce di rassegnarsi al nulla quale inizio e fine del tragitto umano. METRICA Cinque strofe di undici versi ciascuna, in preva-ternarend'eCaSÍllabÍ' Ndle P"me due 3gl' endecasillabi si al" äno altre misure: cinque settenari (vv. 6,9,12,13,17), due 303 x----,-■-/« uoaecasillabo (v. 5); nelle ultim composte solo di endecasillabi, é trovata una perfetta reľľ' ritä e il ritmo diviene piú cadenzato e solenne. Unica infrazione della coincidenza tra unitä metrica e sin tattica é la continuitä tra quarta e quinta strofa, sottolineata dal verso spezzato a scalino, dove nel primo emistichio esorbita la quarta strofa (e, con un enjambement sintattico, si esaurisce il discorso diretto di Clizia), e nel secondo comincia la quinta. In linea con il tenore drammatico del testo (insieme narrati-vo dialogico e ragionativo) e con ľampia orchestrazione sin-tattica dei periodi, non vi sono rime sensibili. Poiché la via percorsa, se mi volgo, é piú lunga del sentiero da capre ehe mi porta dove ci scioglieremo come cera, ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore ma le vermene, il sangue dei cimiteri, eecoti fuor dal buio ehe ti teneva, padre, erto ai barbagli, senza scialle e berretto, al sordo fremito ehe annunciava nelľalba chiatte di minatori dal gran carico semisommerse, nere sulľonde alte. Ľombra ehe mi accompagna alla tua tomba, vigile, e posa sopra un'erma ed ha uno scarto altero della fronte ehe le schiara gli ocehi ardenti ed i duri sopraccigli da un suo biocco infantile, ľombra non ha piú peso della tua da tanto seppellita, i primi raggi del giorno la trafiggono, farfalle vivaci ľattraversano, la sfiora la sensitiva e non si rattrappisce. rombra fidata e il muto ehe risorge, uiella ehe scorporô ľinterno fuoco e colui ehe lunghi anni ďoltretempo (anni per me pesante) disincarnano, si scambiano parole ehe interito sul margine io non odo; ľuna forse ritroverä la forma in cui bruciava amor di Chi la mosse e non di sé, ma ľaltro sbigottisce e terne ehe la larva di memoria in cui si scalda ai suoi figli si spenga al nuovo balzo. - Ho pensato per te, ho ricordato per tutti. Ora ritorni al cielo libero ehe ti tramuta. Ancora questa rupe ti tenta? Si, la bättima é la stessa di sempre, il mare ehe ti univa ai miei lidi da prima ehe io avessi ľali, non si dissolve. Io le rammento quelle mie prode e pur son giunta con le folaghe a distaccarti dalle tue. Memoria non é peceato fin ehe giova. Dopo é letargo di talpe, abiezione ehe funghisce su sé... - II vento del giorno confonde ľombra viva e ľaltra ancora riluttante in un mezzo ehe respinge le mie mani, e il respiro mi si rompe nel punto dilatato, nella fossa ehe circonda lo scatto del ricordo. °S1 si svela prima di legarsi a lrnmagini, a parole, oseuro senso remirúscente, il vuoto inabitato ^he oceupammo e ehe attende fin ch'é tempo c°lmarsi di noi, di ritrovarci... 305 1-11. Poiche la via percorsa... sull'onde alte: "Poiche, se mi tro, la via percorsa e piu lunga del senriero impervio'lld8°'ndie-che mi condurra dove ci scioglieremo come cera, e i ei £apre"l ri non consolano il cuore ma le vermene, il sangue deidnv fi°ri" coti fuori dal buio che ri teneva, padre, senza scialle ne fcnwf' tento ai barbagli, al fremito sordo che nell'alba annunciava di minatori semisommerse dal grande carico, nere sulle ond * se". Jnripir dantesco, sia per il cammino come metafora dellfT (cfr. Inf. I, v. 1), sia per rimmagine della morte come sdoglime to della cera, che riprende la «cera mortal» di Par. VIII, v. 128 (Ma" cri 1968 [19%], p. 181, n. 72) e anche la «mondana cera» di Pari v. 41. sentiero da caprc. cfr. «il senriero delle capre» di Eliot, A song for Simeon, tradotta da Montale nel 1929 (OV, p. 740), immagine sul-la quale agiva sempre l'ipotesto dantesco («lo scoglio sconcio ed erto / che sarebbe a le capre duro varco»: Inf. XIX, w. 131-32). Sella prosa Le Cinque Terre (apparsa sul «Corriere della Sera» nell'ot-tobre del 1946) la salita verso il cimitero di Monterosso e descrit-ta come uno «spazio che non permette passeggiate se non a colore che vogliono inerpicarsi come capre» (\'acante 2005 [2006], p. 64, a 37). ma le vermene. il sangue dei cimiteri: nel cammino verso la tom-ba non i «giunchi horiti» consolano l'animo ma le vermene, ossia i ramoscelli nati dagli arbusti legnosi {GDLI XXL, p. 7831) o anche m-bene, piante dai fiori vivaci, talvolta di colore rosso (cfr. sempre s.v vermena GDLI XXI, p. T833); cfr. ancora Dante, -Surge in vermena e in pianta silvestra» (Inf. Xffl, v. 100). Per l'apposizione -sangue da cimiteri* cfr. il sintagma «vermene sanguigne» (Govoni, Smo ro> si, v. 11: Zollino 2008, p. 160); forse Montale ricorda anche la stru; tura sintattica lungamente sospesa deU'inripif govoniano -Quando d'invemo al mio paese [...] ecco un giomo tu v^1..h(?'!, meggjare / le vermene sanguigne», come qui i w. * ^ ^ via percorsa [...] eccoti fuor dal buio»). seivui scialle e. r2.efl j lo saalk come attributo patemo cfr. l'immagine finale dtt ^ tennis: -mio padre che anche nel piu caldo giomo d ag ^ la cena aU'aperto. piena di falene e d'altri insetti. dopo .fapcese tato sulle spalk uno scialle di lana, ripetendo sempre ^ ^ chissa perche, ~Ujmtbien froid. bien froid*. siritira)? ^#i)~il n**" ra». at sordo fremito: il cupo mormorio (GDLI \ L p - ^jgccnr bo defta cfciatta in arrivo sul mare; cfr. il "mug^iriin 28- ^ombrafidata... non oden "L'ombra fidata e il muto che risorge. ^ il fuoco interiore ha scorporaro e colui che e disincamato *VJ*»*>« (anni secondo la mia percezione di uomo axrxvw K 7**^^Po U tempo terrene [.d'oltretempo^L si scambiano parole ^.^"J^witowim^ginftnonodo". Lombmfidt^ emet^e^r^ Vm ~*™r * guida assun^ da Clizia: cfr. -le fkiate spaUe* iPwy i^fSn"ocal«83[l«5Lp-14'»). amu*d*ri**&r<**»*-da *e appare per la prima \ oto pooo .: . - t+to^^snn^l'interno frnxv. apposizxw di -wbra t*UU^ ^t^*?00**1'***™d»vinv>donwd: la " -v- - • ^ Pfwwem hMermm. v. 35);awp^ paralWoal^ »W^t0 ^ P^^- ^a^e -snv.teriat.AO re* ^*ra l^F^ ^ Z^3111^^ ma rer vakwe .1 suo«mpi*> (T?*» fatto un angekxcfr. -da pnnwchek>axesa I > pTr*^ U tempo oltre U tenix^ m^l aklila. Sfed^to"'^F*fattoWrr.o:\-:viii r . ' MK troverä la forma in cui ferveva [bruciava] l'amore di D' stessa, ma l'altro ě smarrito e attonito e terne che il f „ 6 n°n di * memoria [«la larva di memoria»] che lo conforta l«iÜ°C° de"a fioca 111 cui si scalda» per i suoi figli [«ai suoi figli»] si spenga al nuovo salto del tem ,3>>] zo]". Ma ě possibile leggere insieme «si sralHa / ,. . come "al braciere dei suoi figl ire, essendo vŕv ta di fronte alľoscuro futuro delia donna);)bnna vale "cornn'' :re insieme «si scalda / ai suoi BriTS i fijdi". la forma: il ^ „u. "8" '0SS1 potra /fl/ormfliilcorpo.cheCHŽia'05 nacquistare, essendo viva (Jone, al v. 28, esprime la cautela H„i tradizione neoplatonica, dov'e contrapposta alľanima. amordiChi la mosse e non di sé: ľamore di Dio (per Chi, con ľiniziale maiuscJ la, cfr. YAltro in La primavera hitlcriana, v. 36); cfr. «amor mi mosse ehe mi fa parlare» di Inf. II, v. 72 (Savoca 1983 [1985], p. 152, n. 36)! La speciŕica «e non di sé» conferma ehe si tratta delľamore di un ente superiore, non di una volontä egoistica circoserivibile alia persona di lei. La rima (con il verso successivo) sé: ehe rende cadenza-ta la chiusa del lungo periodo, la larva di memoria: ciö che resta nel ricordo, il fantasma (larva), nuovo balzo: il nuovo trapasso, il salto del tempo «cancellatore di ricordi» (Blasucci 1978 [2002], p. 191); cfr., per il dinamismo ehe dissolve, «cala un'ora, i suoi volti ricon-fonde» [Flussi, v. 46). Per Croce 1991 (p. 59) ě, piú precisamente, la «scomparsa di un'altra generazione». 34-45. - Ho pensato per te... chefunghisce su sé... -: si leva qui la voce del ritolo, che appartiene a Clizia. II periodo ě spezzato in sette&a-si brevi, caratterizzate da un ritmo lapidario e maestoso. L esor i «Ho pensato per te» vale "Ho pensato al posto tuo, ini tue> tav ^-Tatasciore 2015 (p. 192) indica la possibile vicinanza a "f3^^. nel Purgatorio confessa Dante liberandolo dal peccato de -ficare mento a immagini di bellezza terrestre, prima difar^° ?; ^ li-della stessa memoria del peccato nel Lete». Ora n °^donaie il bero/che ti tramuta: Clizia spiega al morto ehe deve a ^ ^ passato e tornare nel tempo dell'aldila in cui si ragg ^ smate. pimento delľesistenza terrena e si precede verso ^^jiitä e rializzazione. II cielo ě libero in contrapposizione a ľonereabe-alla prigionia della memoria, di cui Clizia si e assu ^ Anc0-neficio di tutta l'umanita (cfr. «ho ricordato accantoal ra questa rupe I ti tenta?: ě il promontorio del ^.y^cca^0 0,, mitero di Monterosso, ma ě anche il simbo o de _ ^ stessa-^, passato, e al suo territorio scosceso. Si, la ba ^ fa pri ^ si dissolve: "SI, la battigia, il mare ehe ti univa ai fe ^ che io divenissi un angelo («prima che io a^Sfunt0, anC°.r3 ^ stessa e non viene meno". Clizia rassicura il de si & ja cato alia sua vita storica, sul fatto che il rnor\Q\ ^ la s va identico. battima: forma toscana per "bat ig j n. SDiaeeia su cui si infrangono le onde del mare (ch.GDLIU, d i Äuperini 1984 (p. 185) ne rimarca la presenza in «Pea, Via-P: Carola tutti scrittori della costa». ä mare che ti univa a, mm / m, se incidental brachilogica: il mare (tra gli Stab Uniti e l'lta- la :ii; ighe per distaccare il morto dalle sue, ossia per portarlo via dalle me la battima ě lo stesso di sempre. Io le rammento quelle. Tale tue- Clizia rammenta le sue prode americane (ossia la sua vit, itorica ia sua origine) e dichiara di essere sopraggiunta con le fo ie ia *- *~--------- 1 . , • i : Clizia rammenta le sue prode americane (ossia la sua vita sponde liguri della sua vita, ove ě apparsa al figlio la sua ombra, intenta a scrutare il mare. II termine prode rimanda a Pröda di Ver-silia, dove i temi del ricordo e dei famigliari perduti erano giá centrale, folaghe: uccelli acquatici gruiformi, dal piumaggio nero e dal beeco bianco; gli stormi migratori si spostano solo di notte. Ecce-zionalmente, alcune folaghe americane migrano in Europa volan-do sopra l'oceano Atlantico, come l'ombra di Clizia (Romolini 2012, p. 299). Memoria... che funghisce su sé... -: monito finale di Clizia: la memoria diviene peccato quando ě ritorno sterile di nessun gio-vamento; ě uno stato di torpore profondo, degno di una stagnazio-ne sotterranea («letargo di talpe»); ě perversione (abiezione) che am-muffisce («funghisce su sé...»). 45-50. U vento del giorno: il primo annuncio del mattino, che fa spa-rire l'ombra. La situazione ě topica: cfr. per esempio Hamlet, I, V, w. 89-90: «Addio, dunque! II fuoco della lucciola / si fa piü scial-bo, ľalba ě prossima» (traduzione di Montale). II vento sembra far tremolare le ombre prima di dissolverle. confonde: fa svanire agli °cchi. l'ombra viva: l'ombra di Clizia. riluttante: l'ombra del padre e esitante. in un mezzo che respinge/le mie mani: "in un'aria che ri-'uta i miei gesti" e forse che impedisce l'abbraccio alle mani inva-no protese, dantescamente (cfr. sopra Purg. II, vv. 79-81) e virgilia-namente. Per il valore scienHfico (e dantesco) di mezzo cfr. Due nel tos?010' V' 6' C Ü resmro mi si romPe Inel Plmt0 dilatato: il respi-cede c"13 (<>)la dove le maglie della visione sembrano avanf6 1 ^ PUnt° dilatato>>)' forse 8iá svelando il vuoto (cfr. piú maei' V' 53^' ndltt fossa / che circonda 1° scatto del ricordo: im- scnřřodmetapSÍChÍca' nella quale 11 ricordo ě descritto come uno "ella d lnam.f ° entro una specie di infossamento o ristagno. Cfr., 1950) ie°Sa yeU° Viene doP° (uscita sul «Corriere della Sera» nel vuoi ŕestPar°ľ SUl'a memoria pronunciate dalla donna: «"Ma tu sato"» (n"0, dentro' "ei fosso; a pescarci le anguille del ruo pas-d°); cfr an h T deUe anSuille ě precisamente il fosso del ricor-Va / a straH- aglta la8S'ú / uno smorto groviglio che m'avvi-dal'a riva» n 6 mi eguale a quell'assorto / pescatore d'anguille {La gondola che scivola..., vv. 8-11). Cfr. forse anche «rut- 309 308 to questo / puö ritornarmi, / traboccar dai fossi, / r()MI , condotti» dl NW tontvo, w. 6-8. Per il contraato tra vitalitadT* '" do e insignificanza del ristagnocfr. «negro vilucchio, lolo ,'|,""" cordo / s'attorce si difcnde» (Hansa marca, vv. 13-14),. j| ll°ri" viluppo di memorie» nel quäle antra il venia (Godi st il oentoM ' tra nel pomario..., vv. 3-4). Per la fona Coletti IW7 rimanda In-"'" tabasi di Ulisse (Odissea XI) aggiungendo che I,, /„....,„ s,'m.|,j!,! i', «figura della piü profunda, abissale funziono dell.i memoria ,|,',. annoda passatoe presente» e che si lega al «piu primordiale uVj ri-cordi, quello checi fa sovvenire [...] quel vuoto pränatale |...|.» (ivj p. 556 e cfr. qui i versi sgg.). 51-55. CosL. di ritrovarci...: "Si svela in questo modo, prima di le-garsi a immagini o a parole, [come una) oscura rammemorazione, il vuoto inabitato, che occupammo Iprima di nascere| e che ci at-tende finchö non si ricolma di noi, ritrovandoci |alla morte]". Cfr. la spiegazione al traduttore francese: «le vide inhabite qui se fait en nous juste avant que nous disions oui ä la vie: le vide qui se fait dans la pendule une seconde avant que ne sonne l'heure» (Savo-ca 1983 [1985], p. 140, n. 7). Per la coincidenza tra nulla e memoria "non umana" cfr. «La memoria vivente e immemoriale, / non sorge dalla mente, non vi si sprofonda. / Si aggiunge all'esistente come un'aureola / di nebbia al capo. E giä sfumata, e dubbioche ritomi. Non ha memoria / di se» (La memoria, vv. 5-10). L'idea pla-tonica di un repertorio di forme possibili, nell'ambito di una n es-sione sulla memoria, affiorerä nella // Variazione, del 1959: "Mo* do, ogni onest'uomo lascia ai suoi figli un corredo di all""y. peius faits destinari a morire anch'essi coi loro depositan. ^ ^ gnificato ci sfugge, la loro ostinazione a non perdersi in verna sotterranea in cui la vita impasta le nuove forme *j?altra par-del materiale in disuso puö sembrare anche ridico?j> ^rfS, te come possiamo noi giudicare dell'importanza dei ^ quanto pp. 164-65: Romolini 2012, p. 292); ancora piü intere^fLrmartfT'-segue: «Probabilmente le idee di aperto e di chiuso, a g ^ za e di fluiditä, anziehe escludersi si integrano in un incomprensibUe» (ivi, p. 165). L'idea di una Prov^ e u terßP* stre anime da un platonico "altrove" ricorda il ig a le «Ancor di dubitar ti da cagione / parer tomarsi ^ Blas*!?, le, / secondo la sentenza di Piatone» (Par. IV, ^'^andaal"^^ comunieazione orale). In se, l'agnizione del vuoto muxnD-pereepito neU'irreak trasparenza dell'aria diForse dietr0 di w. 2-4: -vedrö [...] / il nulla alle mie spalle, il vuoi Nfll.i serra La urica apparve per la prima volta sul periodico «II '45», a. I, n. 1, febbraio 1946, e nel 1952 fu riprodotta nella plaquette di KenzoSommaruga dal titolo 6 incisioni con trepoesie di Eugenia Montale, con L'anguilla e Nel parco. Proprio con Nel parco, pure del 1946, Nella serra compone un dittico: i due brevi testi sono affini nel titolo, nelio scena-rio vegetale, nonchd nel metro. Stando all'indice di Romanzo, il progettooriginario ne prevedeva la collocazione alla fine della sezione Intermezzo (cfr. Scaffai 2002, p. 177); il che fa supporre *e andi'essi siano ambientati in Liguria (cfr. qui la limonaia e ™ a prosa // bello viene dopo il ricordo della «serra delle pian-^grasse»), o che almeno recuperino, nella rappresentazione rpcP«eta e de'la compagna immersi nella natura, le atmosfe- suirediDw"wcr^usco/a t0 uno de^113 d-ColIocare 11 dittico nelle Silvae deve aver influi-v°'ontä jjCriteri fondamentali che ispirano la raccolta, ossia la '""fiand" nspettare la cronologia dei componimenti e quin-di*eead 0mplessivo grosso modo biografico. Dopo-femminiie ?.° stabilire se nelle intenzioni di Montale la figura del testo pr ' " Sena dovesse porsi in continuitä con quella

>)- l8-l9: «ai^S1 P°trebbe notare che, proprio come in Iride (cfr. fa1di^gni(öS0™83"0 / fra ledita nonho>>)'anchequi unr0Sa~ Ce)Pfelude collana di8occed'acqua sulla lama di una la manifestazione onirica della donna. Si tratta, beninteso, di un semplico sogno, e non di una umu m come in Jríár. Ě proprio la serra a suscitare le prime ' ^ Vi$io ni vagamente aUudnatorie: frammenti dinamici udľuT''^ vi, occupatio i distici delle prime duo quartine e s ISl- da verbi al passato remoto («S'empi duno /ampottio.^'-p in un rosario»; «S'accese sui pomi cotogni»; «si udi inaíbe • alia striglia»). ľoi la dimensione onirica prendo il sopravvrľ' to, come aťferma ľemistichio «- e poi vinše il sogno», introdi't to dal trattino ehe, come di consueto, marca lo scarto Di il testo ritrova continuity sintattica e anche una čerta niaosto-sita grazie a vistosi enjambements (cfr, soprattutto le inarcaru-re interstrofiche: tra terza e quarta strofa, e tra quarta strofa e verso finale); il poeta e pervaso dalla presenza di lei, dalla sua forma (parola che ricorda effettivamente mo\-en/e gia assixii-te a Irma, come «La tua forma / passö di qui [...] poi si sciol-se / come un sospiro, intorno» di Personae separatae, w. 14-22: Macri 1968 [1996], p. 148). Ě degno di nota, peraltro, che un rumore tenue in una serra fosse giä un segno delia numinosa presenza di Irma nel mot-tetto Ecdo ti segno; s'innerva..., w. 5-8: «11 passo che proviene / dalla serra si iieve, / non ě felpato dalla neve, ě ancora / tua vita, sangue tuo nelle mie vene». Anche nel testo del 1938 b «presenza vitale, che si trasfonde nel corpo del poeta» (de K°-gatis 2011, p. 114). jonJ In questa lirica siamo dunque lontani dalle manifest,1/"|t) labili e controverse di Arietta, e sembra confermarlo una di piü il finale, dove il sogno si arricchisce di suggest"' mi- Stiche di cui solo la futuraClizia puö essere kannte: «ej ro // pensiero di Dio discendeva / sui pochi vrventJ^ ^ perciö, se pure evoca una scénografia antica e ligure i ^ modo legata al fantasma di Arietta, forse serve so f ^ ^ cizzarlo. Del resto, il motivo dei «pochi vivenn» sij ^m0fii per antitesi: ě lei la figura salvifica contrapposta ^ ^ ^ in tempo di guerra in La frangia dei capelli- (v. J^^wv/gF ti sara ancora lei - «tu la sola vivente» - a oppo ^. ^0,u # ticitä esistenziale dei «cadaveri in maschera» ^^"aeS^ si voltano (vv. 16-17). II sortilegio, insomma, no ^ p^ ^u„e niazione, come nell'arlettiana Due nel crepusco c, fetto di comunione spirituále tra eletti. aquelladegli piano ritmi- \ .finitiva, il recuperodi un'atmosfera simile 1,11 L^é di moduli pascoliani sensibili giá su dhlM possihile memoria govoniana) si iscrive in una sor-I,.ti'iulenza "impressionistica"di ritorno»(Mengaldo 1966 ' 'o.!, I p. 81). In merito Montale stesso ha dichiarato: «Dopo la jihor.i/ione ho scritto poesie di ispirazione piú immediata che •rccrti lati sembrano un ritorno all'impressionismo degli (hsi fiiapb, ma atlraverso il filtro di un piu cauto controllo stili-itico* (Confessioni di scrittori [Merviste con se stessi], in «Qua-donl della radio*/ XI, Torino 1951, ibid.). VIETRICA II testo si compone di quattro quartine e di un verso isolate. I versi sono prevalenremenre novenari pascoliani (ossia con ictus di 2'15a 8-'), eccetto alcuni ottonari che si concentrano nella prima metá della lirica e nel finale (vv. 1, 2,4,6,8,17). Le rime sono piuttosto regolari, con almeno unadempimento in ogni quartina: limonaia : fienaia, coccini-glia: striglia, intriso : viso; nella quarta strofa, priva di rime interne, tamburi rima imperfettamente con oscuro, parola finale della precedente quartina, e suoni rima con limoni, fa-cendo da ponte con il verso di coda. Come un filo interno che attraversa la lirica ě la rima zampettio : mio : Dio. A que-b l , s" a88iungono le seguenti rime imperfette intrastro-« 1 interna talpe : fake, cotogni: sogno, suoni: fulmini. Da 1ar/ anche ,eggero : pensiero e la ravvicinata ma morfolo-W*Jmdeva; discendeva. ditľlPlľUnOZamPettio »la limonaia, g0cce la falce fienaia. >ulSlPOmÍCOt°8ni' Jr> Punt nicotogni/ Si udi inaíiľ"3 coccinigli^ 11 Ponevrarsi «IIa striglia e Pot vinse il sogno. 253 252 Rapito c leggero ero intriso di te, In tua forma era il mio respiro nascosto, il tuo viso nel mio si fondeva, e l'oscuro pensiero di Dio discendeva sui pochi viventi, tra suoni celesti e infantili tamburi e globi sospesi di fulmini su me, su te, sui limoni... 1-4. Semp)... fienaia: "La limonaia si riempl di uno zarnpettiodl talpe; la falec da fieno brillo in una collana (rosario) di rare gocce in equilibria, (caute)". Per Yincipit cfr. forse il pascoliano «s'em-pi di scalpicci la via» (// sogno delta vergme, V, v. 78). rosario: pa il rosario e la sua funzione di madeleine (come nota Romolini 2012, p. 255) cfr., in un dettato piü arduo e solenne, «e altro rosario / fra le dita non ho» (hide, vv. 18-19); per le gocce di un "collare" fem-minile, evocato per analogia, cfr. quanto dichiara Montale su Dal treno (cfr. il cappello introduttivo). caute: le gocce d'acqua sono caute forse perché appaiono in bilico sulla lama della falce, che fanno risplendere. la falce fienaia: ricorre nelle poesie di Govoni, da cui forse deriva (cfr. almeno Nel camposanto di Pisa, v. 20: «con la sua splendida falce fienaia»); insieme alia limonaia e ai dettag1 ricordati nella quarta strofa («infantili tamburi» e «globi sospesi di fulmini») ě per Luperini 1984 (p. 106) una scheggia del paer ,«scenarioche« «fb> strofa („infantu, tamo *° deg,i Oss/;piúLUrP-- "«4 (P. 106) una scneggi! del paesa? ca quelle della casa DZ ,? comP°™ "no «scenario cheevo-J da lavoro menzinntl-V falce fienaia {a pensare agli attrez- 5-«- Saccese... fESíí * V™»*>-coccinigHa. si ud,*., Un Pur>to s'accese sulle mele cotogne, una ~ e Poi il SOgno nrp P°,ney ™bizzarrirsi mentre veniva strigM0 de,1e mele coto^eZu S"Pravve"to". pomi cotogni: la prese** West'ultima clZ" ne,,a "monaia conferma l'accezione estesa d> vArMU T"ur> vv- 3-4) e I'animale ■to qu' Piu nt,t,',rncntt'cnt'in r°"r'é " Presagi« di una "'"nsione di versa che sta per subentrare. Cfr., in una simile atmo- toonirica, giá gli onagri di // carnevaledi Gerti, v. 20. g.|2 Rapito-fondeva: "Conquistato (rapito) e leggero, ero intriso del tuo spirito, la tua forma era il mio respiro dentro di me (nascosto), ,1 tuo viso si fondeva nel mio". La compenetrazione con la donna Jhincarnata sembra riprendere, almeno lessicalmente, l'immagine pbionica «La tua forma / [...] si sciolse / come un sospiro, intorno» iPtrsonaeseparatae, vv. 19-22: cfr. Macri 1968 [1996], pp. 147-48); e, per il trasferimento di lei nel corpo del poeta, cfr. il verso finale di Ecco il segno; s'innerva... («sangue tuo nelle mie vene»), giá richia-mato nel cappello introduttivo. 12-17. e l'oscuro... limoni...: "e la misteriosa intuizione (pensiero) di Diocalava sui pochi viventi, tra suoni celesti e tamburi dell'infan-/ia e globi sospesi di fulmini, su me, su te, sui limoni". pochi vi-twitt sono anzitutto il poeta e la donna, depositaria di una veritä Potenziale contrapposta alle vite degli altri, e in grado di illumi-narequella del poeta (cfr. il cappello introduttivo): in questo stato (mirico i due sono fusi l'una nell'altro, e il senso del divino scende su entrambi come una grazia. infantili tamburi: forse corrispondo-no,con recupero regressivo, alle «tinnanti scatole / ch'anno il suo-"opiütrito» (Caffia Rapallo, vv. 28-29: Luperini 1984, p. 106). globi *sp'difulmini: potrebbero essere fulmini globulari, ossia le bol-' uce che talvolta compaiono in cielo durante il temporale; ma Potrebbero an.h Á ^'"P"""" »' cesi» di a aesignare dei lampioni sferici, come i «globi ac- so, tra i f ?e"'0' v- 36' che peraltro dondolano nel cielo tempesto-RiaPossiedmmi' J'moni: richiamano la stagione degli Ossi, dove ' un valore simbolico positivo. 255 254 L'anguilla La poesia fu pubblicata per la prima volta su <> "el 1950 e poi in-«cav^ HF*zanRhenW Che riesco™ agK erbosi / fossi dove Í sParutaansuZT T^í aSSuanta™ J ra8a^i / qual-Í° mo«vo, p8iü "h-,VV" 7)"Ma ndla pr°Sa affiora ancr aDb.a amphato la sféra di competenza dell'anguilla, ma non me ne sono accorto. So che le anguille (anno lunghi viaggi, n»' arrestmo non so veramente dire. Ce ne sono nel Baltico? FW* no; ma ce il capitone, che in Liguria si chiama grongo, e d. soli • mang« tagliato a fette. [...] Dei salmoni non so molto. Ric^ vece quando, da ragazzi, pescavamo le anguille con la for* ^ i ruscello sotto casa» (Cima - Segre 1977 [19962], £ «» 1-14. L'anguilla, la siréna / a una creatura mitologica, metá donna e in un ruscello sotto casa» (C sottigliati: predicativo di ramo e capello; i capillari" ivoliďacq"3 • „entriß sdicativo di ramo e oipww,. •• - - nnino L-apuian . macigno: «roccia arenaria: de" "fcarnen^ „ nale» (CDU IX, p. come in «tra due pareti del duro macig™ v riefli di me/ma: per gorielli cfr. «"Fossatelli^ ^ ^ p siliese e piti generalmente lucchese, deriv ntini 19 Volto Santo; muove da gorm anziehe da go , . inrlusa nel Lessico Ä Enrico Pea di Contini, apparso su Í S£i neu939 «L /.ce ««*. « ort** la luce é una Sa» de« Se (cfr. poi 1'uso de.la^al, 16=eepiteto dell'anguilla); il raggio luminoso filtra artraverso le fronde del ca ,taeno pianta tipica delle zone montuose e collinan. ne accende ,lxuizzoin pozze ďacquamorta: la luce ravviva il pesce nell acqua stagnante: gli ridá vita, il che potrebbe reinterpretare la leggenda, testimoniata giá da Aristotele e Plinio, secondo la quale le anguille nascerebbero dalla melma. Con un simile valore epifanico cfr. il «guizzo argenteo della trota / controcorrente» (L'estate, vv. 5-6); per la iunctura cfr. «ma un guizzo accende i vetri» (Eastbourne, v. 8). Per le pozze melmose cfr. forse «La mano che mulina l'acqua den-tro alia pozza / sommuove il fondo limo» della Quinta poesia di Dylan Thomas tradotta da Montale nel 1946 (OV, p. 752, vv. 11-12: Luperini 1984, p. 176) e soprattutto «Ma nessun guizzo di coda / scorgevo nei pozzi limosi» (Per album, vv. 3-4). dai balzi d'Appen-ninoalla Romagna: i balzi sono i ripiani lungo i pendii dei monti; il termine ě dantesco: cfr. almeno «E '1 balzo via lá oltre si dismon-ta» (Inf. XI, v. 115). La discesa verso la Romagna evoca la foce del po e il mare Adriatico. 15-19. l'anguilla, torcia, frusta: la série incalzante degli epiteti ha un sapore neobarocco: non a caso per torcia cfr. «torcida, / areo que se vibrö flecha animada» del sonetto sulla vipera di F. de Quevedo ""ortaaLisiaefectos semejantes de la vibora (Mengaldo 1966 [1996], P- % n. 4). La frusta, mobile e sferzante come l'anguilla, ne evoca taw"1'3 V'íale' frecciadAmore'" terra: al Pari della «lucescocca-cíd H*1 •'1 an8ui"a Precede come una freccia che incarna un prin-pio divino (V Amore con la maiuscola) in terra. Per freccia cfr. sem-(term^aSS° d'Quevedo citato s°pra. / nostri botri: i nostri "fossi" AnTh^m °: cfr- CDU a> P- 326>; cfr- «Capitone alia livomese. Passava a "0n m'tenU; ma mi fa ricordare U b°tro melmoso che "> in // ,„„ ",T° aila mia casa>' <" he"° viem' d°P°); cfr. anche bor-WipirZZut' l 6 Ín N°tÍZÍe áalVAmiaia> v- 24- i disseccati/ru-no: cfr «irl^T",eTneeSOHca' Sui Pirenei' di un habitat nostra-qualchespa^ann8hene /,m,ezzo seceate a8guantano i ragazzi / 20-25 .. "aruta anguilla.. (1 Imwni, vv. 5-7) di «loreST^11*"? <^'«fW®* puö essere effettivamente la scintilla che dice.. versetto che nmn'" ~'"'""* L'"'mcaroomrsv. «specie di sacro **»(Zamb"-^-"UnC-a Xmaaů* 1 ' incarbonirsi: improvvisamente profetan- ? Potrebbe deS?/^í***0 i"carbo"irsi va^ "carbonizzarsi" "r"° (Men^inl iLr.hL , unzio' Forse clw si f0™ che no e Not- eNot-poaot- v. 26, ma anche «Senti raspar fra 329 528 le macerie e i bronchi / la dereiitta cagna* (Dei Sevolr e -e ťe Mil bronco íempre quel Bore. (Ľora di baZľí'Ví 7^ tagma é apposizione del secondo tutto del v. 24 ma íl "*IV « legaaliafcmhUadel v. 23, che sembra poterlo incJndi™'*CC0 momento all'altro, in una improwisa resurrezir m* n . 'ar' 0,1 p. 160 e Zambon 1994, p. 74) P6""1 "*>■ 26-30. Itride breve, senhal di Clizia (err. la poesia hide) É breve che conisponde alia fessura dell'occhio, come in Nel umno v ľ* tuoi ctgit: altro dettaglio fisico della donna: cfr. *il baleno esulUn* cia, / «á lunghiSMmi cigji del tuo sguardo* (Lungomare, «ch'io fugga dal bagliore / dei tuoi cigli* ISu una lettera nmtcrt-ta, w. 6-7) e -l'arco del tuo ciglio* (Verso FintUere. v. 2,. M, / deftuonur. GeMi e definite -rigbo deil'uomo* nel la Bibbia ítptát nel Vecchio Testamente, e in partKolar rraxio nel Libro dt Ezedm-1e)r, Montale, rivolgendosi alia Cristofora, si riferace all'ummb con la stessa prof on da empatia. nel tuofangcr. "arjplla drvina die has quasi creato tu (Clizia), e nel la quale anche tu ti troví imntr-•a" il'interramento di tutti gli uomini, il /imo dove muorc 3 gai-lo cedrone. cfr. // gallo cedrone, v. 8). Anche nell'aggettivo pome* hvo si realizza quindi una convergenza tra cielo e terra. pm*"j-U poeta si rivolge a Clizia ma con lei a tutta l'umaniu. l'anguilla femmina, die compie questa migrazione portent«apff aseecondare la pulsione di víta. II suo viaggio, fragile e mtf*££ so, indka un destine comune, una "sorelLanza" (che,con** . píu forte delľamore, emergeva giá nell'espressione »strawi la» riferita a Irma in La bufera, v. 15). Per il ^F^chian5^ tra-tura e uomo cfr., ancora dalla Quinta poesia di *V^/oÄU dona da Montale, "La forza che guida I'acqua tra le roax, il mio rosso sangue« (vv. 6-7).