alberto moravia dA « VEPIDEMIA » II TACCHINO DI NATALE Quando, il giorno di Natale, il commerciante Policarpi-Curcio si send dire ^ telefono dalla moglie che rincasasse puntualmente perché c'era il tacchino ■ ^legro molto giacché, con gh anrú, all» infuori di quella della gola non gli era ň^sta altra passione. Grande pero fu la sua meraviglia allorché, giunto a casa vers0 il mezzogiomo, trovo il tacchino non giá in cucina, infilato nello spiedo e in atto di girare lentamente sopra un fuoco di carbonella, bensl in salotto. II tacchino, vestito con una eleganza un po' vecchiotta, di una giacca nera dai risvolti di seta, di un paio di pantaloni a quadretti pepe e sale e di un gilě di panno grigio coi bottoni di osso, conversava con la figlia del Curcio. Tanta fu la sorpresa del Curcio di trovarlo in un atteggiamento e in un luogo cosi insoliti, che dopo lc presentazioni, cogliendo un momento di silenzio, non poté fare a meno di chi-narsi in avanti e di proferire con cortesia ma anche con fermezza: « Scusate signore ... non vorrei errare ... ma ... ma mi sembra che il vostro posto non dovrebbe essere qui... ripeto .... non vorrei errare ... ma il vostro posto dovrebbe essere ... ». btava per aggiungere « nella pentola », quando la moglie che, come ella stessa si cspnmeva, conosceva i suoi polli, gli camminö sopra un piede; e il Curcio, che sapeva per antica esperienza quel che significasse questo atto, tacque. La moglie Ppi gli fece cenno e, trascinatolo fuori del salotto, gli disse con voce bassa e con-citata che, per caritá, non rovinasse ogni cosa. II tacchino era nobile, ricco e in-fiuente; un buon partito insomma; e giá mostrava un interesse particolare e vi-sibiüssimo per Rosetta; voleva forse egli, con le sue stupide osservazioni, mandare *monte il matrimonio che giá pareva profilarsi? II Curcio si scuso con la moglie j, í>luro cne non avrebbe piů aperto bocca. Quanto al tacchino, la domanda del-mcauto ospite non aveva sortito altro effetto che di fargli prendere il monocolo squadrare ben bene il malcapitato. Poi era tornato subito a conversare con la ^ del Curcio. « Si ha un bel dire » pensava poco dopo il Curcio a tavola, mentre la moglie ^Ptodigava in cortesie verso il tacchino « ma ad un tipo di quel genere 11, piut-°St° che augurarsi che sposi la figlia, si vorrebbe tirargli il collo ». II Curcio era ^attutto irritato dall'aria di superiorita e di accondiscendenza che assumeva J*CChÍn0 ogni volta che gli rivolgeva la parola. II Curcio sapeva bene di venire, e dice, dal nulla, e che i suoi modi non erano cosi levigati come la moghe * figlU avrebbero desiderato. Ma lui aveva lavorato tutta la vita e aveva gua-dei bei baiocchi, questo era il motivo per il quale non aveva potato curare ***** educazione. II tacchino invece, con tutto il suo sussiego, non^avrebbe P°tUto dire lo stesso. Belle maniere, certo, aria da gran signore, ma m fin dei « NEOREALISTI » conti il Curcio ľavrebbe giurato, poca sostanza. Altro fatto ehe dava a-al Curcio era la maniera con la quale,dopo aver detto^qualcosa di spi>5 di profondo, il tacehino tirava indietro il capo, ficcando il beceo e i bar*'?*0 0 cravatta nera a plastron e gonfiando il petto sotto il gilé. Infine il tac*hf U *Ua lava alla moglie con la stessa scelta aceurata dl parole e la stessa moduly ľ ^ sitá di accento ehe se si fosse rivolto ad una duchessa. Ma il Curcio ■ stialiva perché gli pareva di ravvisare non sapeva ehe irónia in questo eccessivo. « Alla pentola » pensava « alla pentola ... ». Petto Del resto questa antipatia del Curcio era piú ehe compensata dalla inf Íle due donne, madre e figlia, per il tacehino. La moglie del Curcm ■J r. zione delle setta pendevano addirittura dalle labbra, o meglio, dai bargigli del tac'chiL*0" Curcio e quale le affascinava con raeconti mai uditi di feste, di svaghi, di viaggi, Ü suc-W stato arros-ora convito cessi mondani. La familiaritá rispettosa di un tacehino come quello ehe a tu per tu con il gran mondo, lusingava la madre. Quanto a Rosetta ella siva, impallidiva, tremava e volgeva al tacehino sguardi, ora supplichevolľ infiammati, ora languidi, ora spauriti. II fatto si era ehe fin dalľ inizio del cor. il piede del tacehino, calzato di un antiquato ma elegante stivaletto di camoscio grigio coi bottoni di madreperla, non aveva cessato un sol minuto di tartassare la scarpetta delia ragazza. Partito il tacehino ci fu una diseussione violentissima tra il Curcio e la moglie II Curcio diceva ehe era ľ ora di ŕinirla con questi elegantoni sofisticati c sno-bistici i quali poi, si sa, nascondono sotto la loro superbia una quantitä di magagne Lui aveva lavorato tutta la vita e non si sentiva affatto inferiore a tutti i tacehini di questo mondo. La moglie rispondeva ehe questo suo furore era inutile; il tacehino non aveva mai affermato di essergli superiore; quale tarantola ľaveva morso? Quanto a Rosetta, andata a dormire come era solito ogni giorno dopo colazione, ella giá sognava il tacehino. Lo vedeva inclinato su di lei ehe giaceva šupina, i vanni delle ali intorno ai suoi omeri, il beceo sulle sue labbra semiaperte. U tacehino la guarda accigliato, e si gonfia, si gonfia riempiendo la stanza delle suc penne grige; ma con tutto ehe sia immenso, pare leggero, al petto di Rosetta. La quale sospira nel sonno e mormora « caro tacehino ». I giorni seguenti, nonostante ľantipatia erescente e visibile del Curcio, il tacehino si insedio addirittura nella casa. Veniva a pranzo; e poi, andato in salotto con la figlia, vi rimaneva fino alľora di čeria. I due erano ormai, disse la moglie al Curcio, fidanzati. Sebbene, per motivi di famiglia, il tacehino si opponesse t ehe si facesse per ora ťannunzio ufficiale. «Bei genero » brontolava il Cura° « datemi un brav'uomo lavoratore, semplice, di buon cuore, ma un tacehino... * II Curcio, rincasando, poteva vedere, attraverso i vetri delľuscio del salotto, vezzosa testa delia figlia accanto a quella vana, feroce e stupida del tacehino-pensava che forse quelle manine čosi bianche e piecole accarezzavano q** 10 e rugosi bargigli e la sua antipatia eresceva. i '50í ALBERTO MORAVIA fô pur continuando a corteggiare Rosetta, il tacchino non si de-|fltantOi Pef ' ^ Q^no. Anche la madre cominciava ad essere inquieta. Se era o ella disse alia fine alia figlia, doveva presentarsi al genitori e tu chino seno chic ^hľíl tacchino regolarÍ2zasse, come si dice, la sua posizione a mogHe. Rosetta a queste parole guardô spaventata la madre e non uderia. in ^ ^^^q era riuscito fin dai primi giorni a strappare gli 'fl favori alia povera ragazza. La quale ora, non meno delia madre, era an-che Uno di quei giom* R°setta accolse il tacchino nel salotto con un fiume di • e Ella non poteva piú vivere in questo modo, balbettava tra i singhiozzi, l^endo a se stessa e ai genitori. II tacchino misurava a grandi passi il salotto, lepenne tutte arruffate fuori del colletto, il becco semiaperto e infuriato, gli occhi iniettati di sangue. Finalmente disse che ella poteva togliersi dalla testa che lui la sposasse. Piuttosto, se voleva, poteva fuggire con lui alľestero. Quella notte stessa, o mai piú. Rosetta, dopo molte esitazioni, finl per acconsentire. Quella notte il Curcio che soffriva ď insonnia si levo per andare a prendere una boccata ďaria alia finestra. Era una notte d'estate, con la luna al colmo dello splendore. I Curcio abitavano in un villino. ArTacciatosi alia finestra senza far rumore né accendere lumi per non destare la moglie, la prima cosa che il Curcio vide £u l'ombra gigantesca del tacchino, eretta la testa dal collo gonfio, il becco bitorzoluto rivolto in alto, riflessa chiaramente sulla parete delia villa inondata <ü bianca luce lunare. Egli abbasso gH occhi e fece appena in tempo a scorgere k figÜa capitombolare da una finestra del primo piano tra le braccia del tacchino. 11 quale, caricatala sulle spalle come un fagotto con una forza che nessuno avrebbe s°spettato, rapidamente se la portava via verso il cancello. II Curcio desto la ^oglie, corse a prendere un vecchio fucile da caccia. Ma, sceso che fu, non trovô ^ alcuna traccia dei due fuggiaschi. 11 giorno dopo il Curcio andô a sporgere regolare denunzia per rapimento. a Qci commissariati nessuno gli credette. Un tacchino, dicevano, come ě pos-e cta un tacchino abbia rapito vostra figlia. I tacchini stanno nella stia. Del rcst0 la figlia era maggiorenne e non e'era nulla da fare. s Ma saltarono fuori le magagne del tacchino, egualmente. Si scopri che era Nato e con prole. Si scopri ancora ehe non era né nobile né rieco, bensl sol-s^t0 un ex cameriere scacciato da piu luoghi per furto. II Curcio trionfava pieno di bile. La moglie non faceva ehe piangere e invocava la sua, .Andô a finire con il solito ricatto; e ü Curcio dovette sborsare molti di quei * «bei baiocchi» cosi faticosamente guadagnati per riavere in casa la figlia /^orata. Questo awenne in dicembre. II giorno di Natale la moglie telefon* \ ^rcio che non ritardasse a rincasare perché c'era il tacchino- soeeiun^nZ „."^nso di equivoci che si trattava di persona molto seria che Aimtt ***** i^ione per Rosetta. Non era, insomma, uH^^T" T ^0 scotso, di questo d si poteva fidare. « Ecco come S Ma « NEOREALISTI » ü Cüfci°- Ma si ripromise m sciarsi abbagliare dalle 2 ^ * t^aaan bene g« occhi E di . ^-o tacchino ^j^^ e van, ^ a ^ ^ «RACCONTI ROMANh MARIO ^^^ä^^UL±Bmi ÜDguistici romaneschi: to/^ «perdeva, «m^H^T <» ^ «bam»; «adesso»; 2 retorirt* ,,Carnf SUma>>; C