Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f1af-4eb1-8bef-dd06ff850bef.pdf Capitolo 2 Alessandro Manzoni 1. Milano, Parigi, Europa: Manzoni intellettuale europeo Alessandro Manzoni, scrittore simbolo della letteratura delťltalia unita, non ě solo il piu rappresentativo intellettuale del Romanticismo italiano, ma anche quello che ě riuscito a dare temi e formě condivise a un sentire popolare attraverso un genere letterario completamente nuovo, il romanzo, mettendo la letteratura italiana. per riflessioni e ri-sultati artistici, al pari di quella europea. E infatti grazie ai soggiorni a Parigi, dove era ancora alta la fama del nonno. Césare Beccaria, per il successo del Dei deliíti e dělíc pene, che Manzoni riesce a innestare le grandi idee deirilluminismo e della Rivoluzione francese e il riformi-smo politico e culturale milanese nel nuovo clima romantico che. dif-fuso in Italia con caratteri suoi propri, troverá in lui uno dei piú auto-revoli e influenti rappresentanti. Le riflessioni sui tre temi cardine della sua esperienza letteraria, il vero, 1'utile e il bello - la letteratura deve avere «il vero per oggetto, Kutile per iscopo, Finteressaiite per mezzo» -. accompagnano con singola-re coerenza la sua produzione, evolvendo poi verso conclusioni radicali, dove la fedeltá al vero finisce per destituire di fondamento la legittimita deirinvenzione del romanzo. Una meditazione sul reále che, pur anima-ta da forte tensione euristica verso la realtá «come dovrebbe essere», di-venta sempře di piu una indagine analitica e documentata verso «come la realtá ě». Di qui una concezione coerente e mai abbandonata della funzione civile e formativa della letteratura, prima nel solco dell"espe-rienza poetica pariniana, di cui era erede tutto il mondo culturale del «Caffě» e deir«Accademia dei Pugni» (vd. Epoca 7, Capitolo 6, §1), na-turale precedente letterario manzoniano, poi seguendo le spinte del Romanticismo europeo, strettamente legato a un"idea di letteratura educa-tiva del popolo e formativa per la nazione. Non si potrebbe pero capire a fondo il percorso culturale e letterario manzoniano senza considerare la sua esperienza spirituále che, dopo la conversione, orienta tutta la sua attivitá intellettuale e la sua vita, coin-volgendo la numerosa famiglia e gli amici, con cui condividerá sempře la 1. Miláno, Pangi, Europa: Manzoni intellettuale europeo 2. Cattolicesimo brlanzolo ellluminismo milanese 3. Parigi, Fauriel e la conversione (1805-1810) 4. Via Morone e Brusuglio: unquindicennio creativo (1812-1827) 5. Manzoni romantico? 6. Riformareilteatro e riscrivere la storia 7. Un anno cruciale: ÍI1821 delle due odi civili 8. 1821-1823: prove generali di romanzo 9. Un romanzo popolare: WFermoeluda 10. Dä\FermoeLuaa ôiPromessisposi 1825-1827 11. La Nazione e la storia (1830-1848) 12. Ľeterno lavoro: uno scrlttore alla ricerca della lingua 434 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 420 LeTreCoronee la cultura del I'Ot to cento propria riflessione esistenziale e letteraria, fe-dele in questo a un rifiuto delľio - ľ«orrore delľio» ehe. secondo il poeta Mario Luzi. ha accompagnato tutta l'attivita manzoniana -, che lo spinge a un parallclo rifiuto della lirica, intesa come espressione del sentire e interpre-tazione della realtä interiore. La realtä. per Manzoni, ě un dato oggettivo. e il cristianesi-mo - religione non intellettualistica, ma stori-ca e storicamente rivelata, incarnata nel reale - ě la via alia veritä piú in sintonia con essa. Se Leopardi riesce a rinnovare la tradizio-ne petrarchesca. consegnando al Novecento un lirismo esistenziale di stampo filosofico, ma destinato a non trovare piu corrisponden-za con la realtä, Manzoni indica alia letteratura delia nazione una strada diversa, recupe-rando una tradizione realistka che potremmo far risalire alia letteratura di «cose» dei fratel-li Verri. al civismo pariniano, e piu indietro alia dialettica «mondo-teatro» delľesperienza goldoniana, fino alia vivace e variegata realtä delle novelle del Decameron. Ma ciô che fa di Manzoni il primo intellet-tuale europeo della nostra letteratura ě che quella tradizione. cosi peculiare e italiana, viene attraversata non piu in-dividualmente, ma coralmente, dentro la storia e non piu fuori da essa, e in compagnia dei piu innovativi prosatori della modernita europea: gli inventori del romanzo psicologico Richardson e Fielding, prima ancora che il padre del romanzo storico. Walter Scott. Una scelta di campo che diventa irreversibile, e che darä alia letteratura italiana non solo il suo primo vcro romanzo, i Promessi sposi, ma anche uno specchio in cui riflettere usi. costumi, abitudini, personaggi. caricature, un'intera antropológia nazionale e una lingua che, dopo una ricerca ventennale, ě riuscita a parlare a tutti e a far parlare tutti con la maggiore naturalezza possibile in quella situazione culturale e in quelle condizioni politiche. Una scelta che finisce per portare al rifiuto di ogni invenzione, alia «necessitä di creare imposta arbitrariamente alľarte». in favore di un discorso storico che, come quella Storia della colonna infante pubblicata insieme al romanzo e dopo la quale troviamo la parola «Fine». ě l'unica espressione letteraria a cui viene riconosciuta la possi-bilitä di attingere alia veritä: Figura 1 Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni (1841); Milano, Pinacoteca di Brera. Man mano che il pubblico vedra piu chiaro nella storia, vi si affezionera maggiormente e sara disposto a preferirla alle finzioni individuali. [...] Sicuro di inte-ressare grazie alia verita non si ricredera piu nclla nccessita di ispirare nello spettatore delle passioni per cattivarselo e da lui solo di-pendera il conservare cosi alia storia il suo carattere piu grave e piu poe-tico, rimparzialita. (Lettera a M. Chauvet) 435 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 421 2. Cattolicesimo brianzolo e illuminismo milanese La nascita a Milano, nel 1785. da Giulia Beccaria, figlia delľautore del II Caleotto e Merate libro italiano piu celebre in Európa, Dei delitti e delte pene (1764). ehe (1801-1803) aveva portato alľabolizione delia pena di morte in Toscana e ispirato la Costituzione americana, segna per Manzoni un destino irrevocabile, an-che se, subito dopo la nascita, viene messo a balia nel Lecchese dove il padre anagrafico. il conte Pietro Manzoni, aveva una villa, detta «del Cale-otto» e vari possedimenti. L'ambientazione del romanzo sarä legáta indis-solubilmente a questi luoghi frequentati, in solitudine, nella prima giovi-nezza. Come hanno confermato recenti documenti ďarchivio, Alessandro č in realtä frutto di una breve relazione intrattenuta tra Giulia e il piú giovane dei fratelli Verri, Giovanni, ehe porta alia separazione da Pietro, nel 1792, dieci anni dopo ľinfelice matrimonio. Alessandro ha appena sei anni c viene messo in collegio prima a Merate, dai padri somaschi, poi a Lugano e a Milano. al collegio Longone dei padri barnabiti. dove conclude gli studi superioři. A sedici anni entra nella societa culturale milanese, senza proseguire alľuniversitä. mentre Giulia segue il nobile Carlo Im-bonati (a cui Parini, suo precettore, aveva dedicate ľode Ľeducazione: vd. Epoca 7, Capitolo 7. §4.2) a Parigi, dove frequenta i salotti degli illu-ministi. Questo ridotto orizzonte affettivo-per ľinesistente rapporto con il padre, anche a causa del carattere chiuso e del cattolicesimo retrivo e bigotto in cui avrebbe voluto far vivere anche Giulia. e per il tardivo rapporto con la madre, ehe Manzoni frequenterä solo dopo i venťanni - non sarä senza conseguenze sulla sua vita e opera letteraria. E stato osservato che nel romanzo le figure paterae sono inesistenti («si dia un padre a Lu-cia» ě un appunto che leggiamo sulle carte della prima stesura, rimasto tuttavia privo di seguito). L'oppressione educativa, e la conoscenza a Milano degli esuli napoletani della rivoluzione del 1799, Vincenzo Cuoco e Francesco Lomonaco. suscitano immediatamente quegli spiriti libertari e quella refrattarietä al conformismo religioso che sfociano nelle terzine infuocate del Trionfo della liberta (1801-1802), poema in quattro cantiche ispirato dalla pace di Lunéville (del febbraio 1801), che risente del danti-smo montiano, e in particolare della Mascheroniana, distaccandosi tuttavia da Monti che aveva individuato in Napoleone Tunica soluzione ai pro-blemi del Regno Italico. Per il giovane Manzoni. invece. la Rivoluzione ě un mito positivo. cosi come gli eroi che vi si sono ispirati, come il generále Desaix, caduto nella battaglia di Marengo. Non ě senza conseguenze il breve periodo - dalla fine del 1803 alia Venezia, I'autoritratto primavera del 1804 - trascorso a Venezia, presso un cugino di Pietro e i 5e/mo/]/(1804) Manzoni, dove Alessandro viene mandato, anche su suggerimento di Vincenzo Monti (interessato al destino del giovane poeta che gli avrebbe dedicato il poemetto Adda, invito in endecasillabi sciolti a una visita al Caleotto). per sottrarlo alia condotta libertina e al gioco d'azzardo. prati-cato nel ridotto della Scala. A Venezia infatti Manzoni ha modo di cono-scere Isabella Teotochi Albrizzi. musa di Foscolo. ascoltare il teatro di Goldoni e immergersi in una lingua viva e vera, e di sperimentare una letteratura diversa da quella che era stato in grado fino a quel momento di imitare: emulo di Monti, come si ě visto, per il Trionfo della liberta, di 436 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 422 LeTreCoronee la cultura del ľOt to cento Parini per VAdda, e di Alfieri e Foscolo per il sonetto autobiografico Čape! bruno, aha fronte: occhio loquace (1801), esercizio letterario di maniera, ma indicativo di alcuni tratti peculiari del suo carattere: verchio umile: "n Iroppo grande né p colo'. 1 tarda: 'lenia'. che il ver fmrllii up, lámeme: 'che dice la 1 rilsi sen/ii limorc". 4 dtiro di modi: "u: ŕ // biondo iddio vinila pagana come Sole, Apollo (dio del poesia). o Cupido (di dell'Amore)'. ''spregio: 'dispiv/zo'. 7 a me so! rio: 'solo sevi po 'di- Nota metrica: Sonctlo su schema ABAB BAAB CDC EDE. Tcsto: Tulle le ope vol. I, p. 136. cd Chiíiri-Ghisíilbcrti, ľ. iiK' Capel bruno, alia fronte: occhio loquace, naso non grande e non soverchio umile1, tonda la gota e di color vivace, stretto labbro e vermiglio, e bocca esile: lingua or spedita or tarda2, e non mai vile, che il ver favella apei tamente1, o tace. Giovin d'anni e di senno: non audace, duro di modi4, ma di cor gentile. La gloria amo e le selve e il biondo iddio5: spregio1'. non odio mai, m'attristo spesso: buono al buon. buono al tristo, a me sol rio7. A Pira presto, e piu presto al perdono: poco noto ad altrui, poco a me stesso: gli uomini e gli anni mi diran chi sono. II niodello pariniano ě seguito anche nei Sermoni (tre su quattro scrit-ti proprio durante il soggiorno veneziano), poemetti satirici in endecasil-labi sciolti. che seguono nei tem i le satire di Alfieri e nella forma la satira neoclassica e antifrastica di Parini (ma resa piú realistka dalľinflusso del veneziano Gasparo Gozzi). Merita una nota in particolare il Panegirico a Trimalcione, ispirato alle satire alfieriane I grandi e La plebe, ma volto a una piu cruda e realistica esaltazione degli avi degli arricchiti dalla rivolu-zione, côlti, come nei Giorno, a pranzo, intorno a una «ricca mensa». e ap-pena distratti da un canto che - il poeta si augura - faccia loro «dal caro piatto ergcre il grifo». II secondo sermone, Conlro i poeti, non ě invece privo di un profondo senso morale, cosi come nell!Amore a Delia, che of-fre. di nuovo in forma antifrastica, una cruda rappresentazione del menage matrimoniale attraverso il ritorno di Amore nella casa della madre di Delia, dove un tempo aveva trionfato per gli amori extraconiugali. ora rinnegati e sostituiti da smanie penitenziali. ma presto rinnovati dai nuovi amori della giovane, che non tarderä a ripopolare il palazzo di amanti occasional! (rimpiazzati dagli ufficiali francesi) e di figli illegittimi. Una «societa priva di valori morali. retta dalľipocrisia. dalľinganno e dalľin-teresse, del quale la finzione matrimoniale ě emblema eminente» (Dan-zi), ma che Manzoni guarda con «cinico scetticismo» (Bognetti). In morte di Carlo Solo dopo il luglio 1805, con l'improvvisa morte di Carlo Imbonati, Imbonati (1805) Alessandro raggiunge Giulia Beccaria a Parigi, e le dedica. stampandolo in una raffinata edizione pubblicata nei febbraio 1806 da Didot, 1'editore delle tragedie di Alfieri. il Carme in morte di Carlo Imbonati, che segna una nuovafase della sua produzione lirica. animata anche dall'affetto ri-trovato della madre, che, d ora in poi, diventerä esclusivo. La poesia per ľlmbonati ě, in questo senso, un'aperta e coraggiosa dichiarazione in so- 437 /721 stegno delia madre e il riconoscimento pubblico di una relazione a lungo chiacchierata e osteggiata, ma ehe Manzoni súpera, celebrando nel Čarme i valori morali del «patrigno» ehe diventano. nelľesaltazione poetica, un decalogo laico in cui non ě difficile riconoscere i capisaldi della poetica manzoniana («Sentir [...] e meditar». «il santo Vero/ Mai non tradir»). La risposta al poeta, in un immaginario dialogo con ľombra delľlmbo-nati, sul perché avesse disdegnato la poesia, diventa occasione per un elogio di Alfieri (il primo tiagediografo che avesse osato mostrare le miserie dei potenti e «vendicore gli umili»). Parini (il virtuoso poeta dal «p!ettro imma-colato») e di Omero («sommo / D'occhi cieco, e divin raggio di mente»), mo-deili di vita e poesia. ritratti con versi riconosciuti per originalita e forza espressiva da Foscolo. che li menziona espressamente (e forse se ne ispira) nei Sepolcri (pubblicati un anno dopo, nel 1807, con la nota ai vv. 187-196: «Poesia di un giovane ingegno nato alle lettere e caldo d'amor patriot): Nota met r ku: EinJccLisillLihi sciolti. Těsto: hi mor 19] e 207-215. :' di Curio Imbonati, vv. 171- [...] E venerando il nome Fummi di lui. che ne le reggie primo L'orma stampö de l'italo coturno': E l'aureo manto lacerato ai grandi, Moströ lor piaghe, e vendicö gli umili; E di quel. che sul plettro immacolato Cantö per nie: Torna a fiorir la rosa1. Cui. di maestro a me poi (atto amico. Con reverente affetto ammirai sempre Scola e palestra di virtü. Ma sdegno Mi fero i mille, che tu vedi un tanto Nome1 usurparsi, e portar seco in Pindo4 L'immondizia del trivio e l'arroganza E i vizj lor; che di perduta fama Vedi, e di morto ingegno. un vergognoso Far di lodi mercato e di strapazzi\ Stolii! Non ombra di possente amico. Ne lodator comprati avea quel sommo D'occhi cieco''. e divin raggio di mente. Che per la Grecia mendicö cantando. Solo d'Ascra venian le fide amiche". [...] «Sentir», riprese. «e meditar: di poco Esser contento: da la meta mai Non torcer gli occhi: conservar la mano Pura e la mente: de le umane cose Tanto sperimentar, quanto ti basti Per non curailc: non ti far mai servo: Non far tregua coi vili: il santo Vero Mai non tradir: ne proferir mai verbo, Che plauda al vizio, o la virtü derida». 1 L'orma... coturno: il fondaiore della trage-dia italiana (il colurno č la calzatuia ulilizzata dagli altori ncl leatro greco). 2 Torna a fiorir la rosa: b il primo verso del Tode L'ediictizione. scrilla da Parini per fesleggiarc la guarigione dal vaiolo del piccolo Carlo di cui J tin tanto Nome: il no- 4 in Pindo: sul moiite ! vergognoso... slrapaz-zi: che trasformano la poesia in uno spregevo-lc mercalo di adulazio-nc c di condanne. 4 quel sommo / D 'occhi cieco: Omero. 1 Solo d'Ascra... ami-che: lc Muse, amichc fidate díl pocta, che prove ngo no da A sera (ciltä della Beozia ai piedi dcll'Elicona). 438 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 424 LeTreCoronee la cultura dell'Otto cento La poesia, che nasce dalla tradizione classica, ma ha in Alfieii e Pa-rini due modelli imprescindibili, deve trovare una strada propria. L'imi-tazione neoclassica e gia messa in crisi dalla ferma volonta di individua-re una «orma propria» (v. 206), una corrispondenza diretta tra «forma» e contenuto», che resta la cifra poetica piu significativa dell'esperienza letteraria manzoniana. 3. Parigi, Fauriel e la conversione (1805-1810) Gil Ideologues Dal 1805 al 1810 Manzoni vive regolarmente a Parigi, tornando a Milano in due sole occasioni: per la morte di Pietro Manzoni, nel 1807. e per il matrimonio con Enrichetta Blondel, giovanissima gine-vrina di famiglia calvinista, conosciuta a Parigi grazie a Giulia, e spo-sata con rito protestante nel 1808. Grazie all'amicizia con Claude Fauriel, filologo e storico della letteratura medievale e provenzale. che diventera il suo principále inteilocutore nel lungo avvicinamento al romanzo, Alessandro inizia a frequentare gli Ideologues francesi, i piu celebri eredi della tradizione illuminista (succeduti ai philosophes d'Alembert e Condillac), come il filosofo Destutt de Tracy e il mate-matico Georges Cabanis, Benjamin Constant e lo storico Simonde de Sismondi, che si raccolgono nella casa di Fauriel a Mculan, esercitan-do anche una ferma opposizione al regime napoleonico (tanto che la loro rivista, «Décade philosophique», viene soppressa nel 1807). La frequentazione degli Ideologues, nei cinque anni di soggiorno parigi-no. cambiera l'approccio di Manzoni alia realta, trovando nel metodo scientifico applicato da questi intellettuali, piu scienziati e filosofi (sensisti) che letterati, nelTimprescindibile valore dell'esperienza e nella lontananza intellettuale dalle astrattezze metafisiche, un habitus mentale che non abbandonera mai. Fauriel o dell'amicizid Lamicizia con Fauriel. che durerá fino agli anni Trenta, diradando-si poi fino alia scomparsa dell'amico nel 1844. é stata forse Tunica, di cui abbiamo testimonianza, a presentare la possibility di un dialogo talmente intimo da risultare un dialogo con sé stesso. E la corrispondenza, tenuta quasi sempre in lingua francese, registrerá, d'ora in poi, le riflessioni. gli entusiasmi. i dubbi letterari e linguistics costituendo un prezioso strumento di interpretazione dei testi. La lettera del 9 feb-braio 1806, per esempio, con cui accompagna a Fauriel il Carme in morte di Carlo Imbonati, ci presenta una riflessione acutissima sullo stato delle lettere in Italia, dove la divisione politica, la pigrizia e l'i-gnoranza generále «hanno posto tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta, che questa puo dirsi quasi lingua morta. Ed ě perció che gli scrittori non possono produrre l'effetto che eglino (m'intendo i buoni!) si propongono, d'erudire cioě la moltitudine, di farla invaghire del bel-lo e dell'mile, e di rendere in questo modo le cose un po' piu come do-vrebbero essere». Ma Tepistolario con Fauriel ě ricco - lo vedremo anche oltre - di aperture interiori, di confessioni spassionate. che Manzoni, «poco noto ad altrui, poco a se stesso», non nega all'amico con istintive e fulminee aperture, che illuminano un epistolario non altri- 439 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 425 menti ricco di approfondimenti interiori e spesso referenziale. a causa anche delia fatica provata nello scrivere lettere. Nevrotico, abulico, do-minato da un'agorafobia che assume tratti quasi patologici, nel 1808 confessa a Fauriel: «Je suis esclave de ma paresse» ('sono schiavo del-la mia pigrizia"). Ad ogni modo, sul versante creativo mette a segno un poemetto in endecasillabi ancora legato al classicismo montiano, VU-rania (1809), imperniato sulla gara poetica tra Pindaro e Corinna, e avvia il poemetto in ottave La Vaccina (di ispirazione pariniana. dedi-cato alia diffusione del vaccino contro il vaiolo), che rappresenta la scelta di una letteratura di impegno etico e civile. I due grandi eventi del periodo parigino, la morte del padre e il ma- La conversion? trimonio con Enrichetta, segnano sotterraneamente un percorso di ri-flessione spirituále che conduce alia conversione, lo spartiacque che orienterä diversamente la vita e ľopera manzoniana, trasformandolo nel riconosciuto campione delľortodossia cattolica. L'evento cui. soli-tamente, viene fatta risalire - piú sulla scorta dei modelli letterari del romanzo, che per reali dati storici - viene individuato in un episodio occorso il 2 aprile 1810, durante le celebrazioni per le nozze di Napoleone con Maria Luisa dAustria. Rifugiatosi nella chiesa di San Rocco a Parigi, dopo avere smarrito Enrichetta, perduta tra la folia, ľavrebbe poi trovata, quasi miracolosamente, alľuscita, riconoscendo cosi. da quel giorno, quel segno tangibile delľintervento di Dio (della Provvidenza) nella vita di ogni singolo uomo, che avrebbe sempre con-trassegnato la sua vita: un cristianesimo incarnato e affidato, nella sto-ria. alľumanitä della Chiesa. Da questo momento, tuttavia. agli Ideologues parigini si sostituisco-no, nella rete di amicizie della famiglia Manzoni (Enrichetta il mese successivo abiura il protestantesimo; la primogenita Giulia, nata nel 1809. era giä stata battezzata con rito cattolico), ľabate giansenista Eu-stachio Degola, consigliere spirituále a Parigi, e. dopo il ritorno a Miláno, monsignor Luigi Tosi. Questi seguirä direttamente la presto nume-rosa famiglia in un percorso interiore, ma anche in una religiositä espressa in pratiche devozionali e in un controllo sempre piu stretto sull'attivita letteraria (di cui sarä proprio Giulia Beccaria a relazionare, quasi regolarmente, al prelato, preoccupato che ľattivitä poetica sottraesse tempo ed energie a quella di apologeta). II cognome, che negli anni parigini era stato completato con quel «Beccaria» in cui il giovane Alessandro aveva trovato uďidentita personále e una ereditä ďaffetti, torna ad essere, «sulľorma propria», solo «Manzoni». 4. Via Morone e Brusuglio: un quindicennio creativo (1812-1827) La vita condotta dal ritorno a Milano, in compagnia della madre La famiglia Manzoni (che morirä nel 1841 e con cui Alessandro instaurerä un rapporto af-fettivo solido e appagante), tra la gestione della tenuta di Brusuglio e le cure della famiglia che. a partire dalľottobre 1813. dopo la nascita del secondogenito Pietro Luigi. si stabilisce nella casa di via Morone 1, 440 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf non subirä grandi variazioni. Enri-chetta, che ha allora ventidue anni. allontanatasi dalla famiglia di origi-ne, ostile alia sua conversione al cattolicesimo. avrebbe avuto, nel giro di quindici anni, altri otto figli: Cristina (nel 1815), che sarebbe de-ceduta pochi mesi prima della non-na Giulia, Sofia (nel 1817, scompar-sa anche lei molto giovane, a ventot-to anni), Enrico (1819, deceduto quattro anni prima del padre), Clara (1821, vissuta solo due anni), Vit-toria (1822. andata in sposa al giuri-sta lucchese Giovan Battista Gior-gini), Filippo (1826, anch'egli morto prima del padre, a quarantadue anni) e l'ultimogenita Matilde (1830). Dieci parti che minano la sua cagio-nevole salute, fino alia morte, il 25 dicembie 1833, di tubeicolosi. Una vita, dunque, quella di Manzoni, addolorata anche dalle preoccupazio-ni per i figli (Enrico, che dopo il matrimonio con la ricchissima Emilia Redaelli dilapida il patrimonio famigliare, e Filippo. patriota nelle Cinque Giornate di Milano, ma costantemente oppresso dai debiti a cui lo stesso Manzoni deve far fronte), e interamente occupata dalla scrittura e dalla passione per la botanica, esercitata nella tenuta di Brusuglio dove si dedica ad ampliare le coltivazioni, di cui avrebbe voluto compilare un Saggio di nomenclaiura botanica, mai pubblicato. Su questa lunga dorsale di una biografia quieta e insieme punteggiata di lutti scone la scrittura manzoniana nel quindicennio piu importan-te, fittissimo di progetti e di tentativi letterari. tnnisacri(1812-1815) Gli anni dal 1812 al 1815 sono dedicati alia prima opera letteraria di argomento religioso. che comporta ľabiura dei testi precedenti la conversione, come VUrania, e ľinterruzione del poemetto La Vaccina. Con la conversione, la poesia deve diventare forma espressiva di contenuti religiosi che possano essere compresi e condivisi da tutti, in forme non solo emotive e sentimentali. Se la scelta del genere «inno» - Inni sacri sono significativamente i testi poetici che, alľinterno delia liturgia religiosa. vengono pronunciati co-ralmente dai fedeli - risponde alla volontä di dare espressione letteraria ai contenuti della fede, Manzoni mostra pero anche una precisa volontä di rinnovamento delle forme religiose, di superamento di pratiche devo-zionali esteriori e popolaresche. per una poesia che sia veicolo di contenuti teologici ortodossi, ma che possa diffonderli attraverso forme metriche di facile assimilazione, con una lingua poetica nuova, costruita sul superamento della tradizione classicistica, verso una nuova innografia cristiana. Era un programma molto ambizioso, che portava sul piano della poesia religiosa quelle esigenze di adeguamento della forma al contenu-to che venivano dalla formazione illuminista e che il Neoclassicismo Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 427 non poteva piü garantire, ma che si scontrava con difficoltä di ordine contenutistico (rivestire di forme poetiche temi teologici) e stilistico (presentare tali contenuti in forme nuove. ma non ignare della tiadizio-ne). Difficoltä che spiegano il lungo arco di tempo impiegato (quattro anni) e il parziale risultato, sul piano sia soggettivo (Pampio progetto non verrä mai realizzato integralmente) che oggettivo (per la difficoltä della lingua, i testi non faranno mai parte di un patrimonio letterario-religioso popolare, né verranno riconosciuti dalla critica come un espe-rimento stilistico riuscito, soffocati dall'intento apologetico). Dei dodici titoli di un indice manoscritto del 1812, corrispondenti alle ricorrenze dell'anno liturgico (// Natale, VEpifania, La Passione, La Risurrezione, L'Ascensione, La Pentecoste, II Corpo del Signore, La Cattedra di S. Pietro, L'Assunzione, II Nome di Maria, Ognissanti, I Morti). solo quattro sono gli Inni realizzati: // Natale, La Risurrezione, II Nome di Maria, La Passione, stampati nel 1815 presso la tipografia Agnelli. Ripresa nel 1817 la Pentecostc. dopo una lunghissima elabora-zione, viene pubblicata dall'editore Fenario solo nel 1822. Un sesto in-no, Ognissanti, ripreso nel 1847, rimane incompiuto, mentre sarä assimi-lato agli Inni sacri il poema composto in occasione della morte di Enri-chetta, // Natale de! 1833, se pure estraneo all'impianto compositivo. Per avvicinare i contenuti religiosi a un pubblico non solo colto e non solo religioso Manzoni agiscc sul metro, prima ancora che sulla lingua, scegliendo strofě e versi brevi. derivati dalla melica settecentesca, resa popolare dall'utilizzo nei libretti per melodrammi: quartine di endeca-sillabi a rime alterne chiuse da un settenario: Noi sappiamo. o Maria. ch'Ei solo attenne L'alla promessa che da Tes'udia, Ei che in cor la ti pose: a noi solenne E il nome tuo, Maria. ehe sul nome della Madonna, pronunciato in ogni lingua («Che bei nomi ti serba ogni loquela!»). affronta il dogma delľincarnazione. Oppure □ella musicalitä ribattuta delle strofe di ottonari piani rimati, chiusi da un verso tronco, delia Risurrezione: \e di Maria, vv. 17-20) Ě risorto: or come a morte La sua preda fu ritolta? Come ha vinto Patře porte', Come ě salvo un'altra volta2 Quei che giacque in forza altrui? Io lo giuro per Colui Che da' morti il suscitó1. 5 -' per Colui... suscitô: "sil Dio. che lo resuscitö dai morli'. 2un'a!lra valla: la prima salvezzaestata lanasci-ta di Crislo. ' aire porte: 1c nere porte dcgli inferi. 4 avello: 'loniba'. Ě risorto: il capo santo Piü non posa nel sudario; Ě risorto: dall'un canto Dell'avelloJ solitario II) 442 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 428 LeTreCoronee la cultura de II'Otto cento Sta il coperchio rovesciato: Come un forte inebbriato II Signor si risvegliö. (La Risurrezione,\v. 1-14) Un inno che presenta 1'altro dogma della fede cattolica, quello della resurrezione del corpo di Cristo, con i toni solenni delle Sacre Scritture. II risultato e un linguaggio nuovo, libero e di forte impatto. ricco di or-nati rétorici (similitudini, iperbati, inarcature), che contribuiscono a creare un impasto contemporaneamente popolare, autorevole e arcaico; non sempře poeticamente efficace, ma un'ottima palestra per la piů complessa Pentecoste, riconosciuta come il frutto piú maturo dell'ap-prendistato poetico manzoniano. Si veda, ad esempio. la descrizione della luce nella Pentecoste (con strofě di settenari sdruccioli irrelati e piani rimati, chiusi da rime tronche, schéma che sarä anche del Cinque Maggio). Sono versi in cui si descrive - derivandola direttamente dagli Atti degli Apostoli, II, 2.8 - 1'immagine della rifrazione della luce sui corpi solidi, che si divide nei diversi colori deH'iride, e la si paragona alla lingua degli Apostoli che, grazie all'intervento divino dello Spirito Santo («la voce dello Spiro»), si riverbera su tutte le popolazioni («L'Arabo, il Parto, il Siro»), venendo compresa miracolosamente: Come la luce rapida Piové di cosa in cosa. E i color vari suscita Dovunque si riposa: Tal risonó moltiplice La voce dello Spiro: L'Arabo, il Parto, il Siro In suo sermon 1'udi. (La Pentecoste, vv. 41-48) 3 2 c '- g 3 O B N tí « - S ., In m 2 U -ö • g » S o ra E í I g.'S ť" ' 'f ra E O ä u !?■!»«! 3.211 1 § ' 2-3 l| 3 -a .£ ™ J .5 S i os - -' .£ c 'Syr - q I I?-a 5«» Hl □0 tN ■& " (N g| ■U "n O - B s 3 O "* JJ _u ? C = o* « « o £ g. . 5 .■ _ C g-JJ .í ! I ž S -S i — TJ D ( : u ffl « tí i 11 1=3 j S g •5.2 c DC ° w « r . « S _o 2 -ž -o S ~Z a i 3 = o -S 3 * : — o..- « i j u os . i : J ľ S a 3 '3? S3 o ' J ^ G 2 G ( M U M 11 S o (2 -: O C _< osí: j 2 o t C CO I .fro. S = ■S .. u R ! £ o .S u , ill i2 u 1 « au g .5 g ■s b n Ä a. c t 1 ~Z u 'S 3 « o , : z-S 5j . 2 ^ K tí = o e 3 1 1 s S o : .2 g -g ^ - .2 z ■ > 13 S "Ô o 7:3 CS w u p, s C —' o S 5 tí Ä ; 'Z Cl — : J- "o í c » L 2 o -Š ■P -s u ■ - N •- 5 -s II 5 X..5 » ; TJ t ° 0 * £-3 . í o "ü ü : « o c ií = s J eo fl .B !JS|Ji ■so s s „ s-a S S S 'S ; -n ^ ^ e« c ■s re-s E o SSo'i p s: c t= ě o c E: i g g i = 2 -3.1 o C o 8 J/Š .2 B ^° '3 ' 7r. = M J3 3 J) •O M sa .2 'S g.S i- IP 1 I. S-ä Ň.S ■s 1I2 o ä co ? * '3 _ 2 s "° m i s: « ■E S &-ä = 1 1 3 .ti "3 ?, 4'. í 10 o. J j I « J ^ u "ä) tí -8 O 2 g g MS P .2 "C v .Q Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 432 LeTreCoronee la cultura del ľOt to cento gica del personaggio. II rispetto del vero porta subito Manzoni a dichia-rare ľimpossibilitä di seguire le unitä aristoteliche, rompendo la tradi-zione teatrale cinquecentesca, canonizzata nel Settecento dalla tragédia francese, e mantenendo, delle tre unitä di tempo, luogo e azione, solo quest'ultima. La nuova drammaturgia, lucidamente esposta nella Prefa-zione e basata sui principi ricavati dal Corso di letteratura drammatica di Schlegel, si basa sulľassunto che lo spettatore, mente esterna al dram-ma, non puö percepirne ľinverosimiglianza a causa delia differenza di tempi e luoghi delia tragédia rispetto ai suoi propri, e ne vede, al contrario, l'unitä, data dalla coordinata unione delle parti. Solo un'analisi «spassionata» delle passioni permette all'opera di adempiere al fine didascalico e morale delľarte, e alio spettatore di for-marsi un'opinione ponderata delľazione rappresentata. E solo una sto-ria verosimile permette alľideologia delľautore di non prevaricare nella rappresentazione e allontana ogni possibile accusa di immoralitä al tea-tro (condannato da moralisti francesi cari a Manzoni, come Bossuet e Massillon). II luogo in cui ľautore potia riservarsi un «cantuccio» per esprimere il proprio punto di vista e il coro, che costituisce il secondo elemento di novitä di questa riforma. A differenza del coro del teatro greco, cui pure si ispira. quello manzoniano non riferisce le azioni fuori scéna, ma le commenta, e offre alio spettatore un punto di vista dove ľautore possa parlare «in persona propria». Non facile, con queste premesse, dare al dramma una naturalezza storica, nonostante la vicenda sia tratta dal vero (letta da Manzoni nella Storia delle repubbliehe italiane nel Medioevo dello storico francese Simonde de Sismondi) e si svolga tra la Serenissima e il Ducato di Miláno nel primo quarto del XV secolo. A Francesco di Bussone, nominato da Filippo Maria Visconti conte di Carmagnola, caduto in disgrazia presso i milanesi. e passato al servizio delia Repubblica di Venezia, nonostante le opposizioni del senatore Marino - ehe incarna ľodio e le in-vidie che finiranno per travolgere il conte - viene affidata la guida delľesercito contro gli antichi padroni (atto I). La sconfitta del Ducato di Miláno nella battaglia di Maclodio (del 1427) - rievocata alia fine del ľa t to II dal coro, che ne offre un'interpretazione politica attualiz-zante, di condanna delle lotte fratricide - non bašta a fugare i sospetti di tradimento verso il conte, ehe si rifiuta (come era comune ai capitani di ventura) di liberale i prigionieri (atto III) e viene richiamato a Venezia per un processo (atto IV), ehe ne decreterä la condanna a morte, in ossequio a una ragion di stato cui si dovrä piegare anchc l'amico frater-no Marco, intervenuto invano in sua difesa (atto V). La stesura del coro, composto sin dalla prima elaborazione del testo, nel 1817. rivela. nella scelta del metro popolare e cantato (strofe di otto versi decasillabi), le intenzioni didascaliche e civili della «nuova» tragédia, che piega le vicende storiche, nonostante le dichiarazioni di imper-sonalitä, alľideologia delľautore. II coro si domanda (e domanda alio spettatore) se i guerrieri stiano invadendo o difendendo la terra dove so-no nati e che hanno giurato di «difendere o morire». ma non puö che ri-spondere riconoscendo la triste realtä di una guerra fratricida: 447 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 433 - D'una terra son tutti: un linguaggio Padan tutti: fratelli Ii dice Lo straniero: il comune lignaggio A ognun d'essi dal volto traspar. Questa terra fu a tutti nudricc. Questa terra di sangue ora intrisa, Che natura dall'altre ha divisa. E ricinta con ľalpe e col mar. - Ahi! Qual d'essi il sacrilego1 brando 25 Trasse il primo il fratello a ferire? Oh terror! Del conflitto escerando La cagione esecranda qual é? - Non la sanno: a dar morte, a morire Qui senz"ira: ognun d'essi é venuto; 30 E venduto ad un duce venduto. Con lui pugna, e non chiede il perché. (// Conte di Carmagnola, coro delľatto II, vv. 17-32) Nella parte finale del coro, infine. la condanna di ogni forma di violen-za, indirizzata alle guerre tra milanesi e veneziani, appare in aperta con-traddizione con il dramma del protagonista, ehe non mette in diseussione la guerra, ma anzi vi partecipa, al soldo delľuno o delľaltro padrone: Tulii fatti a sembianza d'un Solo1 Figli tutti d'un solo Riscatto3. In qual ora. in qual parte del suolo. Trascorriamo quest'aura vital3. Siam fratelli; siam stretti ad un patto: 125 maledetto colui ehe ľinfrange. che s'innalza sul fiacco4 che piange: che contrista uno spirto immortaľ! |e (// Conte di Carmagnola, coro delľatto II, vv. 121-128) sticrilľgo: perché ri-volto contro i propri fratclli. 2 senťira: senza una vera motivazione, solo per daiiaro. rjfk- 2 Riscatto-. zione e la Passionc. che ha riscaltalo ľuomo dal Peccalo originale. J aura vital: 'soffio di 'fiacco: 'debole'. 5 uno spino i nile, immorla- sll'a: II Carmagnola non ě quindi tanto la tragédia di un capitano di Ventura stretto tra veritä individuale e ragion di stato (tema shakespeariano), ma piuttosto una finzione letteraria costruita su una veritä storica, per denunciare l'irrazionalita della guerra fratricida, e ľinevitabile (ma in-giustificata, nelľottica di un capitano di ventura) accettazione cristiana di un'ingiusta condanna, sviluppata nella scena domestica finale, in cui Carmagnola incontra la moglie e la figlia e si sottomette al destino, eroe cristiano ehe perdona i propri ingiusti carnefici. La tragédia, ehe vedra la luce solo nel gennaio 1820, a cura di Ermes Visconti, per i tipi di Vincenzo Ferrario, dedicata all'amico Fauriel, se non era riuscita a evitare i rischi di un dramma a tesi, messi in rilievo da alcuni dei primi recensori, che criticano lo stile «trascurato» e «troppo simile al vero» (come Silvio Pellico. in una lettera al fratello). ha pero il me-rito di porta re in Italia il dibattito europeo sul teatro, e di sollecitare in Manzoni ulteriori riflessioni. La severa recensione di Victor Chauvet, nel La Lettera a M. Chauvet 448 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 434 LeTreCoronee la cultura del I'Ot to cento maggio 1820, sulle pagine del «Lycée Francais» di Parigi, concentrata sul mancato rispetto delle unitä aristoteliche, provoca la risposta, pochi mesi dopo, di Manzoni. ehe partendo dal rispetto del vero storico e dallo scopo della letteratura, approfondisce il ruolo del poeta e il rapporto - cosi im-portante per i successivi sviluppi della prosa - tra il vero e il verosimile: Trovare in una serie di fatti l'elemento che li costituisce in vera e propria azione, cogliere i caratteri di coloro che vi agiscono, dare a questa azione e a questi caratteri uno sviluppo armonico, integrare la storia. ricostruirne. per cosi dire, la parte che é andata perduta, immaginare. anche. dei fatti la dove la storia non dä che delle indicazioni, inventáre, se occorre, dei perso-naggi per rapprcsentarc i costumi di una determinata epoca, costumi di cui si ě a conoscenza. prendere insomnia tutto quello che esiste e aggiun-gere quello che manca, ma in modo che ľinvenzione si accordi con la real-tá, sia un mezzo in piú per evidenziare la realtä. ecco quel che ragionevol-mente puô essere definito ere are. Ma sostituire fatti immaginari a fatti cons tatati, mantenere le conclusioni che ci dä la storia e respingerne le cause perché non si accordano con una poetica convenzionale, immaginare altre cause per la sola ragione che possono meglio adattarsi a talc poetica, ě evidentemente togliere all'arte le basi della nátura. E si pretende che questa sia una creazione? Alia buon'ora; sarä se mai una creazione all'in-circa simile a quella di un pittore che, volendo assolutamente far entrare in un paesaggio piu alberi di quanti non ne possa contenere la dimensione del suo quadro. li serri gli uni contro gli altri e dia a tutti una forma e una po-sizione che gli alberi in nátura non hanno. {Lettera a M. Chauvei) Come si vede, le contraddizioni sono tutte giä contenute nel testo, e tutte giä messe a tacere dalla possibilitä offerta dal solo artista - e che diventa cosi una sorta di missione da compiere - di colmare i vuoti di rappresentazione (inventáre personaggi per potere dipingere meglio gli usi e i costumi di un determinato tempo), e dare voce ai protagonisti che non hanno voce, ma che incarnano la «parte che ě andata per-duta» della storia stessa. La Morale cattolica Tra la correzione del Carmagnola e la sua stampa (gennaio 1820), Manzoni si dedica alia rielaborazione della Pentecoste, e riprende alcu-ne riflessioni scaturite dalla lettura della Storia delle repubbliche italia-ne del Sismondi. utilizzata per il Carmagnola. soprattutto nei passi in cui Sismondi aveva riconosciuto nel dominio della Chiesa e nel tradi-mento del messaggio cristiano legato ai Vangclo un elemento di corru-zione dei costumi degli italiani. un ostacolo formidabile alia costruzione di uno Stato nazionale e un motivo di impedimento alio sviluppo delle repubbliche italiane; era una tesi che riprendeva temi machiavelliani, e aveva determinato la messa alľindice di tutta ľopera nel 1817. Manzoni, spinto dal padre Tosi, intraprende con le Osservazioni sulfa morale cattolica una confutazione delle teorie del Sismondi, per dimo-strare come la morale cattolica non sia di impedimento alio sviluppo sociále, ma anzi sia l'unico antidoto all'esistenza di opposte spinte che go-vernano ľuomo e le sue passioni: egoistici interessi individuali (che impe-discono di volere il bene sociále), e superiore e astratto bene collettivo (o 449 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 435 arida ragione di stato). Diversamente da Sismondi, che sosteneva esservi una morale universale e naturale separata dalla religione, per Manzoni, sulla scorta degli apologisti francesi Nicole, Pascal, Massillon. la morale della Chiesa cattolica ě la «sola morale šanta e ragionata in ogni sua par-tew che permette di adeguare le proprie azioni a un bene supremo - individual nel premio della vita ultraterrena - invece di soggiacere al contra-sto continuo tra interesse individuale e bene collettivo. Una prospettiva apologetica che finisce per trascurare i punti chiave delľargomentazione del Sismondi. ovvero la reale manifestazione storica in cui la morale della Chiesa cattolica si era incarnata. L'opera, tuttavia. costituisce una palestra di lingua prosastica e ci dä la misura delľimpegno assoluto assunto, d'ora in poi, dallo scrittore, per una letteratura morale che mettesse in luce il «valore progressista del proprio Cristianesimo» (Isella). II secondo viaggio a Parigi, dall'ottobre 1819 al luglio 1820, dove Adelchi Alessandro si trasferisce con la madre. Enrichetta e i cinque figli, ha significative conseguenze sulla produzione letteraria, legate in particola-re alia conoscenza dello storico Augustin Thierry, segretario di Saint-Simon, che. sulla scorta degli studi medievali di Fauriel. riconduce lo sviluppo storico delle nazioni. e in particolare la nascita delľlnghilterra, a un contrasto tra diverse etnie. La sua indagine storica si affianca alia medesima indagine svolta da Walter Scott nei romanzi storici, da cui Thierry viene influenzato, e che contribuisce a far conoscere attraverso articoli e recensioni. Una di queste. pubblicata nel 1820 sul «Censeur européen», proprio nei mesi del soggiorno a Parigi, sarä la miccia che accenderä ľinteresse di Manzoni per il contrasto tra popolazioni diverse nella costruzione del Regno d'ltalia e. parallelamente. per il nuovo ge-nere letterario del romanzo storico. Nella scelta del periodo storico per la sua seconda tragédia, Adelchi, Manzoni segue ľinteresse romantico per il Medioevo, visto come momenta fondativo delle nazioni dei popoli. e individua nello scontro tra longobardi e franchi per il dominio sulle inermi popolazioni italiche, lo sfondo storico di una vicenda piu articolata della tragédia precedente, ric-ca di personaggi e di sfumature psicologiche. II testo si apre con il ripudio - dettato da ragioni di opportunitä politica - da parte di Carlo della mo-glie Ermengarda. figlia del re dei longobardi Desiderio, e il ritorno di que-sta a Pávia dal padre, invano placato nei propositi di vendetta dal figlio Adelchi. Quesťultimo, protagonista delľopera. viene subito presentato come sospeso tra il senso del dovere, il rifiuto di ogni azione violenta e la percezione del possibile tradimento dei duchi (atto I). L'alleanza tra il Pa-pato e Carlo, stretta in funzione antilongobarda, vacilla per ľimpossibilitä dei franchi di penetrare nel campo nemico, ma con il sopraggiungere del diacono Martino, che indica un passaggio segreto in grado di far accedere al campo longobardo difeso da Adelchi in val di Susa (atto II), e il tradimento dei duchi capitanati da Svarto, la sconfitta dei longobardi ě segna-ta. Adelchi si predispone alia battaglia. ma scopre che il fedele scudiero Anfrido ě stato ferito mortalmente (atto III). La triste fine di Ermengarda domina ľatto successive con il delirio amoroso sopraggiunto nell'avere saputo del matrimonio di Carlo e la sopraffazione della passione e dei ri-cordi che si affastellano nella mente. 450 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 436 LeTreCoronee la cultura del I'Ot to cento Ma la salvezza di Ermengarda, vittima non solo delľingiustizia del potere, che l'aveva scelta in un matrimonio combinato, ma delľattrazio-ne carnale per il re, placatá solo dal pensare «ai placidi / Gaudii d'un al-tro amor», sta nella fuga dalle passioni. La morte giunge come una libe-razione. scegliendo per lei un destino di salvezza («Te collocô la provvi-da / Sventura in fra gli oppressi») e sciogliendo la donna dalla colpa di un amore appassionato (I'unico rappresentato da Manzoni nella sua opera letteraria). Cade intanto la cittä di Pavia, roccaforte di Desiderio, tradito dai duchi (atto IV) e invano implorante pieta per il figlio Adelchi, fuggito a Bisanzio a organizzare la riscossa, ferito a morte e trasportato nel campo di Carlo, dove muore accettando serenamente di non essere piú costretto a scegliere se compiere il proprio dôvere di iniquo oppresso-re («Una feroce / Forza il mondo possiede, e fa nomarsi / Dritto!»), o sottrarvisi («Godi che re non sei; godi che chiusa / AU'oprar ťě ogni via»), in una irrisolvibile antitesi tra il bene e il male («non resta / Che far torto; o patirlo»). Proprio il monologo di Adelchi condensa, con ac-centi di solitudine amletica, la reále visione politica del Manzoni ma-turo, che costruisce due personaggi perfetti. Adelchi ed Ermengarda. perche destinati dalla «provvida sventura» a sottrarsi a una scelta che finirebbe per essere iniqua. Una storia La veridicitä delle vicende narrate ě certificata dalle Notizie storiche, documentata: che presentano, sulla scorta delle documentazioni e letture manzoniane, le Notiziestorkhe la situazione precedente e coeva alia storia, mentre il Discorso sopra al-e il Discorso ami punti delia storia longobardica in Italia sviluppa con dovizia di do-cumentazione (tratta da Machiavelli e Vico. da Muratori e Giannone) la tesi della disunione tra popolazione longobarda e latina come causa della arretratezza delľunitä nazionale italiana, ragione di soffocamento delle popolazioni latine, implicitamente prossime a quelle contemporanee, alio stesso modo incapaci di riscattarsi autonomamente. La possibilitä di studiare la genesi delľopera ha permesso di sco-prire come ľimpianto iniziale fosse molto piu funzionale a una rilettu-ra nazionalista della storia e una strumentalizzazione degli eventi in funzione politica (un atteggiamento che lo stesso Manzoni, nella lette-ra a M. Chauvet, aveva considerato illegittimo): nel primigenio atto V, Adelchi tentava di unire latini e longobardi contro i franchi, e spiegava il fallimento del piano con il rifiuto delle popolazioni italiche di un do-minatore che non fosse il Papato. La fedeltä alia storia costringe Manzoni a cassarc ľatto V c correggcre a ritroso ogni accenno politico, la-sciando un'esplicita attualizzazione del tema nazionale solo nel coro delľatto III. che costituisce un pendant a quello di Maclodio del Car-magnola. anche se utilizza un metro diversamente sonante, costruito con strofe di sei versi dodecasillabi. fortemente martellati (l'antico metro della chanson de geste francese). Qui viene affrontato il tema della relazione tra le due popolazioni, longobarda e latina, mai veramente fuse e quindi incapaci di gettare le basi di una vera indipendenza. Nes-suna liberta verrä dalla vittoria dei franchi: finché i latini - mai chia-mati popolo, ma solo, significativamente «volgo» (Stella) - aspetteran-no una liberazione dalľesterno, non avranno mai una vera speranza di Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 437 liberta. Nella domanda retorica delTuItima strofa emerge I'ironia ama-ra di Manzoni. che utilizza tutte le risorse dell'arte poetica apprese nelle poesie scritte prima della conversione per un'invettiva di forte potere evocativo e morale (la vera oppressione ě 1'incapacitá di uscire dalla condizione di servitú): E Íl premio sperato. promesso a quei fořti, sarebbe, o delusi, rivolger le sorti, ďun volgo straniero por fine al dolor? Tomate alle vostre superbe ruine, alľopere imbelli1 delľarse officine. ai solchi bagnati di servo sudor. (v: I II forte si mesce col vinto nemico. col novo signore rimane 1'antico; Tun popolo e Faltro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armentr; si posano insieme sui campi cruenti'1 65 ďun volgo disperso che nome non ha. (Adelchi, coro delPatto III, vv. 55-66) 1 imbelli, 'dcholi. vili'. allevamento. 1 campi cruenti; 'icampi di batlaglia'. II rispetto delia storia (correzioni delľagosto 1821), spinge in realtä il pedale di una dimensione metastorica che finirä per accomunare, con Er-mengarda, un Adelchi molto piii astratto, riflessivo, simbolo delľimpos-sibilitä di piegare le ragioni della storia (e la ragion di stato) al proprio sen-tire morale. Una scelta che proietta il personaggio tra i meglio riusciti del teatro manzoniano, ma che scontenta l'autore. La profonda autocritica, affidata alle Notizie storiche premesse alia tragédia, ci mostra le difficoltä in cui Manzoni si dibatteva, prima di completare il romanzo (che tuttavia, alľaltezza della pubblicazione della tragédia, era in piena composizione): II carattere pero d'un personaggio, quale ě presentato in questa tragédia, manca affatto di fondamenti storici: i disegni di Adelchi, i suoi giu-dizj sugli eventi, le sue inclinazioni. tutto il carattere in somma ě inven-tato di pianta. e intruso fra i caratteri storici, con una infelicita. che dal piú difficile e dal piú malevolo lettore non sarä certo cosi vivamcnte sen-tita come lo ě dalľautore. 7. Un anno cruciale: il 1821 delle due odi civili Se. dal punto di vista spirituále, é il 1817 ad essere individuato dalla Poesia patriottka critica come un anno di crisi per le incertezze religiose (Accame Bob-bio). il 1821 é Yannus terribilis per la convergenza delia crisi politica con quella personale. da cui scaturiscono pero le due odi civili e ľinizio del romanzo. Manzoni. che aveva giä rinunciato a prendere una pubbli-ca posizione letteraria nel biennio di discussioni classici-romantici tra «BibIioteca Italiana» e «Conciliatore», si trova ora a potere/dovere schierarsi, e sperimenta la stessa impossibilitä di agire che lo aveva bloc- 452 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 438 LeTreCoronee la cultura de II'Otto cento cato nel 1814. di fronte alio strazio del corpo del Prina, e che aveva fatto dichiarare al suo eroe. Adelchi. I'impossibilitä della scelta, la negazione dell'azione. La censura austriaca, che si era giä scagliata contro la reda-zione del «Conciliatore», soppresso nelTottobre 1819. aveva inasprito controlli e condanne, fino ad arrivare all'arresto di Pietro Maroncelli, il 6 ottobre 1820, seguito. una settimana dopo, da quello di Silvio Pellico. II processo, che si svolge per tutto il 1821, culmina nel dicembre 1821 con la condanna a mortc per Maroncelli e Pellico, commutata. grazie a aH'imperatore Francesco I, nel carcere duro da scontare per venti e quindici anni, nella foi tezza dello Spielberg, in Moravia. La poesia di questi mesi non puö essere disgiunta dalla situazione politica. II 6 marzo 1821. infatti, in Piemonte scoppia una rivolta, capita-nata da Santorre di Santarosa, che tuttavia. nonostante gli accordi presi precedentemente con Carlo Alberto (che il 14 marzo concede la Costi-tuzione), fallisce, prima che a Milano ne giunga la notizia, e Manzoni, neH'ode Marzo 1821, scritta di getto tra il 15 e il 17 marzo e subito di-strutta (sara pubblicata solo nel 1848, insieme al Proclama di Rimini, forse con laggiunta dell'ultima strofa riferita alle Cinque Giornate di Milano), immagina che l'esercito sabaudo abbia giä varcato il Ticino per unirsi agli insorti lombardi contro gli austriaci. La dedica a Teodoro Koerner, «poeta e soldato / della indipendenza germanica / morto sul campo di Lipsia [in realtä nella battaglia di Gadebusch]», aecomuna sot-to un unico destino di rivolta tutti gli oppressi della terra, ricordando agli austriaci che la loro indipendenza si era costruita su analoghe lotte per la libertä. L'ineluttabilitä dell'unitä d'Italia - «Una darme, di lingua, d'altare, / Di memorie, di sangue e di cor» - viene rappresentata at-traverso l'efficace similitudine dei fiumi, le cui acque si uniscono nel Po senza che sia possibile distinguere da dove provengano, e senza che nes-suno possa fermare il loro scorrere, potente e inesorabile. Con il ritmo incalzante del decasillabo. giä utilizzato per la Passione e per il coro del Carmagnola, Manzoni consegna ai patrioti italiani il loro inno politico, utilizzando tutte le risorse retoriche giä sperimentate negli hmi sacri e nei cori delle tragedie, ma qui piegate a un andamento serra-to, da marcia militare. dove ogni verso sembra correre verso il successivo e chiudersi nello slancio della rima tronca che suggella ogni strofa: 1 gemina Dora: la Dora Riparia e la Dora Bailea, affluenti de] Po come gli allri fiumi piii ollre riportati. ! Quetlo ancora... spre-giati: 'colui die potesse separarc le aeque dei fiumi che si versano nel Po puirebbn separare anche i popoli sotio-messi che hanno ritro-vaio l'unit.V, [...] Chi potra della gemina Dora1. Della Bormida al Tanaro sposa, Del Ticino e dell'Orba selvosa Scernei 1'onde confuse nel Po; Chi stornargli del rapido Mella E dell'Oglio le miste correnti. Chi ritoglierli i mille torrenti Che la foce dell'Adda verso, Quello ancora una gente risorta Potra scindere in volghi spregiatr. E a ritioso degli anni e dei fati. 453 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni Risospingerla ai prischi dolor"': Una gente chc libera tutta. J prischi dolor, le anli-che sopraffazioni che hanno dovuio soppor- O fia serva tra l'Alpe ed il mare: Una d'arme. di lingua, d'altare. Di memorie. di sangue e di cor. M) (Marzo 1821, vv. 17-32) La notizia delia morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 nelľe- il CinqueMaggio silio di SanťEIena. viene riportata dalla «Gazzetta di Milano» solo il 16 luglio successivo. con una pai ticolare insistenza sulla conversione in pun-to di morte e sulla richiesta, da parte del decaduto imperatore, della com-pagnia di «un dotto teologo in istato di discutere punti di religione, di ri-spondere alle sue domande, di togliere i suoi dubbj e di leggere seco lui la sacra scrittura». Richiesta commentata da una frase, riportata nella «Gaz-zetta», che non puô non avere colpito Manzoni e ispirato la composizione dell'ode. scritta di getto in pochi giorni e conclusa il 26 luglio perché po-tesse passare il vaglio della censura: «Voltaire stesso. nei suoi ultimi mo-menti, si gettô nelle braccia della religioner. Ciô spiega il tono «scrittura-le» e non meramente «religioso» della tessitura delľode (Scarpati), che ri-prende molti motivi non solo biblici, ma neotestamentari. L'ode // Cinque Maggio viene composta, subito dopo Marzo 1821, mentre Adelchi b ancora da concludere, e condivide, con il coro dell'atto V dedicato alia morte di Ermengarda. non solo il metro (strofe di settena-ri con versi dispari sdruccioli irrelati e piani rimati, chiusi da un verso tronco finale che unifica, a gruppi, le altre strofe), ma anche la struttura tripartita (ľapertura con la morte giä avvenuta, il ricordo del passato e la conclusione sull'intervento della Provvidenza) e la tematica esistenziale (il riscatto della vita si ha nell'ora estrema, che i isarcisce dei torti subiti e pone gli eventi terreni in una prospettiva eterna e universale). Le affinitä formali con la Pentecoste hanno fatto parlare di «un vero 'inno sacro' fuori dagli Inni sacri» (Contini), e di un testo in cui Manzoni si pone con rispetto, ma anche con orgoglio, nei confronti del protagonista della storia recente, rivendicando la propria autonómia di giudizio, senza nascondere la propria esaltata ammirazione. L'immagine di Manzoni caduto in deliquio dopo avere appreso la notizia, ě frutto di uno dei molti mitologemi sullo scrittore milanese. ma non ě lontano dal vero il suo personále coinvolgimento con ľepitome di una figura che riassume-va in sé tutti i tratti del potere paterno che egli non aveva mai sperimen-tato e che non sarebbe riuscito a rappresentare nei romanzo: «11 Cinque maggio - ricorda il figliastro Stefano Stampa - fu fatto a suon di piano! II poeta tenne quasi tutto il giorno, o per dir meglio due giorni la sua prima moglie ai piano perché sonasse, sonasse qualunque cosa, ripetes-se anche lo stesso motivo. purché sonasse continuamente». Manzoni prende la parola quando Napoleone ě trapassato: «Ei fu», e dichiara di non avere mai seguito le adulazioni che accompagnarono la sua ascesa al potere. e di avere osservato invece, parinianamente («mio genio» ě un sintagma rivelatore). il silenzio, ma di non potere, «al subito / Sparir di tanto raggio», tacere la sua grandezza, e «scioglie alľurna un cantico / Che forse non morrä». Di straordinaria efficacia ě la rappresentazione della 454 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 440 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento 1 Dall'Alpi... Reno: sono le campagne d i Napoluone in Italia, Egillo, Spagna, con il fiume Manxanarre. e Germánia, con il Reno, 1 Di quel securo... hale-no: 'come il fulmine segue rapidamentc il lam-pa ehe lo annuncia. cosi le sue dceisioni scgui-vano i m medial anionic la loro deliburazionc'. 1 da Scilla ul Tanai: 'dal-la Sicília, con il capo di Scilla e Cariddi. alia Russia, con il fiume Ta-nai/Don". ' Dalľuno alľatlro mar: legge nolla Pentecoste. v.8. 1 nut: Iradizionale sici- siduo dclla rima cosid-detla «siciliana», per eui cfr. vol. 1. p. 17. ' Due volte ... altar, le due sconfitle a Lipsia C Waterloo, e le due consacraxioni sul iro-no, durante il Primo Impero e i Cento gior-ni. prima dclľultima sconfilta. camera fulminante di Napoleone, e la sua altrettanto rapida caduta, lette entrambe come manifestazione divina (il «Massimo Fattor», che prelude alia lettura in chiave cristologica e salvifica dell'ultima parte delľode): Dall'Alpi alle Piramidi. 25 Dal Manzanarre al Reno'. Di quel securo il fulmine Tenea dietro al baleno2; Scoppiô da Scilla al Tanai'. Dalľuno alľaltro mar4. 30 Fu vera gloria? Ai postcri L'ardua sentenza: nuis Chiniam la fronte al Massimo Fattor. che volle in lui Del creator suo spirito 35 Piů vasta oima stampar. [...] Tutto ei provö: la gloria Maggior dopo il periglio. La fuga e la vittoria. 45 La reggia e il tristo esiglio: Due volte nella polvere. Due volte sull'altar'1. (// Cinque Maggio, vv. 25-36, 43-48) La novitä del těsto ě pero costituita dalla rappresentazione di Napoleone, non nella forma oggettiva della prima parte delľinno, ma in quel-la soggettiva della solitudine di Sant'Elena, con un repentino ribalta-mento di prospettiva spaziale (dalľampiezza delle conquiste alia chiusu-ra delľisola), e temporale (dalla velocitä delle conquiste, al tempo lungo della memoria delle passate imprese), e - senza risparmio di tensione emotiva (come nella similitudine del naufrago) - con ľinedita e umanis-sima immagine del condottiero chino sul foglio bianco, incapace di «narrar se stesso» (v. 70) e sommerso dai ricordi del passato. Del tutto nuova e ardita é anche ľintroduzione della Provvidenza come deus ex machina finale, capace di trasportare Napoleone verso «piü spirabil aere», celebrando cosi, nella persona del vittorioso condottiero, il vera e proprio trionfo della Fede, che piega ai piedi della Croce colui che aveva dominato tutta ľEuropa: Bella Immortal! benefica Fede aitrionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; Che piü superba altezza Al disonor del Golgota Giammai non si chinö. 455 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 441 Tu dalle stanche ceneri Sperdi ogni ria parola: II Dio ehe atterra e suscita, Che affanna e ehe consola, Sulla deserta coltrice1 Accanto a lui poso:. (// Cinque Maggio. vv. 97-108) 1 deserta coltrice: 'il lelto (latinismo) soli- 1 posô: 'riposö'. Inviate due copie in pulito alia Censura austriaca, Manzoni se ne vede recapitare indietro, senza il visto per un riconosciuto eccesso di lodi verso Napoleone, un solo esemplare. Ma ľaltro, anche grazie agli stessi censoři, comincia a circolare in versione manoseritta e a stampa. spesso poi ripubblicato insieme agli Inni sacri, fino alla stampa secondo ľ«ultima volontä delľautore», nelle Opere varie del 1855. 8. 1821-1823: prove generali di romanzo La fulminea stesura del Cinque Maggio aveva interrotto Manzoni, im-pegnato. dal 21 aprile, in un'impresa che lo avrebbe oceupato per quasi trenťanni e che rappresenta il versante in prosa del terna giä affrontato, con Adelchi. c sulla scorta dcllc diseussioni con Fauriel e Thierry, del rap-porto tra popolazioni diverse e dei conflitti come motore delia storia. II romanzo aceoglie anche la necessitä di fondare su documenti origináli ľinda-gine sul ruolo delle masse popolari. quel «volgo disperso» che neWAdelchi, come abbiamo visto, non aveva avuto un nome. Uríimpassc ehe incaglia la versificazione delia tragédia e spinge Manzoni verso la serittura delia prima Introduzione e dei primi due capitoli di un romanzo ehe, come quello scottiano recensito da Thierry, rappresenta il punto di vista popolare del conflitto tra popolazioni, attraverso una storia ehe ha come protagonisti quelle «genti iiieccaniche e di piecol affare» ehe solitamente passano senza lasciare traccia, vittime del flusso delia storia. II titolo del romanzo, ehe viene interrotto proprio dopo questa prima fulminea stesura, non ě ancora quello definitivo, e probabilmente oscilla tra il nome dei due protagonisti, «Fermo e Lucia», e la loro condizione di «Sposi Promessi», che ě il motore da cui parte la vicenda narrata. Solo con la stampa - che inizierä nel 1825 - il těsto prendei ä il titolo definitivo di Promessi sposi. Che Manzoni avesse giä in mentě la vicenda ě molto probabile, anche se non abbiamo prove di una derivazione da un modello preciso, e - dei tanti materiali ehe ľautore ha conservato - non sono rimaste tracce di composizione, né abbozzi precedenti a questa prima stesura, che pre-senta, con una felicitä di serittura pari alľindifferenza (in questa fase) per i problemi linguistici che poi interverranno, personaggi. ambiente, tempo e fatti giä ben delineati e compiuti. Prima di addentrarci nel complesso universo del primo vero e proprio romanzo delia letteratura italiana. ě utile mettere a fuoco i těmi di riflessione che vi stanno a monte. e che Manzoni esplicita, con stra-ordinaria luciditá, aélYIntroduzione, coeva ai primi due capitoli. ini-ziati in questo scorcio di primavera e conclusi nel giugno del 1821: un Un'impresa trentennale 456 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 442 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento anno attraversato, come abbiamo visto, da subbugli politici. Se infatti Fauriel, Thierry. Scott offrono il quadro storiografico che spinge Man-zoni verso I'indagine storica, le Osservazioni sulfa tortura di Pietro Verri rappresentano un polo ideale decisive Iniziate nel 1760 ma non pubblicate, e con una stesura definitiva, compiuta nel 1777, che era stata fittamente postillata da Manzoni stesso. le Osservazioni rico-struivano arbitri, disumanitä e atrocitä di un altro processo, quello svolto contro il barbiere Giangiacomo Mora, aceusato con il commis-sario di sanitä Cuglielnio Piazza, di presuňte «unzioni malefiche» durante la peste che colpi la Lombardia, e in particolare Miláno, nel 1630, offrendo a Manzoni un caso emblematico per - come ironica-mente e lucidamente avrebbe poi seritto Carlo Emilio Gadda - «par-lare di nuora perché suocera intendesse», rappresentare i fatti e far ri-flettere sui misfatti del presente, attraverso la griglia storica. Scrive Ermes Visconti a Vietor Cousin, con cui Manzoni aveva frequentato la Maisonnette di Fauriel a Parigi: la tragédia di Adalgiso [Adelchi] non sara terminata perché Alessandro si ě messo a serivere un romanzo in prosa spinto dalla lettura di Walter Scott. Dice che Walter Scott ha aperto ai romanzieri un nuovo modo di scrivere. ricavato dalle abitudini. le usanze domestiche. le idee che han-no influenzato la felicitä e le sventure della vita nei diversi periodi della storia di ciascun paese. Alessandro pertanto ě impegnato a rappresentare i milanesi del 1630; le passioni. l'anarchia. il disordine. la follia, le as-surditá di quel tempo, la peste che in quel periodo aveva devastato il paese. alcuni aneddoti molto intcrcssanti della vita del cardinalc Borromeo. il fondatore della nostra Ambrosiana. il famoso processo che chiamiamo della Colonna infame. che e un capolavoro di autorita, di su-perstizione e di stupidita, tutte queste cose gli forniranno materiále per raccontare in forma di romanzo dei fatti veramente avvenuti. (Lettera di Ermes Visconti a Victor Cousin. 30 aprile [1821]) I primi nuclei del romanzo, come si puô vedere, sono molto poco ro-manzeschi, ma piuttosto storici, e politici. II protagonista ě il terna della giustizia che, nel «famoso processo che chiamiamo della Colonna infa-me», rappresenta ľemblema, ľepitome degli errori e delle ingiustizie provocate dal potere giudiziario («autoritä»), dalľignoranza dei religiosi («superstizione») e dalľinsipienza del popolo («stupiditä»). Un racconto «in forma di romanzo» sul grande terna del male, che prende spunto da «fatti realmente accaduti». Un «genere proscritto» Le indagini necessarie a documentare lo sfondo stoi ico della vicenda e una tradizione illustre mettono subito al centro della riflessione il rapporto tra la veritä della storia e la ricostruzione lecita al narratore. che inventa personaggi e vi-cende per rendere la storia piú verosimile, colmando quei vuoti di infor-mazioni quando, come aveva seritto a M. Chauvet, «le principáli circo-stanze di una vicenda storica non fossero molto note», e ricreando situa-zioni e contesti per «modificarle o sostituirle con altre di pura invenzio-ne». Ma il genere adottato per questa operazione ci mostra la novitä della scelta, e la volontä di Manzoni di rinnovare le istituzioni letterarie. 457 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 443 senza presentare tale rinnovamento come una rivoluzione. ma venendo incontro al piú ampio areo possibile di pareri e giudizi. La scelta del roinanzo. infatti. non era né scontata né semplice. La tradizione romanzesca, che in Inghilterra si era sviluppata sin dalla prima metá del Settecento, con Daniel Defoe (Robinson Crusoe, 1719), Samuel Richardson (Pamela: or virtue rewarded, 1740 e Clarissa: or the history of a young lady, 1748, tradotta in francese dall'abate Prévost), Henry Fielding (con la parodia di Pamela, Shamela. pubblicata anoni-ma nel 1741 e subito messa all'indice, e con il romanzo picaresco e di for-mazione Tom Jones, 1749), si era consolidata con la novitá scottiana, che aveva, come abbiamo visto, riscosso enorme attenzione in Francia, inne-stando l'attenzione per il folklore e la valorizzazione delle vicende po-polari sulle riflessioni della prima storiografia romantica. Dopo il primo grande successo popolare di Waverley (1814), i romanzi storici di Scott, che non si peritava di reinventarc la storia senza scrupoli ec-cessivi verso la verosimiglianza dei fatti raccontati, avevano invaso 1'Euro-pa, con immediate traduzioni che Manzoni aveva potuto leggere in Francia. Anche la tradizione del romanzo gotico, rappresentato da Horace Walpole (The castle of Otranto, 1764), Mattew Lewis (// monaco, 1796) e Ann Radcliffe (L'italiano o if confessionale deipenitenti neri, 1797), fi-no al Frankenstein di Mary Shelley (1818), aveva contribuito a fare del romanzo un genere popolare, una lettura di intrattenimento, destinata a un pubblico non particolarmente colto, spesso femminile, alia ricerca di evasioni, che possiamo riassumere nel concetto, piú volte utilizzato da Manzoni nelle lettere (ma come pericolo da evitare). di romanesque. Una pericolosa combinazione di invenzione ed esasperazione delle pas-sioni giá denunciata nella Lettre á M. Chauvet. Se. quindi, da un lato, la lezione di Fauriel e Thierry deve trovare una diversa e nuova forma espressiva, i modelli che Manzoni possiede non possono essere assunti acriticamente e necessitano di una profonda revisione, per utilizzare l'universalita e la popolarita di un romanzo che non fosse «roinanzesco» e che, della realtá, esprimesse i sentimenti senza essere sentimentale. Un elemento di distacco verrá esplicitato. come vedremo, all'inizio del secondo tomo del Fermo e Lucia, e sará costitui-to da una lunga digressione teorica, poi caduta nella revisione per la stampa, dedicata ai romanzi, a dimostrazione deU'estrema consapevo-lezza di Manzoni che non muove mai un passo letterario senza averne giá delineato la carta geografica teorica. In questa radicale, ma non eterodossa rivoluzione, Manzoni adotta II manoscritto ritrovato: un espediente di antica tradizione letteraria, che gli permette di garanti- unespediente re la veridicitá della storia raccontata e contemporaneamente di metter- letterario? si al riparo dalle facili accuse di inverosimiglianza che egli stesso, nella Lettre á M. Chauvet, aveva rivolto ai romanzi di invenzione. NeU'Intro-duzione, scritta «a caldo» nell'aprile 1821, infatti. il racconto ě anticipate da una digressione teorica sugli effetti della Storia, che egli finge rico-piata direttamente da un manoscritto secentesco. un «dilavato autografts di cui non solo non menziona I'autore, ma non dá nemmeno indica-zioni possibili per il ritrovamento (e che infatti ě sempře stato considerate un'invenzione letteraria, se pure, nel sistema esposto nella Lettre, tale 458 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 444 LeTreCoronee la cultura del ['Otto cento invenzione avrebbe potuto incorrere nelle Stesse obiezioni mosse da Manzoni ai romanzieri puri, ai traditori del «vero»...). Dopo poche righe, in cui il testo viene presentato al let tore nella veste originaria, il Manzoni/Autore prende la parola e dichiara di avere copiato il testo solo fino a quel punto, decidendo poi che «fosse meglio conservare i fatti e rifarla di pianta». adducendo come motivo principále non giä - come vedremo farä nel rifacimento deü'Introduzione, scritto nel 1823, alia fine delia stesura completa del romanzo - motivazioni di ordine linguistico e stilistico, ma solo ed esclusivamente una ragione di ordine storico, che pone subito al centro della riflessione il rapporto tra vero e verosimile, tra storia e invenzione, e il terna, giä affrontato nella Lettre, delľingerenza del narratore: L'autore di questa storia ě andato frammischiando alia narrazione ogni sorta di riflessioni sue proprie; a me rileggendo il manoscritto ne venivano al-tre e diverse; paragonando imparzialmente le sue e le mie. io veniva sempre a trovare queste ultime molto piu sensate. e per amore del vero ho preferito lo scrivere le mie a copiare le altrui; stimando anche che chi ha una occasio-ne per dire il suo parere sopra che che sia non debba lasciarscla sfuggire. Le mezze confidenze del narratore e le ommissioni frequenti dei cognomi dei personaggi. e dei nomi dei luoghi. non fanno a dir vero oscuritä: veggio nulla-meno per esperienza che sono fastidiose a chi legge, e avrei desiderato trovare altrove ciô che ě solainente indicato nel manoscritto. ma non mi venne fatto in qualche luogo pero le indicazioni di luogo sono cosi chiare e moltiplici che il □orné si é potuto trovare certamente e facilmente. ed allora ľ ho scritto. {Fermo e Lucia, Introduzione del 1821) II testo originario viene quindi presentato come un documento reale, in cui Tanonimo non ha tralasciato di mostrare il suo punto di vista, ma dove l'atteggiamento di Manzoni/Autore c stato piü da storico che da narratore. cercando conferma dei fatti narrati nei documenti. Se ě vero che il manoscritto non esiste. non essendo stato rinvenuto fi-nora nessun documento che vi si potesse avvicinare, ě altrettanto vero che Manzoni sembra comportarsi come se Stesse ricavando veramente la storia da un antigrafo reale, per non incorrere nelle medesime accuse che aveva mosso a sé stesso nella Lettre. Non possiamo tuttavia dimenticare che l'espediente dei manoscritto ritrovato era quanto di piü letterario fosse stato tramandato dalla tradizione prima ancora cavalleresca che ro-manzesca, a partire dal Morgante dei Pulci, ásAYOrlando innamorato di Boiardo e dal Furioso ariostesco, derivati dal manoscritto dei vescovo Turpino, fino al Don Chisciotte, il celebre romanzo epico-picaresco se-centesco, al romanzo filosofico settecentesco, praticato anche nella cer-chia manzoniana (si pensi alle Avventure di Saffo di Alessandro Verri e al Piatone in Italia di Vincenzo Cuoco) e allo stesso Scott, che nelTIvanhoe aveva dichiarato di avere rielaborato la storia raccolta da antichi documenti e testi scozzesi (anche se non da un unico manoscritto). II duplice piano istituito da Manzoni nel confronto con FAnonimo - che sarä costante in tutto il testo - permette di sviluppare separata-mente i due livelli della narrazione: quello storico, della vicenda nar- 459 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 445 rata dairAnonimo. e quello riflessivo, di cui - come si e visto nelVIn-troduzione del 1821 - il responsabile e solo Manzoni, giacche tra i giu-dizi dell'Anonimo e i propri egli dichiara, con uno dei primi esempi deH'ironia manzoniana, di avere ritenuto piü sensati (e quindi preferi-to riportare) i propri. Le frequenti incursioni dell'autore saranno quindi non solo giustificate, ma rese necessarie dalla volontä di pren-dere le distanze da un punto di vista oggettivamente anacronistico e lontano dai lettori. 9. Un romanzo popolare: il Fermo e Lucia Ě solo nel marzo 1822. terminato YAdelchi con la stesura definitiva del coro delľatto III, che Manzoni - abbandonato definitivamente il progetto di un'altra tragédia, Spartaco, cui ancora nel novembre precedente pensava di dedicarsi - si mette al lavoro sul romanzo, e sulla docu-mentazione storica necessaria per verificare la veridicitä delle notizie trovate nel manoscritto dellAnonimo. Non ě infatti da escludere che ľinterruzione del giugno precedente sia stata provocata non solo dal de-siderio di terminale la tragédia (nella quäle Manzoni tuttavia non aveva piü moha ľidiicia, se il 16 seiiembre 1821 scriveva al Cattaneo: «Quell'A-delchi di cui ti degni ricordarti, sta benone. Figurati che comincia quasi a parlare per puntini, e che sta per entrare in agonia; anzi, spero di am- Una storia lombarda del XVII secolo I $ >■ ■ ■ ■. Figura 3 FermoeLuäa, Capitolo I, c. lreGHSposiPromessi,c Ír. 460 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 446 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento mazzarlo tanto bene che sarä poi morto davvero»), ma anche dalle diffi-coltä di proseguire la storia - arrivata al terzo capitolo -con informazio-ni storiche che a Brusuglio. dove viene scritto prevalentemente il ro-manzo, non aveva la possibilitä di procurarsi. La scrittura, che possiamo davvero considerare un miracolo di felici-tä creativa (il manoscritto che ce la tramanda ě ricco di correzioni, ma relative soprattutto alla revisione linguistica della Seconda minutá), ri-presa - dopo la conclusione di Adelchi e delle Notizie storiche - dal giu-gno 1822, conduce le vicende fino alla fine del II tomo (ottobre 1822). Manzoni stende il III torno tra la fine di novembre e il marzo 1823 e il IV torno tra la primavera 1823 e la data che suggella la fine della prima stesura, il 17 settembre 1823, traendo linfa creativa da letture e riletture dei romanzi scottiani. e delle fonti storiche necessarie ad accompagnare la narrazione con l'illustrazione puntuale dei fatti raccontati. La «storia del XVII secolo scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni», come dichiarerä il sottotitolo della stampa, infatti, se da un lato si sviluppa da personaggi di invenzione - un curato, don Abbondio. minac-ciato di morte dagli scherani del potente locale, don Rodrigo, se avesse unito in matrimonio due giovani di un paesino del Lecchese, Fermo Spo-lino e Lucia Zarella (questi i nomi originari), una giovane operaia della filanda di cui si ě invaghito e che ě deciso a possedere (capitolo I) -, dall'altro costringe subito il narratore a confrontarsi con i dati storici. Fermo, infatti. dopo avere saputo dalla governante del curato, che ě andato a trovare per fissare il giorno delle nozze, Perpetua, la vera ragio-ne dei vari «impedimenti dirimenti» addotti dal curato per rimandarle a tempo indeterminato. e consigliato dalla madre di Lucia. Agnese. decide di rivolgersi a un avvocato di Lecco. dott. Pettola (che nella versione a stampa diventerä uno dei piü divertenti nomi parlanti: dott. Azzeccagar-bugli). per sapere se ci siano punizioni per chi impedisca delle nozze giä concordate. La documentazione sulle Gride emanate per contrastare i so-prusi dei signorotti locali e le angherie cui i loro «bravi» sottoponevano la popolazione era stata giä fornita a Manzoni dallo stesso Cattaneo nell'a-prile 1821. Altre informazioni sugli usi e i costumi del tempo, richieste sin dall'inizio della stesura al Cattaneo, e in particolare quelle relative a suor Marianna De Leyva (nel romanzo la Monaca di Monza) e alla peste, ven-gono ricavate dalle Hisioriarum Patriae del Ripamonti, direttamente citáte per le vicende relative ai personaggi storici, come Fedei ico Borromeo, di cui Ripamonti era stato uno dei familiäres e storiografo dell'Ambrosia-na e della Chiesa di Milano. autore egli stesso di una cronaca Depestilen-tia, in aggiunta al ragguaglio dell'incaricato della sanitä pubblica Alessandro Tadino (Ragguaglio deU'origine et giornali successi della gran peste). E la peste, infatti. lo scenario in cui le vicende private dei due contadi-ni perseguitati e costretti alla fuga si intrecciano con la grande storia. la guei ra per la successione del Ducato di Mantova, la conseguente carestia, e lepidemia portata dai lanzichenecchi. calati in Italia in soecorso degli spagnoli. QuelTambiente sociale e quel costume. ricostruiti con lunghe e documentate letture, vengono a costituire lo sfondo su cui Manzoni fa muovere i suoi protagonisti, costretti alla fuga - nonostante l'aiuto del confessore di Agnese e Lucia, fra Cristoforo (un cappuccino fattosi fiate 461 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 447 dopo l'involontaria uccisione di un rivale), che osa sfidare apertamente, ma senza risultato, don Rodrigo - dopo avere scampato il rapimento di Lucia da parte dei bravi perché la notte del progettato rapimento si erano recati da don Abbondio per ottenere con ľinganno di un matrimonio «clandestino» ciô che il sacerdote aveva negato loro di avere legittima-mente. Falliti. nella «notte degli imbrogli», sia il rapimento che il finto matrimonio, i due «sposi promessi» sono costretti alia fuga, e il capitolo VIII conclude le vicende delimitate dal borgo lecchese. e, con ľabbando-no di Lucia delia casa natia con un celebre monologo di particolare pathos lirico, ľ«Addio, monti». traghetta i protagonisti, con Agnese, di lä dall'Adda in territorio milanese, affidando Lucia alle cure di una monaca ncl convento di Monza, e inviando Renzo nella Milano sconvolta dai moli popolari dovuti al rincaro del prezzo dei grani. Nella prima redazione Manzoni, riprendendo la narrazione alľinizio del secondo torno (poiché i romanzi venivano stampati, distribuiti e venduti tomo dopo tomo, e ac-quistati anche separatamente), decide di seguire inizialmente le vicende di Lucia e dediča il secondo tomo, dal capitolo II al VI, alia storia della madre badessa che accoglie Lucia in convento: suor Geltrude (nel roman-zo a stampa Gertrude), al secolo Marianna De Leyva, costretta a una monacazione forzata dalle pressioni delia famiglia e dalla sua incapacitä di reazione per debolezza di temperamento, personaggio le cui vicende Manzoni aveva letto nelle Historiae del Ripamonti. e che ricostruiscc in una specie di «romanzo nel romanzo» non lontano da quei modelli gotici e scandalistici (come la Religieuse di Diderot) che aveva conosciuto a Pa-rigi, in una lunga «Digressione» (questo il titolo del capitolo nel Fermo e Lucia). Sara proprio suor Geltrude il motore della narrazione: la «Signo-ra», come viene chiamata dalle consorelle, accetta di attirare Lucia in un tranello per farla rapire, acconsentendo a una richiesta delľamante - da cui ě ricattata per ľuccisione di una conversa che aveva scoperto I'intrigo -, in combutta con un potente brigante del Lecchese di cui non si menzio-na il nome. ma che veniva chiamato dalla popolazione locale Conte del Sagrato (per avere ucciso a sangue freddo un creditore sul sagrato di una chiesa), poi denominato genericamente «Innominato» (un personaggio ben romanzesco. ma che Manzoni stesso in una lettera al Cantu dichiara di avere derivato da un proprio antenato da parte di madre, Francesco Bernardino Visconti. feudatario di Brignano di Gera dAdda), a cui don Rodrigo si era i ivolto. Un'altra notte. questa volta di avventure interiori, conduce a un brusco cambiamento della situazione: mentre Lucia, in cambio della salvezza, fa voto di castitä. ľlnnominato, colpito dalla rc-missivitä della giovane e giä toccato nel profondo da sentimenti di ripulsa per la sua vita scellerata, si converte e decide di incontrare il cardinale Federigo Borromeo che doveva recarsi la mattina seguente in visita pastorale nel circondario. Sullo scioglimento della vicenda si chiude il secondo tomo del iomanzo. lasciando il lettore nella suspense - cosi comu-ne ai racconti di appendice, dove ľattesa era studiata appositamente per tenere alta ľattenzione. L'inizio del terzo tomo, infatti, risolve le peripe-zie di Lucia, che, liberata e consegnata direttamente al cardinale, viene affidata. attraverso don Abbondio (aspramente redarguito dal cardinal Borromeo sul tradimento della propria vocazione), a due nobili milanesi: 462 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 448 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento don Valeriano (poi chiamato don Ferrante) e donna Prassede. Solo a questo punto. dopo avere abbandonato Fermo alia fine del primo tomo. Manzoni ne riprende le vicende e immette il lettore nei tumulti di Milano in cui ľinesperto e focoso giovane finisce per incorrere, attratto dalla folia ehe sta per compiere I'assalto dei forni. il giorno di san Martino del 1628. Pur non avendo fomentato la rivolta, viene seguito da una spia go-vernativa fino all'Osteria della Luna Piena, dove - dopo una solenne ubriacatura - rischia di essere arrestato come capo dei tumulti, ma, salva-to dalla folia, riesce a mettersi in salvo oltre ľAdda, e a raggiungere il cu-gino Bortolo nella Repubblica di Venezia. dove trova lavoro. Carestia, guerra e peste incorniciano I'ultimo tomo. che intreccia le storie dei protagonisti, dispersi tra Bergamo, dove alloggia Fermo, il castello del Conte del Sagrato, in cui si rifugiano Agnese e Lucia, e Milano. dove si finiran-no per ritrovare nel Lazzaretto, ricovero dei malati di peste. Giä avviata a quclla mera ricostruzione delle vicende storiche che sa-ra ľunica forma di letteratura poi autorizzata da Manzoni, la parte finale del romanzo riunisce i personaggi e li avvia al lieto fine, con la iper-romanzesca morte di don Rodrigo. quella avvolta da un alone di santitä di fra Cristoforo. e, finalmente. le nozze dei due sposi, la cui «promessa» d'amore reciproca - un dato fondamentale nel romanzo - ě piú forte di qualsiasi opposizione e impedimento esterno, e persino del voto religio-so, sciolto alia fine da padre Cristoforo. E il frate cappuccino, doppio eroe Iaico e religioso, capace di sfidare i potenti con la spadá e con le parole della fede, che si rivela il vero e proprio deus ex machina della trama, consentendo, con lo scioglimento del voto. le nozze costantemente minacciate. Anche la peste, protagonista delľultimo tomo del romanzo. come poi la pioggia purificatrice (un dato anacronistico, che pero Manzoni manipola per esigenze narrative), diventa, pur nella sua drammati-ca violenza, un elemento «provvidenziale». nella pragmatica morale af-fidata al commento di don Abbondio: Questa pestilenza ě stata un flagello, figliuoli. un flagello; ma ě stata anche una scopa: ha spazzata via certa gente. che. figliuoli miei, non ce ne li-beravamo piú: birboni, freschi, verdi. vigorosi. che sperare di far loro le esequie. sarebbe stata una presunzione peccaminosa: si sarebbe detto che il prete destinato ad aspcrger loro la cassa stáva ancora facendo i latinucci: e in un batter d'occhio sono iti: requiescant. (Fermo e Lucia, t. IV, cap. 9) Una conclusione rasserenante, che consegna al curato anche un altro «lieto fine» della storia, quello economico. reso possibile dalľerede di don Rodrigo. convinto da don Abbondio ad acquistare i possedimenti degli sposi nel Lecchese perché si possano trasferire nel Bergamasco, in «un'altra patria». Una promessa d'amore, La «promessa». la responsabilita individuale di fronte alia scelta, ě un romanzo per Manzoni un tema fondamentale, su cui vale la pena soffermarsi, «senza idillio» perché concentra l'attenzione, sin dal titolo, sui due protagonisti, cui af-fida la morale, il «sugo» (nella versione definitiva) di tutta la storia, che viene suggellata dal personaggio apparentemente meno scolpito del romanzo: Lucia. Se Fermo/Renzo accompagna il racconto delle sue «av- 463 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 449 ventures con una morale degna del piu classico dei romanzi di formazio-ne: «d'a!lora in poi ho imparato a non mischiarmi a quei che gridano in piazza, a non fare la tal cosa, a guardarmi dalla tal altra», Lucia ribadi-sce, nella conclusione (sostanzialmente identica in tutte le versioni, ma di icastica efficacia nella prima stesura): Ed io. che debbo io avere imparato? io non sono andata a cercare i guaj. e i guai sono venuti a cercarmi. Quando tu non volessi dire, aggiunse ella soa-vemente sorridendo. che il mio sproposito sia stato quello di volerti bene e di promettermi a te. Fermo quella volta rimase impacciato. e Lucia pensan-dovi ancor meglio conchiuse che le scappate attirano bensi ordinariamente de' guai ma che la condotta la piu cauta, la piu innocentc, non assicura da quelli; e che quando essi vengono, o per colpa. o senza colpa, la fiducia in Dio gli raddolcisce. e gli rende utili per una vita migliore. Questa conclusione benche trovata da una donnicciuola ci e sembrata cosl opportuna che abbiamo pensato di proporla come il costrutto morale di tutti gli avveni-menti che abbiamo narrati, e di terminare con essa la nostra storia. (Fermo e Lucia A. IV, cap. 9) Una conclusione anch'essa rivoluzionaria. che non cede al gusto del romanzesco e chiude le peripezie dei due «promessi sposi» nelle forme domestiche di un'ordinaria vita famigliare. Questa deliberata scelta di un romanzo «senza idiIIio» (Raimondi) era ben presente a Manzoni, che sapeva di non assecondare il desiderio «romanesque» dei lettori di romanzi, e la giustifica espressamente all'i-nizio del secondo tomo, in una digressione teorica - impostata in forma di dialogo - che, come gia detto, cadra dalla riscrittura della cosiddetta Seconda mimtta, e che vale la pena di ripercorrere. Di fronte alia legittima obiezione di non avere presentato in un romanzo dedicato a «due innamorati, promessi al punto di sposarsi, e quindi separati violentemente dalle circostanze condotte da una volonta perversa», «nulla di quello che grinfclici giovani hanno sentito», di non avere descritto «i principj. gli aumenti, le comunicazioni del loro affet-to», Manzoni - nel Fermo e Lucia - dichiara di avere deliberatamente saltato. dal manoscritto originario che di queste manifestazioni daffet-to non era privo («sono anzi la parte piu elaborata deH'opera»), «tutti i passi di questo genere». perche inutili a chi Tamore lo prova interior-mente, e che «troverebbero tutto questo amore molto freddo», e perico-losi a chi deve invece guardarsi dalle passioni, e non fomentarle quando, per le circostanze della vita, le deve invece «sopire». Dobbiamo considerare in quest'ottica anche un'altra importante va-riazione nella riscrittura del testo: l'aggiunta di due capitoli finali, il XXXVII e il XXXVIII, che rompono con la tradizione del «Iieto fine», e introducono alcuni elementi nuovi rispetto al Fermo e Lucia: un anali-tico riepilogo delle vicende dei personaggi (la fine di Gertrude e di don Ferrante) e le difficolta incontrate da Renzo nello stabilirsi nel nuovo paese. anche per le malelingue sorte dal confronto tra I'eccezionalita della storia che i due avevano vissuto e la realta dei fatti. L'aggiunta sulla delusione dei compaesani di fronte alle fattezze di Lucia, ordinaria con- 464 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 450 LeTreCoronee la cultura de II'Otto cento tadinotta non particolannente avvenente. se non del tutto «brutta», e sulle angherie subite da Renzo, e una netta presa di posizione dell'auto-re contro gli stereotipi del romanzo tradizionale, dove l'eroina ha carat-teristiche eccezionali di bellezza e bontä e Peroe e un personaggio a tutto tondo. senza macchia e senza difetti: Quando comparve questa Lucia, molti i quali credevan forse che doves-se avere i capelli proprio d'oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l'u-no piü bello dell'altro. e che so io? cominciarono a alzar le spalle. ad ar-ricciar il naso, e a dire: - eh! l'e questa? Dopo tanto tempo, dopo tanti discorsi, s'aspettava qualcosa di meglio. Cos'e poi? Una contadina come tant'altre. Eh! di queste e delle meglio, ce n'e per tutto -. Venendo poi a esaminarla in particolare. notavan chi un difetto, chi un altro: e ci furon fin di quelli che la trovavan brutta affatto. [...] E vedete un poco come alle volte una corbelleria basta a decidere dello stato d'un uomo per tutta la vita. Se Renzo avesse dovuto passar la sua in quel paese, secondo il suo primo disegno. sarebbe stata una vila poco alle-gra. A forza d'esser disgustato. era ormai diventato disgustoso. Era sgar-bato con tutti, perche ognuno poteva essere uno de' critici di Lucia. Non giä che trattasse proprio contro il galateo: ma sapete quante belle cose si posson fare senza offender le regole della buona creanza: fino sbudellarsi. Aveva un non so che di sardonico in ogni sua parola; in tutto trovava an-che lui da criticare. a segno che. se faceva cattivo tempo due giorni di se-guito. subito diceva:-eh giä. in questo paese! - Vi dico che non eran pochi quelli che l'avevan giä preso a noia, e anche persone che prima gli volevan bene; e col tempo, d'una cosa nelTaltra. si sarebbe trovato. per dir cosi. in guerra con quasi tutta la popolazione. senza poter forse ne anche lui cono-scer la prima cagione d'un cosi gran male. (Promessi sposi, cap. XXXVIII) II disagio della nuova vita di sposi viene perö risolto dalla proposta avanzata dal eugino Bortolo di una condivisione di un'impresa di filatu-ra a Bergamo, e la conseguente trasformazionc di Renzo da filatore a imprenditore, che Io eleva nella scala sociale e lo spinge a trasferire tutta la famiglia nello Stato di Venezia. dove vengono presto revocati per un decennio tutti i «carichi reali e personali ai forestieri». Quello che po-trebbe essere un secondo lieto fine viene convertito nel chiaroscuro di una modesta e quotidiana medioeritä. straordinariamente normale e letterariamente noiosa. Un finale decisamente antiromanzesco che, se amplifica la funzione del narratore «regista», ne mette anche in luce la volontä di seguire il normale flusso della vita, non piü solo per fedeltä verso l'Anonimo, ma verso la realtä stessa. 10. Dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi 1825-1827 10.1 Un romanzo, quattro «digressioni» II dialogo sullamore nei romanzi che abbiamo prima considerato non e Tunica «digressione» che viene amputata nella riscrittura della prima 465 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 451 versione. Pochi giorni dopo la fine del Fermo e Lucia, il 23 settembre 1823, Manzoni stende la Lcttera a! Marchese Césare ďAzeglio sul Ro-manticismo, in cui - come abbiamo visto - mette in chiaro i limiti della nuova corrente, ma anche le novitä da lui perseguite. All'inizio di ottobre Fauriel arriva a Milano e inizia la lettura del romanzo. Rimarrä a casa Manzoni fino all'aprile 1824 e in Italia per due anni, fino allbttobre 1825. La sua revisione - certificata da note e postille di lettura - é fundamentale, per i cambiamenti di struttura e per la crisi linguistica che ne seguirä e che impegnera Manzoni in una riscrittura faticosissima, ritenuta inizial-mente molto piü semplice e veloce (tanto da potere riutilizzare gli stessi fogli su cui aveva scritto il Fermo e correggerne solo alcuni passi), ma che poi tracima in una revisione radicale, sia di forma che di sostanza. Vediamo perö innanzitutto i piü profondi cambiamenti di struttura, dal momento che prima Fauriel, poi Ermes Visconti, amico di gioven-tü, collaborator del «Conciliatore» e teorizzatorc del Romanticismo italiano, dall'inverno 1824, postillano il testo, con diversa modalita. Tanto le osservazioni dell'amico francese sono «puntuali, sintetiche, professorali», quanto le altre sono «diffuse, analitiche, discorsive» (Amoretti). entrando quasi in competizione con il testo, e mostrano I'abitudine di Manzoni di condividere con la cerchia degli amici decisions scritture, e quelle letture ad alta voce, cui ě affidata la prima cir-colazione del romanzo. Le osservazioni subito mosse al Fermo e Lucia riguardano lo spa-zio eccessivo dato alle digressioni incastonate nella storia, che vengo-no quindi radicalmente ridotte, provocando una decurtazione consi-stente anche nel numero delle pagine del testo, che passa dai quattro tomi della prima redazione ai tie della seconda. Cadono quindi il lun-go racconto sulla vita di fra Cristoforo e quello sulla vita di Federigo Borromeo, ma soprattutto vengono ridimensionati i quattro capitoli dedicati alia «Signora». presentati giä nel Fermo in forma minore, ri-spetto alFAnonimo (sempře citato come giustificazione contro l'accusa di esagerazioni romanzesche) e alle altre fonti consultate daH'Autore. Quella storia - anche per compiacere gli scrupoli religiosi di mons. To-si - viene quindi raccolta in un paio di capitoli, anche se suor Geltrude, per la foiza nanativa della diammatica vicenda e per la capacitä di Manzoni neirintrospezione psicologica. diventerä uno dei grandi per-sonaggi della letteratura italiana. Tra le digressioni eliminate non va dimenticata quella che inizial- La prima redazione mente doveva far parte del quinto capitolo del quarto tomo, da cui sa- della Storia rebbe scaturita la Storia della Colonna infame (la colonna, eretta nel della(olonnainfame 1630 sull'abitazione del barbiere Gian Giacomo Mora, rasa al suolo dopo la sua uccisione, era stata demolita dairamministrazione austriaca nel 1778). Dopo avere presentato le conseguenze dell'ignoranza e della superstizione nell'affrontare la diffusione del contagio, Manzoni i ipor-ta, sempře dal Ripamonti, due episodi di «furor popolare», il secondo dei quali gli permette di dimostrare Tinutilita della tortura: I magistrati. i quali avrebbero dovuto reponiere e punire quell'iniquo furore [della folia contro un piesunto untore], lo imitarono. e lo sorpassarono: 466 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Tavola 1. La formazione deí Promessisposi. Cronologia Manoscritto Stampa 1821-1823 24 aprile 1821 Inizio del Fermo e Lucia {Srttroduzione e capitoli 1 e II) Tgiugno 1821 Conclusione deWlntroduzione e dei capitoli 1 e II marzo 1822 Fipresa del Fermo e Lucia, dal capitolo III 12 settembre 1822 Riscrittura del Fermo e Lucia, fino a metá del torno II (capitoli V-VI) 28 novembre 1822 Inizio del torno III del Fermo eLucia 11 marzo 1823 Fine del torno III del Fermo e Lucia prímavera 1823 Inizio del torno IV del Fermo e Lucia 17 settembre 1823 Fine del torno IV del Fermo e Lucia 1824 15 giugno-3 luglio 1824 Scrittura delia SecondaIntroduzione del Fermo e Lucia, «rifatta da ultimo» 30giugno1824 Conclusione delia revisione delia Seconda minutá degli Sposi Promessi e delia Copia per la Censura del tomo 1 (capitoli l-IX) 3 luglio 1824 /-:" |- :-.7CTÚ :-. _on: U r.ľ: p or i 'or-c 1 12 ottobre 1824 Correzione di metá del tomo II 3 novembre 1824 Stampa del tomo 1 dei Promessi sposi 1825 gennaio-maggio 1825 Revísione delia seconda metä del tomo II (con la Copia per la Censura) 4 ottobre 1825 Stampa del tomo II dei Promessi sposi 1826 7 ug c 1S26 imprimatur delia Censura sul tomo III (capitoli XXV-XXVIII) Tagosto 1826 ímprimaturdelia Censura sul tomo III (capitoli XXIX-XXXII) 10 settembre 1826 Stampa dei capitoli XXV-XXXII del tomo III 1827 febbraío 1827 Stampa dei capitoli XXXIII-XXXV del tomo III marzo 1827 Revisione delia Seconda minuta degli ultimi capitoli del tomo III 11 giugno 1827 Stampa dei capitoli XXXVI-XXXVIII del tomo III luglio 1827 partenza per la Toscana 1840 ottobre 1840 Inizio delia stampa del tomo 1 dei Promessi sposi 1842 novembre 1842 Conclusione delia stampa del tomo III dei Promessi sposi 467 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 453 con giudizj motivali, e ponderati al pari di quei popolari che abbiam riferiti, con carnificinc piu lcnte. piu studiate, piu infernali. Passaic questi giudizj sotto silenzio sarebbe ommettere una parte troppo essenziale della storia di quel tempo disastroso; il raccontarli ci condurrebbe. o ci terrebbe troppo fuori del nostro sentiero. Gli abbiamo dunque riserbati ad un'appendice. che terra dietro a questa storia. alia quale ritorniamo ora; e davvero. (Fermo e Lucia, t. IV, cap. 1) Da questo secondo episodio scaturisce quindi la piu importante di-gressione del romanzo. la Storia della colonna in fame, pensata come Appendice storica gia per la stampa del 1825, ma che dovette aspettare Pedizione del 1840 per venire pubblicata, come parte integrante del romanzo. tanto da far poire la parola «Fine» dopo la sua conclusione e non alia fine dei Promessisposi. 10.2 Una lingua nazionale II confronto con la lingua francese, sollecitato dalla lettura di Fauriel, mette Manzoni di fronte alia insufficienza della formula linguistica adot-tata nella prima stesura, una lingua definila «analogica» ed «europeiz-zante» (Corti). «Analogica», perche costruita per analogia, adattando all'italiano le forme e le locuzioni della «lingua» che Manzoni praticava e di cui conosceva ogni sfumatura e dettaglio: il milanese. «Europeizzan-te», perche il meccanismo analogico si estende anche al francese, non solo nel lessico, ma anche nelle eostruzioni e in quelle locuzioni fraseologiche che erano cosi necessarie per rendere verosimile il dialogo tra i personag-gi. Ed era proprio questo il suo elemento di debolezza. Questa soluzione, infatti. poteva adattarsi molto bene - come avevano mostrato i testi in prosa scritti prima del Fermo e Lucia - alia trattatistica, ma rivelava tutta la sua debolezza nelle parti dialogate; il dialetto era Tunica «Iingua» che avrebbe permesso alPautore di unire verita ed espressi-vita, ma che avrebbe provocato il fallimento di quell'idea di romanzo po-polare e nazionale. che era stato il motore primo di tutta l'impresa. Non che Manzoni non sapesse quali fossero i limiti di questa soluzione. Sin dal novembre 1821, in una emblematica letters al Fauriel, aveva denunciato la situazione linguistica italiana proponendo una soluzione di compromesso (poi adottata nel Fermo e Lucia), che Dante Isella defi-nisce «un cocktail di ingredienti eterogenei»: bisogna pensare a quello che si vuole dire, avere letto i classici italiani. gli scrittori di altre lingue. soprattutto i francesi, aver parlato di materie rilevanti con i propri concittadini. e avere acquisito una certa attitudinc a intendere attraverso l'analogia, e un certo tatto a recepire dalla lingua francese quanto puo essere assimilato alia nostra senza apportare una forte dissonanza e senza causarc oscurita. {Lettere, 29 novembre 1821) Ma questo modello si scontrava con due fattori fondamentali: il fatto che la lingua in cui Manzoni scriveva aveva un fondo lombardo inelimi- 468 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 454 LeTreCoronee la cultura delCOttocento II «libro sulla lingiiaw e rintroduzione «riscrittadaultimo» Figura 4 FermoeLucia, Introduzíonell, c. 6v. nabile, e 1'avere scelto un genere letterario come il romanzo, rivolto a un popolo di lettori «italiani» che esisteva in potenza piú che in atto e che il romanzo stesso avrebbe dovuto contribuire a costituire. La ricerca di questa lingua, elegante senza essere estetizzante, natura-le senza essere dialettale, viva e vera, eppure non parlata in un luogo pre-ciso. occupera Manzoni per piú di venťanni. Sara un*avventura straordi-naria, su cui si costi uii a la lingua che gli italiani avrebbero avuto in comu-ne, ma che ancora non si poteva leggere né parlare, e che avrebbe cemen-tato. nel corso del secolo successivo, 1'unitá culturale dello Stato italiano: «Non il libro di un intellettuale per unélite di intellettuali, scritto, come sarebbe stato qualche decennio addietro, in una lingua illuministicamen-te composita, costruita a tavolino, ma la rappresentazione, muovendo dal basso verso 1'alto, dei diversi livelli di una societa moderna, unita nella sua lingua, in anticipo sugli auspicati sviluppi della storia in atto» (Isella). Le difficoltá, emerse giá durante la stesura del Fermo, si palesano nella revisione linguistica del primo torno, iniziata giá negli ultimi mesi del 1823, e conclusa alla fine di giugno 1824, ma che viene subito seguita dalla scrittura di una Seconda Introduzione, dal 15 giugno al 3 luglio 1824, in cui la crisi del modello linguistico del Fermo viene espressa in termini insolitamente drammatici per una Introduzione. II14 gennaio 1824, Giulia Beccaria scrive a monsignor Tosi che Alessandro «ě quasi alla fine di un volume sopra la Lingua italiana. Mi si dice che riesce una cosa tutta nuova interessantissima e scritta in modo di non con-trastare nessuno anzi di conciliare molte idee f i nora [sic] statě cagione di controversie per non dire ingiurie reciproche. Immediatamentě dopo correggeiá il romanzo». Si tratta del volume sulla lingua. di cui ě legittimo teorizzare l'e-sistenza. anche se non ne ě forse rimasta che qualche traccia in frammenti di appunti, signifi-cativamente riutilizzati, quando il libro viene distrutto. per alcuni cartigli usati per riscrivere passi della Seconda minuta. Dalle memorie del figliastro Stefano Stampa. sappiamo che il volume viene dato alle fiamme. ma ě ragionevole pensare che ció accada quando íl suo contenuto. nella parte soprattutto che autorizza 1'utilizzo del toscano come scelta linguistica preferibile alla commistione linguistica del Fermo, si rive-lera, come vedremo, impraticabile. Manzoni in-tende dunque accompagnare la pratica linguistica, come fa sempře, con una riflessione teori-ca, e il libro mantiene una sua funzione finché rispecchia la pratica letteraria. II problema linguistico, che la prima Introduzione non toccava affatto, ě affrontato sin dalla presentazione del rapporto con il manoscritto delTAnonimo. Dopo avere in-terrotto la copiatura del «dilavato autogra- —---~ íLw^^.frff- 469 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 455 fo» (alia cui prosa aggiunge una patina linguistica d'epoca che rendes-se piu verosimile la contraffazione). Manzoni dichiara infatti di avere deciso di seguire i fatti nella sola trama, rifacendone la «dicitura», cioě riscrivendoli in lingua moderna, non solo per le ragioni storiche addot-te nella prima Introduzione, ma per ragioni di lingua e di stile. Alia condanna della lingua del Seicento, su cui pesano i «concetti-ni» e le «figure» di uno stile barocco incapace di rendere ragione dei nudi fatti. della veritá storica, si somma - in questa Introduzione «ri-fatta da ultimo» - la «rozzezza, trascuraggine, incoltura» con cui lo stile secentesco dell'Anonimo aveva trovato applicazione nell'originale, sia nei pensieri che nella lingua, non per manchevolezze sue particola-ri, ma per le peculiaritá della lingua parlata in Lombardia in quel periodo, in cui «pochi leggevano e poco» e «dove non s'era mai parlata la lingua che s'adopera negli scritti», difetti. tuttavia, facilmente supera-bili con la completa riscrittura del testo. Significativamente. pero, Manzoni si trova costretto ad aggiungere una giustificazione al lettore. che Introduzione scritta nel 1821 non era pre-sente (non dimentichiamo che il romanzoé statogia interamentescritto...): Quanto alio stile, d'una sola cosa crediamo dovere avvertire il benigno lettore. Egli vedra che noi abbiamo conservat non solo nei dialoghi. ma anche nel racconto vocaboli. modi proverbiali, frasi assolutamente Lombarde. Su di che, ecco la nostra scusa. la quale noi desideriamo che sia pigliata in conto di buona ragione. Le frasi di questo genere che si troveranno sparse in questi volumi, benché usitate soltanto in questa parte d'ltalia. si fanno intendere a prima giunta ad ogni lettore italiano. Se noi avessimo conosciute frasi dello stesso valore le quali fossero non solo intelligibili. ma adoperate negli scritti e nei discorsi per tutta Italia, certamente le avremmo preferite, sagrificando di buona voglia 1'imita-zione d'una veritá locale alia purezza della lingua; persuasi come siamo che quel primo vantaggio sia da trascurarsi. anzi non sia vantaggio quan-do non si possa conciliate col secondo. Alle accuse, mosse dal fittizio interlocutore. sull'incoerenza di una tale giustificazione, Manzoni replica da un lato dichiarando che «le ragioni son troppe», che per ben rispondere «ci bisognerebbe un libro = e il cortese censore, sara d'accordo con me che di libri uno per volta ě suf-ficiente, quando non ě troppo». dall'altro dichiarando la sua sconfitta, con parole di cruda veritá: Scrivo male - e si perdoni all'autore che egli parli di sé: e un privilegio delle prefazioni, un picciolo e lioppo giusto sfogo concesso alia vanitá di chi ha fatto un libro - scrivo male a mio dispetto; e se conoscessi il modo di scriver bene, non lascerei certo di porlo in opera. I doni dell'ingegno. non si acquistano, come lo indica il loro nome stesso: ma tutto ció che lo studio, che la diligenza possono dare, non istarebbe certamente per me ch'io non lo acquistassi. Che cosa poi significhi scriver bene non credo che alcuno possa definirlo in poche parole, e per me. anche con moltissi-me non ne verrei a capo. (Ferino e Lucia, Introduzione) 470 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 456 LeTreCoronee la cultura dell'Otto cento La definizione dello scrivere bene e una delle piu belle dichiarazioni di fedelta a quel «vero» che, dal Carme in morte di Carlo Imbonati, e al centro delle riflessioni manzoniane, ma b anche un diagramma lingui-stico di cio che la lingua italiana, costruita dai Promessisposi, e riuscita a realizzare in un secolo di lettori e commentatori: Un Vrxabolario «condato in modo da non lasdarlo vedere» e lo spoglio dei testi toscani Se in Italia vi sia una lingua che abbia questa condizione, ě una quistione su la quale non ardisco dire il mio parere. E ben certo che v'ha molte lin-gue particolari a diverse parti ďltalia. che in una sfera molto ristrctta d'i-dee certamente. ma hanno quell'universalita e quella puritá. Io per me. ne conosco una. nella quale ardirei promet term i di parlare negli argomenti ai quali essa arriva. tanto da stancare il piú pazicntc uditore, senza proferirc un barbarismo: e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo che scappasse altrui = e questa lingua, senza vantarmi. ě la milanese. Ma. se vi sia una lingua universale che abbia queste condizioni. ě come ripeto una questione su la quale sentiró sempře con molta curiosita e con molta at-tenzione il parere altrui. (Fermo e Lucia. Introduzione) Ma questa fase. che potremmo definire «milanese-toscana», in cui Manzoni giustifica la possibility di una lingua che possa accogliere tutte le forme regionali - e soprattutto quelle milanesi - purché siano com-prese da tutti i lettori, documentata da un grande numero di locuzioni analogiche lombardo-toscane presenti nel testo del primo tomo (soprattutto dei primi cinque capitoli), viene presto superata dalla maggiore le-gittimita data al toscano. con una correzione - apposta da Manzoni (e che cadrá nella versione a stampa) in una fase tarda della revisione del testo - che vale la pena di leggere integralmente: Ve n"ha un'altra in Italia, incomparabilmcnte piu bella. phi ricca di questa. e di tutte le altre, e piú adattata e che ha materiali per esprimere idee piu generali etc. ed ě, come ognun sa la toscana. Se poi anche questa lingua, la quale, fino ad una certa epoca bastava ad esprimere le idee piu elevate etc. era al livello delle cognizioni europee. lo sia ancora, se possa som min i st rare frasi proprie alle idee che si concepiscono ora, se abbia avuto libri sempře pari alle cognizioni, se abbia seguito il corso delle idee, ě un'altra quistione su la quale non ardisco dire il mio parere. (Fermo e Lucia, Introduzione II. c. 6r) Una dichiarazione in favore del toscano, che costituisce il versante teorico del lavoro di documentazione. svolto contemporaneamente alia revisione, sulle fonti che gli potevano testimoniare - nell'impossibi-1 it a di recarsi personalmente in loco - l'uso toscano: vocabolari e testi in lingua. Lo studio dei vocabolari - in particolare del Vocabolario della Cru-sca - che egli annota nell'edizione del 1806. quella «veronese» curata da Antonio Cesari, e del Vocabolario milanese-italiano del Cherubíni (pubblicato nel 1816), era iniziato probabilmente gia durante la stesura del Fermo e Lucia, ma continua assiduamente durante tutto il periodo di riscrittura del testo fino a quando la fase milanese-toscana viene su- Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 457 perata dalla maggiore legittimitä del toscano nel fornire una lingua co-mune a tutti i parlanti. Nella lettura e annotazione del Vocabolario delta Crusca, e - paral-lelamente - del Cherubini, il principio seguito ě quello della chiarezza e dclla vicinanza a un uso concreto. Potremmo dire che, in questo senso, la lingua che Manzoni cerca ě I'esatto contrario della lingua «pellegri-na» e «vaga» teorizzata da Leopardi: lingua che si avvicinava alia poesia quanto piü si arricchiva di sfumature. di significati antichi o obsoleti. Per Manzoni la lingua ě, al contrario, forma espressiva di una realtä tan-gibile e concreta che deve essere comunicata al maggior numero di let-tori possibili nella forma piü chiara, e che deve corrispondere, nel modo piü diretto. a un idioma praticato, vivo, vero, e non sepolto nelle pieghe di una tradizione secolare, ma avulsa dalFuso. In questo senso sono estremamente interessanti i coimnenti apposti al Vocabolario della Crusca (pubblicati da Dante Isella come Postille), perché vagliano di ogni termine le possibili accezioni, selezionando solo quelle ancora in uso. oppure verificano, a volte con espressioni di vero e proprio giubilo, la corrispondenza di un termine o di una locuzione con il corrispondente lombardo. verificando cosi Tesistenza di una lingua comune, viva e vera. Quando il Vocabolario non lo soddisfa, per l'incongruenza delle de-finizioni. la loro indefinitezza, gli arcaismi, o per la mancanza di chiarezza sull'uso reale del vocabolo. Manzoni sopperisce con la lettura di-retta e la postillatura di testi toscani, in particolare di autoři fiorentini di tradizione soprattutto teatrale comica e popolareggiante. 10.3 La stampa del 1825-1827 e il viaggio a Firenze del 1827 Nonostante le numerose correzioni, alla fine del giugno 1824 Manzoni finisce di rivedere i primi dieci capitoli della Seconda minuta e la consegna a un copista che ne trae una bella copia da sottoporre alla Censura; copia su cui Manzoni - che non smette mai il lavoro di postillatura dei testi toscani e dei vocabolari - torna a lavorare per corregger-la e integrarla con ulteriori correzioni, portate fino sulle pagine dei fogli di torchio della tipografia Ferrario. II lavoro, ďora in poi, proseguira torno dopo torno, ma a blocchi, sempře con questa progressione: a. correzione del manoscritto. b. copia per i Censoři, c. correzioni sulla copia per la Censura e sulle bozze per la stampa. In questo modo. quando il torno I ě concluso e pronto per la stampa, Manzoni deve ancora rivedere parte del secondo, della Seconda minuta e tutto il terzo (e le decisioni linguistiche prese per il primo torno non po-tranno piú essere revocate). Prodigioso. se pensiamo allentitá della revi-sione. il lavoro compiuto negli ultimi mesi del 1823 e nel primo semestre del 1824, lavoro che permette al Ferrario, il 30 giugno 1824, di consegnare 472 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 458 LeTreCoronee la cultura dell'Otto cento al Regio Imperial Ufficio di Censura «il primo tomo del Romanzo storico del Signor Alessandro Manzoni intitolato Gli Sposi Promessi», che il 3 lu-glio viene restituito con l'approvazione dei Censoři. Nell'autunno successive tomato a Milano con Fauriel, Manzoni prosegue in parallelo la corre-zione del manoscritto del torno II e delle bozze del primo, tanto che il 3 no-vembre Fauriel, in partenza per Firenze, puó portare con sé il primo tomo stampato. La denominazione di «Ventisettana», per la stampa Ferrario, vale percio in senso estensivo, perché ě dal 1825 che possiamo considerare stampato e distribuito il primo tomo. La prima meta del 1825 viene impie-gata per la revisione del tomo II (dal XII capitolo al XXIV) che all'inizio di ottobre del 1825 ě giá stampato, mentre il 1826 ě tutto dedicato alia revisione del terzo tomo,piú lunga del previsto ancheper l'ampia rielaborazio-ne dei capitoli sulla peste, che impegnano Manzoni nell'autunno e inverno fino ai primi mesi del 1827: nel marzo, infatti, ě ancora alle prese con la revisione degli ultimi capitoli, che verranno stampati, concludendo l'imprc-sa, I'll giugno 1827. in mille copie, mentre, quasi contemporaneamente, grazie sempře all'intermediazione di Fauriel, Auguste Trognon completa la traduzione francese che porta la fama dei Promessisposi (questo il titolo scelto definitivamente) in tutta Europa, conquistando il giudizio entusiasta di molti letterati del tempo tra cui Goethe e Mary Shelley. In un mese e mezzo vengono vendute, nella sola Milano, tutte le co-pie della prima tiratura. e spuntano immediatamente ristampe in tutta Italia. Scrive la figlia Giulia a Fauriel: «Non ne resta piú nemíněno un esemplare da vendere. [...] Quesťopera ha davvero un successo inatte-so. - Ma i Librai sono molto negligenti. II libraio di Papá a Milano ha scritto ovunque che ne inviera alia prima richiesta. Ebbene! Da qualche parte si ě venduto, ma a Livorno per esempio. abbiamo trovato che tutti attendono questo libro con impazienza e i librai non ne hanno». Nel frattempo, infatti, Manzoni ě partito con tutta la famiglia per Firenze, viaggio determinante per venire in contatto direttamente con quella lingua toscana cercata nei dizionari e nei testi teatrali, e che dará avvio alia seconda revisione dei Promessi sposi. A Firenze. infatti, dove si fermerá fino alFottobre seguente, trova in due collaborator del-l'«Antologia» (Gaetano Cioni e Giovanni Battista Niccolini), due revi-sori d'eccezione, disponibili a leggere il romanzo integralmente e segna-lare tutti i luoghi in cui il testo differiva dalla lingua parlata. Sin dai primi riscontri con gli amici fiorentini, infatti, risulta chiaro che la lingua di quel testo cosi ammirato e apprezzato ě lontanissima da quella parlata a Firenze; e una lingua letteraria, costruita in quel labora-torio linguistico allestito tra via Morone e Brusuglio. tra Vocabolario della Crusca, Cherubíni e testi teatrali del Cinquecento, che non poteva-no restituire che forme cruschevoli ormai cadute in desuetudine. E risulta altrettanto chiaro che il modello del toscano letterario era piu lontano da una lingua viva di quello analogico del Fermo e Lucia, o di quello mi-lanese-toscano. Scrive al Grossi, il 17 settembre 1827 (quattro anni dopo avere messo la parola «fine» al Fermo e Lucia): il caro e bravo Cioni. dopo quel ch'io ti ho scritto ieri di lui. non trovando che bastasse il far cosi delle noterelle. mi s'e esibito di legger tutti i tre vo- 473 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 459 lumi insieme con me, e di far le correzioni a questo modo. Pensa s'io ho accettato; ma vcdi sc si puó esser piu gentile e piú pazientc, anzi diió co-raggioso di questo brav'uomo. il quale avra una bella faccenda a ripassar quei settantun foglio, in qualche quindici giorni che noi passeremo ancor qui. [...] Gli amici da salutare non li nomino, tu gli hai neiraltrc mie, e senza questo, li conosci, credo. Nomino pero Visconti. per pregarti di dirgli che mi scusi se non gli ho ancor risposto. che gli rispondo spesso col cuore. e prima di partire lo faro colla penna. Ma tu sai come sono occupato: ho settantun lenzuolo da risciaquare, e un'acqua come Arno, e lavandaie come Cioni e Niccolini. fuor di qui non le trovo in nessun luogo. Sara con Taiuto di questi revisori (Cioni si presta a postillare tutto il Vocabolario milanese-italiano del Cherubíni per sostituire alle espressioni italiane letterarie quelle del toscano vivo) e poi con il sup-porto di una govcrnantc fiorentina, Emilia Luti, assunta a servizio e spesso interpellata su questioni linguistiche, che Manzoni intraprende, con caparbieta e determinazione, la terza e ultima revisione del testo, che lo terra impegnato - con frequenti interruzioni dovute ai mali ner-vosi e alle riflessioni che nel frattempo erano scaturite dal lavoro sul romanzo, relativamente ai generi letterari e alle questioni linguistiche - per i successivi tredici anni. 11. La Nazione e la storia (1830-1848) AI grande successo, nazionale e internazionale (cui non corrisponde Luttifamiliari perö alcun introito economico, dal momento che non esisteva ancora il diritto d'autore), seguono anni di gravi lutti familiari: dopo pochi mesi dalla scomparsa di Enrichetta, nel giorno di Natale del 1833 (evento su cui. due anni dopo. Manzoni scriverä l'ultimo testo poetico, incompiu-to). muore la figlia Giulia, che aveva sposato Massimo d'Azeglio. II ma-trimonio con la vedova Teresa Borri Stampa, nel 1837, porta una mag-giore serenita, ma anche vari sconvolgimenti domestici, dato il carattere forte e volitivo della donna, poco incline a seguire le direttive della suo-cera Giulia Beccaria. La villa ereditata dal figliastro, Stefano Stampa, a Lesa, sul lago Maggiore, diventerä per Manzoni la sede di vari soggiorni estivi e lo avvicineia al teologo e filosofo Antonio Rosmini, che influen-zerä la sua produzione, dedicata, d'ora in poi, alia sola riflessione specu-lativa: storica e linguistica. Lo scoppio delle rivolte del 1848, che vede Milano impegnata in una Un Quarantotto a Lesa battaglia durissima nelle cinque giornate del 18-22 marzo, costringono Manzoni, che pur non avendo mai preso diretta posizione era un punto di riferimento per i mod antiaustriaci, a trasferirsi a Lesa. dove rimarrä fino al 1850. Nei moti viene coinvolto il figlio Filippo. incarcerate nelle prime giornate dei combattimenti. Al rifiuto di Manzoni di chiedere per lui la grazia segue invece la pubblicazione delle due odi civili. //proclaim di Rimini e Marzo 1821, risposta letteraria e civile agli spiriti patriot-tici che avevano infiammato il Lombardo-Veneto. Uesilio di Lesa per-mette a Manzoni di entrare in contatto con Rosmini, che giä nel 1823 474 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 461 rendere, per quanto puö, e il soggetto, e tutta l'azione. tanto verosimile relativamcnte al tempo incui e finta. che fosse potuta parer tale agli uo-mini di quel tempo, se il romanzo fosse stato scritto per loro. Ma (e qui e l'inconveniente comune al romanzo storico con tutte le specic di poesia che inventano sopra un tempo passato) e scritto per degli altri. Mettiamo pure, che all'autore sia riuscito di comporre un racconto che agli uomini di quel tempo sarebbe parso verosimile. Un tale effetto sarebbe allora venuto dal confronto spontaneo e immedia-to, tra il generale ideato dalTautore. e il reale ch'essi conoscevano per esperienza; mentre, per produrlo in uomini d'un altro tempo. l'autore e ridotto a cercar di supplire all'esperienza con l'informazione, e di met-tere, dirö cosi, in una sola composizione, l'originale e il ritratto. Non c'e il contrasto diretto tra il vero e il verosimile; e e senza dubbio un gran vantaggio; ma c'e ugualmente o la confusione dell'uno con l'altro. o la distinzione tra di essi. (Del romanzo storico e, in genere, de' com-ponimenti rnisti di storia e d'invenzione) Tra vero e verosimile. Manzoni finisce per scegliere il vero, e se il romanzo storico - che aveva spesso definito con gli appellativi riduttivi di «cantafavola», «libro di fandonie», «lungagnata» - non puö garantirlo, tanto vale seguire il solo vero, e raccontare la storia. E quello che farä nella rielaborazione della Storia della colonna infame, espunta - come abbiamo visto - dalla prima redazione, e riscritta prima per la stampa del 1827, come ha dimostrato Giulia Raboni, poi per la riedizione del 1840-1842. Nella chiusura della prima redazione della Colonna, infatti, la disil- La seconda redazione lusione sulle potenzialitä del romanzo era giä tutta esplicitata: della Colonna infame spero che tra voi pochissimi lettori, che mi siete rimasti fedeli, non vi sa-rä chi opponga al mio giusto lamento quella intollerabilc e tanto ripetuta sentenza: che i poeti non la guardano tanto per il sottile, che essi hanno il privilegio di approfittare di tutte le credenze, di tutte le tradizioni che servono alParte loro. senza esaminare seile sieno vere o false. II privilegio! II privilegio di ingannare, di confermare gli uomini nell'errore. (Storia della colonna infame, prima redazione) La revisione del 1840 di quest'appendice storica - consacrata all'ingiusto processo dell'estate 1630 terminato con la condanna a morte dei due presunti untori Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mo-ra - lo occupa fino alla conclusione della stampa del romanzo nel no-vembre 1842, attingendo sempre alle storie del Ripamonti, ma avva-lendosi anche di nuovi documenti inediti reperiti per dare maggiore sostanza storica al testo. Manzoni sottolinea in forma piü sentita la veridicita delle testimonianze dirette di cui giä il Verri si era servito, e in particolare delle memorie di don Giovanni Gaetano de Padilla, «fi-glio del comandante del castello di Milano. cavalier di sant'Iago, e ca-pitano di cavalleria; il quäle pote fare stampare le sue difese, e corre-darle d'un estratto del processo». Nonostante la dichiarata derivazione dalle Osservazioni, la ricostru-zione manzoniana ha un impianto autonomo, alternando alle citazioni 476 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 462 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento dirette della «copia manoscritta» le osservazioni dell'autore che, con maggiore liberta che nel ro-manzo. commenta i fatti narrati a volte con irónia, altre con umana partecipazione al tragico dcstino degli accusati, facendo emergere le re-sponsabilitä individuali dei giudici che avevano estorto le confessioni degli imputati a forza di in-dicibili torture, riservando un diverso trattamen-to ai piú abbienti (che finiscono assolti) e agli umili, come il barbiere Mora, che vengono con-dannati. Una condanna che si eleva a simbolo delle iniquitä a cui giunge ľuomo quando rifiuta di valutare la realtä secondo coscienza. La modernita della forma del libro-inchiesta verrä riconosciuta nel Novecento, in particolare da Leonardo Sciascia, che diťenderä il testo dalle accuse di Benedetto Croce di avere trascurato al-cuni dati storici importanti e occultato le torture imposte da Federigo Borromeo ad altri imputati, accusati di unzioni. La Rivoluzionefrancese La scelta definitiva per la storia e le vicende politiche legate alle pri-e quella italiana (1859) me due guerre di indipendenza portano Manzoni alia stesura di un sag-gio comparatřvo tra le due rivoluzioni. quella francese e quella italiana (non ancora conclusa). che verrä pubblicato. incompiuto. solo postumo, nel 1889. Con lo stesso metodo di indagine seguito per il romanzo, e una scrittura ormai linguisticamente assestata, vengono ricostruiti minuta-mente, attingendo a memorie e atti parlamentári, i primi mesi della rivoluzione del 1789, la cui analisi permette di comprendere tutti i fatti suc-cessivi fino alia dominazione napoleonica. per ricavare, da questa analisi comparativa, la Legittimazione della rivoluzione italiana e la condanna di quella francese e delle sue due principáli conseguenze: ľoppressione del paese sotto il nome di liberta: e la somma difficoltä di sostituire al Governo distrutto un altro Governo. che avesse, s'intende. le condizioni della durata. [...] Per ciô che riguarda l'ltalia, ě una cosa anche piu manifesta che la sua Rivoluzione non portó né ľuno. né ľal-tro di que' due tristissimi effetti. (La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del Í859. Saggio comparativo) Un'analisi storica che diventa presto un appassionato inno civile e politico, a quella liberta in nome della quale poteva essere considerato legit-timo-come era aceaduto in Italia - il rovesciamento di uno Stato oppres-sore: «non la libertä di nome. fatta consistere da aleuni nelľesclusione di una forma di Governo, cioě in un concetto meramente negativo, e che, per conseguenza, si risolve in un'incognita; ma la libertä davvero, che consiste nelľessere il cittadino, per mezzo di giuste leggi e di stabili istituzioni, as-sieurato, e contro violenze private, e contro ordini tirannici del potere, e nelľessere il potere stesso immune dal predominio di societa oligarchi-che, e non sopraffatto dalla pressura di turbe [pressura di ttirbe: pressione di masse militari], sia avventizie, sia arrolate» (dalYIntroduzione). Figura 5 Gli5posiPromessi,cop\a della Ventisettana con correzioní manoseritte della Quarantana. 477 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f1af-4eb1-8bef-dd06ff850bef.pdf A Libreria n m m. I ■ Alessandro Manzoni 463 12. Ľeterno lavoro: uno scrittore alla ricerca delia lingua Gli effetti delia «risciacquatura in Arno» sono riconducibili ad alcu- Correzioni ne linee correttorie precise, ehe fanno delia lingua delia Quarantana la delia Quarantana grammatica ďuso dello Stato unitario. Una volta riconosciuta ľesisten-za di diverse varianti di toscano, e scelta quella fiorentina, per il presti-gio storico garantito dalla sua tradizione letteraria, e con ľaiuto, come abbiamo visto, di revisori madrelingua, Manzoni lavóra direttamente su una copia di lavoro delia Ventisettana, ehe viene corretta a mano solo negli aspetti linguistici. Alcune correzioni sono sistematiche. e possono essere facilmente rintracciabili in un confronto tra le edizioni, censito, nelle varianti lessicali e sintattiche. da Giovanni Nencioni: la riduzione dei dittonghi discendenti nei dimostrativi e nelle preposi-zioni (qtioi > que\ nei > ne\ dei > de7, ai > o'); ľelisione vocalica con in-troduzione delľapostrofo (come e > come, ehe ě > ch'e, una abilitá > un'abilitá, ci erano > c'eran, si espone > s'espone ecc); ľapocope post-consonantica in combinazione sintagmatica (traserivere questa storia > íraseriver questa storia, abbiamo voluto > abbiam voluto, risolvono le quistioni > risolvon le questioni ecc); ľeliininazione delia d eufonica (ad ogni > a ogni) [...]; la riduzione dei dittongo tonico uô dopo consonante palatale (spagnuola > spagnola); la semplificazione di grafie etimologi-che {principu > principi, dubbii > dubbi): mutamenti ehe costituiscono quasi tutti adeguazione alľuso fiorentino. ma non sono stati tutti ac-cettati dal moderno uso nazionale. che per lo piü ha confermato lo sta-dio delia Ventisettana. Anchc sul piano grammaticale b unadesione alľuso fiorentino la sostituzione delia desinenza -a con la desinenza -o nella prima persona singulare delľimperfetto indicativo (ío diceva > dicevo); c questa opzione č stata poi accolta nelľuso nazionale. (Nencioni) Correzioni che, pur se mosse da una costante verifica con il parlato, non possono non peceare, in molti casi. di ipercorrettismo fiorentino, come riscontrerä uno degli studiosí piü celebri dei romanzo, Policarpo Pe-trocehi, il cui commento. ancora fondamentale sotto ľaspetto linguistico, vaglia le correzioni alla luce di una maggiore o minore patente di fiorenti-nismo. Vale la pena ricordare, tuttavia, ehe la forma linguistica assunta dalla Quarantana deve il suo successo anche e soprattutto al lavoro costante di de-letterarizzazione svolto da Manzoni su espressioni e locuzio-ni, ehe vengono regolarmente sostituite con le corrispondenti dei parlato. La sollecita e pragmatica fattivitä di Teresa Borri ě sieuramente Manzoni editore tra le spinte piü efficaci nei far decidere Manzoni, quando ormai. co- delia Quarantana: me abbiamo visto, il romanzo non era piü nel suo orizzonte ereativo, a le Vignette dare avvio alla ristampa dei 1839. Contribuiscono alla decisione anche problemi economici, e la delusione per le numerosissime ristampe delia prima edizione, tirate senza aleuna corresponsione di diritti alľautore. Calcolando la prima tiratura. di mille esemplari, e le quaranta edizioni «pirata». si puö valutare in 59.000 il numero totale di copie stampate. Nel progettare la nuova edizione. é proprio per non 478 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 464 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento incorrere negli stessi danni che Manzoni escogita quella che. in una lettera al cugino, consigliere del governo per l'istruzione pubblica, de-finisce una «speculazione», ma che si rivelera purtroppo un disastro finanziario: una pubblicazione a dispense, e con illustrazioni, per ren-dere la contraffazione impossibile ed estendere la lettura a un pubbli-co piu ampio e popolare. Per le «vignette», la cui posizione nel romanzo viene stabilita da Manzoni stesso con una oculata scelta di iiumagini e di distribuzione nel lesto, vengono assoldati i collaborator! della bottega di Francesco Gonin, celebre nella recente tecnica della litografia. in un lavoro che arricchisce il romanzo di elementi nuovi, solo recentemente utilizzati come chiave interpretativa del testo (Nigro e Alfano). ma che finisce per impoverire l'autore in uno dei piu famosi disastri editoriali della letteratura italiana. La prima tiratura, calcolata in 10.000 copie, anche per Falto compenso dovuto agli incisori (e per la concorrenza del libraio napoletano Nobile, che commercializza le stesse dispense, riprodotte litograficamente, a meta del prezzo di copertina), non verra assorbita che in meno della sua meta. lasciando la casa di via Morone piena di migliaia di esemplari rimasti invenduti. Una lingua nazionale: Se la questione della lingua e stata risolta, le riflessioni intorno ai Deil'unita della lingua problemi teorici sull'origine delle lingue, la loro unificazione e diffu-11868) sione, oggetto di studio dai tempi del (poi distrutto) libro sulla lingua, continuano ad affascinare Manzoni. ma - come abbiamo visto in altre circostanze, dalla lettera a M. Chauvet a quella al d'Azeglio sul Ro-manticismo. alia mancata lettera a Goethe sull'invenzione - la sua ri-flessione teorica procede da situazioni concrete e si sviluppa in un fe-condo dialogo con l'altro. Nel 1834. ad esempio, la stroncatura del Marco Visconti di Tommaso Grossi, accusato di avere introdotto nel testo (cosi come aveva fatto Manzoni con la Ventisettana) espressioni milanesi e lombarde incom-prensibili sul territorio nazionale, aveva sollecitato la stesura, inizial-mente a quattro mani, di un'articolata risposta in cui le espressioni milanesi incriminate venivano riscontrate in autori toscani per dimostrarne la vitalita e legittimarne I'uso sulla base di motivazioni «analogiche». Motivazioni che la nuova soluzione «fiorentina» destituisce di fonda-mento. affossando lo stesso trattato. Qualcosa di analogo accade dopo la fama conseguita con la Quarantana. Nominato senatore del Regno nel 1860, riconosciuto come uno degli ispiratori del Risorgimento nazionale, a capo della scuola cosiddetta «cat-tolico-liberale». nel 1862 Manzoni entra a far parte della Commissione per l'unificazione della lingua, i cui lavori confluiscono nella Relatione -scritta su invito del ministro per la Pubblica istruzione Emilio Broglio nel 1868 - deil'unita della lingua c dei mezzi per diffonderla. in cui ribadisce la scelta del fiorentino dell'uso contro il ricorso ai diversi dialetti d'ltalia che risulterebbero un ostacolo all'unificazione linguistica: Riconosciuta poi che fosse la necessita d'un tal mezzo. la scelta d'un idio-ma che possa servire al caso nostro. non potrebbe esser dubbia; anzi e fatta. Perche e appunto un fatto notabilissimo questo: che, non c'essendo 479 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 465 stala nell'Italia moderna una capitale che abbia potulo forzare in certo modo lc diverse province a adottare il suo idioma. pure il toscano, per la virtu d'alcuni scritti famosi al loro primo apparire, per la felice esposizio-ne di concetti piii comuni, che regna in molti altri. e resa facile da alcune qualita deiridioma medesimo. che non importa di specificar qui. abbia potuto essere accettato e proclamato per lingua comune dell'Italia. dare generalmente il suo nome (cosi avesse potuto dar la cosa) agli scritti di tutte le parti d'ltalia. alle prediche, ai discorsi pubblici, e anche privati. che non fossero espressi in nessun altro de' diversi idiomi d'ltalia. (DeU'unitd delta lingua e dei mezzi di diffonderla) Contrasti con una sezione della stessa commissione portano Manzoni alle dimissioni, ma rendono immediatamente operativa la sua solu-zione con la compilazione del Novo vocabolario della lingua italiana, pubblicato dal 1873 al 1897, curato dallo stesso Broglio. con la collabo-razione del genero Giovan Battista Giorgini. Gli ultimi anni trascorrono nella dimora di via Morone. resa quasi deserta dai tanti lutti (ultimo, quello della seconda moglie. Teresa, nel 1861). II vecchio Manzoni viene raggiunto dalla famiglia del figlio Pie-tro, e dedica i suoi studi all'opera di comparazione storica tra la rivolu-zione francese e quella italiana del 1859, oltre che appunto al lavoro sul-la lingua. Ha quasi novant'anni quando. nel gennaio 1873, a seguito di una caduta. le sue condizioni fisiche peggiorano in modo improvviso, turbando in modo profondo anche la sua serenita. ora minata da paure e stati di incoscienza. La morte lo raggiunge il 22 maggio. 480 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 466 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento bibliografia Edizioni Tutte le opere, a eura di Alberio Chiari e Fausto Ghisalberli. Mondadori, Milano. 1949-1991 «Classici Italiani» (voll. VII); Tulte le opere, a eura di Mario fvtartelli. premessa di Riccardo Bacchel-li. Sansoni, Firenze. 1973; Antológia manzoniana, a eura di Gianfranco Contini. Sansoni. Firenze. 1989; Edizione Nazionale ed Europea di Alessandro Manzoni, a eura del Centro Nazionalc di Studi Manzoniani (voll, pubblicati: Carteggio Manzoni-Faitriel, a eura di Irene Botta; Scritii linguistici (inediti ed editi), a eura di Angelo Stella e Maurizio Vitale; La rivoluzione francese del 1789 e la rivo-lazione italiana del 1859, Delľindipendenza dell'ltalia, a eura di Luca Danzi; De! romanzo storico, a eura di Silvia De Laude e Folco Portinari; Storia della colonna infame, a eura di Carla Riccardi; Postille (Filosofia). a eura di Donatella Martineiii; Carteggio Manzoni-Rosrnini, a eura di Luciano Malusa e Paolo De Lucia; // Conte di Carmagnola, a eura di Giuseppe Sandrini; Delľinvenzione, a eura di Massimo Castoldi: Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, a eura di Isabella Becherucci; Postille al Vocabolario della Crusca. a eura di Dante Isella: Carteggi famifiari, a eura di Mariella Goffredo ed Emanuela Sartorelli; Sal Romanticismo. a eura di Massimo Castoldi; Altri carteggi letterari, a eura di Serena Bcrtolucci c Giovanni Meda Riquicr; /Promessisposi (1840). a eura di Teresa Poggi Salani; Adelchi. a eura di Carlo Annoni; Inni sacri. a eura di Piei antonio Fra-re; Carteggi letterari. a eura di Gino Teilini. Si segnala la recente edizione dei Promessi sposi, coordinata da Francesco De Cristofaro. Riz-zoli. Milano. 2014. Per ľepistolario manzoniano vd. Tutte le lettere, a eura di Césare Arieti, con una aggiunta di lettere inedite o disperse, a eura di Dante Isella. Adelphi. Milano. 1986; per il carteggio (oltre ai singoli volumi delľEdizione Nazionale), cfr. Alessandro Manzoni Carteggio. a eura di Giovanni Sforza e Giuseppe Gallavresi. Hoepli, Milano, 1912 e 1921. Letture critiche Biografia manzoniano. Tra le monografie generali: Lanfranco Caketti. Manzoni, Ideologia e stile, Einaudi, Torino, 1983; Carlo Diomsoi it. Appunti sui moderní. Foscolo, Leopardi, Manzoni. il Mulino. Bologna. 1988; Angelo Stella, A. Manzoni. in Storia della letteratitra italiana. a eura di Enrico Malato, Salerno Editrice. Roma. 1988. vol. VII. 1998. pp. 605-725; Gino Tellini, A. Manzoni. Salerno Editrice, Roma, 2007. Saggi Ezio Raimondi, // romanzo senza idillio, Einaudi. Torino. 1974; Angelo Marchese, Come sono fatti i «Promessi sposi". Mondadori. Milano, 1986; Luca Toschi, La sala rossa. Biografií! dei Promessi sposi, Bollati Boringhieri, Torino. 1989; Ezio Raimondi. La dissimulazione romanzesca. Antropologia manzoniana, il Mulino. Bologna. 1990; Salvátore S. Niüro, La tabacchiera di Don Lisander. Einaudi. Torino, 1996; Vincenzo Di Benedetto, Guida ai Promessi sposi, Rizzoli, Milano. 1999; Daniela Brooi, // genere proscritto. Manzoni e la scelta del romanzo, Giardini. Pisa. 2005: Piekantonio Frare. La scrittura dell'inquietudine. Saggi su Alessandro Manzoni. Olschki, Firenze, 2006; «Questo matrimonio non s'ha da fare...". Lettlira de «1 Promessi sposi», coord i na-mento di Paola Fandella, a eura di Giuseppe Langella e Pierantonio Frare, Vita e Pensiero. Milano, 2005: Franco Suitner, / Promessi sposi: un'idea di romanzo, Carocci, Roma. 2012; Piek Antonio Frare, Leggere «Ipromessi sposi», il Mulino, Bologna. 2016. 481 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Alessandro Manzoni 467 Lingua e stile Giovanni G. Amoketti. Le postille di C. Fauriel ai "Promessi sposi», in «Revue des Etudes Ita-liennes», n.s., XXXII, 1-4, 1986, pp. 19-32; Idem, La parte del Visconti, in «Versants», 16, 1989. pp. 33-53; LlICA Serianni, Saggi di storia linguist tea italiana, Morano, Napoli, 1989; Giovanni Nencioni. La lingua di Manzoni. Avviamento alle prose manzoniane. il Mulino, Bologna. 1993; Giulia Rabo-Ni, Introduzione a Gli -Sposi Promessi». Seconda minuta, edizione critica a cura di Barbara Colli e Giulia Raboni, Milano, Casa del Manzoni. 2012; Angelo Stella, //piano di Lucia. Manzoni e altre voci lombarde, Cesati, Firenze, 1999; Luca Sekianni. La linguapoetica italiana. Crammatica e testi, Carocci. Roma, 2009 [i capitoli manzoniani]; Domenico De Robertis. Gli studi manzoniani, a cura di Isabella Becherucci, Franco Cesati. Firenze. 2014; Giulia Raboni. Come lavorava Manzoni, Carocci, Roma, 2017. 482 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 468 LeTreCoronee la cultura del l'Ot to cento i classici Promessi sposi LA STORIA DEL TESTO E LE EDIZIONI Solo da pochí anni, grazie a una ripresa degli studi manzoniani dovuta alia conclusione del ventennale lavoro sulľedizione critica del Fe^moeLucia diretta da Dante Isella, la nascita del piú celebre romanzo delia letteratura italiana é stata chiarita nelle sue dinamiche e fasi temporali, mettendo in luce alcuni aspetti delia sua poetica strettamente legáti alia modalita del comporre, ehe hanno portato a ridise-gnare il diagramma linguistico sopra analizzato, ma hanno anche permesso di riserivere la 'biografia' dei Promessi sposi sotto ľaspetto ereativo, e di concludere con una ben diversa immagine del 'come lavorava Manzoni'. II lungo arco di tempo necessario per giungere alia versione definitíva del romanzo ha sempre fat-to pensare, infatti, a un Manzoni incontentabile nella revisione linguistics e stilistica. La straordinaria felicitä creativa, che contraddist ngue le prime stesure delle opere manzoniane, é invece dimostrata dall'assenza di materiali preparatori di quelle prime stesure, la cui fatica é determinata invece, come abbiamo visto, dalla mole di testi storico-documentari necessari per una ricostruzione fededegna del contesto del tempo. Interrogato dal Tommaseo se avesse degli abbozzi del romanzo, schemi, elenchi di personaggi, battute di dialogo, Manzoni risponde che «non ha di bisogno per cose ruminate tanto nella mente. Poi sopra lavoro gli sopraggiunge bisogno di leggere altre cose, di sciorre altre questioni che incontra pervia». Questa affermazione - anche se rielaborata dalla testimonian-za, non sempre affidabile, di Tommaseo - ci dice che Manzoni non procede seguendo un percor-so giä segnato, ma trova la strada via via nell'atto stesso dello scrivere: «come se Manzoni passasse direttamente dalla scelta dell'argomento - a sua volta dettato piú da un nucleo riflessivo ed etico originario che da un'urgenza espressiva legata alia suggestione di un particolare soggetto, e dun-que ancora estremamente astratto - alia scrittura, senza ancora avere ben chiaro come distribuire la materia narrativa, tanto nella caratterizzazione dei personaggi quanto nel montaggio delle scene: dall'/ni/enfio aW'elocutio in sostanza, determinando e aggiustando la dispositio nel corso della scrittu-ra» (Raboni 2017). La forma linguístíca, per Manzoni, deve essere perfettamente aderente alia sostanza del discorso, e quando il quadro teorico muta, la forma deve mutare di conseguenza e il testo subisce il lungo, in-cessante, puntiglioso e perfino maniacale processo di correzione, per superare i «punti dí crisi». É ciô che accade nel romanzo quando si accorge, nell'ottobre 1823, che la lingua con cui ha scritto il Fer-mo e Lucia é lingua da laboratorio, costruita per analógia da un «composto indigesto»di milanese,to-scano, francese e persino latino, e deve essere radicalmente mutata. Oppure quando, tra Íl giugno e il luglio 1824, riscrive Ylntroduzione, dichiarando il fallimento di quel progetto: a quel «punto di crisi» corrisponde una nuova stesura, la riscrittura della Seconda minutá, che - dopo un primo tentativo di difesa del progetto linguistico milanese-toscano - vira decisamente verso ľapplicazione di un tosca-no letterario, ma ibresco, vocabo a*is:ico, di nuovo «da aboratorio». La pubb icazione integra e de la Seconda minuta, un testo in progress, che testimonia una «lingua in movimento» (Raboni), ha permesso di scandire in modo piú puntuale le varie tappe della revisione (si veda la Tavola 1), e di ripercorre-re, parallelamente, lo sviluppo del pensiero manzoniano e i vari «punti di crisi» che ne condizionano ľevoluzione. Come quello intervenuto alľaltezza del capitolo V, quando Manzoni tog lie ľíntroduzione («la seconda Introduzione rifatta da ultimo»), e la riscrive a parte, per giustificare teoricamente la scelta del toscano letterario. 483 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 469 Ultimo «punto di crisi», dopo la stampa del 1825-1827, il viaggio a Firenze, che mette Manzoni di fronte aH'artificiositá della lingua usata e lo porta a riadeguare la pratica alla teoria, la parola allldea, riscri-vendo, per la terza volta, tutto il těsto, e apportando, questa volta pero con 1'aiuto di parlanti in carne ed ossa, le correzioni che condurranno alla stampa definitiva del 1840-1842 e che Manzoni deposita su un esemplare di lavoro, cra custodito nella Sala Manzoniana della Biblioteca Braidense di Milano. Nonostante 1'edizione critica approntata da Chiari e Ghisalberti, sulla scorta degli studi di Barbi, per i Classici Mondadori, risalga alla metá degli anni Cinquanta, non ě ancora disponibile un'edizione critica definitiva, dato anche il complicato problema filologico relativo alla distribuzione del romanzo a fa-scicoli, ealla successiva rilegatura in volumi (unodiverso dalTaltro, perché risultati daH'assemblaggiodi fascicoli stampati in momenti diversi, e a volte corretti da Manzoni durante la stessa stampa). La scelta, coraggiosa ed economicamentě sfortunata, di Manzoni di farsi editore in proprio, adottando la soluzione dell'edizione popolare (a fascicoli econ le «vignette» del Gonin), fa dei Promessi sposi non solo il primo romanzo della letteratura italiana, ma anche il primo romanzo illustrato, rendendo il rap-porto testo/immagine una chiave di lettura imprescindibile dell'edizione Quarantana (Nigro). E infat-tí sulla base di una precisa «sceneggiatura» manoscritta (il cuí autografo ě depositato nella Biblioteca Braidense), recante 1'indicazione precisa del passo da commentare e il luogo in cui inserire llmmagine, pubblicata da Marino Parenti nel 1945, che Gonin e i suoi collaboratori approntano le immagini sulla base delle correzioni e dei suggerimenti di Manzoni (disposto tuttavia a riscrivere addirittura il těsto, se 1'impasto tra lingua e immagine non fosse stato armonioso). Sono molteplici i piani su cui Manzoni lavora, facendo della versione illustrata una sorta di romanzo iconografico parallelo: il primo piano ě costituito dalla scelta per le singole scene, dalla selezione del passo, e dal modo in cuí doveva essere illustrato, il secondo livello ě rappresentato invece dal punto di vista da cui viene traguardata la scéna (che moltiplica la focalizzazione giá presente nel romanzo). II terzo ě relativo alla collocazione delTimmagine nel těsto stesso. Uultimo piano é infine rappresentato dai rapporti di forza tra i personaggi, esemplificati dalla diversa grandezza tra le loro figuře (nelle immagini del capitolc I, qui riportate, la dimensione dei ritratti ě direttamente proporzionale al loro potere letterario: la figura di don Abbondio giganteggia su quella di don Rodrigo). In questa commistione di diversi piani visivi, Manzoni si rivela un sapiente regista, capace non solo di sele-zionare gli elementi piú utili a enfatizzare la funzione essenziale del těsto dí supporto alla memoria del lettore, ma anche di orchestrare immagini con piú scene rappresentate, in funzione sintetico-riepilogativa, preferendo la 'appresentazione delfazione alla descrizione. Molto efficace ě anche la scelta della gestualitá dei personaggi, su cui Manzoni indugía con puntuali indicazioni che interpre-tano (ma a volte enfatizzano, fino alla caricatura) il giudizio morale dell'autore, in grado, finalmente, di esprimere la propria valutazione della realtá rappresentata, ma - grazie alle immagini - giudicata per «come dovrebbe essere». Nella scelta delle illustrazioni del primo capitolo, ad esempio, la «regia» ě calibratissima. Ě stato notáto (Toschi) che le prime tre immagini, qui riprodotte, che rappresentano diverse inquadrature del ponte sull'Adda, non costituiscono un'illustrazione denotativa di quanto scritto nel romanzo, ma mostrano una «sfasatura» efanno si che Timmagine amplífichi, al rallentatore, la descrizione, per convergere poi dalTampiezza dello spazio esterno alla angusta prospettiva di don Abbondio, che nel percorrere «una di quelle stradette» si trova improvvisamentedi fronte due bravi, come un animalein trappola, impos-sibilitato alla fuga, con un effetto scenografico di maggiore sorpresa. II těsto segue Tedizione a eura di Angelo Stella, commentata da Teresa Poggi Salani, pubblicata nel 2013 dal Centro Nazionale Studi Manzoniani per \'Edizione Nazionaleed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni. 484 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 470 LeTreCoronee la cultura del ['Otto cento Bráno 1 L'introduzione del 1840 L'introduzione del romanzo ě orchestrata con un vera e proprio colpo di scéna. II testo co-mincia infatti con dueforti indicazioni «stranianti»: il corsivo, solitamente usato per le citazio-ni, e un linguaggio dificile e artificioso, marcato subito da una parola chiave, lontana dall'uso corrente: «Historia». Chi legge, pero, ě avvolto dalla sintassi convoluta e dalle metafoře ardi-te: la guerra (i «cadaveri», la «battaglia», le «spoglie»), la tela ricamata («l'ago finissimo», «i fili d'oro e di seta»), e infine la cosmogonia («Sole», «Lume», «Luna», «Stelle f\ss&, «Pianeti»), e segue - affidandosi all'ingegno e alio stile meraviglioso - le parole di colui che crede I'autore. Improvvisamente, pero, dopo la parola «accidenti» (che avrebbe dovuto introdurre la giu-stificazione filosofica del non avere voluto riportare i nomí e i luoghi originali), il pomposo scrittore barocco tace, e irrompe sulla scena il vera autore, commentando a voce alta I'inuti-litá del continuare a copiare - perché quello che si era appena letto era il «dilavato autografe" originále - un testo «dozzinale», «sguaiato», «scorretto». Le sue riflessioni, che proseguo-no in carattere tondo (quello con cui sará scritto tutto il romanzo, a eccezione delle grida, di nuovo in corsivo), lo portano a decidere di interrompere la copiatura, per evitare di perdere tempo con un testo «rozzo e insieme affettato», «ampolloso» e «stravagante», incapace di conquistare i lettori. Ma ě proprio pensando ai lettori che I'autore decide di non rinunciare del tutto a «una storia cosi bella», e invocando il solo principio estetico rímette mano all autografe e lo riscrive in:eramente. I due temi centrali, che avevano occupato le precedenti introduzioni al Fermo e Lucia, cioě la verosimiglianza della storia e la lingua usata per raccontarla, vengono puntjalmente analiz-zati, facendo dell'introduzione il diario di bordo del romanziere, che, mentre scrive, costrui-sce le giustifkazioni della propria scrittura. Nel controllo della veritá storica Manzoni svela il lungo lavorio sulle fonti; nell'anticipazione delle obiezioní linguistiche ipotizza quel trattato di lingua che, dopo quasi venticinque anni, era stato alia fine superato dal romanzo stesso, scritto per i propri «venticinque lettori*. L'Historia1 si pud veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, per-ehe togliendoli di mano gľanni suoi prigionieri, anzi giá fatti cadaueri2, li richia-ma in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia. Ma gl'illustri Campioni che in tal Arringo3 fanno messe di Palme e d'Allori, rapiscono solo che le sole spoglie pili sfarzose e brillanti, imbalsamando co' low inchiostri le Imprese de Prencipi e Potentati, e qualificati Personaggj, e trapontando colľago finissimo delľingegno i fili d'oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose. Pero alia mia debolezza non é lecito solleuarsi a taľargomenti, e sublimitá pericolose, con aggirarsi tra Labirinti de' Politici maneggj, et il rimbombo de' bel- 1. La prima delle illustrazioni prcscnta I'autoie nel suo studio, ed e la sua sedia di lavoro a corn-pone la prima leltera «L» del romanzo, con un immediato coinvolgimento del lettore nel labo-ratorio del «rifacitore» (I'autore sta leggendo, e compita con il dito indice). Historia: e significative che la prima parola del romanzo sia quella storia che poi decretera la fine del romanzo stesso; qui con gratia etimologicf; come tutta la prima se-zione deU'introduzione. che Manzoni immagina ricopiata direttamente dal «dilavato autografo». 2. Historia /.../, deffinire I...}, cadaueri [...J: tre marche linguistiche secentesche («h» etimolo-gica. raddoppiamenti. «u» per «v»). introdotte ex novo nella terza introduzione. che enfatizza la dislanza tra la lingua dell'Anonimo e quella «rifatla» dal I'autore, finoal successivo «hauendo hauuto nolitia». 3. Arringo: «campo di battaglia», e per metoni-mia la stessa battaglia. 485 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 472 LeTreCoronee la cultura dell'Otrocento si alla distesa per tutta l'opera. II buon secentista ha voluto sul principio mettere in mostra la sua virtü; ma poi, nel corso della narrazione. e talvolta per lunghi tratti, lo stile cammina ben piii naturale e piu piano. Si; ma com'e dozzinale! com'e sguaiato! com'e scorretto! Idiotismi lombardi a iosa, frasi della lingua adoperate a sproposito. grammatica arbitraria, periodi sganghcrati. E poi, qualche eleganza spagnola seminata qua e lä; e poi, ch"ě peggio, ne* luoghi piü terribili o piu pietosi della storia, a ogni occasione d'eccitar maraviglia1", o di far pensare, a tutti que' passi insomma che richiedono bensi un po" di rettorica, ma rettorica discreta, fine, di buon gusto, costui non manca mai di metterci di quella sua cosi fatta del proe-mio. E allora, accozzando. con un'abilita mirabile, le qualitä piii opposte, trova la maniera di riuscir rozzo insieme e affettato, nella stessa pagina, nello stesso periodo, nello stesso vocabolo. Ecco qui: declamazioni ampollose. composte a forza di solecismi" pedestri. e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'e il proprio ca-rattere degli scritti di quel secolo. in questo paese1-. In vero, non ě cosa da presen-tare a lettori d'oggigiorno: son troppo ammaliziati'\ troppo disgustati di questo genere di stravaganze. Meno male, che il buon pensiero m'ě venuto sul principio di questo sciagurato lavoro: e me ne lavo le mani. — Nell'atto perö di chiudere lo scartafaccio, per riporlo. mi sapeva male1"* che una storia cosi bella dovesse rimanersi tuttavia sconosciuta; perche. in quanto storia, puö essere che al lettore ne paia altrimenti, ma a me era parsa bella. come dico; molto bella. — Perchě non si potrebbe. pensai. prender la serie de' fatti da questo manoscritto, e rifarne la dicitura? — Non essendosi presentato alcuna obiezion ragionevole. il partito fu subito abbracciato. Ed ecco Torigine del presente libro, esposta con un'ingenuitä pari all'importanza del libro medesimo. Taluni perö di que' fatti, certi costumi descritti dal nostro autore, c"eran sem-brati cosi nuovi. cosi stráni, per non dir peggio. che. prima di prestargli fede, ab-biam voluto interrogare altri testimoni; e ci siam messi a frugar nelle memorie di quel tempo, per chiarirci se veramente il mondo camminasse allora a quel modo. Una tale indagine dissipö tutti i nostri dubbi: a ogni passo ci abbattevamo in cose consimili, e in cose piu fořti1'1: e, quello che ci parve piu decisivo, abbiam perlino ritrovati alcuni personaggi. de' quali non avendo mai avuto notizia fuor che dal nostro manoscritto, eravamo in dubbio se fossero realmente esistiti. E, allbccor-renza, citeremo alcuna di quelle testimonianze, per procacciar fede alle cose, alle quali. per la loro stranezza, il lettore sarebbe piü tentato di negarla. Ma, rifiutando come intollerabile la dicitura del nostro autore, che dicitura vi abbiam noi sostitui-ta? Qui sta il punto. Chiunque, senza esser pregato. s'intromette a rif ar l'opera al-trui, s'espone a rendere uno stretto conto della sua, e ne contrae in certo modo l'obbligazione: ě questa una regola di fatto e di diritto, alla quäle non pretendiam punto di sottrarci. Anzi, per conformarci ad essa di buon grado. avevam proposto di dar qui minutamente ragione del modo di scrivere da noi tenuto; e, a questo fine, siamo andati, per tutto il tempo del lavoro, cercando d'indovinare le critiche 10. eccitar maravigíia: ě il principále difetto, per Manzoni. della prosa seccntesca. clie condensa in sé la sollecilazione dei sensi e ľallonlanamento dal reale. 11. solecismi: «csprcssioni sgrammaticate». 12. in questo paese: in Lombardia. 13. ammaliziati: «smaliziati». ovvero dotali della malizia neccssaria per respingcre. 14. mi sapeva male: 'mi spiaceva'. 15. in cose piü forti: e la ricoslruzione, falta in prima persona dal narratore, del metodo di do-cumenlazione svolto sulle storie del Ripamonti, sulla cronaca della peste del Tadino e sulla Storia di Milano di Pietro Verri. In alcune di queste i personaggi storici si rivelano a Manzoni sotto una luce ancora piii torbida e sinistra. 487 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 473 possibili e contingenti, con intenzione di ribatterle tutte anticipatamente1*. Ně in questo sarebbe stata la difficoltá; giacchě (dobbiam dirlo a onor del vero) non ci si presentó alla mentě una critica, che non le venisse insieme una risposta trionfante. di queiie risposte che, non dico risolvon le questioni, ma le mutano. Spesso anche, mettendo due critiche alle maní17 tra loro, le facevam battere Tuna dall'altra; o. esaminandole ben a fondo. riscontrandole attentamente. riuscivamo a scopi ire e a mostrare che, cosi opposte in apparenza, eran pero ďuno stesso genere, nascevan tutťe due dal non badare ai fatti e ai principi su cui il giudizio doveva esser fonda-to; e, messele, con loro gran sorpresa, insieme, le mandavamo insieme a spasso'*. Non ci sarebbe mai stato autore che provasse cosi ad evidenza ďaver fatto bene. Ma che? quando siamo stati al punto di raccapezzar tutte le dette obiezioni e risposte, per disporle con qualche ordine, misericordia! venivano a fare un libro1". Veduta la qual cosa, abbiam messo da parte il pensiero, per due ragioni che il let-tore troverá certamente buone: la prima, che un libro impiegato a giustificarne un altro, anzi lo stile ďun altro, potrebbe parcr cosa ridicola: la seconda, che di libri bašta uno per volta, quando non ě ďavanzo1". 16. ribatterle tulte anticipatamente: č il metodo adoperalo oella Morale cattolica, e riproposlo per il Fermo e Lucia. 17. alle mani: in aperto scontro. 18. le mandavamo insieme a spasso: si annulla-vano a vicenda. e quindi alla fine non potevano scimuarsi 1'una con 1'altra. 19. un libro: si Iratta del lcggendario libro sulla lingua, in cui Manzoni doveva avere applicato alla letlera il metodo qui esposto: confronlo di tutte lc posizioni anchc diverse e rielaborazione dei conflitti in una sintesi superiore. 20. ďavanzo: di troppo, eccessivo. Bráno 2 Capitolo I Con una straordinaria capacitä registica - soprattutto se si pensa alla rapiditá di stesura dei primi due capitoli - Manzoni cattura ľattenzione del lettore, ponendolo al centra dello spa-zio geografico in cui ľintero romanzo sarä ambientato, e presentandolo prima con una visione dalľalto, che delinea la sagoma del lago e la strana configurazione orografka che lo caratterizza, poi - cambiando rapidamente il punto di vista, scendendo lungo i pendii, e rag-giungendo la valle-mettendo lo stesso lettorealcentro della visione («non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte»), facendo si che la deserizione venga interiorizzata e che il punto di vista, prima allargato e lontano, venga sempře di piú a rawicinarsí, fino alla presentazione di don Abbondio, protagonista assoluto dei primi due capitoli. Ma il capitolo non costituisce solo un'anticipazione del legame profondo tra II narratore e il paesaggio, che innerva tutto il romanzo (dove predominano le scéne alľaria aperta, piutto-sto che le rappresentazioni di interní), ma presenta tutti i temi che verranno poi sviluppati: il contesto storico (e la necessitä di citare le fonti per renderlo verosimile), la profondita di ana-lisi psicologica dei personaggi, il sopruso sui deboli, che si avvale della potenza rappresen-tata dalľuso della parola (la minaccia dei bravi a don Abbondio, divenuta presto proverbiale: «Questo matrimonio non s'ha da fare....»). Ě stato notáto ancora che in questo capitolo viene sperimentato il discorso direttotra i personaggi, con «scambi di battute che anticipano il futuro, complesso apparato conversativo del romanzo, con la sua varieta di tecniche dialogiche» (Bricchi), identiňcate da Petrocchi in quattro diversi «modi» del dialogo: ľeloquio di don Abbondio, che non verrá rnodifica-to dalle traversie, e rimarrá sempře identico (come il suo personaggio); la volgarita dei bravi 488 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 474 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento (che verrä ripresa dai monatti), la rude rappresentazione dei potenti (resa poi emblematica dall'incontro tra il conte Attilio e don Rodrigo), e la schietta vena popolaresca dei personag-gi minori (come Perpetua, che marca la differenza con il linguaggio di don Abbondio, come sarä poi per Agnese, Renzo, Tonio, ecc). Ancora convinto delle possibility Offerte alla lettera-tura di invadere e annettersi parti del territorio della storia, a fin di bene, quel bene supremo che orienta gli eventi, anche se le reazioni dei personaggi sembrano acqüescenti al male, Manzoni costruisce, per i venticinque lettori invocati alla fine del capitolo, una prova gene-rale di quella «simulazione di parlato» (Testa) che darä la misura dell'originalitä della lingua manzoniana, avendolo impegnato dal 1821 al 1840. Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno1, tra due catene non in-terrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte2, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor piü sensibile all'occhio questa trasfor-mazione. e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni'. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti4, scende appoggiata a due monti contigui. Tuno detto di san Martino, Paltro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talchč non e chi, al primo vederlo, purchě sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome piü oscuro e di forma piü comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate-\ secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. II lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, ě quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre. di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si pro-lungano su per la montagna. Lecco, la principále di quelle terre. e che da nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso. quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar cittä. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, giä considerabile, era anche un castello, e aveva perciö 1'onore d'alloggiare un comandante. e il vantaggio di possedere una stabile guar-nigione di soldáti spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito. a qualche 1. che volge a mezzogiorno: il ramo sud orient ale {mezzogiorno indica il sud) del lago, che guarda su Lecco. e die era stato il paesaggio dell'infanzia e giovinezza di Manzoni. nella villa del Caleotto ap-partenuta al padre; la descrizione (che nel Fermo e Lucia e molto piü parlicohresgiaLi}. giustifica l'af-fenna/ione (poi eassala) the - per la pai ticolarita orografica (catena di monti ininterrotti a picco sul lago. tramutatosi in fiume e alimentato da torrenti che hanno formalo la piamira ghiaiosa e fertile, da cui «terre». «ville», «casali») - i «bellissimi prospet-ti» che si vcdono lo rendono «uno dei paesi piü belli del mondo uno "spettacolo' da ogni parte». 2. ponte: ě il ponte che unisce le due rive del la-go/Adda. costruito da Azzone Visconti nel XIV secolo. 3. nuovi golfi... seni: rientranze di diversa gran-dezza. 4. dal depositu... torrenti: 1'accumulo dei detriti portati dai torrenti Gerenzone, Galdone e Bio-ne, che formano poi i laghetti di Pescarenico. Garlate e Olginate. 5. erte e in ispianate: 'stradě ripide e ampi spazi pianeggianti". 489 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 475 padre; e, sul finir delľestate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne. per dira-dar ľuve, e alleggerire a* contadini le fatiche delia vendemmia''. Dalľuna alľaltra di quelle terre. dalľalture alia riva. da un poggio alľaltro. correvano, e corrono tuttavia, stradě e stradette\ piú o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepol-te tra due muri. donde, alzando lo sguardo. non iscoprite* ehe un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti piú o meno estesi, ma riechi sempře e sempře qualcosa nuovi. secondo ehe i diversi punti piglian piú o meno delia vasta scéna circostante, e se-condo ehe questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicen-da. Dove un pezzo. dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specehio delľacqua; di qua lago. chiuso alľestremitä o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano piú allargato tra altri monti ehe si spiegano, a uno a uno. alio sguardo. e ehe ľacqua riflette capovolti. co' paesetti posti sulle rive; di lä braccio di fiume, poi lago. poi fiume ancora. ehe va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra' monti ehe ľaccompagnano, degra-dando via via, e perdendosi quasi anch'essi nelľorizzonte. II luogo stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte; il monte di cui pas-seggiate le falde, vi svolge, al di sopra, ďintorno, le sue cime e le balze, distinte, ri-levate. mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciô ehe vera sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciô ehe poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e ľameno, il domestico di quelle falde tempera grade-volmente il selvaggio. e orna vie piú il magnifico delľaltre vedute. 6.1'onore... vendemmia: la dominazione spagno-la (iniziata nel Ducalo di Milanonel 1535) e pre-sentata antifrasticamente (accarezzarc le spalte e Iraduzionc del milanese: «fregagh i spall a vun» ovvero 'bastonarlo'). 7. Dall'una... s'radetlc: dopo avere presentato l'ampia cornico del pausaggiu, la l'oealizzuzione si restringe alle stradette che congiungono un poggio alTaltro, fiancheggiate dagli alti muri die quasi impediscono la vista circostante. e che permettono al narratore di entrare nel vivo della storia. 8. iscopriie: ě la prima allocuzione ai «venlicin-que lettori», con cui il narratore inizia un dialogo intermittente. sempre comparteeipe. a volte giu-dicante; qui volto a condividere la straordinaria bellezza dei luoghi. lo «speltacolo» da «contem-plare». 490 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 476 LeTreCoronee la cultura del I'Ot to cento Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno7 novembre delPanno 1628. don Abbondio, curato ďuna delle terre accennate di sopra: il nome di questa, ně il casato del personaggio. non si tro-van nel manoscritto. ně a questo luogo ně altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio", e tatvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario. tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra. e, messa poi questa nell'altra dietro la schie-na, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso. e, girati oziosamente gli occhi all'intorno. li fissava alia parte d'un monte. dove la luce del sole giá scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e la sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuo-vo il breviario. e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e cosi fece anche quel giorno. Dopo la voltata"1, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alia cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe. serpeggianti. che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato. volevan dir fiam-me; e, alternate con le fiamme, cerťaltre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio11: anime e fiamme a color di mattone. sur un fon-do bigiognolo'% con qualche scalcinatura qua e lá. II curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito. lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'a-spettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro. al confluente, per dir cosi, delle due viottole: un di costoro. a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi. appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che. dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alia lor con-dizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'o-mero sinistro. terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un ta-schino degli ampi e gonfi calzoni, uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti": a prima vista si dáváno a conoscere per individui della specie de' bravi. 9. ufizio: le prcghiere da recitare net corso della giornata, raccolte nel breviario. 10. voltata: svolta. 11. purgatorio: la nolazione, apparentemente accessoria, ha invece una funzione prolettica. introducendo al leltore. con suspense, il «purga-torio» che, dopo ľinconlro con i bravi. attende don Abbondio. 12. bigiognolo: grigio-marrone. 13. Avevano entrambi... forbite e lucenti: una deserizione - «vera slampa del Scicento» (Russo) - che il iettore delľedizione del 1840 poteva confrontare punlualmenle con la vi-gnclla dclľincontro. abilmenle posticipata c che enfatiľ.iŕa gli strumenti delľoffesa: i bravi sono armati fino ai denti di pistole, polvere da sparo. collello e spadá (guardia: il guardiama-no, a protezione della mano nelľimpugnatura della spadá) e non lasciano dubbi sulle loro intenzioni. 491 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 477 Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e giä molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci autentici. che potran-no darne una bastante de' suoi caratteri principáli, degli sforzi fatti per ispegnerla. e della sua dura e rigogliosa vitalita'4. 14. chi non ne avesse... vitalita: e la prima di- che deve essere veiificato sulle fonli (squader-gressione storica, g in sl i fičal a dal dare al letto- nate. nelle pagine successive, con i document] re una «idea» piú precisa. un ^colore localc» origináli). Brano 3 Capitolo XIV, L'arringa di Renzo Nei capitoli dedicati all'avventura di Renzo a Milano, dalla seconda parte dell'XI al XVII capitolo, Manzoni mette a frutto la lettura dei romanzi picareschi che ritroviamo nella sua biblioteca, dal Don Chisciotte, fonte esplicita dell'espediente letterario del manoscritto ri-trovato, ai poemi eroicomici cinquecenteschi, compulsati anche per ragioni linguistiche. Schietto e impulsivo, genercso ma poco accorto, capace di riconoscere istintivamente la parte della veritä e della giustizia, ma del tutto indifeso dalle astuzie e dai raggiri, Renzo si ritrova nel bel mezzo della storia grande - come sarä per Fabrizio Del Dongo, il protagonista della stendhaliana Cerfosa di Parma {pubblicato nel 1839), che finirá per incontra-re sul campo di battaglia Napoleone in persona - nei tumulti che scoppiano a Milano a causa del rincaro del prezzo del pane dovuto alle prolungate carestie, che I'autore spiega dettagliatamente nel capitolo XI, lasciando ampio spazio alle ragioni socioeconomics che avrebbero provocato la rivolta. Nel capitolo XIV, qui antologizzato, ľassalto alia casa del vicarío si ě concluso con il suo salvamento ad opera del cancelliere Antonio Ferrer, re-sponsabile della tassa che, favorendo formalmente gli acquirenti, e senza risolvere il pro-blema del rincaro dei grani, gli aveva acquistato il favore popolare. La sua condotta, fina-lizzata a salvare il vicario dal linciaggio del popolo (con quella furia belluina cui Manzoni aveva assistito nel 1813, quando la folia si era lanciata contro il ministra Prina, massacran-dolo a morte), viene invece apprezzata da Renzo che si adopera per aiutare la carrozza a 492 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 478 LeTreCoronee la cultura del I'Ot to cento farsi largo («AI giovane montanaro invaghito di quella buona grazia, pareva quasi d'aver fatto amicizia con Antonio Ferrer», cap. XIII) e ehe, nell'apertura di questo capitolo non perde occasione per presentare la sua personále interpretazione dei fatti, ricordando le personali angherie nel giudizio sui potenti, distinguendo - con piu foga che sottigliezza - il diritto positivo e la sua applicazione («le gride ci sono, stampate, per gastigarli: e non giä gride senza costrutto; fatte benissimo, che noi non potremmo trovar niente di meg No; ci son nominate le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon gastigo*), ma interpretando íngenuamente i fatti alia luce del pregiudizio popolare («Si vede dunque chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birbo-ni fossero gastigatí; ma nor se ne fa nulla, perchě c'e una lega») e invocando una giusti-zia sommaria {«che faccian le cose conforme dicon le gride; e formare ur buon processo addosso a tutti quelli che hanno commesso di quelle bricconerie; e dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera») che ripaghi i soprusi personali in un riscatto collettivo. Non senza irónia, pur senza esplicitare il proprio punto di vista, I'autore presenta questa arringa come un compendio di giustizialismo secolare, mentre anticipa, con la parola chia-ve «galantuomo» (frequentemente usata nel romanzo a rappresentare sia gli onesti che i persecutori, ed emblema della variabilita delia lingua), le vicende che porteranno Renzo, di osteria in osteria, a rischiare I'arresto, al tradimento, alia fuga, e fmalmente alia salvezza in terra veneziana. A prova della loro funzione connotativa, le vignette che accompagnano I'avventura milane-sedi Renzo sonotutte caratterizzate da piú personaggi, e da un sapientegiocodichiaroscu-ri che anticipa, pur senza nominarli, gli eventi narrati. La folia rimasta indietro cominciô a sbandarsi. a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa. a accudire anche alle sue faccen-de; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta1; chi, in cerca ďamici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'anda-va facendo dalľaltro sbocco della strada, nella quale la gente restô abbastanza rada perchě quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alia casa del vicario2. Accosto a quella stava ancor condensato il fondac-cio\ per dir cosi, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenri d'una fine co-si fredda e cosi imperfetta ďun cosi grand'apparato. parte brontolavano, parte be-stemmiavano, parte tenevan consiglio. per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata4 alia meglio. Alľarrivar del drappello. tutti coloro chi diritto diritto. chi baloccandosi. e come a stento. se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldáti, che lo presero, e vi si po-starono, a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade del contorno crano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; la tutto un crocchio si moveva in- 1. Il capitolo conclude la giornata di San Mar-tino. iniziata nel XII (mattina). proseguita nel XIII (pomeriggio) e qui giunta alia sera. Stretta: 'calca'. 2. que! drappello... vicario: dopo l'irraziona-lita della folia in tumulto, i soldati spagnoli sembrano rappresentare un ordine fittizio ed esterno. agevolato dagli insorti. tornati 'uma-ni' e ricondotti dal narratore allc loro faccende domestiche. 3. fondaccio: la feccia: ě la traduzione italiana del milanesc: «fond» (Clicrubini). 4. appuntellata: "rimessa ai curdini dopo leffra-zione'. 493 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 479 sieme: era come quella nuvolaglia che talvolta rimane sparsa, e gira per l'azzurro del cielo. dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in su: questo tempo non e ri-messo bene5. Pensate poi che babilonia di discorsi''. Chi raccontava con enfasi i ca-si particolari che aveva visti; chi raccontava cio che lui stesso aveva fatto; chi si ral-legrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrer, e pronosticava guai seri per il vicario; chi, sghignazzando. diceva: «non abbiate paura, che non Tammazzeranno: il lupo non mangia la came del lupo;»7 chi piu stizzosamente mormorava che non s eran fatte le cose a dovere, ch'era un inganno, e ch'era stata una pazzia il far tan-to chiasso, per lasciarsi poi canzonare in quella maniera. Intanto il sole era andato sottos, le cose diventavan tutte d'un colore; e molti. stanchi della giornata e annoiati di ciarlare al buio, tornavano verso casa. II nostro giovine, dopo avere aiutato il passaggio della carrozza, finche c'era stato bisogno d'aiuto. e esser passato anche lui dietro a quella, tra le file de' soldati. come in trionfo, si rallegro quando la vide correr liberamente, e fuor di pericolo; fece un po' di strada con la folia, e n'usci. alia prima cantonata, per respirare anche lui un po' liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al largo, in mezzo all'agitazione di tanti sentimenti. di tante immagini, recenti e confuse, sent! un gran bisogno di mangia-re e di riposarsi; e comincid a guardare in su, da una parte e dall'altra. cercando un'insegna d'osteria; giacche. per andare al convento de' cappuccini, era troppo tardi. Camminando cosi con la testa per aria'1, si trovo a ridosso a un crocchio; e 5. come quella nuvolaglia... bene: nella metafora «la dinamica dei fenoméni naturali si fa cifra ďun disordine umano» (Raimondi). e introduce, con il personaggio fittizio. un punto di vista che é portaloie di saggezza popolare, ma anche pro-Icttico delle vicende che scguiranno. 6. che babilonia tli discorsi: I'allocuzione ai let-tori presuppone un linguaggio colloquiale. che sostituisce il rilcvato (e lcttcraiio. «parlamento» é dantismo da Inf. III. 22): «Quivi era un vario, confuso e mutaliile parlamento». 7. il lupo non mangia la came del lupo: é la traduzione del proverbio milanese «can ne mangia can» (Cherubini), ma é anche la con-clusione beffarda e terribile della giornata di rivolta. che I'ultima voce riportata esplicita in tutta ľamara veritä (che qui ľaulore non riesce a dissimulare). 8. era andato solto: unaltra locuzionc tradotta dal milanese: «andá gió», per "tramontare'. non passata al setaccio della i isciacquatura perché di immediata comprensione. 9. con la testa per aria: é nuovamente un innesto del narratore. prolettico della vicenda. Dice al lettore di uno stalo ďanimo esaltato. confuso. borioso, da cui non potranno venire che guai. La vignetta costruisce la scéna diacronicamente, con-densando vari momenli della narrazione (sulla dc-stra. con gestualitá speculare a quella esagitata di Renzo. ľascoltatore cittadino che si allontana dal «montanaro» con aria di sufficienza), e sullo sfon-do. nascosto tra gli astanti.il traditore delľosteria. 494 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 480 LeTreCoronee la cultura del l'Ot to cento fermatosi, sentí che vi discorrevan di congetture, di disegni, per il giorno dopo. Stato un momento a sentire, non potě tenersi di non dire anche lui la sua; parendo-gli che potesse senza presunzione pioporie qualche cosa chi aveva fatto tanto10. E persuaso, per tutto ciö che aveva visto in quel giorno, che ormai, per mandare a ef-fetto una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade, «signori miei!» gridö, in tono d'esordio": «devo dire anch'io il mio debol parere? II mio debol parere ě questo: che non ě solamente nell'affare del pane che si fanno delle bricconerie: e giacchě oggi s'ě visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel che ě giusto; bisogna andar avanti cosi, fin che non si sia messo rimedio a tutte quelle altre scelleratezze. e che il mondo vada un po' piü da cristiani. Non ě vero, signori miei, che c'e una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una piü grossa del solito, camminano con la testa piü alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? Giä anche in Milano ce ne dev'essere la sua parte». «Pur troppo». disse una voce. «Lo dicevo io.» riprese Renzo: «giä le storie si raccontano anche da noi. E poi la cosa parla da sě. Mettiamo, per esempio, che qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' in campagna. un po* in Milano: se ě un diavolo lä, non vorrä esser un angiolo qui; mi pare. Dunque mi dicano un poco, signori miei. se hanno mai visto uno di questi col muso all'inferriata}2. E quel che ě peggio (e questo lo posso dir io di sicuro), ě che le gride ci sono, stampate, per gastigarli: c non giä gride senza co-strutto: fatte benissimo, che noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nomi-nate le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon ga-stigo. E dice: sia chi si sia, vili e plebei, e che so io. Ora, andate a dire ai dottori, scri-bi e farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che canta la grida: vi dänno retta come il papa ai furfantP: cose da far girare il cervello a qualunque galantuomo14. Si vede dunque chiaramente che il re, e quelli che comandano. vorrebbero che i birbo-ni fossero gastigati; ma non se ne fa nulla, perchě c'e una lega15. Dunque bisogna romperla; bisogna andar domattina da Ferrer, che quello ě un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'ě potuto vedere com'era contento di trovarsi con la pověra gente, e come cercava di sentir le ragioni che gli venivan dette, e rispon-deva con buona grazia. Bisogna andar da Ferrer, e dirgli come stanno le cose; e io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle: che ho visto io, co' miei 10. chi aveva fatto tanto: k argomentazioni di Renzo sono. significativamentc. ancoratc alla realtä effettuale: non parla chi ha qualcosa da dire, ma chi ha fatto (o subho. come si vedrä dalla perso-nalizzazione dcll'aninga di queslo improvvisato oratoře) qualcosa che gli dá diritto di parlare. 11. gridö, in tono di esordio: Manzoni ironizza sulle abilitä delľimprovvisalo oratoře, menzio-nando Ve.xnrdium. il primo dei momenti del di-scorso secondo lc distinzioni dell'oratoria clas-sica (e anche la prima sezione della predica). 12. col muso all'inferriata: un'altra espressione milanese («andä conl el muson a la ferrada»). tradolla in italiano, ma conservata (e che Manzoni segnala con il corsivo). perché di significato trasparente {anche se non di uso fiorentino). 13. come il papa ai furfanti: un'altra espressione popolare milanesc, chc Manzoni aveva lctto nella traduzione de\V inferno del Porta: «la ghe dá a trá come el pappa ai scrocch». La parola di Rcnzo ě ingenua. diretla. verosimile. 14. galantuomo: ě. in questo capitolo (e nel siste-ma assiologico di Renzo). parola chiave e mul-tifunzione (ripetuta piii avanli in riferimenlo a Ferrer: «quello ě un galantuomo" e alľoste: «é mio amico. e galantuomo»). 15. perchě c'e una lega: il 'comploltismo' di Rcnzo - da cui sono esclusi i «principi e potentate -ne svcla nuovamente ľignoiantc e semplificante ingeniiilá: ľespressione. comt; molie altre della Quaranlana. ě diventata pioverbiale. 495 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 482 LeTreCoronee la cultura dell'Otto cento «Chi ě di questi bravi signoři che voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dorm ire da povero fig!iuolo?:i» disse Renzo. «Son qui io a servirvi, quel bravo giovine», disse uno. che aveva ascoltata at-tentamente la predica, e non aveva detto ancor nulla. «Conosco appunto un'o-steria che fara al caso vostro; e vi raccomanderó al padrone, che ě mio amico, e galantuomo». 23. da povero figliuolo: "alia buona». Manzoni modo spiccio». e. detto da un nobile. «alla ma-suggerisce al traduttore francese le sue espres- nicra borghese». sioni: «sans facon. bourgeoisement», cioě «in Bráno 4 Capitolo XXV, II cardinale e don Abbondio l_'Íncontro tra il cardinale e don Abbondio ě una messa in scéna delle diverse immagini del-la Chiesa, che Manzoni vuole rappresentare in tutte le sue sfaccettature, ne le diverse formě della sua umana incarnazione del progetto divino. Ma mentre il lettore si attende una solen-ne reprimenda da parte del cardinale (o, per 1'empatia che il personaggio ci don Abbondio ha sempře sollecitato, spera che lafatidica frase-«signor curato; perchě non avetevoi unita in matrimonio quella pověra Lucia col suo promesso sposo?» - non venga mai pronunciata), Manzoni contrappone con abilítá retorica le argomentazioni giuridico-canoniche del cardinale alle circonlocuzioni causidiche del curato (enfatizzate nel passaggio dal Ferino e Lucia ai Promessi sposi): «Alla paura balbettante di don Abbondio il cardinale risponde evocando la storia millenaria della Chiesa e dei suoi martiri. Manzoni contrappone al buio della paura 1'epifania luminosa del sacrificio per la fede. La requisitoria durissima del cardinale si sviluppa su una série di domande che inchiodano il parroco alle sue responsabilitá di pastore di ani-me nel mondo stravolto dalla violenza» (De Cristofaro). La sequenza delle immagini progettate da Manzoni ě particolarmente efficace e significativa della funzione di enfa:izzazione e riepilogo icastico che le vignette rappresentano nella sce-neggiatura. Da una visione a campo lungo, in cul il curato ě rappresentato solo, dando le spalle al trionfo della processione del cardinale con la croce di Cristo, cui rifiuta di tributare omaggio (qui e in seguito si riportano le didascalie che accompagnano le vignette: «si vclse indispettito, e borbottando tuttavia, etc.» [Fuga di case contadinesche, ornáte come nella descrizione, con ci-ma, areo trionfale: al di fuori la turba col cardinale in mezzo, al di dentro del villaggio, D. Abb. solo che torna indispettito.]», si passa alla rappresentazione a figura piena - (a commento della fra- 497 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 483 se: «usci tutto contento etc. (D. Abb. solo che si frega le mani)» - ancora piu isolata e sgradevole per la meschina contentezza di essere riuscito a evitare il rimprovero del cardinale. La terza immagine presenta invece i due personaggi uno di fronte all'altro, e riassume il tono del dialogo in una icastica raffigurazione della loro gestualita, enfatizzata anche nelle indicazioni date al Gonin («Gonin. «sotto pena della vita etc. — E vi pare codesta una ragion bastante.»): don Abbondio, contrassegnato dal sirnbolico nero della tonaca, chiude le mani in segno di lacrimevo-le supplica, mentre il cardinale, il cui rosso porpora vlene reso cromaticamente da sapienti sfu-mature piu chiare, riassume in se con il doppio gesto delle mani il giudizio dell'indice puntato e laccoglienza della mano sinistra, gia protesa in una specie di abbraccio. Ma e la scena finale, con I'immagine del falco/cardinale che tiene tra gli artigli il pulcino/don Abbondio, portandolo in una «regione sconosciuta» - («Finale del Cap. 25. Come un pulcino negli artigli del falco.») - che conclude con un effetto icastico e riassuntivo il capitolo, ma, con sapiente entrelacement, proiet-ta il lettore in quello successivo, aperto nell'intestazione daH'immagine di un rapace che si libra al volo su due colombe, e quella di don Abbondio a capo chino, che resta «senza batter parola». In nota si riportano alcune varianti della Ventisettana (V). Intanto. il cardinale veniva visitando. a una per giorno. le parrocchie del territo-rio di Lecco. II giorno in cui doveva anivare a quella di Lucia, gia una gran parte degli abitanti erano andati1 sulla strada a incontrarlo. AU'entrata del paese. proprio accanto alia casetta delle nostre due donne, c'era un arco trionfale, costrutto di sti-li per il ritto, e di pali per il traverso, rivestito di paglia e di borraccina, e ornato di rami verdi di pugnitopo e d'agrifoglio, distinti di bacche scarlatte:; la facciata della chiesa era parata di tappezzerie'; al davanzale dbgni finestra pendevano coperte e lenzoli distesi, fasce di bambini disposte a guisa di pendoni4; tutto quel poco neces-sario che fosse atto a fare, o bene o male, figura di superfluo. Verso le ventidue\ ch'era l'ora in cui s'aspettava il cardinale, quelli ch eran rimasti in casa, vecchi. donne e fanciulli la piu parte, s'avviarono anche loro a incontrarlo. parte in fila, parte in truppa\ preceduti da don Abbondio. uggioso in mezzo a tanta festa, e per il fra-casso che lo sbalordiva7, e per il brulicar della gente innanzi e indietro, che. come andava ripetendo. gli faceva girar la testa, e per il rodio* segreto che le donne aves-ser potuto cicalare, e dovesse toccargli a render conto del matrimonio. Quand'ecco si vede spuntare il cardinale, o per dir meglio, la turba in mezzo a cui si trovava nella sua lettiga. col suo seguito d'intorno; perche di tutto questo non si vedeva altro che un indizio in aria, al di sopra di tutte le teste, un pezzo della cro- 1. una gran parte... erano andeti: una concor-danza a senso. che questa volta coinvolge diret-tamente il nai ratore. 2. un areo trionfale... bacche scarlatle: Manzo-ni qui descrive gli addobhi die venivano apposli all'ingresso dei paesi e alle facciate delle chiese durante le feste: «un uso di cciimonia contadina giunto sino ai nostri giorni» (Raimondi). L'arco e sorretto da pali (stili) e attraversalo da travi, decorato, come fa notare il nariatore, esperto di botanica, con paglia e muschio (borraccina [in V «musco»] ě «borasger», la borragine adoperala, come ricorda il Cherubini. «in segno di aUegria»), e rami di pungitopo [in V «brusco»] e caprifoglio dalle rosse bacche. 3. tappezzerie: arazzi. 4. fasce... pendoni: le fasce per i neonali vengono utilizzate dai contadini per addobbare le case, a mo' di festoni. segno di una genuina partecipa-zione popolare all'evento. 5. le ventidue: le tre/quattro del pomeriggio. calcolando che lc ventiqualtio ore si battcvano mezz'ora dopo il tramonto. 6. in truppa: un altro dialeltalismo non toscaniz-zalo: «in troppa». in milanese. vuol dire 'a gruppi'. 7. sbalordiva: 'slordiva" (e in V «imbalordiva». Iraduzione ilaliana del dialeltale "imbalordi»). 8. rodio: rodimento conlinuo (per la paura che Agnese e Lucia possano rivelare la sua opposi-zione al malrimonio). 498 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 484 LeTreCoronee la cultura dell'Otto cento ce portata dal cappellano che cavalcava una mula". La gente che andava con don Abbondio, s'affretto alia rinfusa, a raggiunger quell'altra: e lui, dopo aver detto, tre e quattro volte: «adagio; in fila; cosa fate?» si volto indispettito: e seguitando a bor-bottare: «ě una babilonia, ě una babilonia"',» entró in chiesa, intanto ch'era vóta; e stette li ad aspettare. II cardinale veniva avanti, dando benedizioni con la mano, e ricevendone dalle bocche della gente, che quelli del seguito avevano un bel da fare a tenere un po' indietro. Per esser del paese di Lucia, avrebbe voluto quella gente fare all'arcive-scovo dimostrazioni straordinarie; ma la cosa non era facile, perchě era uso che, per tutto dove arrivava, tutti facevano piú che potevano. Gia sul principio stesso del suo pontificate nel primo solenne ingresso in duomo, la calca e Timpeto della gente addosso a lui era stato tale, da far temere della sua vita; e alcuni gentiluomi-ni che gli eran piu vicini, avevano sfoderate le spade, per atterrire e respinger la folia. Tanto e'era in que' costumi di scomposto e di violento. che. anche nel far dimostrazioni di benevolenza a un vescovo in chiesa. e nel moderarle, si dovesse an-dar vicino all'ammazzare. E quella difesa non sarebbe forse bastata, se il maestro e il sottomaestro delle cerimonie, un Clerici e un Picozzi. giovani preti che stavan bene di corpo e d'animo, non l'avessero alzato sulle braccia. e portato di peso, dal-la porta fino allaltar maggiore". D'allora in poi, in taňte visite episcopali ch'ebbe a fare, il primo entrar nella chiesa si puo senza scherzo contarlo tra le sue pastora-li fatiche. e qualche volta, tra i pericoli passati da lui. 9. non si vedeva... inula: e il punto di vista dal basso, sovente assunto da Manzoni. che - diver-samente dalla vulgata del «narratore onniscien-te» - muta prospeltiva a seconda delle esigenze narrative. 10. una babilonia: don Abbondio usa le espres-sioni del dialetto. dove «babilonia» vuol dire "confusione, lumulto", e anche 'cicaleccio confu-so' (ed era gia stato usato dal narratore nel capi-tolo XV, cfr. qui p. 479). 11. un Clerici e un Picozzi... ali'altar maggiore: Manzoni qui tcstimonia il «cos!umc» del tempo, derivando 1'aneddoto dalla Vita del Ri-vola (1656). che riprende alia letters, molto piu precisamente di quanto aveva ratio nel Fermo e Lucia (dove si parlava genericamente di «due preti tarchiati e giovani"). mostrando quel mag-gior scrupolo per le fonli e la verosimiglianza storica die avrebbe portato alia condanna del romanzo. 499 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 485 Entiô anche in questa come potě: andô alľaltare e, dopo essere stato alquanto in orazione. fece, secondo il suo solito, un piccol discorso1' al popolo, sul suo amore per loro, sul suo desiderio delia loro salvezza, e come dovessero disporsi alle funzioni del giorno dopo. Ritiratosi poi nella casa del parroco, tra gli altri discorsi, gli do-mandó informazione di Renzo. Don Abbondio disse ch'era un giovinc un po' vivo, un po' testardo, un po' collerico'1. Ma. a piú particolari e precise domande, dovette rispondere ch era un galantuomo14, e ehe anche lui non sapeva capire come, in Miláno, avesse potuto fare tutte quelle diavolerie ehe avevan detto. «In quanto alla giovine,» riprese il cardinale, «pare anche a voi ehe possa ora venir sieuramente a dimorare in casa sua?» «Per ora,» rispose don Abbondio, «puô venire e stare, come vuole: dico, per ora; ma,» soggiunse poi con un sospiro, «bisognerebbe ehe vossignoria illustrissi-ma fosse sempře qui, o almeno vicino.» «11 Signore ě sempře vicino.» disse il cardinale: «del resto, penserô io a metter-la al sicuro.» E diede subito ordine ehe, il giorno dopo. si spedisse di buon'ora la lettiga, con una scorta, a prender le due donne. Don Abbondio usci di li tutto contento che il cardinale gli avesse parlato de' due giovani, senza chiedergli conto del suo rifiuto di maritarli. — Dunque non sa niente, — diceva tra sě: — Agnese ě stata zitta: miracolo! E vero che s'hanno a tornare a vedere; ma le daremo un'altra istruzione, le daremo. — E non sapeva. il pover'uomo, che Federigo non era entrato in quelľargomento, appunto perchě in-tendeva di parlargliene a lungo, in tempo piú libero; e, prima di dargli ciô che gli era dovuto. voleva sentíre anche le sue ragioni. M a i pensieri del buon prelato per metter Lucia al sicuro eran divenuti inutili: dopo che ľaveva lasciata, eran nate delle cose, che dobbiamo raccontare15. 12. piccol discorso: traduce (antifraslicamente) la dantcsca «orazion picciola» di Ulissc (Inf. XXVI) e innalza il dellato rispetlo a V, dove il cardinale faceva «quattro parole agli astanti». 13. tin po' vivo, unpo' testardo, unpo' collerico: la presentazione di Renzo melte subito il curato sulle difensive: la prima parte del colloquio sara breve ed evasiva, ulile a meliere il peisonaggioprovviso-riamenle in salvo dalle reprimende del cardinale. ma anche a dilazionarc - con una sapienle lecnica narrativa - lo scioglimento della vicenda. 14. un galantuomo: per l'uso ambivalente di galantuomo, cfr. la nota 14, a p. 480. 15. che dobbiamo raecontare: e la lecnica della narrazione a incastro. che Manzoni ha appreso dalla letlura dei romanzi inglesi. in particolare di Scott, ma che riprende anche Ventrelacement dei poemi cavallereschi. Si apre, nella digressio-ne narrativa, un quadro di costume sulla dimora («casuccia») dei sai lo, che ha provvisoi iamenle ospitato Lucia e Agnese. dopo la liberazione. e. a conlrasto. la presentazione della «coppia 500 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 486 LeTreCoronee la cultura del I'Ot to cento Terminate le funzioni. don Abbondio, ch'era corso a vedere se Perpetua aveva ben disposto ogni cosa per il desinare. fu chiamato dal cardinale. Ando subito dal grand'ospite, il quale, lasciatolo venir vicino, «signor curato,» cominciô; e quelle parole furon dette in maniera, da dover capire, ch'erano il principio d'un discorso lungo e serio: «signor curato; perchě non avete voi unita in matrimonio quella povera Lucia col suo promesso sposo"'?» — Hanno votato il sacco17 stamattina coloro, — pensô don Abbondio; e rispose borbottando: «monsignore illustrissimo avrä ben sentito parlare degli scompigli che son nati in quelľaffare: ě stata una confusione tale, da non poter, neppure al giorno d'oggi, vederci chiaro: come anche vossignoria illustrissima puô argomen-tare da questo, che la giovine ě qui. dopo tanti accidenti, come per miracolo; e il giovine, dopo altri accidenti, non si sa dove sia.» «Domando,» riprese il cardinale, «se ě vero che, prima di tutti codesti casi, ab-biate rifiutato di celebrare il matrimonio, quando n'eravate richiesto, ncl giorno fissato; e il perchě.» «Veramente... se vossignoria illustrissima sapesse... che intimazioni... che coman-di terribili ho avuti di non parlare...» E restô 11 senza concludere, in un cerťatto, da far rispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione il voler saperne di piu. «Ma!» disse il cardinale. con voce e con aria grave fuor del consueto: «e il vo-stro vescovo che, per suo dôvere e per vostra giustificazione1", vuol saper da voi il perchě non abbiate fatto ciô che, nella via regolare, era obbligo vostro di fare.» «Monsignore,» disse don Abbondio, facendosi piccino piccino, «non ho giä voluto dire... Ma m'e parso che, essendo cose intralciate, cose vecchie e senza rime-dio. fosse inutile di rimestare... Pero. pero, dico... so che vossignoria illustrissima non vuol tradire un suo pověro parroco. Perchě vede bene, monsignore; vossignoria illustrissima non puô esser per tutto; e io resto qui esposto... Pero, quando Lei me lo comanda, diió. dirô tutto.» «Dite: io non vorrei altro che trovarvi senza colpa.» Allora don Abbondio si mise a raccontare la dolorosa storia; ma tacque il no-me principále, e vi sostitui: un gran signore; dando cosi alia prudenza tutto quel poco che si poteva. in una tale stretta. «E non avete avuto altro motivo?» domandô il cardinale, quando don Abbondio ebbe finito. «Ma forse non mi sono spiegato abbastanza,» rispose questo: «sotto pena delia vita, m'hanno intimato di non far quel matrimonio.» d'alto affaie»; don Ferrante e donna Prassede. che si offre spontaneamente (ma con la mira di allontanarc Lucia da quel «poco di buono») di ospitare la giovane. Volendo «secondare» i volcri del ciclo. ma prcndcndo «per cielo il suo cervello». 16, promesso sposo: e significativo die nel ro-manzo. il sintagma «promcsso sposo» sia pro-nunciato diretlamente dal cardinale (anche nel cap. XXIV), che certifica e suggella un'unione non ancora celcbrata. ma cementata dalla pro-messa che ciascuno dei due giovani ha fatto all'altro (e che si rivelera piii forte dello stesso voto di Lucia). 17. votato il sacco: il dialogo, che sarä un serrato inteiTogatorio in cui si contrsppongono due «si-stemi» e due linguaggi. e introdotlo dalla parlata colloquiale che don Abbondio ha con se stesso, a contrasto con i I «borbottio»confuso e reveren-ziale delle sue stentate risposte. 18. per suo dôvere e per vostra giustificazione: il narratore aveva giä presentato - scmpre sulla scorta delle fonti - il temperamente di Federigo, misericordioso. ma inflessibile: "Se qualche volta si m ostro severo. anzi brusco. fu co' pastori suoi subordinati che scoprisse rei davarizia o di negli-genza o d'altre tacce specialmente opposte alio spirito del loro nobile ministero» {cap. XXII). 501 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 487 «E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar ďadempire un dôvere preciso?» «Io ho sempre cercato di farlo, il mio dôvere, anche con mio grave incomodo. ma quando si tratta delia vita...» «E quando vi siete presentato alla Chiesa,» disse, con accento ancor piú grave1", Federigo. «per addossarvi codesto ministero, v'ha essa fatto sicurtä delia vitá? V'ha detto ehe i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, im-muni da ogni pericolo? O v'ha detto forse ehe dove cominciasse il pericolo, ivi ces-serebbe il dôvere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avverti-to ehe vi mandava come un agnello tra i lupi2"? Non sapevate voi ehe c'eran de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciô ehe a voi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e ľesempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne ľufizio, mise forse per condi-zione ďaver salva la vita? E per salvarla. per conservarla, dico, qualche giorno di piú sulla terra. a spese delia caritä e del dôvere, c'era bisogno delľunzione šanta, delľimposizion delle mani, delia grazia del sacerdozio? Bašta il mondo a dar que-sta virtú, a insegnar questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la ri-fiuta: il mondo fa anch'esso le sue leggi, che preserivono il male come il bene; ha il suo vangelo anch'esso. un vangelo di superbia e ďodio; e non vuol che si dica che ľamore delia vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole: ed é ubbidito. E noi! noi figli e annunziatori delia promessa! Che sarebbe la Chie-sa, se codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri confratelli? Dove sarebbe. se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?» Don Abbondio stáva a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli argomenti, come un puleino negli artigli del falco, che lo tengono sollevato in una regióne sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una čerta sommissione forzata: «monsignore illustrissimo. avrô torto. Quando la vita non si deve contare21, non so cosa mi dire. Ma quando s'ha che fare con čerta gente, con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragio- 19. con accento ancor piii grave: la determinazio-ne (paragonata allc didascalie Icatrali). introduce la vera e propria orazione del cardinale. che riassume, nella serie incalzante delle doniande. il «sistema» cattolico di Manzoni stesso. 20. come un agnello tra i lupi: riprende levange-lico «ecce ego mitto vos sicut agnos inter luposn (Luca, 10, 3). ripreso da Manzoni nella Morale calto/ica. i cui precetti sono condensati nella serie di interrogative del cardinale. 21. conlare: 'tenere in conto'. 502 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf 488 LeTreCoronee la cultura dell'Ottocento ni. anche a voler fare il bravo-, non saprei cosa ci si potesse guadagnare. Ě un signore quello. con cui non si puô ně vincerla ně impattarla23.» «E non sápete voi che il soffrire per la giustizia ě il nostro vincere? E se non sápete questo. che cosa predicate? di che siete maestro? qual ě la buona mtova che annunziate a' poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sará domandato. un giorno, se abbiate saputo fare staré a dovere i potenti; che a questo non vi fu dato ně missione, ně modo. Ma vi sara bcn domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ció che v'era prescritto, anche quando avessero la temerita di proibirvelo.» — Anche questi santi son curiosi. — pensava intanto don Abbondio: — in so-stanza, a spremerne il sugo. gli stanno piú a cuore gli amori di due giovani. che la vita ďun pověro sacerdote. — E, in quanťa lui, si sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse li; ma vedeva il cardinale. a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta: una confessione, o un'apologia, qualcosa in somma. «Torno a dire, monsignore,» rispose dunque, «che avró torto io... II coraggio. uno non se lo puó dare24». «E perchě25 dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di staré in guerra con le passioni del secolo? Ma come, vi diró piuttosto, come non pensate che, se in codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v'ě ne-cessario il coraggio. per adempir le vostre obbligazioni, c e Chi ve lo dará infalli-bilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que' milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? che non facessero naturalmente nessun conto 22. bravo: 'coraggioso'. ma qui con un inevitabile cortocircuito con «bravi». piuttosto 'smargiassľ chc 'valorosi'. 23. É un signore... impauarla: la morale di don Abbondio costruisce. nel dialogo con il cardinale. ľimpalcatura dci ľroniessi sposi come «romanzo dei rapporli di foi7,a» e il curato sembra conclude-re con ľamaia constalazione di Adelchi che «una feroce / forza il mondo possiede. e fa nomarsi dritto». ma qui espressa con la rudezza (e ľimper-linenza) delia paura. e con le esprcssioni vive. di nuovo, del dialello tradolto in ilaliano («no pode né vengela né impattarla*, Raimondi). 24. //coraggio... dare: ě di nuovo con un prover-bio. vox populi (come csplicilcrä lo slesso don Abbondio nelľultimo capitolo). che íl nanalore ei ige la morale del personaggio a «sistema». con-segnando don Abbondio. con qucsta frase pití celebre delle vicende del ronianzo. alla cultura nazionalee popolare. 25. perché: il redde rationcm del cardinale affida alľanafora delle due interrogative la sua forza relorica emoliva. c alla risposla in anafora («per-che... perché») la forza relorica razionale. 503 /721 Adobe Digital Editions - 4ed37d42-f 1af-4eb1 -8bef-ddO6ff850bef.pdf Promessi sposi 489 della vita? tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a ram-maricarsi che fosse giä vicina a finire, tante donzelle, tante spose. tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario. ed essi confidavano. Conoscendo la vostra debolezza e i vostri doveri, avete voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto? Ah! se per tant'anni d'ufizio pastorale. avete (e come non avreste?) amato il vostro gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre eure, le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al bisogno: ľamore é intrepido. Ebbene, se voi gli amavate, quel-li che sono affidati alle vostre eure spirituali, quelli che voi chiamate figliuoli; quando vedeste due di loro minacciati insieme con voi, ah certo! come la debolezza della carne v'ha fatto tremar per voi, cosi la caritä v'avrä fatto tremar per loro. Vi sarete umiliato di quel primo timore. perché era un effetto della vostra miseria; avrete implorato la forza per vincerlo, per discacciarlo, perché era una tentazione: ma il timor santo e nobile per gli altri, per i vostri figliuoli, quello ľavrete ascolta-to, quello non v'avrä dato pace, quello v'avrä eccitato, costretto, a pensare, a fare ciö che si potesse. per riparare al pericolo che lor sovrastava... Cosa v'ha ispirato il timore. l'amore? Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?» E tacque in atto di chi aspetta2''. 26. E taeepte in atto di chi aspetta: un novenario, die conclude la serie delle interrogative dirette. marcate dalľanafora («Come... Come... Co- me»), e si riallaccia a quello, piü andante, che apre l'intero romanzo: «Quel ramo del lago di Como». 504 /721