GIUSEPPE TOMASI Dl LAMPEDUSA OPERE [ntroduzione e premesse di Gioacchino Lanza Tomasi 7 racconti, Letteratura in&lcse, Lettcratura francese a eura cli Nicoletta Polo Arnoldo Mondadori Editore , Cattopará 20 im lalle steré Dd majori, i Principi fra gh Der G.ove rolgorante, Mute Kcfelirto, Venere lan^uida, che avevano prece-duto lc turbc dei minori, sorreggevano di buon grado J0 itenmM raurro col Gattopardo. Essi sapevano che per wnutre OK c mezza, adesso, avrebbero ripreso Ia signo-ria della villa. SuJJe pareti le bertucce ripresero a far Al disotto di qudl'Olimpo palcrmitano anchc i m,,,- sbcrlcffi ai tto di qu- tali di casa Salina discendevano in fretta giu Lc ragazze raggiustavano le pieghe delle vest., ^toano occhiate azzurrine e parole in gergo di cducandato; da piú di un mese, dal giorno del "moti" del Quattro Aprile, le avevano per prudenza fatte rien- trarc dal convento, e rimpiangevano i dormitori a bal- dacchino e 1'intimitá collettiva del Salvátore. I ragazzini m iccapigliavano di giá per il possesso di una immagine di S. Francesco di Paola; il primogenito, l'erede, il duca Paolo, aveva giá voglia di fumare e, timoroso di farlo in presenza dei genitori, andava palpando attraverso la ta- sca la paglia intrecciata del portasigari; nel volto emacia- tosiaffacciava una malinconia metafisica: la giornata era stata cattiva: "Guiscardo", il sauro irlandese, gli era .sembrato giu di vena, e Fanny non aveva trovato il mo- : ,'° v°8lia?) di fargli pervenire il solito bigliettino j color J Redentore? La prepotenza ansiosa della PrTncipessa (ecc 'ere seccamente il r< mentre gli occhi belli color di mammola. A che fare, allora, si era incarnato iza ansiosa della I sario nella borsa s maniaci soggiu verso il quale il corpo minuscc mZSTmTl^0SaÚ0 nella borsaVapunta diM serv ilt' °CChl- bellÍ e maniaci sogguardavano i 6gb servi e ,1 mant0 tiranno verso il nnoU í min,.scolo si protendeva in H mc 11 corP° uulllw Lui T»llm* Vana ansia di dominio amoroso. »8 Prisma si rifless ui il P ■ • lsia 01 da gigám ľceľ' ^ 81 alzava: ľurto del SU° K chiarS S!tremare ľimpiantito e nei suoi ocfr e> un attimo, ľorgoglio di questa eff»' 21 mera conferma del proprio signoreggiare su uomini e fabbricati. Adesso posava lo smisurato Messale rosso sulla seggiola che gli era stata dinanzi durante la recita del Rosario, riponeva il fazzoletto sul quale aveva posato il ginocchio, e un po' di malumore intorbido il suo sguardo quando rivide la macchiolina di caffe che fin dal mattino aveva ardito interrompereTa vasta bianchez-za del panciotto. Non che fosse grasso: era soltanto immcnso e fortissimo; la sua testa sfiorava (nelle case abitate dai comuni mortali) il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita po-tevano accartocciare come carta velina le monete da un ducato; e fra villa Salina e la bottega di un orefice era un frequente andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. Quelle dita, d'altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel mancggiare e carezzare e di cio si ricordava a proprio danno Maria Stella, la moglie; e le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, cannocchiali, e "cercatori di comete" che lassu, in cima alia villa, affollavano il suo osservatorio privato si mantenevano intatti sotto lo sHoramento leg-gero. I raggi del sole calante di quel pomeriggio di Mag-gio accendevano il colorito roseo, il pelame color di mie-le del Principe; denunziavano essi Forigine tedesca di sua madre, di quella principessa Carolina la cui alterigia aveva congelato, trent'anni prima, la corte sciattona delle Due Sicilie. Ma nel sangue di lui fermentavano altre essenze germaniche ben piu incomode per quell aristo-cratico siciliano nell'anno 1860, di quanto potessero essere attraenti la pelle bianchissima ed i capelli biondi nelFambiente di olivastri e di corvini: un temperamento autoritario, una certa rigidita morale, una propensione alle idee astratte che neW habitat molliccio della societa palermitana si erano mutati in prepotenza capncciosa, perpetui scrupoli morali e disprezzo per i suoi parenti e 28 7 UGattopardo , , non gli rimetti la testa a I-alconeri... perch^. ^ g. occupa che ^ posto?» «'vlaesta, m» »*n , azjenza. «Salina, Sali- donne c di carte.» H feg« F fl tutore. Digli ca si M tu pazzii. Responsable ,ll;irdasse o«llaSita»fc te mediocre per R.percorrendo t nera ^ ^ andare a firmare siU Kg■j ^ nnvadeva. La ^tá^^uci suoi amici che volcva-t0 a ghigno Pol«^ . ^ amidzia b minaa.i;i no nterpretare la rammani" „ , poss,n,a regale. Lui non poteva. E mentre(^aUeg-S Jcttegolezzi con ľimpeccabile ciambellano anTTava hsSfcaáoZ ch. feste destinato a succedere a questa monarchia che aveva i segni delia morte sul yolto. II Pie-montese. il cosidetto Galantuomo che faceva tanto chiasso nella sua piecola capitale fuor di mano? Non sarebbe stato lo stesso? Dialetio torinese invece che napo-letano; e basta- Si era giunti al registro. Firmava: Fabrizio Corbera, Principe di SaJina. Oppure Ja Repubblica di don Peppino Mazzini." "Grazie. Diventerei il signor Corbera." E Ja Junga tappa del ritorno non lo calmö. Non poté consoJarJo neppure l'appuntamento giä preso con Cora Danôlo. Stando cosi le cose, che restava da fare? Aggrapparsi a queJ che c e senza far salti nel buio? Allora oecorreva-no i colpi secchi delle scariche, cosi come erano rintro nati poco tempo fa in una squallida piazza di Palermo: ma Je scariche anch'esse a cosa servivano? «Non si con-cbiudc me?te con 1 W pum!" É vero, Bendicö?» Ľ»ng, ding, ding!" faceva invece la campana che an-nunziava la cena. Bendicö correva con l'acquolinj in quäle. P^ava Sahna risalendolascala. Parte prima 29 La cena a villa Salina era servita con il fasto sbrecciato che allora era lo stile del Regno delle Due Sicílie II nu mero dei commensali (quattordici erano fra padroni di casa, hgli, governanti c precettori) bastava da solo a con-fenre imponenza alia tavola. Ricoperta da una rattoppa-ta tovaglja finissima, essa splendeva sotto la luce di una potente "carsella" precariamente appesa sotto la "nin-fa", sotto il lampadario di Murano. Dalle finestre entrap ) va ancora luce ma le figure bianche sul fondo scuro delle sovrapporte, simulanti dei bassoriJievi, si perdevano giá nell'ombra. Massiccia Pargenteria e splendidi i bic-chieri recanti sul medaglione liscio fra i bugnati di Boe-mia le cifře F.D. (Ferdinandus dedit) in ricordo di una munificenza regale, ma i piatti, ciascuno segnato da una sigla illustre, non erano che dei superstiti delle ^tragi^ compiute dagli sguatteri e provenivano da servizi dispa-rati. Quelli di formato piú grande, Capodimonte vaghis-simi con la larga bordura verde-mandorla segnata da an-corette dorate, erano riservati al Principe cui piaceva avere intorno a sé ogni cosa in scala, eccetto la moglie. Quando entró in sala da pranzo tutti erano giá riuniti, la Principessa soltanto seduta, gli altri in piedi dietro alle loro sedie. Davanti al suo posto, fiancheggiati da una co-lonna di piatti, si slargavano i fianchi argentei dell'enor-me zuppiera col coperchio sormontato dal Gattopardo danzante. Il Principe scodellava lui stesso la minestra, fatica grata simbolo delle mansioni altrici fe\ paterfami-Mas. Quella sera pero, come non era awenuto da tempo, si udi minaccioso il tinnire del mescolo contro la parete della zuppiera: segno di coliera grande ancor contenuta, uno dei rumori piú spaventevoli che esistessero; come diceva ancora quarant'anni dopo un figlio soprawissu-to: il Principe si era accorto che il sedicenne Francesco Paolo non era al proprio posto. Il ragazzo entro subito («scusatemi, papá») e sedette. Non subi rimprovero ma Padre Pirrone che aveva piú o meno le tunzioni di cane 30 Ii Gattopardo s j, mandria. chiaö il capo e si raccom ndo a D,o. La inoneraesplosamailventodelsuo passaggl0 2* raggelato la tavola e la cena era rovinata lo stesso. Mr^angiavamsile^o^iocch, azzurn del Principe, un po' ristretti fra le palpebrc sem.chiuse, f, savano i figli uno per uno e Ii ammutolivano di timore. Invece! "Bella famiglia" pensava. Le femminc gras soccie, fiorenti di salute, con le loro fossette maliziöse e. fra la fronte e il naso, quel tale eipiglio, quel marchio atavico dei Salina. I maschi sottili ma forti maneggiava no lc posate con sorvegliata violenza. Uno di essi manca va da due anni, quel Giovanni, il secondogenito, il piü amato, il piü scontroso. Un bei giorno era scomparso da casa c di lui non si erano avute notizie per due mesi. Fin-che non giunse una rispettosa e fredda lettera da Londra nclla quale si chiedeva scusa per le ansie causate, si rassi-curava sulla propria salute e si affermava, stranamente. Ji prefenre la modesta vita di commesso in una ditta di carboni anziehe l'esistenza "troppo curata" (leggi: inca-tenata) fra gli agi palermitani. II ricordo, l'ansietä per il giovinettoerrante nella nebbia fumosa di quella et... Eeyc^pizacarono malvagiamente il cuore del Principe chesoffnmolto.S'incupiancoradipiu J jneup, tanto che Ja Prineipessa seduta accanto a lui ese a mano m antile e carezzö la potente zampaccia en6?n?Va S 3 tOVaglk Gesto ^prowido che sca-Ztö en"'. 'SenSa2i0ni: irritaz'°ne Per esser com-c rLva • 1 nSVeg,iata ma "on piüdiretta verso Wanciale Alzöst C°n la testa affondata " W servitore «vZT™? VOCe: «Domenico» dissc a * «** scendo a M " ^ Am°ni™ di ' * da"do gli occhi delkTv SUbit° d°P° Cena>>- GUiisri Pe™ di quanto JJ ?he che si erano facti vitrei s" bile 11 rifiro di „ , 8 .ordui«o, ma poiche era imp****' Una dlsposizione giä data, insistett^ Part, e prima 31 unendo anzi la beffa alia crudelta: «Padre Pirrone ven-ga con me saremo di ritorno alle undid; potra passare due ore a Casa Professa con i suoi amici». Andare a Palermo la sera, ed in quei tempi di disordi-01, appanva mamfestamente senza scopo, se si eccet-tuasse quello di un'awentura galante di basso rango: il prendere poi come compagno l'ccclesiastico di casa era offensiva prepotenza. Aimeno padre Pirrone lo senti co-si, e se ne offese; ma, naturalmente, cedette. L'ultima nespola era stata appena ingoiata che gia si udiva il rotolare della vettura sotto 1'androne; mentre in saJa un cameriere porgeva la tuba a don Fabrizio e il tri-corno al Gesuita, la Principessa ormai con le lagrime agli occhi, fece un ultimo tentativo, quanto mai vano: «Ma, Fabrizio, di questi tempi... con le strade piene di soldati, piene di malandrini... puo succedere un guaio». Lui ri-dacchio. «Sciocchezze, Stella, sciocchezze; cosa vuoi che succeda; mi conoscono tutti: uomini alti una canna ce ne sono pochi a Palermo. Addio.» E bacid frertolosamente la fronte ancor liscia che era al livello del suo mento. Pero, sia che l'odore della pelle della Principessa avesse richiamato teneri ricordi, sia che dietro di lui iJ passo pe-nitenziale di padre Pirrone avesse destato ammonimenti pii, quando giunse dinanzi aJ coupe si trovo di nuovo sul • punto di disdire la gita. In quel momento, mentre apriva ,. la bocca per dire di rientrare in scuderia, un grido subita-neo «Fabrizio, Fabrizio mio!» giunse dalla finestra di so-Pra, seguito da strida acutissime. La Principessa aveva una delle sue crisi isteriche. «Ayanri!» disse al cocchiere ^e se ne stava a cassetta con Ta" frusta in diagonale sul ventre. «Avanti, andiamo a Palermo a lasc.are il Reveren-do a CasTP?o7e7sa.» E sbatte lo sportello prima che U cameriere potesse chiuderlo. Non era ancora notte chiusa e incassata fra le aire mu-ra la strada si dilungava bianchissima. Appena uscin . 11 GattoparJo 32 ^ , cinKtra la villa semidim-^^l^eAZcreS, sue ntpote e puplll0. Un padre a soStanza cd era po, delPrinapcavcvadsspat^tut d livree; ed alia morte della madreÚ Re aveva afhda-o la tutela dcllorfano allora quattord.cenne alio 210 Salina 11 ragazzo, prima quasi ignoto. era divenuto canss.-mo all'irritabile Principe che scorgeva in lui un allcgna riottosa, un temperamento řrivolo a trattt contradetto da miprowise crisi di serietá. Senza conťessarlo a sé stesso, avrebbe preferito aver lui come primogenito anzichc quel buoti babbeo di Paolo. Adesso a vent'anni Tancre-di si dava bel tempo con i quattrini che il tutore non gli lesinava rimettendoci anche di tasca propria. "Quel ra-gazzaccio chissá cosa sta combinando per ora" pensava il Principe mentre si rasentava villa Falconeri cui l'enor-me bougainvillea che raceva straripare oltre il cancello le proprie cascate di seta episcopale conferiva nell'oscurita un aspetto abusivo di fasto. "(Jiissa cosa sta combinando." Perché Re Ferdinan-do, quando aveva parlato delle cattive frequentazioni del giovanotto, aveva fatto male a dirlo ma aveva avuto, nei f'atti, ragione. Preso in una rete di amici giocatori, di amiche, come si diceva, "scondottate" che la sua esile at-trattiva dominava, Tancredi era giunto al punto di aver simpatie per le "sette", relazioni col Comitato Nazionale segreto; orse prendeva anche dei quattrini da li, come *■ prendeya d'altronde, dalla Cassetta Reale. E Cera oluto del bello e del buono, e'erano volute visite a Cz- SteÍT""50 edLa Maniscalco tropp°cortese per e Non e Tf,0 U" brutt° ^aio dopo il Quattro Apr1' VtoSZŽŽ tUU0 C1Ó; ďaltra Pa»e Tancredi non — quest, temp, sconclusionat, durante i q^1' Parte p nma 33 un giovanotto di buona famiglia non era libero d, fare una partita a "faraóne" senza inciampare in amicizie compromettenti. Brutti tempi. «Brutti tempi. Eccellenza.» La voce di padre Pirrone risuono come un'eco dei suoi pensieri. Compresso in un cantuccio del coupé.jpemuto dalla massa del Principe, piegato dalla prepotenza del Principe, il Gesuita soffriva hel corpo e nella coscienza e, uomo non mediocre qual'era, trasferiva subito le proprie pene effimere nel mondo durevole della storia. «Guardi, Eccellenza» e additava i monti scoscesi della Conca d'Oro ancor chiari in quellultimo crepuscolo. Ai loro fianchi e sulle cime ardevano diecine di fuochi, i faló che le "squadre" ribelli accendevano ogni notte, silenziosa minaccia alia cktá regia e conventuale. Sembravano quelle luci che si vedono ardere nelle camere degli ammalati gravi durante le estreme nottate. «Vedo, Padre, vedo» e pensava che forse Tancredi era attorno a uno di quei fuochi malvagi ad attizzare con le mani aristocratiche la brace che ardeva appunto per svalutare le mani di quella sorta. "Vcramente son un bel tutore, col pupillo che fa qualsiasi sciocchezza gli passi per la testa." La strada adesso era in leggera discesa e si vedeva Palermo vicina completamente al buio. Le sue case basse e serrate erano oppresse dalla smisurata mole dei conven-ti^di questi ve ne erano diecine, rutti immani, spesso as-soclati in gruppi di due o di tre, conventi di uomini e di donne, conventi ricchi e conventi poveri, conventi nobili e conventi plebei, conventi di Gesuiti, di Benedettini, di Francescani, di Cappuccini, di Carmelitani, di Liguo-rini, di Agostiniani... Smunte a.pole dalle curve incerte simili a seni svuotati di latte si alzavano ancora piu in al , to, ma erano essi, i conventi, a conferirealla citta la cu-pezza sua e il suo carattere, il suo decoro e msieme il senso di morte che neppure la frenetica luce sicihana