^4 Elsa Morante Diario i938 25 Stanotte ho sognato la sua stanchezza. Io, o mia sorella, seduta a un tavolino facevo il compito, e c'era vicino mia madre, col viso stanco di certe volte, la came pesta e bian-chissima, violacea sulle guance, gli occhi azzurri smorti e un po' febbrili, i capelli grigi, corti in disordine, le labbra palli-de. Forse sono impressioni dovute alla scarsa salute di mia madre che sempre mi ha dato tanto pensiero, e me ne da ora. Di queste notti, tre punti sono rimasti nella mia mente. I visi di mia madre, il mio corpo nudo,,esile, gentile e can-dido, con quell'adolescenza sua, davanti alia vetrata, e quel-la casa allungata che splende un po' vitrea e ferrigna in ci-ma alla vetta, di fronte alla vetrata, ma lontanissimo oltre la campagna. Una specie di parallelismo fra il mio chiaro corpo e quella casa. Chi prepara questi disegni? Chi forma queste figure che a volte non hanno alcun rapporto con la veglia precedente, ma si collegano forse ad impressioni remote, spesso per sempre dimenticate? Chi conserva le immagini, e le pietruz-ze che comporranno il mosaico? Dove, in noi, o fuori, vive quella sterminata serie di luoghi e di visi? Ed a che ě dovuta la scelta, perché a volte impressioni fugaci della giornata, che ci parevano senza importanza, si ingrandiscono e for-mano il sogno, ed altre fortissime no? Forse proprio perche queste avevano giä esaurito la nostra sensibilita? Ma no, perché a volte anche con queste avviene il contrario. Colori, luci, sensualitä e angoscia nei miei piú recenti so- gni. Roma-iFebbraio 1938 Sebbene in questi giorni io Piuttosto largo, limine da pian-te basse e coperto di ghiaia rninuta. C'e una svolta. Io tuggo perche mi insegue un cane. E un cane dalla strana espressio-ne maschia, umana, anzi di piü fanciullesca, pleno di lan-ciullesche violenze e commozioni. Oramai mi ha raggiunto. Non mi resta che subire. Qualcuno, che, perö, c'e e insieme non c'e, mi esorta a fingere di dormire, di essere inanimata. Cosi faccio e mi raccolgo, piegata al margine del sentiero, e infatti il cane mi tocca con le labbra ed io, ad occhi chiusi, trattenendo il respiro, spaurita ricevo la febbriie e lenta ca-rezza delle sue labbra. Ma a un tratto, non resistendo alla paura, balzo. II cane ha un volto insieme rabbioso e deluso un grido capriccioso e irato. Io fuggo ma so che mi raggiun-gera. Lome finirä? ilnec« jri™°1m par,en2il >» VcsKr°- Ma »* non avere »A» AmlS Vlagg!odi ritorno-C = aiKh= ™'amica (non ™ »o„ M, ZTX» Col"^T' t' "Ol (che e, nglare nel va8one ristorante. - Elsa Morante Diario 1938 27 Siamo in piedi in un passaggio. Io entro in uno scompar-timento. Strano, in una classe che dovrebb'essere la prima sedili duri, come in terza. E qui vedo una famiglia, iorse Scolari di mia madre, famiglia del popolo, di contadini. La madre ha un costume contadinesco. Le bambine mi volgo-no visi aggraziati, minuti, con graziosissimi occhietti roton-di, fra di uccello e di bambola, di un colore viola-blu, nei visi rosa. Tutte si assomigliano. Cari, adorabili occhietti. Non dimenticherö mai questa famiglia dai begli occhietti, dalle graziöse testine lisciate. (Ma questo veniva prima). Nel sogno A. molto buono, af-fettuoso, umano. Prima di dormire mi aveva detto che ho il fiato cattivo (a furia di bere liquoracci e vinacci). Ma l'aveva detto piuttosto crudamente, torcendo il viso da me, copren-dosi le narici e che per questo non poteva amarmi. Solo un momento, un po' pentito e tenero, sorridendo mi aveva ac-carezzato una guancia. Straordinario dolore, senso d'incubo. Nel sonno, quella breve carezza-sorriso diventa una grande tenerezza sua, amore. Quel conforto di un attimo diventa un vero e profondo conforto. A. ě in piedi, col cappello in testa. Non ricordo piu le sue parole, ma sono simili a queste: Non ě vero quello che ti ho detto. Non pensarci. E poi io amo tut-to in te, qualunque cosa tu avessi e tu fossi. Cara, cara mia. - Ě possibüe che egli tornando a casa pensasse questo (ě fat-to cosi) e che sia venuto a dirmelo in sogno. Strano fanciullo-cane. Amore di A., tenerezza, conforto. Famiglia dai begli occhietti. Roma 2 Febbraio 1938 Stanotte, vera fantasmagoria di sogni. In una sola notte ho viaggiato per molti Iuoghi, ho cambiato case e paesi, ho vissuto miracoli e guerre. Prima di tutto, ero con A. dinanzi a un grande mare (for-- da queste sole due parole, pronunciate 1'altra sera a prošito di una mia avventura, e che oiacquero a C. ě nato il se da queste sole due parole, pronunciate 1'altra sera a pr posito di una mia avventura, e che piacquero a C. e nato sogno). Era un mare meraviglioso, e U suo colore deriva\ certo dalla lettura fatta ieri di Rimbaud, in cui unapianurad'erba, a volte si vedeva solo la pianura ma se un momento si distoglievano gli occhi, al riguardare dl nuo-vo appariva la meravigliosa acqua. Si leva a un tratto una tempesta; questi flutti perlacei si alzano, io sono atterrita perche lä in fondo si dibattono dei velieri, e dentro quei ve-lieri ci sono i miei, c'e mia madre. I velieri scompaiono, for- se inghiottiti; ma ecco mia madre ci viene incontro cammi-nando sull'acqua: ha un abito nero, con maniche larghe e sventolanti indietro, e piü aha che non sia davvero. E poi, io sono in una graziosa villa con giardino. II mio fratello maggiore mi dice di nascondermi, per fare uno scherzo a mia madre e all'altro fratello. Ci nascondiamo ma 1 accorglamo presto che il fratello ci vede; solo, per favori-ZnXZglOCO'fmge * n°n vedercL Cammina nel fondo Ä PaZn:CtSUT C°me^ sotto un cap- ci vede Ps tlta SU r " ~ mj dlCe pkno 1>altro ~ *PPena - volta per fingere di non averci visto». «per la Elsa Morante mamma sola, - dico io, - poverina, non voglio fare questo scherzo ». Infatti capisco che ella mi cerca affannosamente e appena esco dal nascondiglio (ě piú giovane, quasi un'al-tra, in vestaglia di tela chiara) mi grida: - Piccola mia! -Sono felice e insieme un po' vergognosa di questo appella-tivo insolito. Certo qualcuno neH'ombra (io sono oramai una grande) ne sorride. Ma ora sono in uno strano luogo. Ě una stanza altissima fra dirupi e precipizi. Siamo in molti, fra gli altri mia madre e mio fratello maggiore. Ma il personaggio principále ě una specie di negromante, d'aspetto modesto, lungo e secco, in abito borghese. Tutto ě possibile per lui, semplicemente perché egli lo dice e lo fa. Presto molti dei presenti fanno come lui: si appendono alk ali degli aeroplani che passano, un uomo piccolo introduce un pallone in un uomo grasso che si gonfia e gli fa da aerostato. Mio fratello minore gon-fia un piccolo palloncino finché la corteccia diventa sottilis-sima: «Non si crepera?» dico. «Quanto piú ě sottile tanto piú s'innalza» risponde, e mi pare che lo attribuisca al prin-cipio d'Archimede. Vola via. Ma poi lo vedo vicino alia fi-nestra, e gli manca il coraggio e la prontezza di afferrarsi al-l'ala di un aeroplano che passa. «E questione di coraggio, - penso, - tutto ě possibile». Ora il negromante sciyola giú lungo un picco dirotto e pauroso come lungo un piano inclinato. Tremo un po' per i miei, per mia madre, che, chi qua chi la, tutti sono tranquillamente sdraiati lungo orrendi dirupi; ma no, nessuno puó cadere, perché tutti sanno che non cadono. Comunque, ho insieme la coscienza che tutto questo ě un trucco, un gioco di prestigio. Ma io? Io ora ci credo, e volo. Ě un volo basso, fra cespugli, sono in abito rosa, sembro una piccola cartolina romantica, un santino. Diario I938 29 S°anr -sä' Ětanto gř Iecco una 8«'os£™S volare, se sapesse che e so-v« di«. le »ebbe cos tac che nconosco (,1 toquestionedt della mia infanZ1a) al dl quartiereáiM- V. come™p soldáti. Infatti c e la cTche ci par ttSima^assurda, con veri spart dt can-none veri morti». Ritorno verso una spiaggia, e notte_ E un porto di barche attraccate. Mia madre non c e pni. Do-v'ě? Che, stanca di aspettare, se ne sia andata suli acqua.' Ma no, eccola la nell'insenatura, io per prima la vedo. Piccola, grossa, triste, vestita di nero. Andiamo insieme con altri in un bar di stazione, prima della partenza. Ma ad un tratto, io mi trovo in quel luogo ignoto e noto, una piazza prossima a qualche rovina famosa (forse il Colos-seo) a cui secondo la memoria del sogno (ma Tho veramente sognato altre volte? Credo di sí) sbuco sempře in modo inatteso daluoghi che credevo situati lontanissimo. Strana Piazza. Grandi costruzioni con mura enormi, come quelle esseln 8,el°' COn torri' senza finestre. Dietro una di s ztzluna sřmante come nessuna iuna ™ % EU* mi dice: < con cappuccio). c«tedrale...» ^ Sa? E come ^ akre volte. La, dietro la Bolfo festoso, moto-bagno ma]grado sia inverno (qui Elsa Morante ě giorno, perö, un giorno stranamente artificiale e festivo). Vedo piccole camicie bagnate a terra. Tutti raccolti in pic-colissimo spazio, barchette e capanni, allegrissimo. Ma c'é la guerra. E quel soldato dell'aviazione che sta in minuscola barchetta con una ragazza, ě ľultima volta che si diverte, deve subito partire per la guerra. Mi vedo lungo straducole assolate, intonacate, come quelle delle cittä arabe, sbuco su vie desolate percorse da lunghi binari, con erbe scarse e secche, su squallido fiume. Brevi e malcostruiti ponti di cemento e di ferro. Poi vado in una rosticceria-macelleria, per comperare la cena. Sono poverissima, e con me ho solo due lire. Chiedo uno zampetto. Niente zampetti. Allora del cervello. Ma se costa piu di due lire? Allora niente, grazie. (Andrö a comperare due uova). Vado dalla chiromante. E una nobildonna alta, grossa e fastosa. Invece di leggermi la mano, comincia con l'offrirmi il te. Compaiono dei graziosi petits-fours. «Assaggi - mi dice - questo pasticcio fiorito» E un pasticcetto di sfoglia, leggermente oliato, con ricami sopra. Viene la cameriera, una ragazzotta in bianco e nero, e sul tavolinetto in disor-dine pone una sporta aperta, con piccoli frutti, simili a ne-spole rosa-arancione, rotondissimi, freschi e lisci. « Perché - la rimprovera la padrona - non hai cambiato quei denári? » (sono certo le mUle lire che le ho dato io) «Occorrono sempre denari, stupida» - Qui mi sveglio - (La chiromante aveva modi e ricchezze che le invidiavo, e ora capisco da chi imita ľintonazione I.) Ritorno di mia madre in questi sogni. Reminiscenza nel-l'attraversare la strada ferroviaria, le piccole vie arabe. strano che ora non p&so ricordarmi se le ho veramente so- Diario 1938 3' gnate akre volte. O forse ci sono passata nella vita. Nella memoria, vita e sogni a volte si confondono? Che vorrä dire, in sogno, volare? Passati i giorni di sensualitä disperata. Forse perché ho sospeso l'alcool. Ma ho la bocca sempre amara. Forse sono ammalata? La storia dei miracoli ě certo perché ieri avevo Jetto il Vangelo. Come si ě banalizzata e meccanicizzata nel mio sogno l'ingenuitä divina del Vangelo. La chiromante ě certo la principessa Sh. di cui mi parlö I. Dimenticavo che a un certo punto dei miei sogni, V. parlava di fiati appestati, e io ero sulle spine, causa la presenza di A. Strane cittä sognate. E quasi perfetto ricordare oggi un tale labirinto di sogni. E uno strano dono di Dio il poter ricordare nella veglia il mondo diverso del sogno Roma, 5 Febbraio 1938 -S: Ssto1 si,pore di A nei,a ho«' Roma - 14 Febbraio 1938 Sogni di umiliazione, di umiliazione. In una di queste notti, sognai il Monte di pieta (fra poco, proprio stamani, dovró impegnare di nuovo la mia macchi-°ada scrivere). Grandi stanze col pavimento a krghe losan- Elsa Morante i, impolverato, opaco. Nel íondo di uno stanzone, trc o quattro sportelli. Ma nel sogno, io ritiro la mia macchina. La signorina dice pero che essa ě al nome di G. M. (questi ě associato al ricordo di molti giorni di miseria). Io lo nomi-no, ma temo di comprometterlo. So che in cerca del Monte ho girato con la mia macchina per Via XX Settembre. Can-cellate, chiese, ai lati. Entro in una casa ingombra, con sofa coperti di finti damaschi, una donna che cuce alla macchina da cucire. Le grido qualcosa. Ridiscendo la stretta scala. Sogno sempře che ho ricominciato a dare le mie lezioni interrotte, la rovina ě rimediata. Ieri, sognai Odradek: (novella di Kafka). Ero in una stanza con basse scansie di legno (collegata con la mia casa dell'infanzia, col sogno del pesce). Liana F. viene, le danno un posto in una mansardě, e cioě su un piano della scansia (ella viene a Parigi). Ma Liana F. ě Odradek, un essere piccolo come un gomitolo, e, a differenza di lui, ě di came squamosa, umiliata, senza forma. Mi dá la sensazione dolorosa che puó dare un tumore, una crosta, anche perché mio fratello la butta con violenza per terra. « Ah!» grido gemen-do, e sempře temo che l'abbia uccisa, ma vedo che essa si trascina ancora, viva. (Collegamento triplice: il giorno prima avevo veduto che Minotaure ha pubblicato Odradek con piccole figure di un Odradek simile a uomo o a inset-to - Giorni fa lessi una novella su Parigi di Liana F. - Mio fratello conosce Liana F.) . Stanotte, di nuovo il sogno di mia sorella quindicenne, e ancora le scale del mio palazzo. Ho ospitato mia sorella per una notte, forse a malincuore? Al mattino guardo la parete vicino al suo letto: - Che sono - chiedo - quel gross. chiodP - In realtá non si vede niente, ma insieme 10 so cn Diario 1938 33 « Wtn mia sorella si offende, si umilia. In realtä CÍ TjŮlTéZnm* di una timidezza ritrosa, sgar-C Ä^mentoso e un po' rabbioso pudore della p opria carne ed esistenza che, forse, viene ai figli daUa pre-senza e dalla consuetudine di mia madre Mia sorella dun-que se ne va. Ě, mi pare, discinta, scende le scale adagio, con lungo lamento, gli occhi pieni di avvilimento e di accu-sa, uno strano sorriso tragico e immobile sulle labbra, e nel-l'insieme un incedere di prima donna. «Che ragazza teatra-le!»penso. Infatti, sebbene sul primo pianerottolo, la vedo mentre scende la scala, e la gente bisbiglia sulle porte. II suo lamento ě fortissimo, quasi un grido. Scende ora a precipi-zio, senza guardare attorno, allucinata. «Non c'e da vergo-gnarsi, - penso - ě mia sorella ma non abita con me. Mai piu la riceverö». E insieme penso: - Dovrei richiamarla. Perché non lo faccio? Ě quasi arrivata al portone -. Intra-vedo la strada e allora chiamo: - Maria! Maria! - Ella subito voltatasi, risale, con gli occhi lucidi e con un'aria sem-Hso RIII7',tra8lcam^nte rassegnata, e quel continuo sor-™ offell1""!-'Sen2a fcrmarsi- "on volevo davve-Solo osstva'o" o "* ,COn,mia,madre- " Non accuserb lei. di-'«i;;re'quei grossi chi°- Ma Alcu ia ragione. ^^^d Trebbe, lvia sopratutto umilioVi™ ""v.clcuoc «"0 simboli sessuali. co^a dunque ° Umdla210ne> colpe vaghe, pudore ferito. Che Elsa Morante Roma-i7Febbraioi9}8 angosca, ognitanto la ^r^&^SZV o» una cos bella. N,dla vegHa stessa> vedo dcn^^e una hgura dl contadina, con gonna rosa, camicia viola scialle bianco. Arrivo al mattino, sento i rumori delle auto-mobih, le campane. Ho la sensazione di svegliarmi in una citta straniera, dove nessuno ti conosce e i suoni quasi sof focati dalla pioggia sembrano lontani, accrescono lo smar-rimento e la solitudine. In realtá, non mi ě straniera questa cittá dove sono nata? Chi c'ě per me? Nessuno pensa vera-mente a me, con nessuno posso confidarmi una sola cosa chiedono, di essere divertente, e 1'anno scorso quegli orrori di G. M. - A. mi ama solo quando fuggo ma io non posso farlo non ho denari. Lui ě celebre e ricco fra pochi giorni va a Parigi. Inoltre rimane sempře chiuso cupo. Lui andrá a Parigi per il suo trionfo attuale e io? Una solitudine spaven-tosa, precipito. Bašta. Mi sono addormentata per due ore. Mi trovavo in una specie di cottage pieno di gente. II padre di qualcuno ě morto in questo momento, bisogna aspettare, nerché eiá faranno il funerale, aspettiamo la cassa, ma A. non vuole, ě stanco. Presso il basso cancello di legno wsvto che andrá via, e allora lo seguo. M. poi to "e la grande chiesa di chiara pietra gngia, lussuosamen epaa a di rosso e di bianco. Mi inginocchio saun •ngmocchtt "io copírto di broccato rosso. In J"^^ dice la messa. La Chiesa e immensa, altissima e pien ,8 35 Diano 193» t dSa '^lauStr! ^a^Dalle molte porte entrano perso-ne *te al rito, osservo 1 ^ un gravi. Specie una suora.mi co p , bernacoJo do- ^5ÍSffA- Poi vedo arrivare riÄS) indietro sulla těsta, pallidisstmo come ŽsoUto chiuso in sé. Devo fingere di non badargh troppo, -rché egli poi mi cerchi, mi insegua. Disperata fuga, dispe-íato giocare a nascondersi. Perché dobbiamo essere cosi? Non potrö sopportare che vada a Parigi. Che fare? Non ho un soldo. Anch'io vorrei partire. Ma come? La mia bellezza che ancora sembra adolescente come af-ferrare tutto in tempo? Mi fa paura la vecchiaia la mořte. Roma 18 Febbraio 1938 Valledellapkcola prostituta. erbacce0 erXŠ" M m°ko amPÍa' Íncolta- co" ^arse «>. alcune SandSn ^ TT™ dÍ 8iard^tto pubbli- te^pi che eS a Cf ' deIusa> che aveva negli ultimi gazzetta, Un Po' vizza bruttin 3nm' quasi rachitica, la faccia ě SCUro> -sai ben^a 'i ^."TUi le^» di un biondo n' COn 1 odore ancora del parrucchie- Elsa Morante re. «Guarda lä, - mi dicc I. - quella spende venti lire al giorno di parrucchiere. Ne guadagna 38! - Nella sua voce c'e un leggero sprezzo, ma anche una certa invidia. - Cosi piccola, - aggiunge, - e vestita in un modo cosi ricercato». Quella ha infatti sulle spalle due volpi azzurre e avvicinatasi a noi con aria grave e compresa ci fa vedere che esse muo-vono addirittura gli occhi e, a scuoterne appena le teste, anche gli orecchi quasi invisibili. La ragazza ha un vestito di seta chiaro, con una specie di mantelluccia-manica della stessa seta. Ma ora vedo che questa ragazza ě chiusa dentro una farmácia portatile, una specie di gabbia di vetro con ri-piani pieni di scatolette e di bottigliette. («Per le malattie veneree» penso «Dio mio, dover addirittura diventare una farmácia ambulante») - Guadagno 58 lire al giorno - essa ci spiega con aria saccente - e queste pillole sono per que-sto, e queste bottigliette per questo... - Ci spiega dottoral-mente l'uso di certi organi interni, di certi farmachi. «E de-vi staré sempre qui dentro?» le chiedo. «Oh, no! - rispon-de sprezzante, e subito apre una porta di vetro ed esce -C'e un servo che me la porta». («Anche un servo si paga co-stei!» penso). La ragazza passeggia, con la sua piccola faccia rugosa in su, e quella prosopopea delle donne che hanno ve-stiti, davanti alle altre che non ne hanno, anche se migbori di loro. II giardinetto centrale ě pieno di gente miserabile, che passa sui sedili il pomeriggio domenicale. La ragazzetta, con una nuova aria avvilita, le braccia abbandonate, le pal-pebre appesantite, si siede sul bordo di un sedile, giä occu-pato da uomini malvestiti che neppure la guardano e di cui essa pare non accorgersi. «Ecco - penso - per lei sara un piacere starsene qui sola in riposo. Cosi passa il suo P0™e riggio». Intanto vedo che, in piedi presso un altro sedi e, Diario 1938 37 , T „ Aue soldáti in permesso domenicale, robusti «£°>i *uanti di gj biar • *?1 ,ntc ei soldáti mi ridono festosi, confidenzialmente Ouest'a I ! penso - si riduce addirittura cot soldáti! - e mi allontano. - Per quanto uno faccia - penso, - lascia subito capire di appartenere a un altra classe sociale -. 1 01 domando a I. sola, se quella ragazzetta ha degli amici, o qaalchesignora. «No, - mi risponde, - ma ě andata in una casa...» Roma - 19 Febbraio 1938 Non ricordo altro, nei sogni di stanotte, che una casa lunghissima e stretta, giallastra, e Giacomino D. che si spenzola verso di noi dall'ukimo piano, con aria triste. Noi con un'automobile, presso un cancello. Piu tardi, vedo A anrZf & Via Veneto. In qualche parte, c'e anche Renata D. Progetti di gita. Alb •erto, caro caro Alberto caro mio Roma 21 Febbraio 1938 ^'as^t"ep^t^°»f"si dimenticati sogni, ero in un paese a ľ5 TCaSament0 8ÍaUaStro e bassoPposľô tUttl u^«i su ufi uľoľr1 n0tÍ eran° 1 miei ™^nü, Un orol°8^io non mi poteva soffriré 38 Elsa Motáme a causa del mio racconto «L'orologiaio», che dawero ho seritto. Di un altro racconto tutti parlavano, che esisteva solo nel sogno, e di cui protagonista era una graziosa bíon-dina, una «popola», che gia conosco, con poche differenze, da altri sogni. Una ragazza vivace, spigliata, che nel racconto viveva con gran verosimiglianza. La vedo dinanzi ad uno speechio. Roma 22 Febbraio 1938 Inutili e torpide notti. Sogni sforzati, simili a un treno vecehio e malridotto su per una salita, che procede a scosse, si affatica, ogni tanto si ferma. Quasi tutti dimenticati al ri-sveglio. Ne rimangono frammenti incerti. Mio ŕratello maggiore che mostra una bizzarra bambola semiviva, con piecole rughe rossastre sulla fronte infiamma-ta, piedi nudi dalle lunghe dita che si attorcigliano su se Stesse. (Impressioni dovute certo alla vista delia bambina appena nata di G. C. mol ti giorni fa). In viaggio, una fermata in una stazione stile '900, dalla viva luce artificiale, chiari intonachi, e una fila di metropolitám simili a pupazzi di legno, che si muovono con gesti re-golari e meceanici. Verso il giorno, scomparsa ogni figúra e scéna, una v ce chiara ed austera pronuncia solennemente una legg • - Chi nasconde gli uncinetti avrä 30 o 40 anni di pr^ion-Trenta o quaranta! - e proprio in questo minuto mi sveg il campanello delia cameriera che viene a fare le pui« Diario 1938 39 Roma - 24 Febb. 1938 Ho sognato di esser tanto povera che cercavo in affitto un letto in cucina. Arrivo in una piecola cucina, di sera, il fornello acceso che la rende assai calda, un divanuccio co-perto da una tela infiorata, il muro ingiallito e serostato presso la finestra. Una vecehietta bassa, vestita da contadi-na, una vecchietta-gallinella piena di odori casalinghi ě la padrona. «Di giorno, spero, ci sarä il sole, - penso, - ma come serivere qui?» E, sebbene la cucina non mi dispiaccia del tutto, non la prendo in affitto. Infatti la vecehia mi ha detto che, quasi sempře, lei sta lí a cucinare. Sogno pure Donna M. che mi mette alla prova per vedere se rubo. Siamo in una stanza con delle culle, lei fa stráni giochi con degli anelli. «Tanto so che sono falsi» - penso. Fare ehe uno si sia smarrito, ma io lo ritrovo, e, onestamen-te> 8Ile 0 Porgo. Pare soddisfatta. Negli intervalli svegli, continui pensieri di quella cosa. I 61 ílandu S1 sciolgono per la morbidezza delia mia voglia. Jffi -s »r1 morte e ^pare impos- 1 empo sarä che a veder queste cose quanl 8raVe' ma fi«i diletto ^antonaturaasentirtidispuose Elsa Morante Roma - 25 Febbraio 1938 La morte di K. Sono andata a dormire verso mezzanotte, ma ogni tanto ero svegliata da rumori e chiasso nella strada, forse perche era Giovedi grasso. Ho sognato che ero in una stanza che rassomigliava un poco al mio studio, almeno per la disposi-zione della biblioteca; ma assai piu ampia, con una carta chiara. Davanti alla biblioteca c'era Filippo S. (perche poi vado a sognare Filippo S.?) coi suoi baffetti e la sua aria soddisfatta, bianco e grasso. E riordinava dei libri. Io ero seduta in un basso divanetto giallo, davanti a me per terra era un mucchio di libri, io ero carina e incantevole come quest'estate, col vestito a fiori dal collo e tasche di taffetas, il grande feltro nero. Come al solito, quando mi sento bella, prendevo gli atteggiamenti superiori e sicuri che ci voleva-no. Raccoglievo e buttavo via con negligenza i libri che ave-vo davanti, ma in me c'era una particolare cupezza, e Filippo S. che al suo modo stupido ed egoista faceva lo spiritoso mi dava una specie di nausea. Nessuno pareva badare al fat-to che la contro la stessa parete della biblioteca c'era un let-to, o meglio una culla tutta coperta di veli chiari. In quella culla lussuosa moriva Franz Kafka. Ecco che vengono a prenderlo per portarlo via. Pero che razza di usanza questa che hanno preso, di bendare i moribondi e rinchiuderli nella tomba ancora vivi; gia, vanno per le spicce. Arrivano dun-que due uomini in borghese, vestiti di un color marrone e tortora, all'aspetto impiegatucci, uno ha una faccia un po da gaga, con baffetti biondo scuro. Non si tolgono neppure il cappello. Kafka esce dalla sua culla. E alto, tutto vestito Diarioi938 41 J; ,it0 borghese scuro, ha perfino il cappello in těsta, p trSS ti riconosco, sei proprio come neíla foto-?:Z7d™^o, quasi parrebbe giá morto ma non e £ assegnazione finále, tanto non c'e mentě da fare. Védo ora che sul suo vestito scuro hanno posto una vesticciola da ragazza, sbottonata dietro e piuttosto corta e larga, a hon vivaci gialli, rossi e biu, di cretonne ordinario. Lui sta fermo in piedi, e lascia fare. Ora gli mettono la benda sugli occhi, la riconosco, guarda, ě quella striscia di seta nera sfilacciata che a volte adopero per stringermi i capelli. II gagá dai baffetti nel legargliela dietro la těsta ride, soddisfatto e con aria di libera superiorita. Un nodo mi stringe, sono indignata e trémo Come fa a ridere quelTimbecille? Tanto un giorno anche lui sará nelle stesse condizioni di Kafka. Ma forse cli pareirnpossibde, nessuno ci pensa prima. Di sotto la benda *^&£tč Kafkr \mprme',a sua suo viso KovL P ? Che ,U1 fra P°co- • • Guardo il Qrte- b Io sa> questo ě terribile. E so- no le sue eamhe rh~ •' " ^ **' 4uesto e ternbUe. E so tr°latoXmconÍa Cd?™^™!™' chiudersi ^eggiando £ g^í\rT' ' n° gK UOmini sta™ iat°dal vestito, 2?™"í "? C,0Kanno> accessorio, stač .uuarino, accessorio, stačíc aal vestito, fatto per meta dello stesso cretonne, per meta di velo. Ma non si sanno regolare e allora cortesemen-te si rivolgono a me, che, donna, potro consigharli - Ma lasciatelo perďere, il collarino! - dico tremando, - che volete che gliene importu - Essi ubbidiscono, con un inchi-no, e tutti e tre se ne vanno, alti e diritti. Ecco che me lo portano via, un tormento sordo, come un raspare, un rodete interno mi tiene. Addio K, caro K - Ecco qua Füippo S. SU0 somso cretino, raccoglie un libro di quelli che io ho Elsa Morante davanti, e dice che ě suo, ě lui che me lo aveva prestato - E va bene, - dico, indifferente. Ma lui lo lascia ricaderei Davvero che 1'artista dei sogni sa il suo mestiere. Cono-sce perfino le piccole astuzie, gli effetti. Ecco che per darmi piú forte la sensazione della mořte, mette vicino a Kafka, a questo mio caro, cosciente e tragico, lo stupido Filippo S. che pure non vedo mai, a cui non penso mai, ma che imper-sona 1'umanitá incosciente, sazia, tutta presa dai suoi calcoli quotidiani e dai suoi pratici problemi idioti. Questo sogno ě proprio la mořte, la trista mascherata. Ora, K. a un certo momento si confondeva con me stessa (quel vestito da ra-gazza, a fiori, quel panno nero che metto io in těsta). Ero io dunque che mořivo? In čerti momenti si confondeva con A. o meglio con la paura che io avevo per A. Troppo era lo struggimento tenero, disperato che provavo. Sono evidenti le reminiscenze del « Processo » di Kafka. Ma questo sogno ě pure simbolico e singolare. Pare un ca-pitolo, un apologo, quasi, piú che un sogno. Kafka e Filippo S. - La scelta per il contrasto non poleva essere migliore. Un dieci con lode, autore dei sogru. t quella supina stupidita e sorditá di tutti quando assistono al fatto pur cosi aperto e chiaro, acciecante, della mořte. Lo portavano via come un agnello al Mattatoio. Macto - as - avi - atum - are. Quelluomo grande e vestito che esce dalla culla per an- dare nella mořte. Quella vesticciola. • cjie si Sono certo i miei pensieri inavvertiti e ínespres esprimono da sé nel sonno. Diario 1938 43 Roma -26 Febbraio 1938 Pensala la vera «Via dell'Angelo». S. J. C. Quante notti con palcoscenico girevole! Sono taňte scene diverse Ma ho aspettato un giorno e le ho dimenticate. Roma, 27 Febbraio 1938 Sono dunque anch'io una snob? Ma no^ e sempncemente un do di gelosia di A. che e ricevuto da Donna P. B., men-tre io ancora no. E so che lui ci tiene, e per questo genere di cose mi considera con una certa superiorita. Ho dunque sognato Donna P. B. - ma bionda, e piutto-stosimile a Sibilla A., ancora giovane. Mi aveva, si, ricevuto, ma da sola a sola e mi parlava da un'alta sedia massiccia, mentre io di fronte a lei ero su un basso divanetto. Mi par-lava un po' da lesbica o almeno cosi m'illudevo, con quel vi-so di un rosa da fiore incipriato fra le bande bionde. E io fa-cevo la cortigiana, e pareva che lei dentro di se ci si divertis-se> e, pur con una squisita cortesia, f aceva la contegnosa e mi tendeva perfino piccoli tranelli. Certo io dentro di me speravodiconquistarla. ^ ~ ' ~ ^lce a un certo punto, - ci sono cose che non si n.co"° che a pochi, a quelli che ci sono spiritualmente vici-moltaC C1 C.ap*scono- ~ Oh> sl'» dico, chinando il capo con Unpo'8ala21a C comPrensi°ne. - Peccato, - dice allora lei assorta, ma, come mi parve, con una certa soddisfa- 44 Elsa Morante 45 zione distante e perfida - che fra noi due non sia il caso di parlare di rapporti simili Ho un leggerissimo sustlt (Eh, lo so - penso - quando mai io mi trovo in rapporti di amichevole intimitä con nessuna donna al mondo>) c pcns che questo e un congedo, non le sono simpatica, e ogni mo memo che nmango ancora qui seduta e un abuso malgrado lei, cortesissima, non lo lasci scorgere. Ma piü tardi, in altri sogni della notte, a quanto pare le cose vanno meglio. Mi riportano che ha letto i miei racconti e ha detto che sono bellissimi. Piü tardi poi, (ero in un albergo dove non abitavo benche vi ricevessi molti amici) credo perfino che aspettassi una sua telefonata, che lei dovesse mandarmi una busta. Arrivano tanti amici, fra cui G. Cap. con la sua andatura dinoccolata e il basco. Roma, 28 Febbraio 1938 Strano, mentre sognavo che G. Cap. arrivava, e arrivato veramente. Mi ha telefonato stamattina presto. Stanotte nei sogni mi ha colpito una fronte. Sognavo che eravamo davanti a un apparecchio trasmittente, io, mia ma-dre e il mio fratello maggiore. E tutto quello che noi diceva-mo veniva trasmesso in tutto il mondo. Questo mi preoc-cupava, ma ciö nonostante continuavamo a parlare in diso ■ dine dei piü e dei meno, con un disordine febbrde. Mia m.. dre, (sempre con quei capelli cadenti e il ^«^%%Jk> paonazzo) diceva che per la carnera e d ^.^^ maggiore noi altri tutti dovevamo cercare dl diverm putati. Ecco entra dal fondo (siamo in una stanza con Diario 1938 , 1 „mra mio fratello minore alto, magro; inte,aiatr ifra segnato ad unposto in sottordine, e sa-ha l'aria di chi« e^\Zs\ suo frateUo. Ma mi accorgo l^^cZZXZ* ^ico-< che 10 pure ^^^CJ^^ spettatori. Con racca-sono in una di que.«dľsfatto, quel misto di pricco «^Ä^^ti egdi ripugnante morte. Pia-tenerezza mfanule* d ^ ,a creaturina seduta ^^^^^^ fa cattivo odore). Pure, com e ancora caro, e grazioso! t pensare che é una cosa. Dov'e lui? Ora lo devono pettinare, devono fargli il bagno. Per quanto pensi, non riesco a ricordare se era mio, quel bambino. Che fosse il mio, il figlio di WILLY COPPENS? Ieri avevo fatto una passeggiata cosi bella, sebbene piena di paure come un incubo al pensiero della solitudine e dei debiti incalzanti e della miseria e della partenza di A Ma quei laghi, e i cigni, e le facciate sorrette da colonne marmo- riti IliT a-SCalÍnate! E queUe vUle dai «cinti fio-miSi|n dZraľJa!í ÍT* tUttÍ S°gni di "orte. gioIpTmavera ° ^ 6 faCCÍa un bd viag- -ÖÜSSfi Sposi. Che atmosféra Klsa Moimitr .....-*»*> Roma - 17 Marzo 1938 Ho la sensazione di aver sognato una fila di gente che fa il gioco del telefono. 11 primo dice un discorso a bassa voce al secondo e cosi via via. E quando si arriva alla fine, il discorso é tutt'altro - e non ci si capisce piú niente. Diario i')^ 5i I 'I.Ii i. ■ • -, Ě un po' inorridita, Jo si vedc: - Parlo con S., - spie^o, _ Ma, - dicc - é morto. - (Certo, fei non lo vede, - pen-so). Vicne anchc mia madre: - Parlo con S. che é morto, -le spiclo. Ě chiaro che mia madre non vede nessuno, anzi, con orrorc, mi crede impazzita, ma per assecondarmi rende una mano a carezzare S. - Poverino, poverino, - dice. 47-19-15 Roma 26 Marzo Madonna, dammi un po' di pace. Roma 19 Marzo 1938 [*******] Roma 21 Marzo 1938 Stanotte ho sognato Sandro S. che ě morto. Stava seduto in questa poltrona dove una volta ě stato dawero seduto, fino alle cinque di mattina. Ed era vestito da mare, con un maglione bianco, era forte, con la pelle abbronzata, esube-rante e felice come quando doveva partire per la Spagna. Pariava di sé, della sua vita con un'aria di baldanza, del suo coraggio. «A diciannove anni - diceva - giä avevo un fi-glio che ne aveva quindici». In quella entra mia sorella Maria e non vede nessuno nella poltrona, solo me che parlo. Roma 27 Marzo 1938 Stanotte ho sognato una Maria Piccola S., tutta speciale, con^Xsua 3e bruna e dolce un carattere fresco, smu-le a una viola. Eravamo in un caffě, via di mezzo fra Ara-gno e un tabarin. Ella aveva il suo solito cappottino marro-ne, un po' frusto, il suo cappelletto. Io il cappello di paglia bianco, l'abito nero. Eravamo sedute in un angolo, notte tarda. Un cameriere si avvicina, park piano a Maria: Mille lire le si offrono, - dice, - se si masebera e balla -. Ella ac-cetta e se ne va. Rimango sola. «Ecco, - penso, - queste offene toccano a Maria, io sono oramai vecchia, non piac-cio pm, non mi notano neppure». Non vedo il ballo di Mana ma la immagino, cosi f resca come una viola, con qual-che Ik- T ™\^ camP«tr«. d'innocente, in un costume ^ abbia dei colon viola, rosa. Piú tardi, con queUe rnüle Elsa MorantĽ lire, possiamo andare a far visita a Can ché An I posjamo portare dci regali. Maria ha un encľrr* «Iľ^' no d, frutti adagiati ciascuno in una nicch" ľn cc^0°£ to lungo quasi due metri, io ho un cartoccio Arriviľrno !, vil a, graziosa, signorile, in mezzo a una camlZnzt un tnfemuera si affaccia e dice che non c'é SSqLľ faremo di tutta questa frutta? e Roma, 31 Marzo Anche questa volta Tu mi hai aiutato. Roma, 5 Aprile 1938 Davvero e tutto finito con A.? E partito non so precisa-mente per dove, e forse uno scherzo, un incubo. Sono ma-lata, durante la sua malattia facevo sogni orribili, che dove-va partire, ne io potevo seguirlo, che era malato («Malato ai polmoni, questa e la verita» mi confessava misteriosamente suo fratello, che incontravo in istrada). Salivo parlandone con suo fratello, un peso indicibile mi soffocava dentro, ve-devo con una tenerezza, un amore senza limiti quel caro vise pallido, che si disfaceva da lontano. E io non potevo toe-carlo, non potevo aiutarlo. Ne lui sorrideva un poco al mio amore, cosi lontano, indifferente com'era. Che poteva un portargliene del mio amore? Tutto il mio corpo gridav^ mio caro fanciullo, amore mio, non potro mai dimenu auclla strada sognata 1 cui suo padre, sua mad 8 55 Diano 1930 insalita,equeU'altrasalagrandein re e le sorelle si muovevano in una cm »u« v--> . i dkevano: Non e calco- "Srealtá éguarito, é venuto e ha detto: Da un anno siamo amanti e non abbiamo avuto ľuno dalľaltro che do-lori. Ě meglio finire. Non pensare piú a me. ío partoe tu non devi venire con me. - Io gli ho detto: Allora va' via subito. - E lui ha preso il cappotto ed ě uscito davvero. Credevo che non lo facesse davvero, come le altre volte. In-vece, se non lo avessi richiamato io, se ne sarebbe andato. E venuto altre volte, poi ě partito. Per tre giorni non ho cessato di tremare. Non pub esser vero. L'aspetto. Torna presto, Alberto. Maria, Tu dei miracoli, fallo tornare presto da me. Roma 22 Aprile 1938 «*tK£ fi4r VO'eVa affa"° Ma Qm^ů 2" ľ- sor8°no Samá Mtť ľ ™"« " "na sttan cittä R cnfon