Pirandello co. stra. quel o in 10. Jefi. sofi- e la che :rit- ap->n a tan-alla Vediamo dunque, senz'altro, qual b il processo da cui risulta quella particolar rappresentazione che si suol chia-mare umoristica; se questa ha peculiari caratteri che la di-stinguono, e da che derivano: se vi e un particolar modo di considerare il mondo, che costituisce appunto la materia e la ragione dell'umorismo. Ordinariamente, - ho giä detto altrove/ e qui m'e for-za ripetere - 1'opera d'arte e creata dal libero movimento della vita interiore che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa, di cui tutti gli elementi han corrispon-denza tra loro e con l'idea-madre che le coordina.1 La ri-flessione, durante la concezione, come durante l'esecuzio-ne dell'opera d'arte, non resta certamente inattiva: assiste al nascere e al crescere dell'opera, ne segue le fasi progressive e ne gode, raccosta i varii elementi, li coordina, li a Vedi nel mio volume giä citato Arte e scienza il saggio Un critico fanta-stico. I libero... coordina: giä in Scienza e critica estetica (1900) Pirandello scriveva del «libero movimento vitale» dell'arte. La formula, a lui cara, torna frequentemente sino alle parole sull'arte di Hinkfuss in Questa sera si recita a soggetto. Essa appare nei Foglietti editi da Alvaro (che spes-so traducono o parafrasano YEssai sur le génie dans Vart di Séailles) e in Arte e scienza, dove Pirandello rinvia esplicitamente al filosofo francese. II passo traduce, infatti, da\YEssai (p. 170) in cui ricorre piü volte Pe-spressione «libre mouvement de la vie» per definire - come fa anche Pirandello - la spontaneita dell'arte. Cfr. G. Andersson, op. cit pp 156-57. belli, eso L UMORISMO compara. 1 La coscienza non nschiara tutto lo spirit0. gnatamente per l'artista essa non e un lume distinto ? pensiero, che permetta alla volontä di attingere in fei me in un tesoro d'immagini e d'idee. La coscienza^ somma, non e una potenza creatrice, ma lo specchio im11 riore in cui il pensiero si rimira; si puö dire anzi ch\$ sia il pensiero che vede se stesso, assistendo a quello ch' esso fa spontaneamente.2 E, d'ordinario, nell'artista, nel momento della concezione, la riflessione si nasconde re-sta, per cosl dire, invisibile: e, quasi, per l'artista una forma del sentimento. Man mano che l'opera si fa, essa la critica, non freddamente, come farebbe un giudice spas-sionato, analizzandola; ma d'un tratto, merce l'impressio-ne che ne riceve.3 Questo, ordinariamente. Vediamo adesso se, per la natural disposizione d'animo di quegli scrittori che si chia-mano umoristi e per il particolar modo che essi hanno di intuire e di considerar gli uomini e la vita, questo stesso procedimento avviene nella concezione delle loro opere; se cioe la riflessione vi tenga la parte che abbiamo or ora descritto, o non vi assuma piuttosto una speciale attivitä. Ebbene, noi vedremo che nella concezione di ogni Opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile,4 non resta cioe quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone 1'immagine; da questa analisi perö, da questa 1 La riflessione... compara: tutto il capoverso e ripreso - come segnalato dalla nota dell'autore - da Un critico jantastico (cap. n); questo passo e pero modificato: sono state soppresse alcune considerazioni sulla volon-ta, anch'essa, al pari della riflessione, non inattiva durante la concezione artistica. Anche qui Pirandello riprende concetti e traduce espressio-ni di Seailles (op. cit., p. 171). Cfr. G. Andersson, op. cit., pp. 192-94. 2 La coscienza non... spontaneamente: anche questo passo riprende Seailles, op. cit., p. 172. 3 la riflessione... riceve: ivi, p. 210. Traduzione pressoche letterale. 4 la riflessione... invisibile: stessa affermazione in Un critico fantastico (cap. n). ^ fiel cent ci sa & sione, e mi su vaforsenessu ma che forse 1 te s'inganna c la canizie, rie: to piü giovan* me prima, pel mi ha i atto ai tosto, piü adc rio mi ha fat 1 scomposizione in cui Pirandellc costruzioni illus caratteri dei per 2 manteca: ungi 3 vecchia signon questa figura es signora Poponic composto nel 1| vella Le dodictj anche un vecch« Ii» come tut« gi-lito affetto/JU 4 amenta ||| PARTE SECONDA • II scomposizione,1 un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti 1 % non si sa di quäle orribile manteca,2 e poi tutta goffamen-te imbellettata e parata d'abiti giovanili.3 Mi metto a ride-re. Avverto che quella vecchia signora ě il contrario di ciö che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Pos-so cosi, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. II comico ě appunto un avver-timento del contrario.4 Ma se ora interviene in me la rifles-sione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non pro-va forse nessun piacere a pararsi cosi come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamen-te s'inganna che, parata cosi, nascondendo cosi le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito mol-to piú giovane di lei, ecco che io non posso piú riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piut-tosto, piu addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. 1 scomposizione: una parola-chiave del saggio. Cfr. il successivo cap. vi in cui Pirandello si sofferma a lungo sulla riflessione che «scompone» le costruzioni illusorie e fittizie delia realtä e, nelle opere umoristiche, i caratteri dei personaggi, la struttura e lo stile del testo narrative 2 manteca: unguento cosmetico per i capelli. 3 vecchia signora... giovanili: il ritratto che qui e piú oltre viene fatto di questa figura esemplarmente umoristica, richiama in parte quello della signora Popônica nelle pagine iniziali áéľEsclusa (edito nel 1901, ma composto nel 1893) e in parte quello della signora Baldinotti nella novella Le dodici lettere (1897). AI noto topos pirandelliano concorre pero anche un vecchio, che «nero-rossi, qual jpelo di faina, / si ritinge i capelli» come tutti gli uomini che un po' di tinta danno «al canuto, imbecil-lito affetto / della vita» (Dal fanale, una poesia del 1902 poi raccolta in Fuori di chiave). 4 awertimento del contrario: nel breve scritto su Salvátore Farina (cfr. nota 3, p. 160) Pirandello lo definiva invece come «una filosofica tol-leranza spinta fino a tal segno da non sapere piú da qual parte te- °n perm U°' 11 levarsi oq SCnZa ch'e' 11 cui essa e tare; induce te Per la ra. 51sogna che ticolare, fit-to; poco im-ro, che tutti orse perche nportanza a iltra stimata anno soddi-entissima la di desidera- rologica dell'u-„cüa ricordata coincide co" fl . notare che i spirir/5i PARTE SECONDA • IV re, e non ě detto pur troppo che nel progresso consista la felicita degliuomini.1 Tutte le finzioni dell'anima,2 tutte le creazioni del sentimente, vedremo esser materia dell'umorismo, vedremo cioě la riflessione diventar come un demonietto che smon-ta il congegno d'ogni immagine, ďogni fantasma messo su dal sentimento; smontarlo per veder com'e fatto; scaricar-ne la molla, e tutto il congegno striderne, convulso.3 Puö darsi che questo faccia talvolta con quella simpatica indul-genza di cui parlan coloro che vedono soltanto un umori-smo bonario. Ma non e'e da fidarsene, perché se la dispo-sizione umoristica ha talvolta questo di particolare, cioě questa indulgenza, questo compatimento o anche questa pietä, bisogna pensare che esse son frutto della riflessione che si ě esercitata sul sentimento opposto; sono un sentimento del contrario nato dalla riflessione su quei casi, su quei sentimenti, su quegli uomini, che provocano nello stesso tempo lo sdegno, il dispetto, l'irrisione dell'umori-sta, il quale ě tanto sincero in questo dispetto, in questa irrisione, in questo sdegno, quanto in quell'indulgenza, in quel compatimento, in quella pieta. Se cosi non fosse, si 1 Quel... uomini: «Né 1'ideale si raggiunge, né il bisogno s'uecide. [...] H possesso non rispondera giammai aldesiderio, [...] e'e sempře quaJco-sa, che ci sta dinanzi e che non possiamo ghermire. Ě l'eterna Tantali-de! Liberta? Retorica! Siamo alia discrezione della vita. [...] Stolto in-tanto, chi in base a simili concetti intendesse dimostrare la vanitä delle umane azioni» (Arte e coscienza d'oggi, cap. in). E Don Cosmo Lauren-tano, uno dei personaggi che hanno "capito il giuoco": «Affannatevi e tormentatevi, senza pensare che tutto questo non conclude. Se non conclude, ě segno che non deve concludere, e che ě vano dunque cercare una conclusione. Bisogna vivere, cioě illudersi» (I vecchi e igiovani, Parte n, cap. vm). 2 le finzioni dell'anima: ě la definizione che da il titolo al volume di Giovanni Marchesini che Pirandello cita di sfuggita in nota, ma utilizza ampiamente, riportandone ampi passi non virgolettati, nel capitolo suc-cessivo. L'individuazione di questi passi - e di altri ripresi da Binet e Negri - ě opera di Franz Rauhut [Wissenschaftliche quellen von gedanken Luigi Pirandellos, in «Romanische Forschungen», un, 1939, pp 185-205). , , , . 3 la riflessione... convulso: Ia medesima immagine ě in Un critico fanta-stico, cap. n. 191 L'UMORISMO avrebbe non piü Fumorismo vero e proprio che deriva - come abbiamo veduto - da una ^ ^ ne soltanto verbale, da un infingimento retorico^^ contrario alla natura dello schietto umorismo. °' a^attoI Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che nell'umorista si sdoppia subito nel suo contrario- o^l in un no, che viene in fine ad assumere lo stesso val del si. Magari puö fingere talvolta l'umorista di tenere s I tanto da una parte: dentro intanto gli park Paltro senti' mento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima-1 gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, oral un'attenuante, che smorzano il calore del primo sentimeiJ to, ora un'arguta riflessione che ne smonta la serietä e in-duce a ridere. Cosi awiene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare Don Quijote; ep-1 pure siamo indotti al compatimento, finanche alla simpa-1 tia per quello, e ad ammirare con infinita tenerezza le ri-dicolaggini di questo, nobilitate da un ideale cosi alto e puro. Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio? II Manzoni ha un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la terra, e incarna questo ideale in Federigo Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione puö incarnarsi e che le debolezz;e umane sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato so-lamente la voce di quell'ideale astratto, avrebbe rappre-sentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovu-to provar per lui odio e disprezzo, ma egli ascolta entro di se anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito, per l'esperienza della vita, che gliel'ha determinata, il Manzoni non puö non sdoppiare in germe la concezione di quell'idealitä religiosa, sacerdo-tale: e tra le due flamme accese di Fra Cristoforo e del Cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi l'ombra di don Abbondio. E si compiace a uj^ 192 s des«0 che l do 0gnche d°ve CO' se ,7 0 *on. v'l v'ha avvertito Non sapevate dispiacere cio Cui abbiam la ci lasciam nor terra a esercit ver salva la qualche giori dovere, c'era delle mani, d< dar questa vir vergogna! il n le sue leggi, c vangelo anch vuol che si d: trasgredirne i £ noi! noi fij be la Chiesa tutti i vostri nel mondo cc Don Abbe capo basso. 1 va tra quegli ! «E iua ndo- 'rio- % •esso fi* si in ntl- , V Prima. 3 sentlmen. :erieta e in. r disprezzo °> e stimar )uijote; ep-alia simpa-rezza le ri-cosl alto e ezzo o nel ia un idea- •dote su 1* omeo. imoristic^ ltanto Per debolezze ero do^ vita, . <^ e PARTE SECONDA • IV SI certo punto di porre a fronte, in contrasto, il sentimento attivo, positivo, e la riflessione negativa; la fiaccola accesa ^el sentimento e ľacqua diaccia delia riflessione; la predi-cazione alata, astratta, dell'altruismo, per veder come smorzi nelle ragioni pedestri e concrete delľegoismo. Federigo Borromeo domanda a don Abbondio: - «E quando vi siete presentato alia Chiesa per addossarvi co-desto ministero, v'ha essa fatto sicurtä della vita? V'ha detto ehe i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto for-se che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dove-re? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i Jupi? Non sapevate voi che c'eran de' violenti, a cui potrebbe dispiacere cio che a voi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e ľesempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne ľufizio, mise forse per condizione d'a-ver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di piu sulla terra, a spese della caritä e del dôvere, c'era bisogno dell'unzione santa, della imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtu, a insegnar questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa anch'esso le sue leggi, che prescrivono il male come il bene; ha il suo vangelo anch'esso, un vangelo di superbia e d'odio; e non vuol che si dica che l'amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole ed é ubbidito! E noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa se codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri confratelli? Dove sarebbe, se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?».1 Don Abbondio ascolta questa lunga e animosa predica a capo basso. Il Manzoni dice che lo spirito di lui «si trova-va tra quegli argomenti, come un pulcino negli artigli del 1 «E quando... dottrine?»: verso la fine del cap. xxv dei Promessi sposi. L UMORISMO falco, che lo tengono sollevato in una regione scon in un'aria che non ha mai respirata». II paragone ^kíS quantunque a qualcuno l'idea di rapacitá e di fierezza l é nel falco sia sembrata poco conveniente al Cardinal P derigo. L'errore, secondo me, non ě tanto nella maom ' o minor convenienza del paragone, quanto nel parago stesso, per amore del quale il Manzoni, volendo rifar favoletta d'Esiodo,1 s'e forse lasciato andare a dir queuv che non doveva. Si trovava don Abbondio veramente sol levato in una regione sconosciuta tra quegli argomenti dj Cardinal Borromeo? Ma il paragone dell'agnello tra i lupl si legge nel Vangelo di Luca,2 dove Cristo dice appuntol agli apostoli: «Ecco, to mando voi come agnelli tra i luph\ E chi sa quante volte dunque don Abbondio lo aveva let-to; come in altri libri chi sa quante volte aveva letto quegli ammonimenti austeri; quelle considerazioni elevate. E* diciamo di piu: forse lo stesso don Abbondio, in astratto, parlando, predicando della missione del sacerdote, avreb-be detto su per giu le stesse cose. Tanto vero che, in astratto, egli le intende benissimo: - Monsignore illustrissimo, avró torto, - risponde in-fatti; ma s'affretta a soggiungere: - Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. E allorché il Cardinale insiste: - E non sapete voi che il soffrire per la giustizia ě il no-stro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual ě la buona nuova? che annunzia-te ai poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sará domandato, un giorno, se ab-biate saputo fare stare a dovere i potenti; ché a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sará ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra ma- 1 volendo... Esiodo: Esiodo (vm-vn sec. a.C), il piú antico poeta greco di cui ci siano giunte notizie storicamente attendibiU. La «favolet-ta» ě quella dello sparviero e delľusignolo {Le opere e igiorni, 202-12) 2 nel Vangelo di Luca: x, 3. 3 buona nuova: il Vangelo, cosi definito seguendo il senso delia sua mologia greca (in quanto lieto annunzio della reden 194 mor* £p risP°nC ' uno non- stnssima, ^ ark bene mac quelle parole. - E perche du - vi siete voi im stare in guerra c< Oh, il perché ce 1'ha detto fin anche farně a m co, coraggioso a toccare gli anni ta, come un va compagnia di n ^uon grado, ubl dir la veritá, no aj nobili fini del Sl di che vivere Ptivilegiata e fc sufficienti per u In lotta dunc s'e fatto přete passioni e col sv trastil 1 sistema P***^ vaso di terracotta re a dir lfltt arenm nte sol 7 ^ i lupn. io aveva let-va Jetto que-elevate. E , in astratto, dote, avreb-ero che, in isponde ifl; vita non si ě il predict annual .O, 5C f' ben d<>' ,str« PARTE SECONDA • IV no per far c» che v'era prescritto, anche quando avessero latemerita di proibirvelo. - Anche questi santi son curiosi, - pensa don Abbon-aio: - in sostanza a spremerne il sugo, gli stanno piú a cuore gli amori di due giovam, che la vita dun povero sa-cerdote. E poiché il cardinale ě rimasto in atto di chi aspetti una risposta, risponde: - Torno a dire, monsignore, che avró torto io... II co-raggio, uno non se lo puó dare. II che significa appunto: - Sissignore, ragionando a-strattamente, la ragione ě dalla parte di Vossignoria Ulu-strissima; il torto sará mio. Pero Vossignoria Illustrissima park bene, ma quelle facce le ho viste io, le ho sentite io quelle parole. - E perché dunque, - gli domanda in fine il Cardinale, - vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo? Oh, il perché noi lo sappiamo bene: il Manzoni stesso ce l'ha detto fin da principio; ce 1'ha voluto dire e poteva anche farně a meno: don Abbondio, non nobile, non ric-co, coraggioso ancor meno, s'era accorto, prima quasi di toccare gli anni della discrezione, d'essere, in quelia societa, come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la veritá, non aveva gran fatto pensato agii obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicaya: procacciar-si di che vivere con qualche agio e mettersi 10 una ciasse privilegiata e forte, gli eran sembrate due ragioni piu che sufficienti per una tale scelta. # In lotta dunque con le passioni del secolo? Ma se egli fatto prete per guardarsi appunto dagli urti di quelle • • - rn\ suo sistema particolare1 di scansar tutti 1 con-passioni e t-ui trasti! sterna particolare: I promessi sposi, cap o di terracotta tra i vasi di ferro. 1, dopo il noto paragone col 195 Oj Perc giotc> ú mer si I l*OA"*fiUo I UMOKISMO Bisogna pure ascoltare, signort miei, le rtgíoni d niglio! Io immaginai una volta clu- alia (ana c f t-11 ;| o di Messer Renardo, com'essa si snol tliiainaic uc do delle favole, accorressero a una a una tuttc le per la notizia che tra lorn s'era sparsa cIí cciic mini,,)., vole che la volpe avesse in aninio di comporre in n,|J(, , a tutte quelle che da tempo immemorabilc glj uomini compongono, e da cui esse bestie han forse motivo di sentirsi calunniate. E tra le altre alia tana di Messer |<(. nardo veniva il coniglio a protest are contro gli uomini che lo chiamano pauroso, e diceva: «Ma ben vi so dire per conto mio, Messer Renardo, che topi e lucertole uccelli e grilli e tant'altre bestiole ho sempre messo in fuga, le quali, se voi domandaste loro che concetto ah-biano di me, chi sa che cosa vi risponderebbero, non cer to che io sia una beštia paurosa. O che forse pretende-rebbero gli uomini che al loro cospetto io mi rizzassi su due piedi e movessi loro incontro per farmi prendere e uccidere? Io credo veramente, Messer Renardo, che per gli uomini non debba correre alcuna differenza tra eroi-smo e imbecillitä! ».1 Ora, io non nego, don Abbondio é un coniglio. Ma noi sappiamo che Don Rodrigo, se minacciava, non minaccia-va invano, sappiamo che pur di spuntare Vimpegno1 egli era veramente capace di tutto; sappiamo che tempi eran quel-li, e possiamo benissimo immaginare che a don Abbondio se avesse sposato Renzo e Lucia, una schioppettata non glieľavrebbe di certo levata nessuno, e che forse Lucia, sposa soltanto di nome, sarebbe stata rapita, uscendo dal-la chiesa, e Renzo anch'egli ucciso. A che giovano ľinter vento, il suggerimento di Fra Cristoforo? Non é rapita Lucia dal monastero di Monza? C'é la lega dei birbo 1 «Ma ben... imbecillitä!»: il brano riproduce, con qualche variante passo dalla seconda delle Favole della volpe. Cfr. nota 2, p. 43 2 spuntare Vimpegno: I promessi sposi, inizio ^f^p. xvm re partenza del conte Attilio. relati ivo all J J ' paur' ,ont<>(l1 fl c,uanflO u ' anáo ve le, uno ch contrasti, lc per suo roso non basta nea frontare dio non vere, dalla quel coragi rebbe u n t dio. Noi n lui, cíoé sc dote. A v n che, al po: 1 lega dei bn quelli che cc non se ne fa 2 De Sanctis Manzoni (18 rari, utilizzat in una confci ta nel 1892-9 3 non ha ten bondio (ma 1 c non solo in cic di Musa < ■sistcnti; s •itti varii, < •qutzia: n sa da turin? sua c< CO. ítie sta Sni di ini ire i e in ib-er-lesu i e ler i- lOÍ a-r3 i- >n í, J-f i-r PARTE SECONDA • IV úl come dice Renzo. Per scioglier quella matassa ci vuol la mano di Dio; non per modo di dire, la mano di Dio propriamente. Che poteva fare un povero prete? Pauroso, sissignori, don Abbondio; e il De Sanctis ha dettato alcune pagine meravigliose esaminando il senti-mento delia paura nel povero curato;2 ma non ha tenuto conto di questo, perbacco: ehe il pauroso ě ridicolo, ě co-mico, quando si erea rischi e pericoli immaginarii:3 ma quando un pauroso ha veramente ragione ď aver paura, quando vediamo preso, impigliato in un contrasto terribi-le, uno ehe per nátura e per sistema vuole scansar tutti i contrasti, anche i piú lievi, e ehe in quel contrasto terribi-le per suo dôvere sacrosanto dovrebbe starci, questo pauroso non ě piú comico soltanto. Per quella situazione non bašta neanche un eroe come Fra Cristoforo, ehe va ad af-frontare il nemico nel suo stesso palazzotto! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dôvere; ma questo dôvere, dalla nequizia4 altmi, ě reso difficilissimo, e pero quel coraggio ě tutťaltro ehe facile; per compierlo ci vor-rebbe un eroe. AI posto ďun eroe troviamo don Abbondio. Noi non possiamo, se non astrattamente, sdegnarci di lui, cioě se in astratto consideriamo il ministero del sacer-dote. Avremmo certamente ammirato un sacerdote eroe ehe, al posto di don Abbondio, non avesse tenuto conto 1 lega dei birboni: locuzione desunta da un passo del cap. xiv («il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma non se ne fa nulla, perche e'e una lega»). 2 De Sanctis... curato: nelle lezioni della seconda scuola napoletana sul Manzoni (1872) che furono raccolte da Croce negli Scritti varit inediti o ran, utilizzati da Pirandello anche in merito alia poesia cavalleresca. E in una conferenza fiorentina su don Abbondio del 1873, ma ripubblica-ta nel 1892-93. 3 non ha tenuto... immaginarii: De Sanctis considerava infatti don Abbondio (ma un po' meno unilateralmente di quanto Pirandello riferisce e non solo in riferimento all'incontro coi bravi) dominato da «una specie di Musa della paura [che] agita la fantasia, la quale si raffigura cose -sistenti; si mescolano cosl pericoli reali con Dericoli immaginarii» una nucu Mi, j tend 3h ^ tna •pre 0< ^ento L UMORISMO della minaccia e del pericolo e avesse adempiuto il d del suo ministero. Ma non possiamo non compatire 7e Abbondio, ehe non é ľeroe che ci sarebbe voluto al posto, che non solo non ha il grandissimo coraggio che^ voleva; ma non ne ha né punto né poco; e il commo J* non se lo pud darel1 m ' m° Un osservatore superficiale terra conto del riso che na-sce dalla comicita esteriore degli atti, dei gesti, delle frasi reticenti ecc. di don Abbondio, e lo chiamera ridicolo sen-z'altro, o una figura semplicemente comica. Ma chi non si contenta di queste superficialitä e sa veder piü a rondo, sente che il riso qui scaturisce da ben altro, e non é sol-tanto quello della comicitä. Don Abbondio é quel ehe si trova in luogo di quello che ci sarebbe voluto. Ma il poeta non si sdegna di questa realtä ehe trova, perché, pur avendo, come abbiamo detto, un ideale altissimo della missione del sacerdote su la terra, ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quesťideale non si incarna se non per rarissima eeeezione, e perö lo obbliga a limitare quelľideale, come osserva il De Sanctis.2 Ma questa limitazione delľideale che cos'é? é ľeffetto appunto della riflessione che, esercitandosi su quesťideale, ha suggerito al poeta il sentimento del contrario. E don Abbondio é appunto questo sentimento del contrario oggettivato e vivente; e perö non é comico sol-tanto, ma schiettamente e profondamente umoristico. Bonarietä? Simpatica indulgenza? Andiamo adagio: la-sciamo star codeste considerazioni, che sono in fondo e-stranee e superficiale e che, a volerle approfondire, et il rischio che ci facciano anche qui scoprire il contrario. Vo-gliamo vederlo? Si, ha compatimento il Manzoni per questo pover'uomo di don Abbondio; ma é un compatimento, signori miei, che nello stesso tempo ne fa strazio, necessa- a facenc che c( seiend vir tu, mento determ vapora voler c curato pietä, i cosi bo Grai me il I ders Don al cm 2 meo; r sta, la il senti puo cc Mancl ra qua 1 il coraggio... dare: sono parole di don Abbondio nel dialogo col cardi- M nal Federieo gia citato da Pirandello. ..... M TloobbUgat De Sanctis: dr. la lezione x <