Piccola Biblioteca DIALOGO DEI MASSIMI SIS I EMI La mattina quando ci si alza dal letto, sebbene si rimanga stupiti di trovarsi ancora in vita, non si e meno meravigliati che tutto sia esattamente come lo si e lasciato la sera innan/i. Eu dunque mentre guardavo di Era le tendine della finestra stupidamente assorto, che l'amico Y s'annuncio con una serie di colpi precipitosi battuti alia porta della mia camera. Lo conoscevo per uomo timido e scontroso, dedito a strain studi compiuti in solitudine e in mistero come riti; non fui percio poco meravi-gliato nel constatare che era quel giorno in pre-da a una grande agitazione. Mentre io mi vesti-vo e si parlava di cose inditferenti, passo con straordinaria rapidita per alternative di pro-londo abbattimento e d'allegria che mi parve fittizia e, insomnia, non stentai a rendermi con-to che qualcosa di curioso o di terribile doveva essergli accaduto. Quando finalmente fui pronto ad ascoltarlo, mi iece uno strano racconto 73 /ehe, per semplicitá, riferiseo in prinia Person, / Premise ehe non avrei dovuto mťerroň S / per quanto strano o inutile mi paresse ciôľhľ stáva per dire; del resto egli sarebbe ítato il DiĎ breve possibile. Stupito e ineuriosito, accondi-^ťe**Devi dunque sapere» cominciô allora Y * ehe ^ anni fa mi dedicai a una paziente e minuziosa Y distillazionc degli elementi costimtivi dclľopc-ra ďarte. Venni per tale via alla conclusione predsa e incontrovertibile ehe ľavere .1 propi ia disposizione mezzi espressu i riechi e vari é, per 1111 artista, condizione tutťaítro cňe tavorevole. Per esempio, secondo me é di gran lunga prele-ribile serivere in una Iingua nnpei í^ttarne^ conosciuta, an/iché in una ehe ci sia coínpm-t^iVnYeWnil iare. Anehe a non voler seguire la via invoíuta e tortuosa ehe tenni allora per giungere a una čosi semplice seoperta, questa mi pare ancora oggi suffragabile da aleune piane ragioni: evidentemente, chi non conosce le K parolcjji oprie a indicare oggetii o sentimenti, e costu-uo a sostituirle con jWifrpi, e cioé cli pure con immagini; con quanto vantaggio del-1 arte lascio a te intendere. Čosi, evitate lejjaroj-le <<< ňu he e i luoghi < oniuni, ehe altro s'oppo-nc <>lla náscita di uďopera ďarte? ». •iui ^ - probabilmente soddisfatto delia sua ar-^mentazionc, si fermô im momento a conteín-1 cogli ocehi socehiusi, dimenticando le imbimS^i , accorgendosi delia mia ária fra un loipiros * mterroSativa, riprese subito con i tra 1 P'edi, debbo dir čosi, uň mostro di eapiiano inglese (eapirai fra poco oerché lo chiamo mostro). Oh Signore, perché ,„„, mi hai preservato da questo malanno? Ché ora ho perduta ia mia pace per sempře! Costui c inutile dirlo. un uomo dallaspetto flac-(ido. mangiava nella mia stessa trattoria e me-nava gran vanto delle sue innumeri avventure a un vasto eerehio di seeondi ehe quasi costante-mente gli era intorno. Kra stato non so quanti anni in Oriente e sapeva un gran numero di lingue oriental] (cosi almeno diceva). Ma spe-eialinente del persiano si vantava conoscitore, e spesso acciabattava tre o quattro suoni strani sotto il naso di un cameriere ehe rimaneva a batter le palpebre intontito; ne risultava ehe aveva voluto ordinare un quarto di vino o u-na bisteeea ai ferri. Come puoi capire odiavo quest'uomo, eppure egli riusci ugualmente ad attaccar diseorso con me e, un brut to giorno, s'offri d'insegnarmi il persiano. Ansioso di spe-rimentare su me stesso la bontá della mia teona, finii eollaeeettare. La mia idea, lavrai gia eapi-to, era di imparare quella lingua ajjpunto im-perf'ettamente: tanto da espnmermi ma non tanto_da_chiamar sempře le cose col loro nome. Le nostre lezioni procedettero regolarmente... ma perché non resistoalla tentazionedi raccon-tarti tutti i tristi partieolaii di questa storia?... e ,() feci rapidi progressi nella nuova lingua. Se-condo il eapitano le lingue si devono imparare colla pratiea: perció in tut to quel tempo non vidi mai un testo persiano (d'aitronde mi sarebbe stato difficile pro< urarmene); in compenso, durante le nostre passeggiate col mio maestro non parlavamo che quella lingua e quando, 7* stanchi, ci sedevamo in qualche caffe, subim, nanzi a noi i fogli bianchi si cc)privano ^ e minuti segm. Passe, cos\ piü di un im,„' , capitano rtegh ultimi tempi non si stancavad tarmi le alte lodi per la facilita con cni proim ,V(, dei suoi insegnamenti. Un giorno m'annunzio che sarebbe partito presto, credo per la Scozia, per dove infatti sinvolö e dove spero abbia trovato il giusto guiderdone delle sue malefat-te. Da allora non lho piü visto». L'amico Y tacqne nuovamente, come a padroneggiare la sua emozione: la molestia del ricordo gli si rap-prendeva sul volto in una smorfia dolorosa Alla fine fece forza a se stesso e continuö: « Ma intanto, ne sapevo giä abbastanza per ri-prendere il mio esperimento. Fu qnello che feci con tutto l'ardore possibile. Mi imposi di non scrivere che in persiano; o pinttosto restrinsi tale condizione agli sfoghi segreti del mio ani-ino, alle mie poesiel Da allora Tino a un mese t.i non scrissi piü una poesia se non in persiano. Fortunatamente non sono un poeta molto fe-condo e tutta la produzione di quest'epoca si liniita a trc brevi componimenti che ti mostre-1() in persiano ». Vedevo che quel pensiero di avere scritto in iano era intoUerabile 'tS() <1:'1 <,it non tiu aggiunse commo-vendosi « in cui avevo messo il meglio di inr.'X,e mie Ire poesie. che poesie sonodungia Scritte in una lin^uajjnesistente, e come se non Fbssero scritte in ncssuna lingua.' Di' un po cl.. 1c n.ic tre poesie?». . . Capii all-improwiso di che si trattava e .... res. po. e ne h0 mu 1- perfino alľignobile canitar, / , tesse occorrermi") ed ecco fi"9^; avuta len sera». Y chinô ,1 cľr^aff> ,1C tese un foglio spiegazzato 3fc£fe« gregio Signore, tengo la Vostra de. T na lingua come quella alla qualc Yi 2^ non lho mai sentita rammentare malo (' ima notevoleesperienza linguistic a ("sfa^ciator commento Y); le espressioni che ripJS?! sono assolutamente sconosciute e mi sembrano credete a nie, un ^t^della Wpa lervidä tantasia. ( Hianto ai bizzarri segni cla Voi posti in nota, rássomigliano a caratteri amarici cla una parte, e dalľaltra a caratteri tibetani; ma, šialene sicuro, non sono né gli uni né gli altri. Circa ľepisodio delia nostra s im pätica vita in comune a... cui accennate, \'i risponderô sinceramente: é possibile che, nelľinsegnarVi il persiano, non abbia ricordato bene qualche regola o qualche parola, dopo tanto tempo, ma in ciô non vedo alcuna ragione cľallarmarsi, e non Vi mancherä modo di rettiŕicare quanto di inesatto possa averVi eventuahnente impartito (sic). Datemi sempre Vostre buone notizie... ecc. ». «Ora tutto é chiaro » disse Y riscuotendosi. « Non voglio supporre che il miserabile abbia voluto semplicemente burlarsi di me. Cre?° piuttosto che quanto mi ha insegnato sia ciô che aveva ritenuto delľautentico persiano, ijsuo, per čosi dire, personale persiano^ un idioma insomma tanto stroppiato e svisato da non ave piu nulla in comune colla lingmiispjnunce. Devo poi supporre che una t ale cotíost^nzaji011 rappresentasse, nella gloriosa mente dello scia- 78 (riirato- neppur čosi minorata una qualsiasi sene di valori stabili. II miserabile, nel fluiiuaie • "^cWc sne cognizióni e nelľillusione forse di rico-stituire una conoscenza perduta, si e venuto [nventando ľorribile idioma man mano che me lo insegnava; e, come spesso avviene a questi tipi di improvvisatori, si é dopo completamente dimenticato della sna invenzione e in buona lede se ne meraviglia ». Tale diagnosi f u pronunciata con perfetta fred-dezza. Ma subito dopo: « Se ne e completamente dimenticato, tieni presente anche questa c ii -costanzaljV'olevi la realtá, ecco la realtäj]» grídô Y a mo' ch conclusione, volgendo momentanea-mente contro di me il suo corruccio. «11 piu triste» profferi poi con voce lamentevole «é che questa dannata lingua che non so come chiamare é bellissima. bellissima... e io ľamo mol to ». Solo quando lo vidi piú calmo credetrJ opportu-. no far sentire la mia voce. « Vediamo, Y, » cominciai « quello che ti capita écerto spiacevole; ma in fonde;, oltre alla faiiea sprecata, che c e di grave? ». « Ecco come ragionate voi » ribatté Y con ama-rezza. « Ma non hai capito dunque quaľé il fatto grave, quaľé il punto terribile delia faccenda? Non hai capito dunque quaľé la questione? K le mie tre poesie? IYe_pc)e^ie » aggiunse commo-vendosi « in cui avevo messo il meglio di mel^e i n ie tre poesie. che poesie sono dunque? Scri 11 e in una Hngjjajnesistenie, e come se noň~7bsseio seritte in nessuna lingua! Di' un po' eh, le mie tre poesie? ». Capii alľimprowiso cli efie si trattava e mi resi 79 P3 1^ •4 Q cpnto fulmineamentt di „,,, . snuazione. Chinando il ca 1 U di un organam«^he leloca za nel tempo e nello spazio, sc./.. • ^ ™ distinguerebbero menomamente da un.-h_ qualsiasi sopra una pietra qualsiasi, PIOF me quelle indecifrabili. Le iscrizioni, VOg lio di- re, gettano luce sopra un passato ignoto ma da 82 quello traggono il loro stesso senso. Quel passato non e che un complesso di norme e di con-venzioni che a una esprcssione determinata at-tribuiscono un deterrninato senso. Ora, che passato volete che abbiano le tre poesie di cui si tratta, e da che cosa possono trarre il loro senso"" DietTO di loro non c e un complesso di norme o di convenzioni, dietro di loro e'e sojo il caprice io di un momento, capriccio in nessun modo codiheatp, dileguato irrimediabilmente come e sorto ». * ojli^^o. II grande critico mi guardava in tralice, ripen-sando ancora a quell'« attenzione » che J'aveva seccato. Per nulla intimidito continual': « Una lingua ricostruita su scarse iscrizioni non acquista consistenza se non quando si dimosui che su quelle iscrizioni era ricostruibile quella lingua e quella sola. Ma nel nostro caso su un complesso eosi esiguo di clati si potrebbero (»-struire o ricostruire non una, ma cento lingue. Si assisterebbe cosi al grazioso casetto di una poesia che si pub ritenere indifferentemente scritta in una lingua come in cento altre, per il resto profondamente dissimili fra loro e daJJa prima... ». LL^Jiiitacqui, abbastanza soddisfatto del mio sofism^ Ma il grande critico: I frtX&rOla ,-esto » rispose « mi pare solo uji^sojfi^. In primo luogo la hjblogia procede appunto per supposizioni, in casi consimili. Supposizioni, e vero, che hanno tutti i caratteri delle.ccrtezze d oeni modo supposizioni; ne c teori- relative. ad ogt ibile, su certe iscrizioni, una Knn^anCSndariamcnte, che cosa import. 2,9.1 di una lingua nello stesso tempo? L'essenzialee che sia scritta in una, e poco interessa che que-st'una abbia qualcosa in comune con un'altra,o con cento altre, come elite voi, si da permettert scambi come quello che andate immaginando Da ultimo vorrei farvi ■ punto di vista nií, no!are< Signore, -n,li,rislidle, ecl e umca misura a se stessa > * l^Ľív* gndaÍ ÍO Vedend°mi sfuggire il me-glio delí argomento « non ve ne usciľe čosi per rotto del1* cuffta. II sofisma minaccia di es-sere ora dalla parte vostra. E poi. date per buo-no che si tratti di un opera ďarte. Ma questo é appunto quel che si tratta di vedere: dovee quali sono i^criter^di cui vi servirete per la vostra yalutazione? Lasciatemi per un istante riprenďere il mio'ragionamento precedente. Quando dicevo che una iscrizione ha dietro di sé e lascia intendere un complesso di norme, intendevo anche dire ehe čerti suoi dati pura-mente linguistici sono po tenzia ti e avvalorati da una conoscenza che non é strettamente lingu>-štica: voglio dire da una conoscenzaetjdca^y1 base a quanto sappiamo di^^uli^rU) popolo potremo anche ritenere pacifico che una dáta espressione non solo vale in una čerta po$iO°" ne, ma vale ugualmente in tutte le posiooW analógiu-. Per esempio, il solo sapere che un popolo si c- servitO dl una data lingna nelle s"1' relazioni interne ed esterne, c e sufficiente g«1' ranzia del valore costante di una parola. l)xc^\ Hnise ri/ione, Signore. (V- an< he tiitto un P°]*Jf da un 'opera una poesia di queste non c e c he il capriccio, lo si ě visto. Ed allora, chi ci garantira ( he la stessa espiessione non muti, volta a volta. 1 adicalmente di signiíícato? Nei diversi compo-niiiicnii o ncllo sicsso. Non una parola, vogliate not.ulo. si trova ripetuta due volte attraverso lc ne poesie. Teoricamente, Signore, si pud supporte che ognuna delle tre poesie svolga una čerta immagine (o conecno che vogliate dire), e contemporaneamente, visto che le parole non haimo nessuna un senso hen deíinito, cento, mille. un milione di alt 1 e immagini (o concetti) •>. « Permettete, permettete. gridó a sua volta il grande critico fuori di sé « per cid la questione ě presto risolta: le iscrizioni, cioě le poesie, posso-no considerarsi bilingui. II qui presente signor Y pud sempře comunicarci che cosa ha inteso csÍKJ\iP^Ulí££l£- Come vedete la vostra obie-zione non regge ». E mi guardó trionfante. Ma io non sinohilitai: « Dimenticate, Signore, che una poesia non ě ^ soltanto immagine (o concetto), ina e (o.stituita di una inmiaguie (o di un concettí)), níú qualc Jh altra cosa. Giudic .uido le poesie dví mio amico in base alla traduzione che ve ne fara, vi trove-rete nella posizione di colui < he giudica un poeta straniero sull.i versione delle sne opere. (.011- venitene, non ě onesto né onorevole. L'amico stesso poi, a rigorc, non pud s.ipeie ( he < osa ha voluto dire - Y mi guardó male «giacché egli ha concepiti direttamente i suoi < omponimenti nella lingua di cui si tratta. Ne dei iva che la sua • ion sarebbe che una versione, paragonabile a quella < he potremmo fare, voi od io, se íossimo al caso, e peieio di per sii.i nátura im ompleta e 85 fallace. Potrehhe PcC11, , Ä una falsa interpreta^K^:;^^^ non ho bisogno di ricordarvi. sg£ ( ?S generalmente, un opera ďarte ě d „2 una rcali/./.a/,c„u. relativa a čerte conven^l alla loro stregua gtudicabile. l'n risultaťo di per sua natura valutabiTe che in baseai mezzi impiegati. Okre Dio, non esistono risultatiasso-luti ed ě il concetto stesso di risultato che ě un concejtorj^ I risultati si spostano lungo unasc^laidealeinfinita, pur entro 1'ambito di un unico valore morale. Ma non divaghiamo. Ebbene, ora, Signore, quali sono i criteri che avete in animo di adottare per la vostra valuta-zione? ». Sera fatto un silenzio di tomba nello studio de grande critico. Questi, cogli occhi perduti nel vuoto, finse di non avere udita la mia domancta. Fece le viste di riscuotersi e, per prendere tempo, disse a Y col suo piü bel sornso: !< Ma intanto, Signore, perche non ce e ate udire queste vostre famose poesie che staino suscitando "una guerra ďingegn. cosi gra/io sa ■ « Ne ho una sola con me » titubó Y. Incoraggia-toda un gesto del grande critico, trasse di tasca alcuni íogli coperti di bizzarri e minuti caratteri tutti a tagli e a virgole e lesse con voce trepi-dante: Aga magéra difúra natun gua mesciún Sanit guggémts soe-wáli trussán garigúr Gúnga bandúra kuttávol jerís-ni gillára. Lávi girréscen suttérer lunabinitúr Guesc iitanóben katír ma ernáuba gudún 86 Vára jesckílla sittáranar gund misagúr, Táhtr ""''" >.«•„. tspletate queste formalita si volse a me-«Come vedete i vostri sospetti sono bfondatí . • sornse « temerari. Avete visto come tradu« va specii to? ». « Macché, » si lagnô V « quella traduzione libera non rende neppure lontanamente ľoriginaJe. Tradotta, la poesia ě irriconoscibile e ha perdu-to tutto; cosi é destituita di ogni senso ». « Come vedete » dissi io a mia volta « ciô ripone la questione immutata sul tappeto. Poco fa, Signore, m'ero preša la liberta di chiedervi^ejuah criteri adottereste. Mi permetto di confermare la domaiida ». Non c'era piú da sf'uggire per il grande crittco, ed egli dovette accettare di riaprire la discussio-ne. II ehe fece girando nuovaniente la dún-coltä: « Veramente » cominciô « io, come voi giusta-inente avete messo in chiaro, non sono cotnpe-tente a giudicare di quelle poesie; epperô no penso neppure ai criteri ehe dovrti adott?r' Ľunico ehe sia conipetente a giudicarne < stesso autore, come colui ehe é unico a con scerne, bene o male, la lingua • Se non sbaglio » interruppi « avrvo gia imp citamente prevenuta questa uscita. Neppu ľautore, perché, come vi ho gia detto... Ma V, ehe fino .1 questo punto aveva ta< íuto I"" i'i." siinl>i ai autore? ». « Appunto « Ciô significa ehe ďora innanzi nello serivere" poesie si poträ partire dal stiono anziché daJľi-dea: » Y diceva cosi e bisogna eompatiľlo « met-tere ínsieme parole belie e sonore, o suggestive ed oseure, e poi attribuir iqjtq un signincato, <> soltanio yfidere f he ne t- ven u to faori?... ». — « Scusatemi, non capisco bene la 1 clazione... »>. « Ma si; nessuno vieta di disporre secondo un certo ritmo i primi suoni ehe balenano per ie orecehie, e di attribuir íoro poi nn senso bellis-simo. Cosi facendo si ereerá una nuova lingua; e poco importa se monca e limitata •» poche frasi (quelle del componimento), giacehé ci sára sempře chi la saprä: il suo stesso ( icatore; e sernpre chi del componimento sia competente a giudicare: il suo stesso autore*.} * Ma vediamo, non portate le cose alle loro e-strenie conseguenze. SuIIa príma parte alme-'i<> del vostro ragionamento, sebbene questo non mi paresse troppo, permettete, a propo-sito, sono pienamente ďaccordo; ma sní/a s<--conda, via... non \i embaiJez in una pericolo-s-< W't-iiaiischauímtr- ■non aiŕrontate azzardosi lopjcs. IVisoiialmniiť preferisco i (o l<» conF monplaces... • il grande 1 ritíco aveva superaco se stessi >. Ma Y: _ « Non nťinteressa, rispose « scusatemi, ehe u 8Í< mio ragionamento paia fun i- o un senso, hbero persino di attendere da que le parole, o da una sola parola, il significato eel il senso della sua composizione. Purchéque-sta sia... arte. Ecco Timportante. Non vorrei ďaltronde dimenticaste che quel significato e quel senso non sono affatto indispensabili. Una poesia, Signoři, puó anche non avere alcun senso. Deve soltanto, ripeto, essere un'opera ďar-te ». « Dunque » insisté Y « un'opera ďarte puó anche non avere un senso comune; puó essere solo fatta di suggestione musicale e suggerire a centomila lettori centomila cose differenti. Puo insomma non avere alcun significato?». « E le mille volte cosi, Signore». « Ma allora perché diamine non volete amine ■ tere che se anche quei suoni son presi da un lingua inesistente, ció che ne risulta ha ugu' mente diritto al nome di opera darter' »• 11 grande critico guardó f urtivamente 1 orol gio, e, giudicando torse che l'intervista era ( U rata gia abbastanza, pronunció: « Ebbene, se proprio ci tenete, ve 1« annin to ». V. - Vivadd Ma mi parve ii<>, questo č scntir parlare!» sorrise Y-arvc ( he il suo sorriso avesse alcunche di diabolico. Infatti soggiunse, con improvviso colpo di scéna: . Ebbene, rinunzio al significato di queste poesie e ve le porteró tutte in bella calligrafia e colla trascrizione a fronte, perché vogliate giudicarle prescindendo dal loro significato ». «Su urainente, sicuramente...» balbettó il grande critico preso alla sprovvista «certo che si. pero... Infine perché volete rinnnciare al loro significato? Pensate che, se non lo faceste, moko piii facile vi sarebbe la via della gloria, poiché non dovreste fare i conti che colFunico essere eapace di giudicarvi, di apprezzarvi e di glorificarvi, cioě con voi stesso. Credetemi, ě meglio avere a che fare con uno solo, che con troppi. Credetemi... Non temete, per il caso che vi riuscisse di credervi un grande poeta, come vi auguro, la vostra gloria sarebbe egualmente piena e completa, e per nnlla inferiore a quella di Shakespeare. Voi sareste in quel caso glori-ficato da tutti coloro che intendono la vostra lingua poetica, che sarebbero per avventura u-uo solo; ma non monta: la gloria non ě una taccenda di quandtá, ma di qualitá...». II grande critico scherzava acutamente, ma si sentiva che sudava freddo. « Ebbene, mi arrendo alle vostre ragioni» disse finalmente Y, e di nuovo lo vidi ghignare fra sé. «Mi garantite pero che su quel primo punto siete completamente ďaccordo con me? . « Ma si, ma si, completamente, diamine!». 11 grande critico guardó l'orologk>, questa volta apertamente, si al/o e disse: Purtroppo i miei doveri d uffiao mi chiama-no akrové. Per concludere sul problema i h« vi 'VI ha condotti da me, dno dunque che abbiamo nelcorsodella nostra intcrvista, assodato esserc delle tre poesie in questione unito giudicecom-petente il loro stesso autore signor Y. AI quale di cuore auguro di godersi in pate la sua gloria incontrastata e nou intorbidata da invidiaoma-levolenza». Aveva riacquistata tutta la sua sicurezza, a peri- colo passato. Accompagnantlt)ci alla porta ci batteva ťamiliarmente sulla spalla. « Mi permetterete tuttavia di venirvi a vedere qualcne volta? » gli domandó Y. « Ma si, sicuro. quando vorrete... ». Io non ero rimasto punto soddisfatto e, prima di uscire, tentai ancora: « Ma 1'arte... »• « Larte,» interruppe il grande eritico amabu- mentě spazientito « larte che cosa é tutti lo san- no... ». 11 seguito di questa storia ě troppo triste, p^1 io lo racconti per disteso. AI lettore basu sape ^ che, dopo quella visita, pare che ^'amlCwo|t0 cervello abbia dato leügermente di volta. 1^ portare m tempo ě passatt). ma egli si ostina a , giro per le redazioni ďelle straně poesie senza capo né coda, pretendendone pubblicazioiie e compenso: tutti lt> conoscono onnai, e lo metto-no seu/altre cerimonie alla porta. Ljal grande eritico non ci ritorna piú dal giorno che quel personaggio stesso fu costretto, pe«" iberarsi delle sue insistenze, a ťargli ruzzolare le scale o poco meno. MANI Federico rientrava: nel cortile gli saltö incontro a festeggiarlo la vecchia cagnetta da caccia, la-sciata a guardia. II cortile, chiuso da tre lad, si apriva daH'altro sull'orto sottostante, e, oltre Una Hla di case hasse, SU tiiia stretta valle che, risalendo dolcemente, si conchiudeva all'oii/-zonte aho e lontano in una lila di colli rotondi; una luna coperta lo illuminara cii luce blanda ed ombrosa. Federico viveva completarnente solo neüa sua grande casa abbandonata e, per semplificare le (<>se, useiva ed entrava da una porta tli servizio donde, dopo un certo giro attraverso due umi-di ript)stigli e una dispensa, si raggiungeva fi-nalmentela eucina, prima stanza Fornita d'una •ampadin.i elettrica. Sospirando e brontolan-do lontro llrriducibUe noia deüa vita di paese, prospettandosi una serata vuota e solitaria e la seccatura degli inert itabili ritocchi alla sua tarda cena, introdusse nella toppa la massicaa chiave. 93 SF.Tl IMANA 1)1 SOLI Pubblicaio dapprima in «Letteratura*, 1, i Ken naio 1937 (conunrefuso neltitolo: Una settimanaďi sole). Del testo in rivista sono presenti in archiviole bozze, con correzioni autografe di Landolfi ad in-chiostro nero; nel passaggio, ľaggiunta del sottotito-lo (« ovvero Maria Giuseppa II »); quindi: 142,7 otto-bre > ott.\ 142,17 c'écaso > ťé il cašo\ l43,19attorno> intorno; 144,17 delia sna dissipazione. [corr. aut.] > delia dissipazione di Im.' UQ —j - < ontro u queue; 155,20 malgradolesue abitudini, [corr. aut.] > contra ogni sna abitudine;, 162,33 quel corpo, [corr. aut.] > una di quei corpi,; 163,12 terror e, > orrare,', 163,17 sedie, [corr. aut.] > seggiole,. II manoscritto delia novella ě datato: « Pico, ultimi ott. - 7 nov. 1936 >>. « NIGHT MUST FALL » Raicconto composto, come da indicazione sull'auto-graro, a « Firenze, maggio 1936». Drn gWi tU"° Lando,fi in questa splendida prima IfimV,1' SUa tracimante fant:ism rh, vismn;.,io. the MmfT^f1 6 rino.m,nn le m<]V )a sua attitudine a ipei-^^te^S4=J^aj^aJattandolo alio svariaTedel maKi lnteriore: che emerge a tratti in niH^iann^^ i]lt|nii|1.f/iQui; ma co- pozzo s:arCcla,falare una lampadina in fondo a un vi con cu. ,?,!ea ;Sta " r''ntasnro » sono gli aggetti-gnarro^i^hee?latamente ,a c™*a Prende a desi- 198 « Su una nvista italiana, a nessun proposito, riudizio soinmamente lusmghiero sulla mia "opera-- e tra 1'altro vi son de fini to, con lodi da fare il visorowo -„More di racconti fantastici". Sommamente lusmghiero, eioé inteso come tale: come mi dispiace, al contrario, e come é anacronistico. Ma seavessi voluto essere uno serittore di racconti fantastici... Che (osa inve< e ho voluto essere o sono? E chi losa: come sempře la mia comprensione é stata ed é soltanto negativa ("Questo solo di noi..."). So bene ció che non si deve fare ed essere, non ció che si deve; son disgustato di un me stesso, e son vanamente sul-le tracce di un altro, o dellaltro, me stesso. Come dire che ho schifo di me stesso per intero; e del resto non son sulle tracce di nulla, mi limito a disprezim-mi. - Eppure quante cose períino intelligenti potrei dire di me... se una tal eritica di me stesso non mancasse di oggetto conereto, se cioěavessi dietro di me una vera opera, almeno un'opera non quasi to-talmente sommersa al modo degli icebergs. Da quei deboli trasparimenti di sotťncqua chi potrebbear-gomentare aleunché? (Ma p^hé poi una tafe infek-ce disposizione, mi piacerebbe sapere? Sarebbe di-scorso piu serio)». r> • ,,n Darina del dizňoj&m Cosi Landolfi stesso. m » ' £esuquestíracconri, e una paginachelaďcc h 0egsEjle: la qua/e é sulla teuenuurajaj^ didire /'/- interamente volta all imp' enřare il proprto ■ cen-neffabile, di riuscireara^r^^^g; non mai třb irrappresenta|^£?' ^ .„ Firetae, 1963; ora in T. ■ cíl'. 11 - . i n: r,:___i: 1. T. Undoln,^'-^./^- Undolfi, Open-''Jag bcjjUUU^^ , VaHecc"*' , Landolfi, Rizzoli, Miláno. 1992. V 209 &Cps\ Ernes re una fiň^f^^jp0» del nioreJi^T ■ni'"" 1996. pp- - Was- 199 suo essere il meno umanď dei Linguaggi degH uoi m), tornerá piú volte nei suoi scritti, aparure dalľas siuolo di *Nighi mušt fall» - e proprio nella sua valenza non significantc, ma seminai evocatoria, al-lusiva. Fantastico autobiografia), dunque, questo landol-iiano: ehe introduce ad una realtä altra, un sopra-mondo dove ogni minimo trasalimento, ogni accen-sione o inahissarsi delia propria aniina abbia un nome (un nome non-nonie), dove viga una lingua ehe sia pura (nel senso di priva di alcun trami-te) effusione, e diffusione, di sé: come quella dei sogni. (iiä tutti i luoghi (interiori ed esteriori) di Landolfi sono presenti nel Dialogo dei massimi sistemi: ľantico palazzo avito, ormai privo di abitatori, il paesaggio natale dei dolci colli alľorizzonte; e le ansie, le irre-quietudini e le ossessioni del protagonista (sempre uno solo, in varie vešti: e sempre uno rimarra, per ľintera opera dello serittore), ehe suhito ci appare come qualcuno costretto tra pareti troppo auguste, ehe pure (e qui il danno) non abbia perduto meino-ria delia sua « patria celeste ». Egli si dä a conoscere per ciô ehe e: gruino di un passato ehe non riesce a s( rolku si di dosso, sorta di geologica conerezione ch sentimenti e immagini, di ragione e cuore. Di tutto questo in Landolfi, delia trasfigurazione in una dimensione mitica, piú reale del reale, si erano ben accorti gli studiosi, ehe non poterono fare a meno di notare la nuova presenza nel panoráma letterario di allora; la sua arte sostenuta da un'altissi-ma intelligenza e da una profonda conoscenza delle lingue c- delle letterature straniere. E la príma im-pressione riportata dalľincontro con lo serittore é 200 « di un sottile malessere spirituále »•«Iln na chiede un lavoro ehe di solito ci bašta ľ!" Rgi* intero; alludo a un lavoro dacdima^ bastera per pochissimo tempo, a girodi pagina'^ te dt nuovo sperduu, m un nuovo bisogWdi au,, scenza, e si hadi hene non di riconosamento»(Carin Bo). Immediatamente la critica si divide in due fá zioni: coloro ehe, sulla scia di Pietro Pancrazi, ann.V verano Landolfi tra gli « serittori ďingegno»': «[ j serittore ďingegno é quello nel quale, sulle altre qualitä ehe fanno lo serittore, ľingegno prevale D'uno serittore veramente grande, non si dirá mai ch e serittore ďingegno >» (e quanto vi sia di irrisoiio. direi di specioso nel ragionamento é chiaro a ognu-no); e coloro ehe invece, con RuggeroJacobbi, insi-stono sulla poeticitä delia parola landolfiana, suisuo carattere « elegiaco »: « Questi racconti del Landolfi [...] ribadiscono un concetto di assoluta "< reativitá", col tentativo ardito e spesso riuscitissimo di bandire ogni imitazione, ogni cronachisnio dal campo delia narrativa [...]. II Landolfi possiede un tonodi poesia, un fascino di satira, ehe son suoi, inconfondibili (...J. [...] mi pare di dover definirlo serittore elegiaco, se non addirittura sentinientale. Sarebbe facile farsí del Landolfi un'immagine come di un gwhere abilissimo e scaltro, ehe. con negmnwni.ta v, , j • i..>.mi H una pratica esoteiua, quasi seguendo i ff^^Uarterndmerenti ereasse pacatamente degA ogge ^ fredda. e pericolosi, '"^^"J.'kIoII:. nel ritmo spesso mente lucenti. aťfannoso delia sua pro* -reto impi(lissima. mi par si * Šore, un fervore so - 11,1 o. ■n- m'j«>«tri;i dl debba ricercare un segreio im^. terraneo di linťc [...] »• Al di U delia maestna di 'teeniea', degli straordmari strumentí vcroali, ne ne-ne con. preso zlľimpwnui il carattere di autenoata e di f^d^^Atoettm* &* aceorgem < ome , b\d\meud- * „ien2a die nwvere, tra Landolfi non sponendole e spenenze precedentemente subite in prima per* na. E la condizione, pnvtlegiata e gravosa, aUaquat ottempcra per superare cronachismo e realisTn Straní procedimenti, quelU della sua memoria In tellettualistici? Anche. E con ció? Avremo anco ra e sempře pam a deU'intelligenza? >» (Enrico Fal-qui); lassunzione del « mito » come sua unica realtá: << Parlando di Landolfi e del buo Dialogo dei massinii sistemi, a noi semhra che i critici non abbiano colto il vero punio della questione che lautore e quel libro comportano: la narrazione, cioě, direttadei mitiche ne costituiscono Tunica realtá normále, ammessa con la sic ure/za e con l'agio di uno stile che non ha bisogno di spostarsi, di ridurre, di anipliare, o co-munque di sproporzionare in allusione la propria evidenza per ťarsi ammettere nella sfera di una veri-tá artistic a. Landolfi non ha bisogno di giocare sulla qualita intellettuale della propria immaginazione, né di far spuntare l'estro dalla consumata accademia di un disegno iuterrotto in piena traccia imitativa e deviate ad astrarre altri significati dal "soggetto". Landolfi direttamente punta al "sistema", e non alia casualitá del suo mondo deserto ed allucinato, ad una realta carica dei suoi misteři, concretati sino al punto da agire visibilmente nella vita passionale di un mondo fenomenico e temporalmente continue) » (Alfonso Gatto). E parimenti scrive Goffredo Bel-lonci: « Quello che per altri ě oggetto di scienza o strumento di pin raffinata analisi psicologica, di(<> la os< ura potenza (he ha il senso di creare e ricreare if mondo a propria tmmagine, diventa per il Landolfi un mezzo per immaginare racconti e parole meravi-gliose. < apa< i di rivelar come per simboli gli aspetti pin scgrcii deUa nostra vita spirituále e fisiologica. I... I I tu otniiK iate a teggere e vi sembra di essere sulla ten a su ura della reahl quotidiana, in cittá, o in uno da nostn pae« i.aliani; ma poi dimprovviso vi sennit in un clím;, ignoto, tra avventure prodigiose; e 202 non saprete comprendere come ció sia avvenuto se non nleggerete a uno a uno i periodi, dove troverete le parole e Ie immagini che dalla vita di ogni giorno vi hanno mnalzati a quest'altra vita fantastka '». Una parola magica, insomma, che apre porte, tracciá sentieri, crea varchi verso un universo paraJJeJo: come quella parola, una « paioJetta e [...] nient'altro che [...J una paroletta sola » di «Night must fall ■, capace di « dar luogo, a seconda dei casi, a un tavoli-no o a una seggiola. ucc idere una triste/za in fondoa un cuore, sradicare un uomo con tutte Ie sue radiči e trarlo su come un gatto bagnato, modificare, insomma, [...] il mondo dei sensi deJJe montagne deJJe rocce e delle abitudini». Per la bibliografia della critica si segnaJano, ohrealle pagine dedicate al Dialogo dři mammi sistemi ailinter-no dei volumi monografid e delJe seziom relative alio scrittore in dizionari della letteratura italiana, in storie ed enciclopedie letterarie,' i seguenn arami, e "•JW* . . „«j„im» ;i Dialogo dei inassimi G.acomo Anton^^on^ ] j sutemt, in « Nteuwe Kotteiu« maggio 1938. , //f/ non lM 700?. in Luigi Baccolo.;W^''^-7;|r(,(oJ975. . (;azzetta del P°P°^'lň jn\ u Giofmde d'lta-Goffredo Bellonc, £5** 1038