Césare Pavese Feria ďagosto Einaudi La Langa Io sono un uomo molto ambizioso e lasciai da giovane il mio paese, con l'idea fissa di diventare qualcuno. II mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attra-versa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Sic-come - ripeto - sono ambizioso, volevo girar tutto il mon-do e, giunto nei siti phi lontani, voltarmi e dire in presen-za di tutti: «Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di la!» Certi giorni, studiavo con piu attenzione del solito il profilo della collina, poi chiude-vo gli occhi e mi fingevo di essere gia per il mondo a ripen-sare per filo e per segno al noto paesaggio. Cosi, andai per il mondo e vi ebbi una certa fortuna. Non posso dire di essere, piu di un altro, diventato qualcuno, perche conobbi tanti che — chi per un motivo chi per un altro - sono diventati qualcuno, che, se fossi ancora in tempo, smetterei volentieri di arrovellarmi dietro a queste chi-mere. Attualmente la mia ambizione sempre insonne mi suggerirebbe di distinguermi, se mai, con la rinuncia, ma non sempre si puo fare cio che si vorrebbe. Basti dire che vissi in una grande citta e feci perfino molti viaggi per mare e, un giorno che mi trovavo all'estero, fui li li per sposa-re una ragazza bella e ricca, che aveva le mie stesse ambizio-ni e mi voleva un gran bene. Non lo feci, perche avrei do-vuto stabilirmi laggiu e rinunciare per sempre alia mia terra. Un bel giorno tornai invece a casa e rivisitai le mie colli-ne. Dei miei non c'era piu nessuno, ma le piante e le case restavano, e anche qualche faccia nota. Lo stradone provinciale e la piazzetta erano molto piu angusti di come me li ricordavo, piu terra terra, e soltanto il profilo lontano della collina non aveva scapitato. Le sere di quell'estate, dal bal-cone dell'albergo, guardai sovente la collina e pensai che in tutti quegli anni non mi ero ricordato di inorgoglirmene come avevo progettato. Mi accadeva se mai, adesso, di van- FERIA D'AGOSTO 18 vecchi compaesani della molta strada che avevo tarffli con vecu ^ dov erQ passat0> Tutto que_ fatta e dei P° malinconia che da un pezzo non provavo St°Äanonmidispiaceva plUr nnesti casi ci si sposa, e la voce della vallata era infat-• vJio fossi tornato per scegliermi una moglie. Diverse fa-U He anche contadine, si fecero visitare perche vedessi le fi Hole. Mi piacque che in nessun caso cercarono di apparir-mi diversi da come Ii ricordavo: i campagnoli mi condus-sero alla stalla e portarono da bere nell'aia, i borghesi mi accolsero nel salottino disusato e stemmo seduti in cerchio fra le tendine pesanti mentre fuori era estate. Neanche questi tuttavia mi delusero: accadeva che in certe figliole che scherzavano imbarazzate riconoscessi le inrlessioni e gli sguardi che mi erano balenati dalle finestre o sulle soglie quand'ero ragazzo. Ma tutti dicevano ch'era una bella cosa ricordarsi del paese e ritornarci come facevo io, ne vantava-no i terreni, ne vantavano i raccolti e la bontä della gente e del vino. Anche l'indole dei paesani, un'indole singolarmen-te fegatosa e taciturna, veniva citata e illustrata intermina-bilmente, tanto da farmi sorridere. Io non mi sposai. Capii subito che se mi fossi portata die-tro in cittä una di quelle ragazze, anche la piü sveglia, avrei avuto il mio paese in casa e non avrei mai piü potuto ricor-darmelo come adesso me n'era tornato il gusto. Ciascuna di loro, ciascuno di quei contadini e possidenti, era soltanto una parte del mio paese, rappresentava una villa, un pode-re, una costa sola. E invece io ce l'avevo nella memoria tutto quanto, ero io stesso il mio paese: bastava che chiudessi gli occhi e mi raccogliessi, non piü per dire «Conoscete quei quattro tetti? », ma per sentire che il mio sangue, le mie os-sa, il mio respiro, tutto era fatto di quella sostanza e oltre me e quella terra non esisteva nulla. Non so chi ha detto che bisogna andar cauti, quando si e ragazzi, nel fare progetti, poiche questi si avverano sempre nella maturitä. Se questo e vero, una volta di piü vuol dire che tutto il nostro destino e giä stampato nelle nostre ossa, prima ancora che abbiamo l'etä della ragione. io, per me, ne sono convinto, ma penso a volte che e trT^ possibile commettere errori che ci costringeranno a iradite questo destino. £ per questo che tanta gente sbagU* ZTn Nei Pr°8etti del ragazzo non c'e evidentemente nulla a questo proposito, e la decisione va presa a tutto il mare 19 rischio del proprio destine Al mio paese, chi s'innamora viene canzonato; chi si sposa, lodato, quando non muti in nulla la sua vita. Ripresi dunque a viaggiare, promettendo in paese che sa-rei tomato presto. Nei primi tempi lo credevo, tanto le col-line e il dialetto mi stavano nitidi nel cervello. Non avevo bisogno di contrapporli con nostalgia ai miei ambienti con-sueti. Sapevo ch'erano Já, e soprattutto sapevo ch'io veni-vo di la, che tutto ció che di quella terra contava era chiu-so nel mio corpo e nella mia coscienza. Ma ormai sono pas-sati degli anni e ho tanto rimandato il mio ritorno che quasi non oso piú prendere quel treno. In mia presenza i com-paesani capirebbero che li ho giocati, che Ji ho lasciati di-scorrere delle virtu della mia terra soltanto per ritrovarla e portarmela via. Capirebbero adesso tutta 1'ambizione del ragazzo che avevano dimenticato. PAVESE Tl 12 I mari del Sud A proposito di qnesto componimento Pavese dichiara: «I Mari del Sud /.../ ě (...] il mio nrimo tentativo di poesia-racconto e giustifica qucsto duplice termine in quanto oggettivo sviluppo di casi, sobriamente e quindi [...] fantasticatnente esposto». A quanto giä detto nel Profilo circa la decisa polemica, nei riguardi delle tematiche e delle modalita ermeti-che, che caratterizza ľiniziale attivitá poetka di Pavese, va aggiunto che in apertura di questo primo libro di Pavese troviamo giä quella figura di "espatriato che ritorna" che con non casuale coincidenza ritroveremo nel suo ultimo libro, nell'Anguilla protagonista de La luna e i falô (ma cfr. ancheTl 15, La Langa). La veritä é che in questo primo componimento ci «sono giä tutti i temi ehe verranno poi svolti nella piü genuina produzione artistka successiva: la cittá (Torino) con le sue stradě, le case in cemento e i lampioni illuminati, e la folia, i meccanki, le ragazze esili e bionde, e le colline delle Langhe, Canelli e la vallc del Belbo con i contadini che adopera-no lento H dialetto, e le cascine le vendemmie e le automobili ehe si sentono appena; e an-cora, il senso giä drammatico del silenzio e delia solitudine, delia vita trascorsa e fatta oggetto di memoria e, capitale nei libri delia maturita, il motivo del ritorno: "quando si torna, come me a quarant'anni I si trova tutto nuovo"» (G. Manacorda). Il componimento é datato 7-14 dicembre 1930. /Lavorare stanca / (a Monti)* Camminiamo una sera sul fianco di un colle, in silenzio. Nell'ombra del tardo crepuscolo mio eugino é un gigante vestito di bianco, ehe si muove pacato, abbronzato nel volto, taciturno. Tacere ě la nostra virtú. Qualche nostro antenato dev'essere stato ben solo - un granďuomo tra idioti o un pověro folie -per insegnare ai suoi tanto silenzio. Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiesto se salivo con lui: dalla vetta si scorge nelle notti serene il riflesso del faro lontano, di Torino. «Tu che abiti a Torino...» mi ha detto «... ma hai ragione. La vita va vissuta lontano dal paese, si profitta e si gode e poi, quando si torna, come me a quarant'anni, si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono». °ta metrica: sulla metrica di Lavorare stanca osserva A. Giuliani: «11 verso accentuativo di La-are 5tanca, che varia generalmente da quattro che',em^'' ' Pcr '° P'u un vers0 tredici sillabe r ,riVe'a> P« questa stessa regolarita, un forte 1 Uo di ossequio ritmico alia tradizione». U'AUgUsto Monti fu insegnante di Pavese al liceo di r,f •10 di T°rino e suo amico e fertile punto 5!8nfefimento. Per il*6™".5ilenzi(K «0 ritmo narrativo si spezza, Sciare il campo ad osservazioni piu generali, che cominciano a mettere a nudo la solitudine ancestrale del narratore» (Guglielminetti). Non sfugga intanto come questo motivo venga sottoli-neato dal succedersi, per cosl dire, di echi sémantici: Tacere... solo... silenzio. 16 Le Langhe. sono le colline di vigneti in provincia di Cuneo; Pavese vi trascorse nelľinfanzia le vacanze estive e ne fece nella sua produzione un luogo mitico. Cfr., a proposito di questo enuncia-to-chiave delľatteggiamento di Pavese («Le Langhe non si perdono») il racconto La Langa (T115). I ( I \ssli I Iutto questo mi ha detto e non parla italiano, ma adopera lento il dialctto, che, come le pictre di questo stesso colle, é scabro tanto 20 chc venťanni di idiomi e di oceani diversi non gliel'hanno scalfito. E cammina per I'erta con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino, usare ai contadini un poco stanchi. Venťanni ě stato in giro per il mondo. 25 Se n'ando ch'io cro ancora un bambino portato da donne e lo dissero morto. Sentii poi parlarne da donne, come in favola, talvolta; ma gli uomini, piú gravi, lo scordarono. Un inverno a mio padre giá morto arrivó un cartoncino 30 con un gran francobollo verdastro di navi in un porto e auguri di buona vendemmia. Fu un grande stupore, ma il bambino cresciuto spiegó avidamente chc il biglictto veniva da un'isola detta Tasmania circondata da un mare piú azzurro, feroce di squali, 35 nel Pacifico, a sud dell'Australia. E aggiunse che certo il cugino pescava le perle. E staccó il francobollo. Tutti diedero un loro parere, ma tutti conclusero che, se non era morto, morirebbe. Poi scordarono tutti e passó molto tempo. 40 Oh da quando ho giocato ai pirati malesi, quanto tempo ě trascorso. E dall'ultima volta che son sceso a bagnarmi in un punto mortale e ho inseguito un compagno di giochi su un albero spaccandone i bei rami e ho rotta la testa 45 a un rivale e son stato picchiato, quanta vita ě trascorsa. Altri giorni, altri giochi, altri squassi del sangue dinanzi a rivali piú elusivi: i pensieri ed i sogni. La cittá mi ha insegnato infinite paure: 50 una folia, una strada mi han fatto tremare, un pensiero talvolta, spiato su un viso. Sento ancora negli occhi la luce beffarda dei lampioni a migliaia sul gran scalpiccio. 20-21 vent'anni di idiomi... gliel'hanno scalfito: gli anni che egli ha trascorso in giro per il mondo, a contatto con lingue diverse. 11 dialetto e sentito come natura, come elemento primordiale e costi-tutivo del proprio essere: da ciö la similitudine con le pietre del colle. 26-27 Sentit... talvolta: «il cugino e piü personag-gio di leggcnda che di storia e perciö la sua memoria e affidata alle donne, che ne parlano ai hambini» ((iioanola). 31 stupore. e la parola-chiave di questi versi (31-36) che rendono efficacemente I'alone di mondi rcmoti e di esotico che la fantasia del ragazzo, sollecitata dalla lettura di libri d'awentura, crea jttorno a questo misterioso personaggio. 42 sono sceso a bagnarmi in un punto mortale ho fatto il bagno in un punto, ritenulo perkoloso, del Belbo, il fmme locale. 47-48 rivali... sognř. i pensieri e i sogni proved' no paure e angosce (squassi del sangue) ben pnj temibili, in quanto indefínibili e sfugge"" I elusivi). 49-53 La cittá... scalpiccio: ě la contrappoň"0^ cittá/campagna che sará un motivo di iondo delü produzione di Pavese e che va collegata, oltre & a un'csperknza biografica, a suggestion!' wiwr*\ (la (requentazione degli scrittori americim< ' quali Pavese coglie soprauutto la celebrate "primitivon, della "natura" contrappo*'3 a "storia"). PAVESF. Tl 12 Mio cugino e tornato, finita la guerra, gigantesco, tra i pochi. E aveva denaro. I parenti dicevano piano: «Fra un anno, a dir molto, se Ii e mangiati tutti e torna in giro. I disperati muoiono cosi». Mio cugino ha una faccia recisa. Comprö un pianterreno nel paese e ci fece riuscire un garage di cemento con dinanzi fiammante la pila per dar la benzina e sul ponte ben grossa alla curva una targa-reclame. Poi ci mise un meccanico dentro a ricevere i soldi e lui girö tutte le Langhe fumando. Si era intanto sposato, in paese. Pigliö una ragazza esile e bionda come le straniere che aveva certo un giorno incontrato nel mondo. Ma usci ancora da solo. Vestito di bianco, con le mani alla schiena e il volto abbronzato, al mattino batteva le fiere e con aria sorniona contrattava i cavalli. Spiegö poi a me, quando falli il disegno, che il suo piano era stato di togliere tutte le bestie alla valle e obbligare la gente a comprargli i motori. «Ma la bestia» diceva «piü grossa di tutte, sono stato io a pensarlo. Dovevo sapere che qui buoi e persone son tutta una razza». Camminiamo da piü di mezz'ora. La vetta e vicina, sempre aumenta d'intorno il frusciare e il fischiare del vento. Mio cugino si ferma d'un tratto e si volge: «Quest'anno scrivo sul manifesto: - Santo Stefano e sempre stato il primo neue feste della valle del Belbo - e che la dicano quei di Canelli». Poi riprende l'erta. Un profumo di terra e di vento ci awolge nel buio, qualche lume in distanza: cascine, automobili che si sentono appena; e io penso alla forza che mi ha reso quest'uomo, strappandolo al mare, alle terre lontane, al silenzio che dura. Mio cugino non parla dei viaggi compiuti. Dice asciutto che e stato in quel luogo e in quell altro e pensa ai suoi motori. r'i'i,,,. neiia cauieiosa pruspcmva ..... ginn I ' mosso' non ha tentato ľawentura, il cu-50 e Considerato un awenturiero, un disperato. cu»i° riuscir* ne ricavô, ne fece uscire (la lo-77 °,neér'Presadal dialetto). mira qm buoi- razza: verso Prooabi,mente ri, dl3fet,ere ir> luce il rifiuto di novitá (i moto- ri) h ,,,cllere m luce il rifiuto di novita u niuw-prof qUesta 8ente> ma connotandolo come 81 R?d0 e P^nne legame tra ľuomo e la natura, tim Sa"t0 Stefano- del Belbo: «anche nel diver-ento il cugino non si é mantenuto fedele alla a d origine se per la festa patronale del paese progetta un cartellone pubblicitario che defini-remmo propagandistico, certo taie da rivelare la sua conoscenza di tecniche della persuasione commerciale» (Guglielminetti). 83 e che la dicancr. é locuzione dialettale: una sŕi-da per quelli di Canelli, paese vkino a Santo Stefano Belbo. 87-89 e io penso... che dura: é la forza della nostalgia e del richiamo della propria terra che ha strappato quest'uomo alia sua vita awenturosa [al mare) e lo ha restituito a chi ora paria in pri-ma persona. I ( I VSSU I 95 Solo un sogno gli ě rimasto nel sangue: ha incrociato una volta, da fuochista su un legno olandese da pcsca, il Cetaceo, e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole, ha veduto fuggire balené tra schiume di sangue e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla Lancia Me ne accenna talvolta. 100 Ma quando gli diet) ch'egli ě tra i fortunati che han visto 1'aurora sulle isole piú belle della terra, al ricordo sorride e risponde che il sole si levava che il giorno era vecehio per loro. 94 il Cetaceo: il nome del battello. 95-97 volare i ramponi... lottare alla lancia: e evidente in questi versi la suggestione del Moby Dick di Melville, il romanzo che proprio attorno al 1930 Pavese traduccva. 101-102 il sole si levava che il giorno era vecchio per loro: quando, cioé essi lavoravano giá da pa-recchie ore. (iiiida all Jiuliti l«rutj/ioni In aggiunta a quanta giá delta nella premessa, richiamiamo I'attenzione su una caratteri-shca di questo componimenta: la contemporanea presenza - non ancora del tutto risolta poeticamente - di tendenze, di vocazioni assai different!, se non antitetiche. Vogliamo dire che per un verso e'e in questo componimento I'impegno di superare il lirismo tipico della contemporanea poesia ermetica e di ancorarsi ad una concreto esperienza, ad una realtá regionale (che incide anche sulla lingua, come si puö vedere ai w. 60 e 83), di realizzare in poesia il racconto; per un altro verso su questo realtá Pavese esercita un processo di mi-tizzazione dell'immagine del eugino che alla sensibilito di chi si esprime come voce narran-te appare «gigantesco» (e non solo in senso fisico, owiamente). Tutto questo giá indica - peraltro ancora in germe - la possibilitá di un superamento di quel tanto di bozzettismo naturalistico che era implicito nel progetto di "poesia-racconto" nel quale Pavese inizialmente credeva e di cui via via con il tempo, nei suoi vari scritti teori-ci, vedra i limiti. Ha scritto a questo proposito G. Bárberi Squarotti: Quello che infine [ne / mart del Sud] conta soprattutto ě il senso mitico della realtá che prevale nella chiusa, la coscienza ancora oscura criticamente, ma giá in via di realizza-zione sulla pagina, di un discorso che diverso daJ tono filato e trasparente della "voce" urica, si differenzia ugualmente dallo sfogo diaristico, e dal naturalismo del bozzetto regionale (...J («Sigma», dicembre 1964,3/4, P- 3«! I Prendendo spunto dalla citazione di Manacorda riportata nell'introduzione premessa al těsto, si indichino i versi relativi ai vari temi che il critico elenca. E quasi costante in questi versi il ricorso alla paratassi; quali effetti ne derivano? ■2. Nel tempo del neorealismo 399 ii ,2.6. Cesare Pavese: il «mestiere di vivere». Impegno e lacerazione interiore cEssere Insieme a Vittonm Cesare Pavese ha svolto un ruolo essenziale nel pas-saggio tra la cu tura degli anni Trenta e la nuova cultura democratica del dopo-guerra: ha rivolto una attenzione alia realtá popolare e contadina che ha avuto essenziale risonanza negli anni del neorealismo; ě stato un grande operátore culturale, che ha mediato aspetti ed esperienze della cultura europea ed ameri-cana, estranei all idealismo da noi dominantě; ha vissuto in pieno la stagione dell'« impegno» nel partito comunista. A lui e alia sua opera si ě guardato a lungo, da parte della cultura di sinistra, soprattutto in rapporto alia sua figura di «intellettuale». Ma, come mostra la stessa tragica conclusione della sua esi-stenza, Pavese ě moko lontano dal vitalismo di Vittorini, dalla sua volontá sempře costruttiva e positiva: la sua partecipazione al presente si lega sempře a un senso lacerante della contraddizione tra letteratura e impegno politico, tra esi-stenza individuale e storia collettiva, tra continuitá di un passato mitico e possi-bilitá di trasformazione del mondo. Nel suo rapporto con la letteratura e con il mondo, vissuto in pochi anni turbinosi, egli si sente continuamente trascinato tragicameme» entro una realtá che sente estranea, con cui il suo io non riesce mai a conciliarsi; enello stesso tempo cerca di affermare il senso piú profondo di sé nella scrittu-ra, nella conquista di uno « stile » e di una « maturita » che resistano al tempo. Pavese vive questa ricerca e queste contraddizioni con un'ostinata e tragica se-rietá, mirando, fino in fondo, ad «essere tragicamente». La sua vita si risolve in una tormentosa analisi di se stesso e dei rapporti con gli altri, in una ininterrotta lotta per «costruirsi» come uomo e come scrittore: una lotta nella quale, quanto piú egli acquista sicurezza e coscienza di sé, tanto piú sente di essere «altrove», di non poter coincidere con gli altri (nemmeno con la realtá collettiva a cui egli cerca di dedicare il suo «impegno » di intellet-tuale). U senso di questa vicenda, di questo ossessivo scavo dentro di sé, che alia fine lo porta al suicidio, ě seguito con ostinata tensione analitica, nel suo dia-rio, intitolato // mestiere di vivere, iniziato il 6 ottobre 1935 e chiuso il 18 agosto J950, poco prima del suicidio, con le famose parole: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriveró piú ». Pubblicato nel 1952, con alcuni tagli (reintegrati neU'edizione critica del 1990), esso ha sempre suscitato (come an-^ ilfitto epistolario dello scrittore) grande interesse, anche se la sualetmwe s^ata spesso accompagnata da una ricerca morbosa o addinttura scandalistica * Particolari di una vfta privata che fu difficile e problematica, piena di disagi e arnarezze , L'esistenza di Pavese in gran parte concentrata in un E^^^ ^voro inteUettuale: egli nacque il 9 settembre 1908 aSanto Sk kLanghe, da famigliapiccolo-borghese °^Z"^l^o"^™ °nna, a Torino, dove Cesare (che perdette il padre a se.^ann,, co P Alia campagna delle Langhe restó sempre legato P**™J^; £rascor. Sa"to Stefano la prima elementare e per Augusto Monti «• Nel liceo D'Azeglio fu per lui essenziale l'msegnamento di Augu La vita come analisi II mestiere di vivere La formazione 4 (eft Epoca 11 Ricostruzione e sviluppo ncl dopoguerra (1945 -1968) 10.2.21) e la frequentazione di amici come Leone Ginzburg, NorWrto Bobbio, Massimo Mila, Giulio Einaudi: in queU'amhiente si mantcm \ ,1 anclic dopo il '25, la continuitä delľinsegnamento di Gobetti, della sua prospcttiva antifascista, liberale ed europea. Iscrittosi alia Facoltä di lettere, si laurcô nel 1932 con una tesi sul poeta americano Walt Whitman (eft. 9.6.2): fin dalla fine degli anni Vend ave\'a letto numerosi autori americani e aveva iniziato a 11 adur-Littinii rescrittoriinglesie americani; negli anni successivi svolse un intenso lavoroin cPrř„ ra§?lunta maturita: ma a ció si opponeva una delusionc ra V 1 "i una insuperabile falsita nei ranriiM-ti ■»»-•• •---ftfeiuiaa maturita: ma a cio si opponeva una delusione ra- dicale la pcrcezione di una insuperabile falsita nei rapporti umani, la convin-ztone di non partecipare effettivamente a nulla di cio che era esterno al suo 10. rwfk„lu 1 utto cio trovava un risvolto particolarmente amaro nella sua difficolta a vive-uSk " ' rap?0ni amorosi; e »d aggravare la sua angoscia vennero due nuove falli-mentan espenenze, quella di un amore romano durante il soggiorno del '45-46, e quella del rapporto con Vattrice americana Constance Dowling, cono-sciuta alia tine del '49. Dall'idea del suicidio come uscita dalle insopportabi- UA Nel tempo del neorealismo 40l Hconmddmoni deWesistenza, come ultima costruzione diséin un gesto defi „itivo ed assoluto, Pavese era stato ossessionato piú volte, fin da\l'adolesces ■ unpomeriggio d estate prese una stanza all'Albergo Roma di Torino e fu trova to la sera del giorno successive, zyagosto i9,0, disteso nella morte per effetto d^doseeccessivadisonnife^ pxtmom e le condanne ideologiche e moralistické del suo gesto, le curhliú morbose sulle sue motivazioni. <-unosna dati tav. 257 La casa editrice Einaudi Le edizioni Einaudi nacquero negli anni Trenta (con iscrizione alia Camera di Commercio di Torino nel novembre del 1933) per iniziativa del giovane Givuo Einaudi (nato a Torino nel 1912) e col sostegno del padre Luigi (di. 10.2.9), che nei primi anni diresse la collana «Problemi contemporanei», dedi-cata soprattutto a temi economic. La casa editrice rilevô nel 1934 due rivisre di matrice liberale, «La riforma sociále » dello stesso Luigi Einaudi e «La cultura* del filologo e linguista Césare De Lollis (1863-1928), che pero interrup-pero le pubbheazioni nel 1935. In questa fase iniziale la casa ebbe dimensioni assai ridotte: si appoggiava su un'anima liberale conservatrice, dovuta a Einaudi padre, e su un'opposta tendenza radicale e progressista, legata alia tradizio-ne gobettiana torinese, a cui si awicinava sempře piú il giovane Giulio, grazie ai suoi rapporti con giovani intellettuali legati aJ movimento di Giustizia e Liberta, come Leone Ginzburg, Massimo Mila, Cesare Pavese (cfr. 11.2.6). Suscitan-do il sospetto del regime fascista (che nel 1935 incarcerô vari collaborator!, tra 1 quali gli stessi Ginzburg e Pavese), la piccola casa editrice andô rapidamente accentuando i suoi interessi nell'ambito della letteratura, della filosofia e deUa storiografia: giä nel 1937 nacque la collana dei «Saggi»; importanti furono le traduzioni dalle lerterarure straniere e le edizioni di fondamentali testi italiani contemporanei, come quella de Le occasion! di Montale, che nel 1939 inauguro 'a collana « Poeti» (err. 10.8.5). Nel 1941 al gruppo torinese (in cui, insieme a avese, aveva un importante ruolo Norberto Bobbio, cfr. ii.mo) si aggiunse gruppo romano, con la presenza di intellettuali antifascist che coUaborava-no a «Primato», come Pintor, Alicata, Muscetta (err. 10.2.21 e 11.1.11): queUo stesso anno nacque la collana dei « Narratori contemporanei», inaugurata da Paesi tuoi di Pavese (cfr. 11.2.9); nel 1942 Muscetta impostava una collana eco-nomica, la « Universale Einaudi», con edizioni di classici italiani e stranien di piccolo formato. Nei primi anni del dopoguerra ebbe un ruolo determinante, accanto a Pavese, Elio Vittorini (cfr. n.2.3), che lavoró in una nuova sede aperta a Miláno: ľorientamento della casa era ormai rivolto completamente a sinistra, con uno stretto legame con il Pci, ma con un margine di autonómia e con una notevole apertura internazionale (tra l'altro essa si assunse il carico editoriale di riviste trp* Epoca i ftcostruzione e sviluppo nel dopoguerra (i945-I968) „Ktenute dal Pa come «11 Politecnico). e «Sodeta» ed ebbe 1 incarico di nrbLarclaprimaedizionedeíQW^/d.Gramsa, cfr. 10.2.18). Lascdcto-fmescd. via Biancamano 1 (in cui G.ulio Einaudi si era insediato nel i945, di. venne un centrodi esperienzecultural, essenziah: íl catalogo della casa editrice si amplio considerevolmente, accostandosi a tutte le piu significative espr^io-ni delia cultura italiana e internazionale, anche ŕuori dagli orizzonti dominami della politica ufflcialc della sinistra (notevoli, tra l'altro, gli interessi per le nuo-vescienze umane, per gli studi antropológia e di storia religiosa, per la grande letteratura « ncgativa» europea). Una serie di presenze essenziali (dopo la morte di Pavesc, quelle di Vittorini e Calvino, e in seguito di altri numerosi consu-lenti e collaboratori, come Franco Fortini) diede alia casa editrice un'identitá originalissima: si puô dire che nel catalogo e nei libri Einaudi sia consegnata I'immagine piú rigorosa e caratterizzante della cultura italiana del dopoguerra Incllc bibliografie e nel testo stesso di questo manuále si possono trovare numerose indicazioni sul rilievo determinante che le edizioni Einaudi hanno assunto nella storia della letteratura del Novecento; basta guardare alia pre-senza di nomi come Saba, Montale, Gadda, Vittorini, Pavese, Fenoglio, De Filippo, Sciascia, Fortini, la Morante, Calvino, o ancora a collane come «I Get-toni», cfr. 11.2.3). C°n 'a crisi della cultura della sinistra dei tardi anni Cinqua-nta e dcgli anni Sessanta, le edizioni Einaudi seguirono con attenzione i fer-menti della nuova sinistra (essenziali, tra l'altro, le traduzioni dei testi della Scuola di Francoforte, cfr. 10.1.9), i temi e gli orizzonti della contestazione, al-cunc esperienze della piú recente cultura internazionale, gli sviluppi dello strutturalismo e delle nuove scienze umane. Negli anni Settanta si apri una pro-85'aZ'0ne ^ Ä^ranc" G*pere», in piú volumi, inaugurate daft'Enaclopedia (cfr. dati, tav. 128), nel quadro di un sapere problematice legato a una pro-spettiva materialistica, ma apeno ai piú vivaci orizzonti delľepistemologia con-temporanci Segno non soltanto del peso sempre piú determinante che le strutture economics assumono nel mondo editoriale, ma anche delle difficoltä attraversate am cultura itaĽana e dalla tradizione della sinistra negli anni piú recenti, é sta-« ia grave cnsi finanziana che la casa editrice ha attraversato negli anni Ottan-mZZmem P^'^^ente acuti nel 1983 e nel 1984. Dopo un periodo di controllata, la casa editrice ha trovaľo un nuovo assetto am-zione cu ,lľ imern° dd řmpP° Elemond. "chiamandosi alia propria tradi-blematicoTdebCOm'nUan " AiK Ú SU0 essenziale contribute critico e pro- d' cultura storica »' "s88*™ pr?ú^° anc°ra in corso ricordiamo: « Biblioteca «p'ccola Biblioterá F;!881^' "ImilJenn'». «Supercoralli», «Nuovi Coralli». "oteca Einaudi, «Collezione di poesia», «Gli struzzi». Cfr. dttquQtit'anni A' ^audi,TorirK,I98,™ editore- šedivom Einaudi neglt anni my}S»h Cin —quanta, c. turí Či™ fT" '•;"s"UZI°ne della storia della casa tino agu ai<» Bo'ogna I990. ' "t,naud>Ubriuomtniideeoltreilfasásmo,VLUdM° una ncostruzione della storia della casa fino agli an"' 11.2. Nel tempo del neorealismu 403 II.27 Temi ricorrenti nell'opera dt Pavese. Linfanzia e le Langhc Gran partedelloperadi Paveseědominata dal richiamodell'infanzia, da lui in parte vissuta neUa campagna delle Langhe: 1'inf'anzia e il mondo campe-stre rappresentano un passato originario, che contiene in sé la traccia di qual-chc evento unico e primordiale, di cui non ě possibile individuare i caratteri, ma che la serittura e la riflessione cercano di riscoprire e di ripetere. II paesag-gio della campagna piemontese (e in primo luogo le colline) mette in rapporto con il fondo primigenio della terra, con il ritmo inesorabile della nátura, con Ie veritá eterne della nascita e della mořte: in esso e nelle attivitá della vita conta-dina si ripete il tempo del mito, sempre uguale a se stesso, estraneo al movi-mento della storia, carico di segreta e pericolosa fascinazione. Nel fondo della realtá campestre balenano i segni del «selvaggio», di forze ignote che non pos- D .selvaRgio. sono designarsi in termini razionali, che non sono dominabili dallo sguardo umano e che la societa si impegna a controllare, a neutralizzare, a ridurre « a luogo noto e civile ». La cittá rappresenta invece il movimento, il faře, il costruire, 1'operositá La ani che trasforma le cose e allontana dalla nátura. II rapporto tra cittá e campagna ě c ^mpagna contraddittorio: in entrambe si intrecciano elementi positivi e negativi. Nella campagna la nátura rivela la sua vitalita originaria, ma si afferma nello stesso tempo come forza cieca, inesorabile e mortale; nella cittá 1'uomo si costruisce come essere sociále e civile, in un lavoro che trasforma le cose, ma nello stesso tempo si perde nellartificio, nellaccumulo degli oggetti, m una vita sempre piu priva di valore. Sia nella campagna sia nella cittá aleune figuře umane, che si pongono come modelli di vita, condensano in sé i significati piú profondi dellambiente, ne incarnano i caratteri piú totali e risolutivi: il rapporto con es-se ha un essenziale valore di conoscenza e di esperienza. Molto spesso i perso-naggi di Pavese sono adolescenti o giovani che cercano unesperienza del mon- Ladolesceiua do, che mirano a costruire la propria umanitá, proprio confrontandosi con quelle fígure-modello, cercando con loro legami di amicizia. In modi del tutto Personali, anche Pavese mette cosi al centro della sua opera il terna delladole-scenza, del suo incontro e scontro con il mondo, cosi ricorrente nella letteratu-ra degli anni Trenta (cfr. 10.6.11). II problema della costru2Íone di sé, fondamentale nellesperienza biografí-ca ™ Pavese, ě naturalmente alla base di tutto il suo rapporto con la letteratura: costruirsi ě prima di tutto cercare uno «stile», trovare i modi per riconoscere se stesso attraverso un paziente e ostinato lavoro, che porti alla «maturita». E Una "cerca che contiene il pericolo dellartificio: lo sguardo degli altri, il rifles-í> sociále, possono facilřnente trasformare lo stile in una «maschera»; ed ě dif-"c"e distinguere la costruzione di sé dalla fuga da sé, dal nascondersi agli altri, aal "on essere mai veramente come si ě. In questa contraddizione c e una delle l« oudkcíi m°ťvazioni essenziali del dramma di Pavese: quanto piú egli si aweina alla ddU Um jmaturitá» stilistica, quanto piú si convince di essere giunto alla costruzione Q1 se> tanto piú egli si sente minacciato dalla menzogna e dalla perdita di se. Nei La costruzione di sé: * maturita -c «stile» 4 «Uldati da una ostinata asp.razione alla fchci; e a «essere tT^!/0"? S,pcsso come «traniati da se stessi, riescono a conoscers. Rnano le forme roň";0 °mani ^ sé e dal P^P™ mond°- SuUo sfond° ' *x ni« Piccolo borl etC 1 Paesa««io Piemontese, la realtä degli ambienti contacli-sistenza sembra ri. C°" CUnivigorosi sca,,i drammatici: ma tutto ü senso dell e-D««. consistere arUi5umers"n un cupo grigiorc, nello sforzo faticoso di essere e e d. Jahier Ii.2. Nel tempo del neorealismo 405 (cfr-10.3.4)- Es58 * carattcrizzata in primo luogo dal ritmo del verso, che »i svolge ,ajO una lunga cadenza itcrativa, che da l'cffctto di una realra condannata perpetua-mente a ripetcre sc stessa, a riprodurre le proprie forme, a ritornare sul proprio destine Pavese ha realizzato un personale verso nartativo, dal lungo respiro. fatto spesaodi combinazioni di versi rcgolari di diversa misura: questi versi si succedono in una serie di lasse c assumono un caratterc di cantilena, di narrazione primitiv.!, mitica cd epica; i frammenti della conversazione quotidiana, Ic cosc della realtä di tutti i giorni, si elevano cosi a segni simbolici, anche se con il rischio di una stanca monotonia. L'csperimento di Lavorare stanca non trovö ulteriori sviluppi: dopo I'uscita del- La produziorw la prima edizionc Pavese scrisse vari altri componimenti, tanto che nel 1940 allesti linoi «> • cmvj una seconda edizione, che apparve solo nel '43, contenente settanta componimenti, distribuiti in sei gruppi (Antenati, Dopo, Cittä in campagna, Maternttä, Legna verde, Paternitä), seguiti da un'appendice con due testi di poetica, // mestiere di poeta (1934) e A proposito dt certe poesie non ancora scritte (1940). Ma l'interesse dell'autore si era intanto rivolto verso la prosa: e in seguito egli scrisse solo poche liriche di tipo piu immediato, legate alle sue ossessioni e al suo dramma esistenziale, ma senza nessuna particolare ricerca di linguaggio, che furono pubblicatc nclla breve raccolta postuma Verrä la morte eavrä 1tum occhi (1951). Qui, nella sezione La terra e la morte (che raecoglie poesie del 1945-46), la voce del poeta si rivolge a una figura femminile dotata di minacciosi segni mitici; la sezione che dä titolo al volume contiene invece versi scritti negli ultimi mesi di vita, legati a ■ un suo rapporto amoroso, che si pone come annuncio della morte ormai vicina. 11.2.9. La prima narrativa e la rißessione sul mito. Alla narrativa in prosa Pavese si aecostö fin dal 1931-32, con una specie di breve Cm* Masmo romanzo, Gau Masino (pubblicato postumo nel 1968), in cui si seguono le vite di c i primi raeconti due personaggi, l'intellettuale Masino e il proletario Masin, sullo sfondo del contrasto cittä-campagna e di una ricerca di coscienza e conoscenza, in cui il sesso acqui-sta un rilievo essenziale. Nel corso degli anni Trenta seguirono molti altri raeconti, in cui si sente l'eco della contemporanea narrativa realistica americana e dello stesso vcrismo di Verga: spesso la vita contadina viene rappresentata nelle forme di un naturalismo acceso e violento, in cui balzano in primo piano l'ossessione del sesso e del sangue, con una prosa che cerca di ritrovare in se le piu genuine cadenzc del dia-letto, affidandosi a un fitto dialogo tra i personaggi. Questo orizzonte naturalistico trovö la sua espressione piii intensa nel breve ro- Parti tum manzo Paesi tuoi (1941), la prima opera di Pavese che ebbe una certa risonanza e che costitui poi uno dei modelli della narrativa neorcalistica. Qui il mondo contadi-no (con la vicenda dell'amore incestuoso di Talino per la sorella Gisella, che culmi-na nell'assassinio della donna) viene presentato come un mondo di passioni sclvag-ge e violente, in cui il delitto ha il carattere di un rito primordiale, di un sacrificio legato al ritmo del lavoro agricolo. Un altro breve romanzo, llcarcere, nato dall'espe- // arem nenza del confino a Brancaleone, scritto tra il 1938 e il '39 e pubblicato poi nel volume Prima che il gallo canti (cfr. 11.2.10), va al di lä di questo orizzonte naturalistico e cerca di indagare, attraverso la vicenda di Stefano, un intellettuale confinato in un PaesedelSud.il contrasto tra la solitudine del« prigioniero» e la vita incomprensi-oue di un mondo estraneo e indecifrabile. Di minore intcresse, rivolti a seguire 1 i htllé nuu Epod li Ricosmizione e sviluppo ncl dopoguerra (1945-1968) complicazioni psicologiche di personaggi ťcmminili entro ambicnu drt, prccisione realistica, appaiono gh altn brcvi romanzi La bella estate sc nu C?n primavera del 1940 e pubblicato nel '49 nel volume omonimo (insienio , // y 1,1 sulle colltne e Tra donne sole), e La spiaggia, pubblicato in rivista ncl '' 11.2. Nel tempo Jel neorealismo 407 Negli anni della guerra l'attenzione di Pavesc per il mondo camr,,.«. ■ ™______J:>^»- ,;fl„cc;™» cl fr>l/-li->ro c.,11- —J:-:, ."'"lustre si p acuí d suo interesse per il «selvaggio», che lo indusse a inďagare sullcnio ■I mm. tradusse in una piu diretta riflessione sul folclore, sullc tradizioni popolarl soprattutto sul mito (cfr. termini base 6): di fronte alia tragedia della gUerrJ^ fem i'tffaio Duloghi con Ijtucu Moderno cliwciimo zioni originarie dei comportamenti um ani, sui legami tra mito e relich '""wva" impulsi sotterranei che reggono decisioni e azioni individuali e coUetthT' v'ii' riflessione sul mito, fece uso di strumenti rieavati daUetnoantropoloeia' A\\ psicoanalisi: reeepi suggestioni di Freud, di Jung, degli studi sul mito di Kari Kerenyi(i897-i973),delleriflessioni di Thomas Mann (cfr 10 1 81 pensiero di Vico (cfr. 6.2.8). deU° stesso II risultato fu un libro atipico. Feria dagosto, pubblicato nel i945 frutto di „n interne di brevi raeconti, testi desenttivi, riflessioni saggistiche scritti tra il ' , , il 44. organizzati in tre sezioni dedicate a grandi temi-simboli (// mare, La cxttäU vtgna): guardando alla vita della natura e al suo rapporto con l'uomo, Pavese cerca qui con inquieto travaglio una forma di espressione simbolica che renda conto dei signihcan P,u oscur. deUe cose, awicinandosi alla funzione piu antica dei mito U sagg>o Demttodelstmboloe ďaltro, scritto tra il '43 e il '44, vede nel mito la defini-zione deüo « Schema di un fatto awenuto una volta per tutte », che, in una «febbre d umcita», ruota intorno a un «luogo unico» e a un «evento unico». Piu direttamente alle forme dei mito classico, nel suo profondo valore an-tropo oglCo, di drammatica indagine sul rapporto tra l'uomo e la natura, si n-voige I opera a cui Pavese si dedica subito dopo la guerra, i Dialoghi con Leucö. 5. tratta di vent.sette dialoghi tra personaggi della mitologia classica (děi ed t oi), scritti tra u 45 e il '47 e organizzati con un preciso Schema unitario, in un 1 oro assai amb.zioso, in cui l'autore cerca le origini antiche dei temi che osses-s onano la sua scrittura. I dialoghi si succedono secondo un percorso che porta ll? j'nCOn Ü carattere ineluttabUe dei destino naturale, da una presa cerra Úl"* 3 neceSS!tä del dolore e della distruzione, sino alla difficile ri-vandn 1, costruz,one di un'umanitä che sappia vivere una vita civile, ritro-ä.lUtivaPr0pnt*radlcl mitiche- trasformando la maledizione del mito in festa «.oiicttiva c comunitaria. dařte 'm^8*'0^ insieme misurato e astratto: fa pensare a una levigata prosa qualcosT!w C plCno di scatti- di rifl«si improwisi e micidiali. II libro ha ™>nemunt^fenOS?erdi Stre8ato- ma anch« di artificiale e di sovraccar.co, !<-• e ideo Z, £° ' Sř°,88i0 erudito: suUa chiarezza della prospettiva mora-'«e un'ostin;;/ CU1 purf1,aut°rc tiene in modo determinante, sembra preva-BÜori frutt d.ll rit'nrcadl dassicismo moderno. Piu che in questo libro, 1 m . "'"mi a n S*flriflmi0ne d' Pavesc sul mito (che continuö a svolgers. neg• «3 vanno „"au „U,„nUOV° articol° Umit0> Pubblicato poco prima della morst* riflessione U 1 ptWf narrat've deU'ultimo periodo: in ogni modo auc ebb« .1 granae merito di stimolare la nostra cultura a prenderc u n romanzo del\'«impcftno» U compa^no inconsiderazione aleuni essenziali aspett. dclla contemporanca cultura mito grafica, etnoantropologica, psicoanalmca, guardate allora con grande diffi denza sia dali idealisme che dal marxismo. li.2.10. Da La casa in collina a La luna e i falô. Parallelamente alia sua riflessione sul mito. Pavese torno nell'immediato dopo guerra alia narrativa con un breve romanzo politico, che ebbe notevole risonanza ndl'orizzontc neorealistico, ma il cui«impegno » appare oggi esteriore e volontari ■ táco.Ilcompagno, scritto alia fine del '46 e pubblicato lanno seguente lě la storia di un operaio che negli anni del fascismo aderisce alla lotta comunista) Le opere piú importanti di Pavese, in cui egli raggiunge un singolare equili- Rom.™ brio tra sofferta problematica esistenziale, fascinazione del mito e richiamo dl ««»»oae della realtä storica, sono senza dubbio gli ultimi quattro brevi romanzi. scritti negli ultimi tře anni della sua vita. In modi diversi, si tratta di romanzi di inizia-zione, che fanno pensare al tradizionale schema del romanzo di formazione (cfr. generi E TECNiCHE, tav. 177): un personaggio o un gruppo di personaggi legati da amicizia vi scontano insieme un doloroso cammino di conoscenza, di confronto con le cose; e alla fine si rivela la maledizione che pesa su ogni espe-rienza, la minaccia immodificabile che la natura, la societa, la storia fanno pesa-te sugli sforzi degli individui. La narrazione si svolge sempre sulla base di una realtä conereta, ma ě molto lontana dalle formule neorealistiche e si affida a si-tuazioni liriche, ricavando dalla realtä una rete di simboli, scoprendo in essa il ripetersi di un destino giä tracciato una volta per tutte dal mito. Il primo di questi romanzi, La casa in collina, scritto tra il settembre 1947 e il febbraio '48 e pubblicato alla fine dello stesso anno (insieme al precedente // carcere) nel volume Prima che il gallo canti, é probabilmente il capolavoro di Pavese. Con fořti risvolti autobiografici, esso si svolge in prima persona, attra-verso il racconto di Corrado, un professore di Torino che ha una casa in collina e vi si rifugia in cerca di solitudine: nel turbine della guerra egli incontra Cate, donna che ha amato in passato, e segue le vicende di lei e dei suoi amici parti-giani, fino al loro arresto da parte dei Tedeschi. Scampato, Corrado fugge verso il paese natale, nelle Langhe, ossessionato dal sangue e dalla distruzione che 'a guerra civile porta su quei luoghi del suo passato. Con un ritmo narrativo ín-calzante, il romanzo trae alia luce le contraddizioni del protagonista mtellet-tuale, il suo «isolamento», il suo perpetuo «nascondersi» alle responsabuita collettive che la guerra impone tanto crudamente: queste contraddizioni por-tano a una continua fuga, che non sembra poter mai finire, come mai sembrano finire la distruzione e la morte. Lorrore della guerra ě fondamento della stessa •---«. nnalunaue schiera appartengano, proicttano — 1« ^ohhiamo al La casa 1» collina U fug«, la guerr» e la morte la continua luga, , 1. mierra e tonuai»«—---- distruzione e la morte. Lorrore^deUa guer n proicttano vita di ch, soprawive: e i morti, a (Jviviamo lo dobb.amo al un insuperabile ombra di colpa su ch. e erra civile-, ogru caduto to(ÄSeVTaaciv,k ogni caduto iuperabUe ortiDta ui ----- „„erra ě una guerra civue. ut, cadavere.mbrattato.Perquesro^n.guerr^ somiglia a chi resta, e gliene ch.ede ragione ). fa puhblicato ne) Ü d.avolo sulU colline, scritto tr. I gn>gno e 1 ot« 4o8 F.poca n Ricostruzione c sviluppo nel dopogucrra (1945-1068) Uduvolo 49 nel volume La bclla estate, insiemc al precedente romanxo di II (dr. n.2.9) e aJ successivo Tra donne sole. Esst) narra (attruvM^ i* Sl v itütcoüine (dr. n.2.9) c aJ successivo 1 ra donne sole. hsso narra (attraverso I SV) "M» loro) i vagabondaggi di tre ragazzi torinesi tra la cittä e la colli,,;, e lli "lln