LA GIOIA KLA LEGGE Im giota e la lew 395 2f OVJd^rv XQ>~> < Quando sail in autobus infastidi tutti. La cartella stipata di fogli altrui, I'enorme bvolto gli faceva arcuare il braccio sinistro, il fasciacollo di II pa grigia, il parapioggia sul punto di sbocciare tutto I rendeva difficile lesibizione del biglietto di ritornofi! costrctto a poggiare il pacconc sul deschetto del bigliet-taio, provoco una frana di monetine ioipcjnclcrahiji tento di chinarsi per raccattarle, suscito le pfotlTstedr coloro che stavano dietro di lui e cui le sue more incute-vano il panico di aver le falde dei cappotti attanagliate dallo sportello automatico. Riusci ad inserirsi riclla fila di gente aggrappata alle passatoie; era esile di corpora-' ^ tura ma 1'affardellamento suo_gli conferivaja^il^tyr^ - di una suora rigonfia di sette sottane. Mentrc si slittava 'sulla langhiglia attraverso il caos miserabile del traffico, 1'inopportunita della sua^p^oje^propago il malcontento dalla coda alia testa del carrozzone: pesto piedi, gliene pestarono, suscito rimproveri e quando udi pcrfino dietro di se tre sillabe che alludevano a suoi presunti infor-tuni coniugali, l'onore gl'ingiunse di voltare la testae s'illuse di aver posto una minaccia nell'espressione shni-ta degli occhi. . Si percorrevano intanto strade nelle quali tacciatt un rustico barocco nascondevano un retroterra ab ^ che per altro riusciva a saltar fuori ad ogni cantone. sfilo davanti alle luci giallognole di negozi ottuagenar^ Giunto alia sua fermatasuono il campanello, incespico ncl parapioggia, si ritrovo tinalmcnK • ^ ^ sul suo metro quadrato di marciapiede sconnesso, nStatare la presenza del portafoglio di plasti- " Kbero & assaporare la propria lehcita. a 1 ^Jyge ncl nortafoglio erano trentascttc Pv^Tnel portafoglio erano trentasettemiladuc-^^'^ntacinque lire, la "tredicesima" riscossa fgßtoQ* cioc I'assenza di parecchie spine: quella del un'°ra Ji casa, tanto piü insistentc in quanto bloccato ^r°nC |e doveva due trimestri di pigione; quella del djl 5mo csattore delle rate per la giacca di "lapin" ^'^r^oglie («Ti sta molto meglio di un mantello lungo, Ii snelliscc»); quella delle occhiatacce del pesciven-oedel verduraio. Quei quattro biglietti di grosso ta-,1° eliminavano anche il timore per la prossima bolletta Ha luce, gli sguardi affannosi alle scarpette dei bambini 1'osservazione ansiosa del tremolare delle fiammclle del gas liquido; non rappresentavano l'opulenza certo, nodawero, ma promettevano una pausa dell'angoscia, il che e la vera gioia dei poveri; e magari un paio di mi-diaia di lire sarebbe soprawissuto un attimo per consu-marsi poi ncl fulgore del pranzo di Natale. Ma di "tredicesime" ne aveva avute Jroppe perche potesseyattribuire/al\>silarazioneiugace/che esse produ-cevanc/leuforia che adesso lo lievita\ a. rosea. Rosea, si, rose/come l'involucro del peso^soave. che gli indolenzi-™ il braccio sinistro. Es^a-gefmogliava proprio fuori del panettone di sette chili che aveva riportato daH'ufficio. oncheegli andasse pazzo per quel miscuglio quanto mai garentito e quanto mai dubbio di farina, zucchero, n°Vain Po'vere e uva passa. Anzi, in fondo in fondo, volta l |aCeVa" Ma Sette chi,i di roba di lusso in una Casa ^ a' una circoscritta ma vasta abbondanza in una pr°dottoa|?Ua'e ' C1^1 entravano a ctt' e mczzi ut"! 1111 ter2'orroprio. Nove scalini, tie scalini, nove scali-"rt 11 'love abitava il cavaliere Tizio. Puah! Aveva il P*" £ vcro> ma anche una moglie brutta, vec-11,11 CU(!stuniata. Nove scalini, tre scalini, uno sdruc-žle^nove scalini: l'alloggio del dottor Sempronio: * che mni! Un figlio scioperato che ammattiva per ^rette e Vespc, e poi l'anticamera sempre vuota. NIove scalini, tre scalini, nove scalini: l'appartamento lalloggetto di un uomo benvoluto, onesto, onorato, premiato, di un ragioniere fuoriclasse. ' Apr! la porta, penetro nell'ingresso esiguo giá ingom-brodell'odore di cipolla soffritta; su di una cassapanchi-nagrande come un cesto depose il pesantissimo pacco, lacirtclla gravida d'interessi altrui, il fasciacollo ingom-brante. La sua voce squilló: «Maria! vieni presto! Vieni a vedere che bellezza!». La moglie usci dalla cucina, in una vestaglia celeste segnata dalla fuliggine delle pentole, con le piccole mani Jrrossate dalle risciacquature posate sul ventre deforma-todai parti. I bimbi col moccio al naso si stringevano at-torno al monumento roseo, e squittivano senza ardirc 'occarlo. ^ «Bravo! e lo stipendio lo hai portato? Non ho piu una cioli'd* <<^cco'°' cara; ten8° per me soltanto gli spicla di D?^"10 quarantacinclue Ure- Ma guarda che gra-Era * ^■uto St3ta Canna' Maria, e fino a qualche anno fa aveva ciosj Ad musetto ar8uto, illuminato dagli occhi capric-'aSUa voce0 ^ ^Cg con ' bottegai avevano arrochito ^tare i ' Cattiv' ci^' guastato la sua carnagione, lo 5c°fdi spnCeSSí!nte ^ Vn avwn're carico di nebbie e di <.o unnt° ? UlStr^egli occhi. In lei sopravviveva un anlma Santa' cluindi inflessibile e priva di te-^brouiu^b°nta profunda costretta ad esprimersi con Ca'°ma tenac leti' ^ ancne un orgoglio di casta mortifi-e> Perché essa era nipote di un grande cap- I racatnti pellaio di via [ndipendenza o disprezzava le non i ghe origml dd suo Curolamo che poi lulorava tonu. adora un bimbo stupido ma čaro. Lo sguardo di lei scivolö indifferente sul carton adorno. «Molto bene. Domani lo manderemo all'..,, ... lili d»v0- cato Risma, al quale siamo molto obbligati.» Ľawocato, due anni fa, aveva incaricato lui di un complicato lavoro contabile, e, oltre ad averlo pagato li aveva invitati ambedue a pranzo nel proprio apparta-mento astrattista e metallico nel quale il ragioniere aveva sofferto come un cane per via delle scarpe comprate ap-posta. E adesso per questo legale che non aveva bisogno di niente, la sua Maria, il suo Andrea, il suo Saverio, la piecola Giuseppina, lui stesso, dovevano rinunziare alľunico filone di abbondanza scavato in tanti anni! Corse in cucina, prese il coltello e si slanciô a tagliare i fili dorati ehe un'industre operaia milanese aveva bella-mente annodato attorno alľinvolucro; ma una mano ar-rossata gli toccô stancamente la spália: «Girolamo. non fare il bambino. Lo sai ehe dobbiamo disobbligard con Risma». Pariava la Legge^ la Legge emanata dai cappellai inte-merati. «Ma cara, questo ě un premio, un attestato di merita, _una prova di considerazione!» «Lascia staré. Bella gente quei tuoi colleghi per i sen-timenti delicati! Una elemosina, Gin. nientaltro ehe un'elemosina.» Lo chiamava col vecchio nome di an* to, gli sorrideva con gli ocehi nei quali lui solo pote* rintracciare gli antichi incanti. «Domani comprerai un altro panettone piecohno, noi basterä; e quattro di quelle candele rosse a tirabus ehe sono esposte alla Standa; cosi sarä festa grande.» II giorno dopo, infatti, lui acquisto un panettonc. anonimo, non quattro ma due delle stupet'acenti can La Rioia e la U'i&c 399 ezzo di un'agenzia, mando il mastodonte, alľav-1 ^ Risma, il che gli costö altre direcentc> Iire. Natale, del resto, fu costretto a comprare un Dopo dolce che, mimetizzato in fette, dovette portare ai u che lo avevano preso in giro perche non aveva [0loro neppure un briciolo delia predá sontuosa. l'na cortina di nebbia calô poi sulla sorte del panetto-jjpnmigcnia . -y ,. . , Sirecoalľagenzia "lulmine per reclamare. Gli ven nemostrato con disprezzo il registrino delle ricevute sul quale il domestico delľawocato aveva firmato a rove-Dopo l'Epifania pero arrivô un biglietto da visita 'convivisšimi ringraziamenti ed auguri". Ľonore era stato salvato. /., _JJ%. w