Daniela Brogi Un romanzo per gli occhi Manzoni, Caravaggio e lafabbňca del realismo Carocci editore to Frecce 94 un romanzo per g li occhi /promessi sposi fissa il destino di Gertrude in due memorabili frasi. Delia prima - «E fu monaca per sempre » - si e gia parlato. La seconda e quella che arriva alia fine deüultimo passaggio citato qui sopra, ed c anche la piü celebre: «la sventurata rispose», che e un'espressione indimentica-bile, malgrado sia stata cosi spesso denigrata - usata come capo d'accusa estremo contro la narrazione autoritaria manzoniana. Poco, perö, e stato detto sulla potenza espressiva e simbolica di questa frase, declinata su un personaggio che sa solo rispondere - owero park solo se interpellata -e non sa mai dare le risposte giuste. La sventurata rispose: che significa? che relazione ce tra soggetto e predicato verbale? Si vuol dire che Gertrude ' e sventurata perche rispose" o che "rispose perche sventurata" ? Non e un gioco di parole, perche, a seconda della scelta, il significato cambia abbastanza. II fatto e che dietro a tutta la strada che in quasi due secoli e riuscita apercorrere questa frase ce la grandezza di un romanziere che si e sporcato le mani d'inchiostro finche non ha strappato alia parola la voce giustaper nominare Gertrude. La sventurata rispose: ognuno dei due termini va verso l'altro come un metallo verso un magnete; ognuno dei due imprigiona l'altro, neH'inesorabilita di un destino; il tempo della sventura e il tempo del desiderio si blindano reciprocamente. 4 Manzoni e Caravaggio Credere ai propri occhi Quasi un secolo fa, nel 1924, in una delle piú importanti opere di teória del cinema, Ľuomo visibile (Der skbtbare Mensch), ľ autore ungherese Béla Balázs salutava ľinizio di una nuova «cul tura visuale» [visuelle Kultur] fondata sul primato delľimmagine sulla parola, del gesto sul concetto, e su una riscoperta della dimensione concreta e sensibile del reale (Pinotti, Somaini, 2016, p. 4). Nondimeno, come spiega Balázs, questa novitä non vale in assoluto, perché in realtä avrebbe segnato un "ritorno" a una situa-zione precedente al primato della parola e del pensiero astratto provocati dalľinvenzione della stampa: Col tempo l'invenzione della stampa ha reso illeggibile il volto degli uomini. Essi hanno potuto apprendere cosi tante cose dalla carta stampaca da poter trascurare le alcre forme di comunicazione, [...] Cos! lo spirito visibile si ě rrasformato in spirito Ieggibile e la cultura visuale in cultura concectuale. Che questa crasformazione abbia cambiato notevolmente ľasperto della vita in generále e noto a tutti. Meno invece si riflette su come in questo processo sia mutato ľaspetto di ogni singolo uomo, la sua fronte, i suoi occhi, la sua bocca. Un'ahxa macchina ě ora all'opera, per dare alia cultura una nuovasvolta in direzione del visivo c alľuomo un volro nuovo. Ilsuonome é cinematografo (Balázs, zoo8, p. 12,3; cir. anche da Pinotri, Somaini, zoi6, p. 4). In questo capitolo saranno al centro della riflessione e dello sguardo pre-cisamente quello «spirito visibile del mondo» e quella prossimitä con gli aspetti delle cose che, come dice Balázs, appattenevano a un'esperienza che il cinema non ha del tutto inventato, ma in un certo senso ci ha "resti-tuito", in sintonia con un universo popolare e premoderno dove la cultura visuale era, nella maggior parte dei casi, il primo requisito di raffigurabilitá e leggibilitá del mondo. Questo, infatti, e stato forse il realismo piú rivo- 9S un romanzo per gli occhi luzionario di cutti: un real ism o che fissa e rappresenta la condizione della vita e deUe cose in quanto situazioni visibili, come faceva la pictura olan-dese del Seicento per la quale e stata coniata, per l'appunto, la categoria critica di realismo, nel 1835 (Nochlin, 1989). Ragionando in questi termini, l'energia cinematografica avant la lettre di tante situazioni messe in scena dai Promessi sposi non prelude all'ap-plicazione selvaggia di categorie contemporanee, perche pud derivare, piuttosto, da una familiarita con la cultura delle immagini che arriva da lontano, e che la scrittura manzoniana ci fa vivere/vedere subito, gia nella prima scena del romanzo, racconcandola cosi: Per una di queste stradicciole, tornava bel bcllo dalla passeggiara verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, ne il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, ne a questo luogo ne altrove. Diceva tranquillamente it suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi den-tro, per segno, l'indice della mano destra, e, mess a poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e burtando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, gi-raci oziosamente gli occhi airintorno, li fissava alia parre d'un monte, dove la luce del sole gia scomparso, scappando per i fessi del monne opposto, si diplngeva qua e la sui massi sporgenti, come a iarghe e inuguali pczze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recirato un altro squarcio, glunse a una voltata della stradet-ta, dov era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e cosi fece anche quel giorno, Dopo la volnara, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alia cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinre certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'iiitenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir Gimme; e, alternate con le damme, cert'altre figure da non porersi descrivere, che volevan dire anime del purgatofio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e la. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'a-spettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto aH'altto, al confluente, per dir cosi, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terteno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era ghuv to il curato, si poteva distinguer dell:aspetto, non lasciavan dubbio intorno alia manzoni e caravaggio 97 lor condizione. Avevano enrrambi inrorno al capo una rericella verde, che cadeva sulTomero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi musracchi arricciati in punta; una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole; un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana; un manico di colrellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guard i a ttafotata a lamine d'ottone, congegnate come in cifta, forbite e lucenti: a ptima vista si dáváno a conoscete per individui della specie de' bravi (ps, i, pp. 11-3, § 8-13). In termini narrarivi é uno dei momentipiu importanti del romanzo: quello in cui l'azione e la figura che la muove, per cost dire, "vengono al mon-do". II personaggio che prende vita all'interno di questa scena appartiene interamence a una cultura visuale, cioě appartiene a un disegno composi-tivo che fa di don Abbondio un segno che va compreso anzitutto nel sen-so che va "visto": nei suoi movimenti, nei suoi automatism i gestuali, nelle abitudini («diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino»), nel modo distratto di prendere a calci un sasso, mentre cammina; e puó esse re visto anche nel modo in cui guarda e metre a fuoco la realtá («poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alia parre d'un monte, dove la luce del sole gia scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e la sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora»). La scrittura manzoniana, che come un dio nascosto usa al meglio la propria creativitamimetica senza esibirla, ha allestito un racconto che deve essere recepito orientandosi prima di tutto su coordinate visuali. L'am-biente narrativo costruito dal brano di esordio ě un universo pieno di occhi, interni ed esterni alia tela, dove la rottura dell'idillio che sta per consu-marsi prendera. forma, come in un lampo, da un"'apparizione" imprevista che sconvolge la mente di qualcuno abituato a tenere sott'occhio tutto: «giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e cosi fece anche quel giorno». Dopo la descrizione dello spazio circostante attraverso la prospertiva di don Abbondio, ecco, infatti, irrompere nel campo del visibile qualcosa che non era stato calcolato e che agisce come uno choc visivo: «voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere»: sono i bravi, che entra- 98 un romanzo per g li occhi manzoni e caravaggio no in scena come immagini evidenti, corpi visuali fatti di situazioni fisiche (una gamba spenzolata, le bracria sul petto), di forme, di gesti: «l'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva di-stingiier delľaspetto, non lasciavan dubbio intorno alia lor condizione ». A questo punto la narrazione fa una pausa, lasciando spazio alia digression extradiegetica del narratore crascrittore che, per spiegare lo spavento terribile procurato dalla visione dei bravi, ricorre all'ausilio dei documenti mettendoli sotto gli occhi del lettore: «Questa specie, ora del tutto per-duta, era allora floridissima in Lombardia, e giä molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci autentici [...]» (ps, i, p. 13, § 13). La scrittu-ra romanzesca, che nella scena della messa a fuoco dei bravi ci aveva fatto essere lettori/spettatori, adesso, con ľesibizione delle «gride», ci fa essere spettatori/lettori, secondo un'alternanza ehe muoveräľintera narrazione. Dopo di che riparte il racconto, completandosi, nella "Quarantana", con l'illustrazione che stiamo per vedere e commentare, e che si trova impagi-nata nel testo manzoniano in questo modo: Che i due dcscritti di sopra stessero ivi ad aspetcar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che plü dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per čerti atti, ehe ľaspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt'e due a un tracto avevan detto: é lui; quello che stava a cavalcioni s'era alzato, tirando la sua gamba sulla stráda; ľaltro s'era staccato dal muro; e tutt'e Mm SB 99 due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come seleggesse, spingevalo sguardo insu,per ispiarle mosse di coloro; e.vedendo-seli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto damillepensieri (ps, i, p. 16, § 16). La scrittura dinamizza l'illustrazione di Gonin: il racconto é un fuoco incrociato di sguardi, narrati secondo una successione di campi e contro-campi che, in rapidissima alternanza di inquadrature, ci fa partecipare alia scena ora dal punto di vista di don Abbondio, ehe si accorge, guardando i bravi, di essere lui ľaspettato; ora dal punto di vista dei bravi, che reagisco-no all'apparire del curato. Ma per capire come operilo speciale talento manzoniano di «faire res-sortir» / "far risaltare" larealtä, vale lapenadiguardare ancora, dipiü, l'illustrazione incastonata nel racconto, perché puö rivelarci altri motivi im-portanti, che solo apparentemente svolgono una funzione decorativa, nel senso.che non abbelliscono il significato, piuttosto lo compongono. Oltre ai due bravi appostati ai due lati della salita, la scena é occupata, infatti, da un tabernacolo, dove é dipinto un soggetto ricorrente neil'iconografiaba-rocca posttidentina, vale a dire la raffigurazione delle anime del Purgatorio: I muri interni delle due viottole, invece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nelľintenzion delľartista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir Hamme; e, alternate con le flamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dite anime del purgatorio: anime e Hamme a color di mat-tone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e lä (ps, i, p. n, § 10). Di nuovo abbiamo moduli descrittivi che ci fanno vedere il mondo, e, in questa maniera, ce lo fanno sentire come reale in quanto suoi spettatori; la scrittura ci narra un mondo che viene prima di tutto visto, che "dice" rivolgendosi agli occhi (« agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir flamme »). Restiamo ancora su questa illustrazione, sulľesperienza visiva che rap-presenta e che possiamo considerare come segno di tre principáli situazioni: é un'immagine dipinta; é la raffigurazione di un soggetto religioso; si tratta di un tabernacolo, vale a dire una struttura contenente un'immagine devo-zionale, collocata alľaperto (lungo le strade, agli inctoci), fotmata da un frontone sopra la cornice e da colonne o pilastti ai lati degli stipiti, che ha la funzione di far percepire lo spazio, piü che mai quello esterno, come spazio della Chiesa, di Dio, dellapreghiera; oltre che testimoniare ehe la preghiera popolare non é soltanto un atto verbale, un «fenomeno di oralitä linguist!- 100 un romanzo per gli occhi ca» (Pozzi, 1982,, p. i99),maunattovisude, cherispondeaunarichiestadi attenzione sulle immagini: «e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio». Non ci stiamo interessando a un dettaglio marginale, perché, a pensar-ci, Pintero corpus dei Promessi sposi puó essere anche definito, in vari sensi (stilisrico, narrativo, descrittivo, tematico, iconografico, eccetera), come una straordinaria storia culturale dello sguardo in un microcosmo lombar-do della prima metá del Seicento; perché ě un'opera che non solo ci fa vedere, raccontandocelo, un intero mondo, ma ci racconta anche come quel mondo era abituato a vedersi e raccontarsi; e come avesse bisogno, conti-nuamente, di parlare dei modi in cui viveva sé stesso, vedendo e vedendosi: Lucia era ricoverata nel talmonastero, sotco la procezione della talsignora; e stavasempře nascosta, come se fosse una monaca anche lei, non mettendo mai piede fuor della porta, e assistendo alle funzioni di chiesa da una finestrina con la grata: cosa die dispia-ceva a molti, i quali avendo senrito motivar non so che di sue awenture, e dir gran cose del suo viso, avrebbeto voluto un poco vedere come fosse fatto (ps, xviii, p. 545, § 7). Le question: di cui stiamo parlando potranno essere piú chiare se guardiamo la tav. 6, dove sono state raccolte le illustrazioni che, nella "Quarantana", contengono tabernacoli, quadroni, pale, quadri insegne, vale a dire rimanda-no, facendolo cosi tance volte, a situazioni di famigliaritá con il mondo delle immagini, sia tra i ceti alti sia nelle classi popolari. Alcune illustrazioni sono molto interessanti, e saranno riprese e commentate piu avanti; altre rappre-sentano un tessuto di abitudini. Ció che conta ě che, messe vicine, e riguarda-te assieme, formano un corpus numeroso e compatto di testimonialize di una cultura facta per lo piu - cominciamo a ricordarcelo piu spesso - di gente che non sapeva leggere né scrivere e dunque era abituata a percepirsi attraverso esperienze visuali. Al tempo stesso le illustrazioni potranno aiutarci, tra l'al-tro, acapire ulteriormente le soluzioni di regia (giádiscusse nel cap. 3) legate all'ambientazione secentesca del romanzo. La costellazione Borromeo Prendiamo akre due immagini, sempře dalla tav. 6, che serviranno a illustra-re anche meglio quello che stiamo discucendo (tav. 6.18 e 19, apparcenenti al capitolo xxix). Secondo il tempo della storia, siamo nel settembre 1629, a dieci mesi dalľinizio della vicenda romanzesca. Alla notizia del passaggio manzoni e caravaggio 101 imminente dei lanzichenecchi, don Abbondio e Perpetua decidono di fug-gire dal paese, per rifugiarsi al castello dell'Innominato. Lungo il percorso si fermano per una breve visita nel paese in cui si trova la casa del sarto - dove aveva trovato un primo riparo Lucia, dopo essere stata liberata grazie al car-dinale, che poco dopo era perfino andato a salutarla. La prima illustrazione (tav. 6.18) rafhgura la compagnia a tavola, con i quattro adulti seduti e i bambini del sarto che stanno in piedi, ailati del tavolo, secondo la consuetudine del tempo (cfr. anche tav. 4.5). Sullato destro delTillustrazione, in secondo piano, si puö intravedere la sagoma rettangolare di un' immagine appesa, pro-filata per ora da un tratto sottilissimo. II brano successivo e la relativa illustrazione (tav. 6.19) renderanno piü netto il significato di quell'immagine: Entrö poi [il sarto] a parlar con Agnese della visita del cardinale. - Grand'uomo! -diceva; - grand'uomo! Peccato die sia passato di qui cosi in furia, che non ho ne anche potuto fargli un po' d'onorc. Quanto sarei contento di potergli parlare un'altra volta, un po' piü con comodo. Alzati poi da tavola, le fece ossetvare una stampa rappvesentante il cardinale, che teneva attaccata a un battente d'uscio, in venerazione del personaggio, e anche perpoter dire a diiunque capitasse, che non era somigliante; giacchelui aveva potuto esaminar da vicino e con comodo il cardinale in persona, in quella medesima stanza (ps, xxix, p. 561, §§ 36-37). Rispetto alle questioni che stiamo mettendo a fuoco, la stampa appesa in casa del sarto vale come una specie di mise en abyme, perche anzitutto tor-na a mostrarci quanto il mondo rappresentato dai Promessi sposi sia un am-biente continuamente abituato a comunicare attraverso esperienze visive; al tempo stesso, fa entrare in scena la figura che piü contribui, all'epoca dei fatti raccontati, a rafforzare il legame tra le immagini e la cultura popolare, e che costruisce loccasione piü forte di incersezione e implicazione era l'opera di Caravaggio e quella di Manzoni, vale a dire Federigo Borromeo: Federigo Borromeo, nato nel 1564, fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d'una grandopulenza, tutti i vanraggi d'una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell'e-sercizio del meglio [...]. Nel 1580 manifesto la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e ne prese 1'abito dalle mani di quel suo cugino Carlo, che una fama, gia fin d'allora antica e universale, predkava santo. Entrö poco dopo nel collegio fondato da questo in Pavia, e che porta ancora il nome del loro casato; e li, applicant dosi assiduamente alle occupazioni che trovö prescritte, due altre ne assunse di sua volonta; e furono d'insegnar la dottrina cristiana ai piü rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, consolare e soccorrere gl'infermi (ps, xxn, pp. 414-5, §§ 13 e 16). i02 un romanzo per gli occhi manzoni e caravaggio La carriera ecclesiastics, del cugino di san Carlo Borromeo era iniziata a ventitré anni, quando, pochi mesi dopo esser giunto a Roma, papa Sisto v 10 aveva messo nel Collegio cardinalizio. A Roma (dove stará dal 1586 al 1595, quando fu nominato arcivescovo di Milano, a soli trentun anni; e tra 11 1597 e il 1601) Federigo crebbe culturalmente e religiosamente, secondo lo spirito del Concilio di Trento che allora aleggiava, esaltato anche, come ha scritco Gianfranco Ravasi (Borromeo, 1997, p. xin) da quell'umane-simo cristiano libero e aperto favorito da san Filippo Neri, suo maestro e guida spirituále. Giä a que st'ep oca risale ľinteresse e la raccolta di opere artisti che, in particolare ľ arte fiamminga. Borromeo a Roma aveva gestito l'Accademia di San Luca, scuola per la formazione degli artisti: occasione ripresa a Milano con la costituzione dell'Accademia Ambrosiana. Ma quello che piú ě importante da dire e capire, per recuperare il signi-ficato forte di quelľimmagine di Borromeo appesa da Manzoni alľuscio delia casa di un oscuro sarto di paese delia provincia lombarda, nel 1628, ě ľoperazione complessiva di cui fa parte questo appassionato collezio-nismo del cardinale, che durerä fino alia morte (1631) e culminerä nella fondazione delia Biblioteca Ambrosiana, inaugurata nel 1609, e delia Pi-nacoteca, aperta nel iéi8 e comprendente 172 dipinti donati da Federigo (nelMusaeum, del 1625, Borromeo presenta con passione e competenza le sue opere). Aquesti due progetti si aŕEanca anche, apartire dal 1620, ľAc-cademia del Disegno (che tra vicende altetne durerä fino al 1775, quando fu trasferita a Brera, con ľistituzione dell'omonima Accademia). Come spiegherá nei suoi scritti, in particolare nel Depictura sacra libri duo (1624), la raccolta e il sostegno dellapittura si pone infatti come rein-terpretazione forte degli insegnamenti del Concilio di Trento: ...] io farô prova d'insegnare ai pittori, ed insieme agli scultori, come esprimere debbano alcuni speciali misteři delia nostra fede, e effiggiare alcuni santi senza commetcere errore intorno alle sacrc istorie e a tutto quello che ě convenevol cosa che si rappresenti per riverire Iddio, e le cose sacre, col mezzo, e con le fatiche di quest'arti [...]. E mentre io cosi ragioncrô parmi drittamente di esseguire quel tinro, che giä fu ordinaco nel Concilio di Trento, nel quale si dice che noi vescovi dobbiamo insegnare ai popoli [le istorie dei] misteři delia fede non solamente con le parole, ma ezíandio con le dipinture, overo esprimendo altre simili credenze di essi misteři, e cosi confermare i popoli nella continua memoria e riverenza degli articoli delia nostra fede (Borromeo, 1994, pp. 17-8). Tre, difatti, sono le funzioni delľarte sacra: didattica (scegliendo immagi-ni pet suscicare in chi le guarda il rimorso per i peccati commessi), devo-zionale (per insegnare i sacri misteři) e documentaria (per tramandare con rispetto delia veritá storica ľaspetto dei santi, riproducendo la loro fisio-nomia, il loro modo di vestire e altri particolati), Tte punti sui quali, come vedtemo meglio piú avanti, possono essere fatti convergere molti aspetti del reahsmo di Caravaggio come quello di Manzoni. Il tabernacolo raffi-gurato nella scéna madre dei Promessi sposi, nel capitolo i, ľimmagine di Borromeo, e le illustrazioni sacre raccolte nella tav. 6 appartengono tutti al progetto pedagogico di una cultura popolare fatta di scambi tra raccon-to, immagine e parola, sotto il segno delia fede e delia pieta popolare. Un progetto che possiamo anche chiamare "la costellazione Borromeo". Nominato arcivescovo di Milano, nel 1595, Federigo da quel momento invest! buona parte del suo patrimonio nelľacquisto di beni librari e arti-stici, diversamente dal cugino che si era disfatto delia propria Collezione di Antichitä. Perŕino alľepoca delia peste, quando si preoccupô di recuperare i dipinti consetvati nei palazzi milanesi svuotati dal contagio. «Con un Chtisto in ľuna delle mani, e con la penna in ľaltra, egli morir vole-va», ha scritto il suo primo biografo citato anche nei Promessi sposi, Francesco Rivola: «il crociŕlsso e la penna, cioě la fede e la cultura, erano le due stelle del suo ŕirmamento personále e pastorale» (Ravasi, in Borromeo, :997> P' xiv). Come ha spiegato Pamela Jones (1997, p. 25) «il programma di riforme delle arti visive elaborato dal Borromeo, incardinato alľAm-brosiana fu una risposta dawero unica ai richiami del Concilio di Trento aä vescovi di presiedere nelle loro diocesi alľuso dehe arti. La sensibilita di appassionato conoscitote del Borromeo, la sua erudizione, la sua spiritualita ottimistica e la sua profonda convinzione relativa aha triplice funzione che ľarte poteva svolgere diedero vita a una notevole collezione ďarte». Guardata attraverso Federigo Borromeo, la Conttoriforma e ľarte di propaganda non mortificarono le arti, ma le rilanciarono in un progetto piu vitale, piú ricco. Piú realista, in pittura, grazie alia ricca trattatistica controriformistica, capace di tompere, neh'impegno «de propaganda fide », il sortilegio delia maniera e ľimperio del classicismo secondo nuovi canoni di un realismo partecipe «non solo secondo somiglianza di nátura, ma-per interesse a "moti, affetti, gesti, atti" delľuomo. [...] I [pittori] protagonisti del nuovo corso nascono tutti chi poco prima, chi poco dopo la data di promulgazione dei tanto citati e amplificati decreti tridentini sulľuso delle immagini: Cigoli nasce nel 1559 (e gli altri due "fiorentini riformati", ľEmpoli e il Passignano, rispettivamente nel 1554 e 1560); dei Carracci, Ludovico nasce nei 1533, Annibale nel 1560; il Caravaggio nel 1573 [sic] e Rubens nel 1577, ma questi ultimi si spingeranno ben piú lonta- 104 un romanzo per gli occhi no. Anche i maggiori pittori lombardi fra Cinquecento e Seicento nasco-no tutti e quattro nel decennio 1570-80: Cerano, Giulio Cesare Procacci-ni, Morazzone, Tanzio» (Brizio, in Rosci, 1965, p. 12). Borromeo, in continuity con la tradizione del cugino Carlo (autore, per esempio, degli Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo, 1577) fonda una cultura, di base principalmente lombarda, piů im-pegnata a rinnovare il rapporto tra immagini e devozione popolare; piu attenta a curare il legame tra la Chiesa e i suoi fedeli, anche svecchiando modelli di cui fra Galdino e il suo racconto del miracolo delle noci fissano, ironicamente, un caso limite (ps, iii, §§ 43-54). Al tempo stesso, Federigo ě promotore e simbolo di un progetto di interazione tra arti della parola e arti visive non solo tramandato come significativo, ma per molti aspetti ripreso e fatto rivivere dalle pagine della narrazione manzoniana. /promessi sposi inventa situazioni e sguardi narrativi che rielaborano material) attinti non solo da repertori letterari o schemi mentali, ma da un universo figurativo, da un mondo abiruato a promuovere i valori cristiani creando storie che, per riuscire aparlare a tutti, potessero essere credute dagli occhi. La teatralitä scenografica secentesca e ia cultura popolare conoscono, su questopiano, uno spettacolare punto di incontro incrociando «devozio-ne» e «spettacolo». Per continuare a trovare tracce di questa diffusa e tra-sversale politica dell'immagine che interessö tutti i pian i della cultura secentesca, bašta lasciar parlare il romanzo, per esempio, e scegliendo un passo fra i tanti, nel momento in cui, non sapendo piu come convincere la popolazione dell'esistenza deílapeste, si decise di renderne visibili, manifesti, gli effetti: Per lcvare ogni dubbio, trovö il tribunále della sanita un espediente proporzionato al bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi pote vano richiederlo o suggerlr-Io. In una dellc feste delia Pente coste, usavano i cittadini di concorrerc al cimitero di San Gregorio, fuori di Porta Orientale, a pregar per i morti delľaltro contagio, ch'e-ran sepolti la; cprendendo dalla divozione opportunita di divertimento e di spettacolo, ci andavano, ognuno piu in gala che potesse. Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un'intera famiglia. Nell'ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, alia gente a cavallo, e a piedi, i cadaveri di quella famiglia furono, d'ordine della Sanita, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folia potesse vedere in essiilmarcbw manifesto dellapestilenza (ps,xxxi, p. 601, §§ 71-72; corsivimiei). Come neh"Incredulitä di San Tommaso (1601-02), la tela di Caravaggio conservata a Potsdam (Castello di Sans-Souci, Bildgalerie), anche qui e stata necessaria una prova manifesta, un'immagine incarnata (la piaga sul manzoni e caravaggio IO5 costato, i cadaveri degli appestati) che parlasse agli occhi e facesse visua-lizzare (alle figure in scena come a noi lettori/spettatori) la realtä narrata. Ii Gran Teatro Montano Altre due situazioni possono essere utili aricostruire l'importanza che, anche per capire meglio ľopera di Caravaggio e poi di Manzoni, ebbero Borromeo, e piu in generale il sistema culturale, simbolico e visuale riprogettato da Federigo - come gial'abbiamo definito, "la costellazione Borromeo": La caritä inesausta di quest'uomo [ossia Federigo], non meno che nel dare, spiccava in tutto ilsuo contegno. Di facile abboido con tutti, crcdevadi dovere specialmente a quelli che si chiamano di bassa condízione, un viso gioviale, una cortesia affet-tuosa; tanto piü, quanto ne trovan meno nel mondo. E qui pure ebbe a combattere co' galantuominl del ne quidnimis, i quali, in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star ne' limiti, cioě ne' loro limiti. Uno di costoro, una volta che, nella visita ďun paese alpestre e salvatico, Federigo istruiva certi poveri fanciulli, e, tra ľ interrogate e i'in-segnare, gli andava amorevolmente accarezzando, ľavvertí ehe usasse piu riguardo nel far taňte carezze a que' ragazzi, perche eran troppo sudici e stomacosi: come se supponesse, il buon uomo, che Federigo non avesse senso abbastanza per fare una tale scoperta, o non abbastanza perspicacia, per trovar da se quel ripiego cosi fino. Tale e, in certe condizioni di tempi e di cose, la sventura degli uomini costituiti in io6 un romanzo per gli occhi čerte dignita: che mentre cosi di rado si nova chi gli awisi de' loro mancamenti, non mancapoi gente coraggiosa a riprenderli del loro far bene. Ma il buon vescovo, non senza un certo risentimento, rispose: - sono mie anime, e forse nonvedranno mai piúla mia faccia; e non volete che gli abbracci? (PS, XXII, pp. 411-1, § 56-38). Ě 1'umanitá «salvatica» e stracciona, sono i ragazzi «sudici e scomacosi» di cui si affollavano anche le tele di Caravaggio (tav. 8). Di questa nuova attenzione a far arrivare Dio, con 1'incermediazione dei suoi sacerdoti, nei posti piú dimenticati (tav. 7.1), attraverso la consuetudine delle visite pa-storali, da un lato (750 parrocchie visitate da Federigo tra il 1595 e il 1631: Jones, 1097, p. 15); e dall'altro lato valorizzando le forme di esperienza e comunione con il sacro veicolate dalle immagini, continua a parlarci 1'illu-strazione (tav. 6.1) dell'incontro tra don Abbondio e i bravi, e, prima anco-ra, la descrizione paesaggistica in apertura del capitolo 1 dei Promessi sposi: II luogo stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d'intorno, le sue cime e le baize, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contor-nandosi in gioghi ció che v era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetxa ció che poco innanzi vi si rappresentava sulk costa: e 1'ameno, il domesti-co di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie piú il magnifico dell'altre vedutě (PS, i, p. n, § 7). L'ambiente narrativo e visuale costruito dalla visione dei monti intorno al lago di Como, e lo scorcio prospettico dell'immagine preparata da Gonin brevettano il sentimento (o meglio la vertigine, perché si tratta di oscillare continuamente tra sguardo da lontano e affondo nel dettaglio) di una specie di immobilita. sacra del paesaggio (operante anche nella famosa scena áeWJddio ai Monti, alia fine del capitolo vin). Ne deriva un rapporto tra occhio e mondo che pare ritornare, con una somiglianza suggestiva, anche nella foto prescelta come esempio, indicata come tav. 2.1. L'immagine ritrae un dettaglio del Sacro Monte di Varese: siamo distanti, anche se non troppo, dalle terre manzoniane, ma siamo vicini, per il concetto di cui si informa quel paesaggio, all'immaginario e alle scenografie dei Sacri Monti, sui quali, recuperando i lavori magnifici diTestori (2015; 1 ed. 196s) e Zanzi (1990), e altri cenni di Mina G regori (19 50), varrá la pena di dare alcune notizie. I Sacri Monti sono gruppi monumentali di cappelle e altri edifici.eret-ti fra il xv e il xvn secolo, soprattutto tra i monti del Piemonte e delia Lombardia (in queste due regioni se ne contano nove). A Orta, per esem- manzoni e caravaggio 107 pio, luogo dove il giovane Manzoni aveva fatro visita a una zia (Giglio, 1012), si trova un Sacro Monte che domina dalľalto il lago omonimo, e si compone di venti spettacolari cappelle contenenti affreschi e gruppi sta-tuari rarfiguranti gli episodi della vita di san Francesco. I Sacri Monti, in-fatti, sono una realizzazione magnificante dell'idea attuata da Francesco dAssisi con il presepe - una ricostruzione in piccolo rappresentativa di una storia di Cristo. A seguito del viaggio in Terra Santa del loro fonda-tore, i Francescani, titolari della "Custodia di Terra Santa", idearono, alia fine dei Quattrocento, la composizione in terra propria di una riprodu-zione dei luoghi santi. La funzione dei Sacri Monti era che chi pregasse unisse la contemplazione del fatto con la preghiera stessa, dunque con una partecipazione particolare: Tali tradizioni cukurali di rievocazione dei «luoghi sacri» (con ľintrinseco pa-trimonio artistico-tecnico, con precise linee di continuita nello sviluppo di para-digmi topomimetici, di modelli architettonici ed iconografici, di kssici simbolici, di varieta di uso canonico delk risorse espressive, decorative e rituáli) si ritrova-vano variamente non solo nei «Sacri Monti» ma anche nelle edicok delk «viae crucis», nei sacelli di reliquie dei «Iuoghi sacri» [...] La «poiarita» verso Gerusakmme, dopo la definitiva consapevokzza della irri-mediabikperdita, con la battagliadi Lepanto (1571) non solo di Gerusakmme, ma anche del ruolo centrále delľoriente mediterraneo nel quadro storico della civilta delľ Európa di allora, ormai tutta imperniata sulk vicende del mondo «di lá delk alpi», venne sempře piú mediata da un processo di ristrutturazione di tale «pola-rita» in un nuovo «orientamento» della spazialitä dell'esperienza religiosa (poli-centrico, istituzionalmente regionalizzato, infinitamente moltipiicato in qualsiasi luogo in chiave di visione interiore tra terra e cielo, intensivamente «iocalizzato»): ció nel contesto dinuove prospettive nelľorizzonte delle frontiere della predicazio-ne della fede, nonché nel contesto di nuove visioni («barocche») dell'ambienta-zionemondana dellasacralizzazione del reiritorio (Zanzi, 1005,pp. 617-8). Dopo il Concilio di Trento, il progetto dei Sacri Monti attrasse Federigo Borromeo suíľidea di strutturare il mondo prealpino (in quanto confine tra mondo mediterraneo e mondo settentrionale) come una sorta di barriera alia Riforma, affermando, attraverso una vera politica dell'immagine legata a una riorganizzazione artistico-religiosa dei luoghi montani e popolari, una grandiosa specie di applicazione spaziale e paesaggistica della Bibbia dei Poveri. L'immaginario del presepe, dei compianti e delle Sacre Rappresentazioni confluiscono nelle struttu-re dei Sacri Monti, che diventano edifici a sé dedicati ai misteři della io8 un romanzo per gli occhi manzoni e caravaggio 109 storia di Cristo. La visitazione di queste cappelle, organizzate secondo una sequenza processíonale, fonda nuove esperienze di preghiera: in consonanza con lo spirito di Ignazio di Loyola, per cui chi pregava doveva sentirsi come se partecipasse alia Crocifissione o alia rappre-sentazione, secondo la lezione cristiana del «fate questo in memoria di me ». L'impresa di sacralizzazione del territorio legáta alľesperienza dei Sa-cri Monti esprime un disegno di Signoria Ecclesiastica reso paradigma-tico da Carlo e Federigo Borromeo, come ha scritto Zanzi. Su di essa si rifrangono le luci di quattro motivi essenziali: la voionta di arrivare alle classi popolari awicinando la storia di Cristo alle esperienze della vita quotidiana; J'unione di paroia/preghiera e immagine a nni di propaganda e di maggiore partecipazione; la teatralizzazione drammatica del pae-saggio; la rielaborazione di tutti questi motivi in un concetto di religio-sitä proposto come attiva controffensiva ai detrattori della politica della Cliiesa ai tempi della Controriforma. Ciascuno di questi quattro punti vale tanto come principio culturale quanto come modulo operativo. E vale per Borromeo, vale per Caravaggio (cresciuto in un ambiente famigliare di forte religiositapostridentina: cfr. Berra, 1005, p. 169), e vale per Manzoni, che aveva scritto le Osservazioni sulla morale cattolka (1819) proprio per confutare le tesi della Storia delie repubbliche italiane del Medio Evo di Simonde de Sismondi (1773-1842.)1, dove si era sostenuto che la decadenza morale politica italiana sarebbe stata provocata dalľoperato della Chiesa cattolica all'epoca della Controriforma. Ecco, infatti, un'altra storia importante da cui considerare tante trac-ce seminate nei Promessi sposi, che possono schiudersi e fare i riguardare questo libro, cosi pieno di conventi, pellegrini, luteráni, frati predicatori, cardinali riformatori, anche come un grande romanzo sulľItalia alľepoca della Controriforma: Sopra turto, confondeva le teste, e disordinava le congetturc quel pellegrino [il Griso travestito da pellegrino, con la cerata con le conchiglie, il cappello e il bor-done, come un personaggio della Cena inEm.ma.us, di Caravaggio: tav. 8.5] veduto da Stefano e da Carlandrea, quel pellegrino che i malandrini voievano ammaz-zare, e che se n era andato con loro, o che essi avevan portato via. Cos'era venuto a fare? Era un'anima del purgatorio, comparsa per aiutar le donne; era un'anima dannata d'un pellegrino birbante e impostore, che veniva sempre di notte a unirsi con chi Facesse di quelle che lui aveva fatte vivendo; era un pellegrino vivo e vero, che coloro avevan voluto ammazzare, per timor che gridasse, e destasse il paese; era (vedete un po' cosa si va a pensarei) uno di quegli stessi malandrini travestito da pellegrino (ľS, XI, p. 2,14, § 31). ps, vin, p. 150 Possibile chenessuno mivoglia aiutare! Oh che gente! Aspettatemi almeno, che possa venire anch'io con voi; aspettate ďesser quindici o venti, da condurmi via insieme, ch'io non sia abbandonato. Volete lasciarmi in man de' cani? Non sápete che sono luteráni la piú parte, che ammazzare un sacerdote Vhanno per opera men-tona'i Volete lasciarmi quiaricevere il manino? Oh che gente! Oh che gente! (ps, XIX, p. 553, § 8; corsivo mio). Uno dei rituáli piú diffusi della pieta popolare cristiana, soprattutto a partire dalľepoca della Controriforma (contro le pratiche dei luce-tani), fu la recitazione del Rosario: una preghiera di tipo devozionale e contemplativo, recitata sia in compagnia (usando la forma responso-riale) che da soli, sia in chiesa che in qualsiasi altro luogo e momento, per chiedere la grazia, e ritrovare, attraverso la teatralizzazione della preghiera, un sentimento di pace e di comunione con la misericordia diDio: Accorata, affannata, atterrita sempre piů nei vedere che le sue parole non fa-cevano nessun colpo, Lucia si rivolse a Colui che tiene in mano il cuore dcgli uomini, e puó, quando voglia, intenerire i piú duri. Si strinse il piú che poté, nel canto delia carrozza, mise le braccia in croce sul petto, e pregó qualche no un romanzo per gli occhi manzoni e caravaggio 111 tempo con la mente; poi, tirata fuori la corona, cominció a dire il rosario, con piú fede e con piú affetro chc non avesse ancor fatto in vita sua (ps, xx, p. 389, § 41). Il termine "rosario" fa riferimento, con il nome del fiore consacrato alia Madonna, alia corona di "rose", ovvero di cinque decine di grani cor-rispondenti a cinque serie di Ave Maria. Di solito quando "si dice il rosario" non si recita un rosario intero, ma una parte, dedicata, a secon-da del giorno della settimana, a un blocco differente di misteři, ovvero momenti significativi della vita di Cristo e di Maria - attualmente sono i Misteři Gaudiosi, Luminosi (aggiunti nel 1001), Dolorosi, Gloriosi1. Dopo il segno della croce e ľinvocazione afRnché chi prega sia pre-servato dal fuoco delľInferno, ogni stazione (mistero), comincia con ľindicazione della tipologia di misteři, a cui segue, oggi come agli inizi delľOttocento, questa formula: «nel primo mistero, contempliamo...» (il Battesimo di Gesu nel flume Giordano, per esempio, se si stanno recitando i Misteři Luminosi), ehe introduce la lettura del passo evan-gelico corrispondente. Conternplare: la parola usata indica un'azione duplice, ehe tiene as-sieme ľatto di osservare intensamente e quello della meditazione spirituále. Pregare, dunque, e un atto verbale e visuale. La contemplazione cristiana prevista dal Rosario esprime un abbraccio di parola e imma-gine ehe non va inteso solo in senso metaforico, perché ě traccia di abitudini visuali e di mentalita indispensabili da ritrovare, per capire meglio il senso di certe pagine manzoniane, o, perfino, di certi sguardi caravaggeschi. Come i Sacri Monti, come i Quadroni di san Catlo, di cui stiamo per parlare, la pratica del Rosario - quel Rosario a cui ě dedicata una delle tele piú belle di Caravaggio (tav. 8.4) e di cui parleremo piú avanti; quel Rosario impugnato da padre Cristoforo per trovare il co-raggio di affrontare don Rodrigo (ps, vi, p. 101, §§ z-6), o da Lucia per afFrontare il terrore del rapimento (ps, xx, p. 389, §§ 41-42) e suggel-lare il voto di castita. (ps, xxi, p. 403, §§ 37-39) - ě un segno impor-tante, perché in primo luogo ci parla di un mondo che continuamente consuma e fa consumare storie atttaverso gli occhi; in secondo luogo, parla di un modo di costruire scene da guardare e da immaginare che fermino ľazione, perché vanno contemplate, un po' come se stessimo pregando: k\>XJUč ps, vi, p. 102 iil»:l{{í!fJ|lTll |f 1,11, íl PS, XXI, p. 404 Immaginare storie: i Quadroni di san Carlo C e un'altra vicenda delle strade di Lombardia, assieme alle storie longhia-ne sulle tante pale d'altare di pittoti operanti nelle terre di Caravaggio, che merita di essere ripresa come referente significativo di una cultura popo-lare visuale abituata a un continuo scarnbio tra parola e immagine. Alcuni indizi di questa situazione si trovano in una delle prime illustrazioni fatte