544 Alm poeti c narratori Epoca 11 Ricostruzione e sviluppo nel dopoguerra (1945.1968) ha dcdicato alla vicenda deU'editore Giangiacomo FeltrineUi, Ledttore (iq8q1 Alľesperienza del Gruppo 63 si e collegata la poesia d, Ai.runo Spätom u. j. Spcrimcntalismo, conrraddizione, neoavanguardia 545 queíla«tecnologica»ui t *"■'••>.'----,ľ*~,T"~ *"«Sr-----' tentativinarratividi autori che hanno dato íl meglio dl se nella p, • scarsissima for tuna) la narrativa di Germano Lombardi (nato a Oncglia nel 19251, che partedalla struttura del giallo politico per svuotarlo di senso, per scguire, con occhio allucina to, i movimenti di cospiratori e combattenti rivoluzionari (legáti a una antica tradi-zione anarchica e democratica), sullo sfondo di una realtá bloccata, che impediscc ogni vera azione, ogni definitivo riconoscimento del bene e del male (ricordiamo Barcelona, 1963; U confine, 1971; Cercando Beatrix, 1977). 11.5.19. Giorgio Manganelli. insoffercnza Scontroso e appartato, chiuso in un suo nevrotico personaggio di letterato WR° ".J"01"10 immerso tra artifici libreschi e abitudini solitarie, Giorgio Manganelli (na-inte tu» e to a Mi]ano nei IQ22, motto a Roma nel 1990), studioso e professore universita-rio di letteratura inglese, si é awicinato alla neoavanguardia solo per la sua in-sofferenza verso tutti i modelli realistici, verso la seriositä del mondo culturale italiano, verso gli insopportabili dibattiti politico-intellettuali. Egli ha sempre sentito la letteratura come esperienza radicalmente alternatíva alla realtä, arti-fício cerimoniale, moltiplicazione deformante dei volti negativi del mondo, inesauribile e gratuito sistema combinatorio, carico di veleni e di sottili abie-zioni: e di ciô ha formulato una vera e propria teória, espressa nel volume di saggi La letteratura come menzogna (1967). u loicratura Nelle sue numerose opere narrative, ha fatto parlare una voce che conti-.UaTeľíl nuamentc si s°«rae, si nasconde, cambia piani, in un proliferare di finziom. che si smentiscono e si confondono tra loro, in un gioco di maschere che asso-cia un freddo rigore razionale a un eccesso barocco, a una fúria distruttiva. La sua senttura assomiglia a un perpetuo rito funebre, meticoloso e sottile, ridico-to e grottesco; vuol essere il sacrificio interminabile di una cultura che si cniua neile catacombe, tra smorfie e gesti stravolti, privi di qualsiasi significato ?« nmvo, spia, piuttosto, di intrecci velenosi, di complicazioni irresolubUi. « Manganelli tutto si configura come letteratura: e la letteratura é per ui ^ . cumulo di figúre e di artifici che restano estranei alle vicende reáli e alla g í«n j!P1 m,tici, d'forme Pers'stenti che esprimono il bisogno umano di p rfľiuľl'í men2°Sna; ma luesto stesso carattere originario e insieme■ art* deUa letteratura contribuisce a smascherare le false veritä, le finzion. delia na, delle ideológie, delia vita sociale II risultato piú intenso delia prosa di Manganelli é forse costituito dal suo primo Le opere libro il monologo narrativo Hilarotragoedia (1964), rivelazione di una voce stravol-ta e viscerale, discesa in uno stralunato inferno pedantesco e maceheronico. Sono poi seguiti Nuovo cnmmento (1969), con piú sottili incastri e giochi di letteratura sulla letteratura, che fanno pensare insieme a Gadda e a Borges, e Agli déi ulteriori (1972) simulazioni che mettono in comunicazione tempi e condizioni dŕverse. Ne-eli anni Scttanta Manganelli ha potuto contare su un suo pubblico affezionato, a cui é andato incontro con una serie molto fitta di interventi in vari giornab' (raccolti poi in numerosi libri, da Lunariodelí'orfanosannita, 1973, a Improvvistpermacehinada scrwere, 1989), tendenti a sottolineare il carattere artiticiale delia stessa realtá: e, dal suo osservatorio di letterato, con una prosa sempre immaginosa, puntigliosamente impegnata a trarre alla luce tutte le possibili combinazioni e coincidenze, ha assun-to origináli posizioni di osservatore distaccato, di moralista ombroso, di critico delia volgaritä contemporanea. Nel frattempo ha continuato la sua produzione narrativa, sempre a un alto livello, ma come congelandosi nella maniera di se stesso, in un provare e riprovare artifici e finzioni, in sontuosi, inesauribili ricami attorno a per-sonaggi c testi letterari: ricordiamo A e B {1975), Sconclusione (1976), Pinocchio: un libro parallelo (1977, cfr. dati, tav. 202), Centuria. Cento piecoli romanzi fiunte (1979), Amore (1981), Dalľin/erno (1985). 11.5.20. Alberta Arbasino. Alla funebre cerimonialitä di Manganelli si oppone la frivolezza e la dispo- Una personálna nibilitä di Alberto Arbasino, nato a Voghera nel 1930, trasteritosi a Roma ecletuc* nel 1957, che si é dapprima fatto notare verso la fine degli anni Cinquanta come un enfant prodige delľavanguardia e si é presto mostrato attivissimo in campo giornalistico, raggiungendo una posizione di notevole prestigio (e dal 1983 al 1987 é stato deputato al Parlamento per il partito repubblicano). Arbasino ri-cava combinazioni inesauribili, artifici e giochi multiformi da un'immersione totale nella realtä e nella cultura contemporanea: é un consumatore vorace, che sa percorrere ľaffollato universo del presente, seguire le piú varie manifesta-zioni linguistiche e le esperienze delle diverse ani (con notevole attenzione per Je arti visive, il teatro, il cinema, la musica). Ľambito da lui preferito é quello del pastiche (cfr. generi e tecniche, tav. 247), che gli permette di mischiare e manipolare con disinvoltura realtä e linguaggi, di scatenarsi in giochi scanzo-nati, in combinazioni senza fine, quasi sempre del tutto gratuiti. Nella tase nascente delia neoavanguardia egb ha svolto un'opera di dissacrazio- Saggi, romanzi ne programmatica, giocosamente antiideologica (di cui é divertente esempio la rac- t pmttcbct colta di saggi Čerti romanzi, 1964). Uno scatenato plurilinguismo, sotto la spinta di una «confessione ininterrotta », si afferma giä ne Ľanonimo lombardo (1959); ma F°PC// P!" s'8n'f'cativa di Arbasino é senza dubbio il vasto e pletorico romanzo ďhalia (1963; nel 1976 ne e uscita un'edizione interamente riseritta), libera e dls>nvolta immersione nella vita sociale dell'Italia del benesserc. trionfante per-corso di iniziazione intellenuale di un gruppo di giovani, sprofondati in un caos di nuovi oggetti, incontri, esperienze appena sfiorate e abbandonate, con un che di acerbo e di «simpatico». Seguirono una serie di giochi letterari, di divagazioni tra i Biblioteca Adelphi 420 Giorgio Manganelli PINOCCHIO: UN LIBRO PARALLELO Giorgio Manganelli PINOCCHIO: UN LIBRO PARALLELO ADELPHI EDIZIONI I Cera una volta... «Un Re...». No... Quale catastrofico inizio, quanto laconico e aspro, una provocazione, se si tiene conto che i destinatari sono i «piccoli lettori», i «ragazzi», soli competenti di fiabe e regole fiabesche. A scrutare tra gli interstizi di queste sette parole, si scopre subito una favola nel-la favola, qualcosa che ě prossimo al cuore d'ogni possibile favola. II «c'era una volta», ě, sappiamo, la strada maestra, il cartello segnaletico, la parola d'or-dine del mondo della fiaba. E tuttavia, in questo ca-so, la strada ě ingannevole, il cartello mentě, la parola ě stravolta. Infatti, varcata la soglia di quel regno, ci si awede che non esiste il Re. E difficile soprawa-lutare l'importanza di questa frode iniziale. Con svel-to gioco di prestigiatore, il favoleggiatore ha dato ac-cesso si al luogo della fiaba, ma di fiaba diversa, drammaticamente incompatibile con l'altra regale ed antica terra di fiabe, certificata dall'aureo cerchio di una corona. Buffo e poderoso, infantile e terribi- 11 le il Re tiene nelle sue mam volta a volta tremule feroci, inesatte, prodigiose sempre, le leggi, i gesti, le' parole della favola. Potra questa soprawivere alla scomparsa del suo senile ed eterno centro d'oro? E questo un tentativo di uccidere la fiaba? Ma, in primo luogo, noi non sappiamo esatta-mente in che modo codesto Re «non c'era una volta». Sappiamo, vagamente che «non c'e»: condizio-ne terribile, direi onerosissima, in un universo che si preannuncia labile, minatorio e stupendo. L'as-senza del Re non solo non cancella, ma rende intol-lerabile potenza il luogo che al Re appartiene. L'a-vessero giustiziato, come si fa nella storia, sarebbe fola banale: un re giustiziato c'e; avesse abdicato, si fosse appartato o dato alla fuga, sarebbe condizione piü sottile: giacche chiunque puö sottrarsi alla Corona, ma la Corona soprawive ad ogni fuga o rinun-cia, e puö anche attendere, e anche seguire un Re in acquosi e irti rifugi di tane e paludi. Ma «non es-serci», sgradevole per tutti, per un Re sarä cosa in-tollerabile. Quanto destino, quali compiti per questo Oro Inesistente! Giacche la fiaba deve soprawivere, e infiniti destini, inafferrabili immagini da so-gno, debbono svolgersi fino alla loro conclusione. II Re inesistente e infinitamente necessario e terribile. Tuttavia, potremmo porre in altro modo il pro-blema di codesta crucciosa e leggera inesistenza del Re: infatti, costui potrebbe non esserci in altre gui-se. Potrebbe aver scoperto che la «non esistenza» e la sua forma tipica e inattaccabile di esserci. Colpo di stato negativo: il Re ha scelto di non essere, farsi inattaccabile alle indagini filosofiche, alle pie ag-gressioni archeologiche, alle minute pedagogie della storia; privo di azione, ingiudicabile ed ingiudj; cante, presente nell'unica forma che gli consenta di essere dovunque, cioe l'assenza, egli si Candida come irnducibile centro del c'era una volta; centro pnvo di dove, totalmente clandesüno: trafiggi13' 12 l'armatura di nulla. A che fare domande a colui che non risponde? Oppure, awertendosi insidiato e detestato o sgar-batamente amato, avra scelto di farsi clandestine Potrebbe, dunque, essere nascosto in qualunque immagine, oggetto, personaggio; da questo, tramu-tarsi in quello; potremmo sospettarlo ovunque; tra poche righe, nel «pezzo di legno da catasta» o ma-gari nel naso paonazzo di maestro Ciliegia. Non potremmo riconoscerlo con certezza, ma tener d'oc-chio, con garbo, la dove v'e traccia di buffonesco e di tremendo, una arcaica mescolanza di felicita e inettitudine: il Re fa delle pietre oro, e barberi di topi, ma non sa allacciarsi le scarpe. In ogni caso, ove lo conoscessimo, non potremmo andare oltre un ta-citurno ammicco di riverenza. Infine, possiamo fan-tasticare che il Re deliberatamente frantumatosi (esplosione? decomposizione cosciente? scheggia-mento?) si sia commisto a tutto cio che appare e scompare, divenendo, da Re, Regno; infedele lumi-nescenza che troveremo dovunque, donde che sia pronta alia fuga furba e frodolenta: adescatore im-pudico e intoccabile, suggeritore di peccati impossi-bili. Se poi, per scrupolo, vorremo impastare assie-me queste diverse ipotesi - che il re sia nulla, clandestine e sminuzzatamente ubiquitario - ne verra che la favola sia essa stessa invisibile, regale, dovunque nascosta, e composta di quella imperitura e inattaccabile materia che noi diciamo «nulla». Per ora, esplicitamente il favolatore ci awerte che al posto del Re e'e un «semplice pezzo di legno da catasta». Sarebbe facile una lettura festosamente plebea di questa apparizione: ma trattiene la sco-perta che, appunto, si tratta di una apparizione. Quella sua umilta non ci inganna: sara un legno non «di lusso» - e pare owio che in quel Regno il concetto stesso di «legno di lusso» sia insensato -, buono da scaldare le stanze d'inverno o da far bolli- re una pentola di fegiok - ma, donde viene? Perché c finito nella bottega di maestro Ciliegia? Infine perché, al contrario e forse in lite con il Re, < di banco di scuola? E sentite il suo linguaggio: a quel legno, egli vuole «levargh la scorza» e «digros. sarlo»- metafore che non abbiamo dimenticato. Ad un certo punto, fantastica che Ii dentro sia nascosto un bambino «che abbia imparato a piangere e a la-mentarsi». E, tipicamente, conclude: «Ora lo acco-modoio!». Infine, la scelta del pezzo di legno pare fitta di tanti e tali significati da non poter non essere fatale e fortunata; ě, insieme, documento della ostinazio ne, della pazienza e della ribellione di quel miste-rioso ciocco. Del quale apprendiamo subito che non solo puô «capitare» in una bottega, ma sa par-lare. Ed ě una «vocina», come viene ripetuto sette volte: e dunque si suggerisce che il pezzo di legno ě anche infantile. Ma a questo punto il protagonista torna ad essere maestro Ciliegia. Egli deve vivere fino in fondo, pubblicamente, la sua dignita e ina-deguatezza. Alle prime parole del «pezzo di legno» eccolo smarrito, che ě il grado piu tenue del terro-re. Sconcertato, cerca di chiarire tanta bizzarria. Sperimentale, meticoloso e diffidente delľinnatura-le, non senza una punta del farnetico, guarda do-vunque: sotto il banco, tra la segatura, per la strada, perfino - tipico tratto maniacale - «in un armadio che stava sempře chiuso» - e per cinque volte con-stata che non c'e nessuno. Incidentalmente, quel-I armadio «sempre chiuso» mi inquieta. Un armadio chiuso ě inutile, e mastro Ciliegia non ě uonio da apprezzare oggetti ingombranti ed inutili. In quell armadio deserto e compatto si nasconde la cheret™ľStT°™^ O é la «grande inutility í'ma reaIe? VÍ ě Un miSter° ri le e lee-no™- » j e un mistero svuotato, lnuB- no" ^ «nessuno». ^'acqueta in ™Sľrancanza di P^ricoli della realta, no.»: dove altri avrebb"?13 riPetizione del <