“Alla sera” Forse perché della fatal quïete tu sei l’immago a me sì cara vieni o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, e quando dal nevoso aere inquïete tenebre e lunghe all’universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. “In morte del fratello Giovanni” Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, mi vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto: La madre or sol, suo dì tardo traendo, parla di me col tuo cenere muto: ma io deluse a voi le palme tendo; e se da lunge i miei tetti saluto, Sento gli avversi Numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta; e prego anch’io nel tuo porto quiete: Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, l’ossa mie rendete allora al petto della madre mesta. “A Zacinto” Nè più mai toccherò le sacre sponde Ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde Del greco mar, da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde Col suo primo sorriso, onde non tacque Le tue limpide nubi e le tue fronde L’inclito verso di Colui che l’acque Cantò fatali, ed il diverso esiglio Per cui bello di fama e di sventura Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse Tu non altro che il canto avrai del figlio, O materna mia terra; a noi prescrisse Il fato illacrimata sepoltura.