Ill un romanzo per gli occhi preparare da Manzoni per la "Quarantana": si tratta delia tav. 6.2, pre-levata dal capitolo i, nel punto del testo in cui, dopo ehe i bravi si sono aílontanati da don Abbondio, il narratore, prima di parlarci delia biografia personale del parroco, ci fa familiarizzare con i tempi di "impunita orga-nizzata" (ps, i, p. 21, § 43) e di sfarzo scenografico in cui ě ambientata la storia, illustrandocene, per adesso a parole, i meccanismi di sopraffazione normalizzaca. Piu precisamente, in queste pagine iniziali Manzoni ci dá gia prova di quello che ha deciso di fare fin da quando si e awiato il pro-getto di un romanzo storico ambientato nel xvii secolo: non ceiebrare le imprese dei principi e potentáti, ma far vedere, far risaltare, anzitutto, come si viveva, come si soprawiveva dentro quel mondo: L'uomo che vuole offendere, o ehe terne, ogni momento, ďessere offeso, cerca naturalmente allem c compagni. Quindi era, in que' templ, portata al massimo punto la tendenza degľ individui a tenersi collegati in classi, a formarnc delle nuo-ve, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. II clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunita, la nobilta i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli arcigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazio-ne. Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna 1'individuo trovava il vantaggio ďimpiegat per sé, a ptoporzione della sua autorita e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I piü onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli aseuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene ľ impunirä. Le forze pero di quesre varie leghe eran molto disuguali; e, nelle Campagne princip almenre, il nobile dovizioso e viol ento, con intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini awezzi, per tra-dizione famigliare, e interessati o forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldáti del padrone, esercitava. un potere, a cui difficilmente nessun'altra frazione di lega avrebbe ivi potuto resistere (ps, I, pp. 2,1-2, 49-51). A circa meta di questo bráno s'inserisce ľillustrazione, per la quale Manzoni aveva chiesto aiuto a Gaetano Cattaneo: «vorrei trovare costumi di confratelli di qualebe badia, se ognuna aveva costumi parricolari; e qualche stendardo: tre o quattro basterebbero» (tl, ii, p. 148: ě un biglietto senza data del 1840). Piu che stendardi, pero, ľillustrazione di Gonin sembra assomigliare a dei teloni che ritraggono san Carlo Borromeo, e che, in questo senso, possono essere guardati con occhi diversi, perché possono valere come tracce di quella storia importantissima deh'uso della pittura a fini liturgia e devozionali, promossa dai Borromeo. All'interno di questa strare- manzoni e caravaggio gia delľimmagine perfezionata dai due cardinali nella Miláno spagnola e conrroriformata, uno dei progetti piú grandiosi, difatti, fu quella dei Qua-droni di san Carlo (tav. 7): due serie di dipinti su tela «de propaganda ŕide», di dimensioni grandiose (4,75 x 6,00 m), eseguiti tra il 1602 e il 1610 ed esposti nel duomo di Miláno. Nei due gruppi, di ventotto tele ciaseuno, sono spiegati al popolo i fattipiú importanti rispettivamente della vita e dei miracoli di Carlo Borromeo (1538-1584), eroe dellacharitas cristiana, santi-ficato prestissimo (nel 161 o, a solo ventisei anni dalla morte; mai la Chiesa aveva santificato un contemporaneo). «Molti dei viventi dovevano ancor ricordare quegli awenimenti; e il popolo tutto vi si ritrovava, col piacere del riconoscimento delle immagini familiari e col gusto del meraviglioso, delľaspettativa incantata del miracolo» (Rosci, 1965, p. 14). Il Cerano, il Duchino (tav. 7.1), il Fiammenghino (tav. 7.3), Buzzi, Procaccini e tutti i pittori piú famosi di Miláno furono impegnati in questa impresa ehe é rimasta in vita ŕlno a oggi, cosi da consentire, ogni anno, a partire dal 4 di novembre, di poter trovare, nel duomo di Mdano, i due cieli di tele appesi tra le colonne della navata centrále e del transetto (tav. 7.4). Ripercorren-do con lo sguardo le tele, si ritrovano motivi compositivi (tav. 7.1-2) dei Promessi sposi, o singoli dettagli ehe riprenderemo anche piú avanti. Soprat-tutto, pero, questa esperienza di immersíone e identiŕicazione visual e cosi nota, cosi famigliare a Mdano almeno quanto é ignorata altrove, fa subito ripens are alľoperamanzoniana, perché i Quadroni di san Carlo sono il piú grande romanzo popolare per immagini concepito dal cattolicesimo moderno. Sono un"'opera mondo" progettata e realizzata per far consumare storie guardando immagini. Ci fanno vedere per capire e sentire quanto il sacro possa abitare dentro le nostre vite; per farci sentire di appartenere a una cornunitä ehe ci tiene assieme nelľabbraccio di un racconto. Anche questo ě il mondo dentro il quale nasce il progetto dei Promessi sposi. II realismo cristiano Come ľarrivo improwiso dellaluce in molte rele di Caravaggio, il realismo manzoniano rende visibili le esistenze rimaste al buio. Il realismo ě sguardo, ancor prima che parola; ě composizione del mondo in una visione. Il realismo ě, allalettera, capacita di "far vedere": stampare nelle menti, oraper via della pittura, ora per via della serittura, gli aspetti visibili del mondo che 114 un romanzo per go occhi manzon1 e caravaggio US possono risaltare dai riflessi delia realtanelle vite accidentali, immemorabili, deperibili, cppure raggiunce da un fascio di luce: un ciuffo, la manka di un abito squarciata sul gomito, «una corta gonnella di filaticcio di seta» (ps, lís P- 44. § 56), un'onda segata dalla barca, un ginocchio sporco, un oste stanco, una popolana affaticata che si addormenta su una scggiolina. quattro capponi a capo alľ in giú che si beccano, un breviario consumato, le gambe di un tavolo, tre o quattro fratellini aŕFamati che si guardano male davanti a un piatto di polenta, un topo, un bačo da seta, una «ciocchettina» di capelli neri, un pezzo di pane indurito, una mosca, una fmestra riflessa in una bolla di sapone, un gradino per scendere dalla carrozza, una barba fatta allungare per non essere accusato di collusione con un famigerato barbiere untore, un paniere calato con una fune, un piatto di peltro, una cuoca che prepara il pranzo per Cristo. Questo ě, é stato, prima di tutro, il realismo. Ľopera di Caravaggio e quella di Manzoni fissano alcuni dei risultati piú alti di questo progetto di rendere evidente ľaccidentale, redimendolo allo sguardo, malasciandolo esprimere - proprio questa é la sua potenza - dalle scéne buie delľesistenza oscura epronta a scomparire. A partire da una trama comune di rimandi al progetto di reinvenzione del cristianesimo attraverso la cultura visuale e la costruzione di uno scam-bio piú stretto e piů intenso tra la Chiesa e i suoi fedeli, ľopera di Caravaggio e ľopera di Manzoni possono essere awicinate e raffrontate come due esperienze rivoluzionarie. Come la prima versione del San Matteo e V angelo (1602) dipinta per la cappella Contarelli, ma respinta dai committenti perché mai si era visto un santo cosi rustico, quasi incapace di leggere la propria scrittura, e piu somigliante a un rozzo contadino dalle gambe accavallate e dai piedoni sporchi e callosi che a un evangelista, allo stesso modo i due oscurí monta-nari protagonisti del "genere proscritto" (Btogi, 2005) fissano, nel mede-simo tempo, una scandalosa rottura e un punto di non ritorno nella storia della letteratura italiana ed europea. "Realismo cristiano" ě ľespressione migliore per nominare la matrice piu forte di questa comune esperienza di rinnovamento dei modi di pensare, di inventáre, e di vedere la realta rrasformando la gente e le storie di strada in soggetti di história. La definizione "realismo cristiano", infatti, contiene una reciprocita tra parola e immagine che puô aiutarci a capne un'epoca signincativa del realismo e un esperienza di scambi tra pittura e letteratura, che finora non sono stati moko guardati. Siccome il realismo piú importante (o piú di-scusso), in letteratura, ě stato quello ottocentesco, si ě preferito trattare, ragionando su fenomeni stilistici e su question i teoriche, soprattutto il realismo che arriva dopo Ipromessi sposi. Da questa posizione si ě guar-dato retrospettivamente e riduttivamente al romanzo di Manzoni, senza considerare, per esempio, gli scambi di questo nuovo progetto di scrittura con la cultura visuale; senza considerare, per esempio, ťalleanza tra pittura e religione stretta proprio dalla ttadizione del realismo: che é realismo cristiano, dunque, perché non vale solo come capacitá di resa mimetica dei corpi dentro la realta, e come immissione del popolare, ma, soprattutto, come discesa di Cristo tta gli uomini, tra le immagini e le esperienze della vita di tutti i giorni. E quanto accade nella Cena in Emmaus, o nella Vocazione di san Matteo, dove Dio si metre a tavola in una taverna, o pas-sa da un magazzino di merci dove gente dei bassifondi conta un gruzzo-letto di scudi. Per capirne meglio contenuti, codici e significati, puó essere utde defi-nire il progetto formale e compositivo del realismo cristiano fissando cinque pun ti principali: il realismo cristiano come ptogetto di evidenza visiva della realta; come scelta di racconto delle moltitudini; come mescolanza di alto e basso, di sacro e profano; come teatralitá drammatica; come ade-sione prořonda allo spirito del pauperismo. Nella Prima Introduzione (1821) nFermo eLucia, il narratore osserva: [...] fraipochilettori di questa scoria, visaranno certamence molri, í quali, benché virtualmente sappiano che nel passato vi sono stati gli anni 1618-29 e '30, non hanno pero mai pensato a questi anni, e che moko meno sanno che cosa in quegli anni si facesse, come si vivesse, se vi sia stato un po' di fame, di guerra, e di pcste, e di quelle altre coserelle che si vedranno in questa storia. Questi ch'io dico pense -ranno dunque a queU'epoca per la prima volra leggendo questa storia (Ipromessi sposi: 2006b, p. ;88). Come si é giá osservato, il futuro autore dei Promessi sposi, fin dai tempi della prima versione del romanzo, intese la propria impresa anzitutto come una stotia capace di «pensare» a un'epoca proprio nel senso di far vedere «che cosa in quegli anni si facesse, come si vivesse »: Si vedevano gli uomini piú qualificati, senza cappa né mantello, parte allora essen-zialissima del vestiario civile; senza sottana i pteti, e anche de' religiosiin farsetto; dismessain somma ogni sortě di vestito chepotesse con gli svolazzl toccar qualche cosa, o dare (ció che si temeva piú di tutto il resto) agio agli untori (pS, XXXTV, p. 659, §38). no un romanzo per gli occhi Questa actenzione a comporre, attraverso il romanzo, un campo delia visione, ě la prima stratégia alľopera, con signiŕicativi puriti di somiglianza, non consapevoli magari eppure ugualmente presenti, con la rivoluzione naturalista deliapittura caravaggesca. II primato delľelemento visivo, oltre ehe nelľattenzione alle abitudini visive del mondo rappresentato, si rea-lizza infatti anche nella messa in trama e nel trattamento delle connessioni formali - ne abbiamo parlato nel cap. 2, dedicato ai Promessi sposi come romanzo storico; con ľespediente di far partire la narrazione di una delle epoche piú terribili delia Guerra dei Trenťanni, riŕíutando il racconto enfatico delle illustri imprese, per scegliere piuttosto di attaccare la vicen-da dallo spavento di un eurato di campagna minacciato da due balordi davanti a un tabernacolo. Ľattenzione alle risonanze visuali lavóra poi, sottotraccia, nel trattamento delľintera storia dedicata a Gertrude (come si ě diseusso nel cap. 3). Ma, piú in generále, tutta la partitura stilistica manzoniana asseconda la deserizione e le scéne. Un altro aspetto ehe di continuo ci porta a guardare la storia raffigu-randocela, per cosi dire, ě ľinvenzione del quotidiano, attraverso la ric-chezza degli oggetti in scéna, ehe non decorano soltanto, né sono materiali referenziali e bašta, vale a dire non funzionano solo da documenti, perché piuttosto danno senso alla storia, ne oriencano la prospettiva, nel senso ehe portano la realtä piú vicina ehe si puô a noi, suoi lettori/spettatori. Piú si scava nel dettaglio e piú si aderisce a questo nuovo sentimento delia realtä: «ed il Caravaggio disse, ehe tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figúre », seriverä Vincenzo Giustiniani nel Discorso sopra lapittura (seritto tra il iéio e il iéi8 circa: Giustiniani, 1981, p. 42. Giustiniani possedeva nel 1638 quindici tele di Caravaggio, compre-sa la prima versione del San Matteo e l'angelo, quella scartata per la cappella Contarelli). Sono esempi sparsi di questa attenzione a rappresentare la realtä non solo attraverso le figúre ma per via dei particolari capaci di parlare agli ocehi: la punta del cappello di don Abbondio, ehe arriva a toccar terra da quanto il prete si é piegato al saluto dei bravi, in segno di sottomissione (ps, i, p. 16, § 63); il «ŕíaschetto del vino prediletto» di don Abbondio (ps, 1, p. 27, § 66) sistemato da Perpetua sulla tavola, ehe vale come segno di un «sistema» protetto dalle abitudini delia vita quotidiana, e ehe ci fa accedere, anche grazie alľillustrazione, al primo interno secentesco dei Promessi sposi (tav. 4.1). I destinatari elettivi di questo tipo di narrazione dove le parole continuamente "fanno vista" non si trovano soltanto a legge-re un romanzo, ma partecipano, immaginandole, raŕfigurandosele, a scéne manzoni e caravaggio 117 viventi ehe in čerti casi possono anche interpellarci direttamente. Altri due esempi: il «batuŕFoletto» awolto in un cencio, contenente i cento scudi ďoro ehe il cardinale ha fatto dare ad Agnese, per la dote di Lucia, e ehe la donna lega con una «cordellina» e ŕlcca «in un cantuccio del suo sac-cone» (ps, xxvi, p. 501, § 35), dopo averli contati con uno sguardo tutto assorto ehe ricorda, per capacitä di renderci visibile, dunque reale, un mondo attraverso un modo di tenere il corpo, il medesimo gesto rappresentato nella Vocazione di san Matteo (tav. 8.6). ps, xxvi, p. 501 O, ancora, il tovagliolo e il piatto di maiolica come oggetti riservati all ospi-te d'onore, don Abbondio, in casa del sarto «con una posata ehe Perpetua aveva nella gerla» (ps, xxix, p. 559, § 32; cfr. anche tav. 4.20). Oggetti ehe piú ehe una scéna di genere compongono, per immagini eloquenti presenta-te di scorcio, senza dare nelľocchio ma insinuandosi nel testo, un racconto delia miseria di un territorio in procinto di essere attraversato dalla guerra. Questa capacitä di far parlare il quotidiano, in un'imprecisata giornata del settembre 1629, per le strade di Lombardia, come se fosse una scéna ehe ri-appare, in chiaroscuro, riaprendo unapiega chiusa delia stotia (« ehe cosain quegli anni si facesse, come si vivesse, se vi sia stato un po' di fame, di guerra, e di peste») rievoca certe situazioni caravaggesche, perché ritroviamo un realismo inteso come affondo nelľimmanenza delle cose, e ehe mobilita processi di «traduzione intersensoriale, capaci di implicare lo spettatore in quanto soggetto delia percezione perlomeno quanto soggetto delia cono- Il8 un romanzo per g li occhi manzoni e caravaggio "9 scenza» (Carcri, 1017, p. 86). Anche Fcderigo Borromeo, nell'opera dove illustra i quadri della propria collezione, il Musaeum, aveva saputo cogliere questi movimenti, per esempio nella « bellezza di un cavallo bianco che, col muso volto in basso verso le zampe, caccia via una mosca che ivi lo punge; ě una stupenda imitazione della natura, della quale Tiziano ha saputo espri-mere i movimenti con un'intensita superiore a quella di qualsiasi altro artista » (Borromeo, 1997, p. 13). La tela di cui si paria ě YAdorazione deiMagi, di Tiziano (1488/1490-1576) conservata alia Pinacoteca Ambrosiana, dove si trova anche ľolio su rame di Jan Brueghel (tav. i.i), artista conosciuto e sostenuto all'epoca romana, e commentato cosi, sempře da Borromeo: Ma, per dimostrare come si combattono battaglie ancřie tra opere minuscole, citero un disegno di Bruegel su pergamena che ritrae un topo, un cespo di rose e vari animaletci; accenno volutamente a tale pergamena traie altre e mi ci soffermo affinché si comprenda il suo pregio dal facto stesso che in essa persino i topi piac-ciono (ivi, p. 31). Ě un passaggio che potrebbe servire anche da glossa per molte frasi dai Promessi sposi, compresa questa: «Mise piede sulla soglia ďuna delle due stanze che c'era a terreno: al rumore de' suoi passi, al suo affacciarsi, uno scompiglío, uno scappare incrocicchiato di topacci» (ps, xxxní, p. 644, § 65). Petsino i topi piacciono: Borromeo non si ingannava. Ma ľelemento che piú di tutti dä evidenza esptessiva all'opera di Man-zoni, come giä all'opera di Caravaggio, sotto il segno del realismo eristia-no, ě la scelta rivoluzionaria di rappresentare una storiaportando in scéna - secondo una parola di risonanza anche biblica che significativamente torna in enttambi gli autori - le moltitudini. Nella parte su Caravaggio tratta dalle Vite de'pittori scultori e arebitetti moderní (Roma 1672.) Giovan Pie tro B ellori serive: Datosi percio egli a colorire secondo il suo proprio genio, non riguardando punto, anzi spregiando gli eccellentissimi marmi de gli anrichi e le pitrure tanto celebri di Rafaelle, si propose la sola natura per oggctto del suo pennello. Laonde, essen-dogli moserate le statue piú famose di Fidia e Glicone, acciochě vi accomodasse lo studio, non diede altra risposta se non che distese la mano verso una moltitudine di uomini, accennando che la natura ľaveva a sufficienza proveduto di maestri. Come fara anche Manzoni, Caravaggio rifiuta ľ imitazione per essere «"naturale", comprensibile; umano piú che umanistico, in una patola po- polare» (Longhi, 1973, p. 893). Cosi, come le tele di Catavaggio, quando ci chiedono di guardare gli abiti bucati dei santi (tav. 8.8), 1'auto re dei Promessi sposi rattoppa le vicende inventando mondi nuovi, umanita diverse e di «piccol affare » da cui sperimentare nuove possibility dramma-turgiche e visive, come era accaduto con la moltitudine dai piedi sporchi messa in primo piano nella Deposizione o nella Madonna dei Pellegrini (tav. 8.1 e 3). Entrambi gli autori sono riusciti a far vivere le proprie nar-razioni attraverso il tempo, perche hanno dato spazio all'irraccontabile, all'immemorabile, aU'irrafngurabile: alia moltitudine, insomma. Ma chi sono le moltitudini ? Per l'autore dei Promessi sposi possono essere anche, trasversaimente, la massa «male e ben vestita» che produce, per accumulo, delirio e cecita indistinti3. Male moltitudini sono sopratcutto la serialita, 1'immensa folia, che nessuno puo contare, degli eletti in cielo, nel capitolo vii de\l'Apocalisse di Giovanni, « una serie di generazioni, che passa sulla terra, sulla sua terra, inosservata, senza lasciarci traccia»+; e I'umanita invisibile, la «gente di nessuno » perduta sulla terra, come la chiama don Rodrigo (ps, xi, p. 216, § 3) che si ripete da una generazione all'altra; sono le genti «meccaniche», quelle che usano il corpo (assonnato, sporco, spet-tinato, mal vissuto) nei lavori quotidiani; le vite dimenticate perche «inos-servate», invisibili, almeno fin quando non arriva la prima Madonna ad-dormentata nella storia della pittura (Caravaggio, Riposo durante lafuga in Egitto, 159 5-96). Oppure, come quando si incontra una Madonna buttata a terra, nc\Y Adorazione dei Pastori (1609), dove Caravaggio, lavorando su un tema cosi ripreso dai francescani come quello del Presepe, prepara per l'al-tare maggiore della chiesa di Santa Maria della Concezione, a Messina, retta dai padri Cappuccini, una pala raffigurante la Madonna come una popolana stremata dal viaggio, appoggiata tra il fieno, dietro una cesta e al di sotto dello sguardo di un asino. Proprio li, in quel covile oscuro e dimenticato, abita la "dolcezza" che deve stare negli occhi: «i guai vengono bensi spesso, perche ci si e dato cagione; ma [...] lacondottapiu cauta e piii innocente non basta a tenerli lontani; e [...] quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiduciainDioliraddolcisce» (ps.xxxvin.p. 743, §68). Mescolando uomini e cose (Montanari)s il realismo cristiano fa incon-trare alto e basso, ma non per gusto stilistico del melange: e la trascendenza che diventa un'esperienza incarnata e contemporanea, come quando Dio si fa uomo. Awiene attraverso le forme - giala composizione degli Inni Sacri, come recentemente ha mostrato Frare (2016), aveva assecondato il nuovo progetto manzoniano di scrittura popolare; e awiene pure nella messa in I10 UN ROMANZO PER GLI OCCHI MANZONIE CARAVAGGIO m prospettiva del racconto dei Promessi: la scelta di racconcare la storia dal-l'«angusco Teatro» della «gentedinessuno», unpo' comequelladi tene-re nel medesimo quadro Crisco e Pietro, che indossano abiti tradizionali, e Matteo e i suoi compagni, vestiti come figure del Seicento (tav. 8.6), ribalta gli ordini simbolici tradizionali, mette assieme cio che di solito abitava spa-zi diversi; sconvolge il tempo storico spaccandone l'orizzontalita con Ten-trata in scena del sacro; ribalta il rapporto traprimo piano e sfondo, e ci fa guardare il sacro attraverso humanita di nessuno e la vita quotidiana, come in certe pitture cinque-secentesche dove Cristo e in fondo a un quadro che ci chiede di guardare la storia attraversando una cucina (tav. 1.5-6). Realismo cristiano, dunque, come evidenza visiva e attenzione al quoti-diano; come attenzione alle moltitudini; come incontro di alto e basso; e, resta ancora da dire, come teatralita drammatica e come impegno di ade-sione a uno sguardo inrriso di pieta e persuasa compartecipazione con il sentimenco pauperista deU'esistente. Per accostare e capire la composizione teatrale del realismo crisriano -che agisce nelle posture, nelk capacita di esprimere gli affetti attraverso i gesti, nella modulazione dei rapporti tra spazio e personaggi - si puo pro-vare a riprendere, awicinandola a una tela, una delle scene piu profonda-mente caravaggesche dei Promessi sposi; dove non troviamo solo suggestio-ni figurative, ma, piuttosto, quasi riconosciamo un modo complessivo di comporre l'azione (raggiungendo, tra 1'altro, effetti raffigurativi piu forti deH'illustrazione di Gonin: 1'S, xxxiv, p. 662). Siamo nel capitolo xxxiv, alia fine dell'agosto 1630, al punto della storia in cui Tramaglino torna a Milano, per cercare Lucia. Man mano che attraversa la citta, il montanaro partecipa alio spettacolo6 di un mondo di sotto, un regno di morti viventi completamente assoggettato allapeste e ai monatti. Proprio qui, in mezzo a questa sequenza disperata dipinturas negras, arriva, inaspettata e salvifi-ca, l'occasione di un'improvvisaluminosita: Encrato nella stráda, Ren/,o allungô il passo, ccrcando di non guardar quegľin-gombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguardo s'in-contrô in un oggetto singolare di pieta, ďuna pieta die invogliava ľanimo a con-templarlo; di maniera che si fermo, quasi senza volerlo. Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinczza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, maportavan segno ďaverne sparse tanre; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra taňte miserie, la indi-casse cosi particolarmente alla pieta, e rawivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambinadi forse nov'an-ni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani ľavessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una čerta inanimata gravezza, e il capo posava sulľomero della madre, con un abbandono piu forte dei sonno: della madre, ché, se anche la somíglianza de' volti non n'avesse fatto fede, ľavrebbe detto chiarameme quello de' due ch esprimeva ancora un sentimenro. Un turpe monatto andô per levarle la bambina dalle braccia, con una specie pero ďinsolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quetla, tirandosi m-dietro, senza pero mostrare sdegno né disprezzo, - no! - dissc: - non nie la toccate per ota; devo metterla io su quel carro: prendete -. Cosi dicendo, apri una mano, fece vedere una borsa, e la lasciô cadere in quella che il monatto le tese, Poi conti-nuó: - promettetemi di non levarle un filo ď incorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra cosl. Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi osse-quioso, piu per ilnuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per ľ inaspettata ricompensa, s'affaccendô a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise li come sut un letto, ce ľaccomodô, le stese sopra un panno bianco, e disse ľultime parole: - addio, Cecilia! tiposa in pacc! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io ptegherô per te e per gli altri -. Poi voltatasi di nuovo al monatto, - voi, -disse, - passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola. Cosi detto, rientró in casa, e, un momento dopo, s'affacció alla finestra, tenen-do in collo un'altta bambina piu piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle cosi indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto ľunica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore gia rigoglioso suilo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte ľerbe deiprato. \J)PoWw ^ — O Signore! — esclamô Renzo: — esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creatu-rina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza! (ps, xxxiv, pp. 661-3, §§ 46-53; corsivi miei). Ľepisodio della madre di Cecilia, ripreso e sviluppato, significativamen-te, da un passo del Depestilentia di Borromeo (per il quale gia Raimondi haparlato di una «descrizione visiva» della peste: 1 promessi sposi, 1988, 12,2 un romanzo per gli occhi manzoni e caravaggio 113 P- 795)' «e la stazione sublime di una pieta ehe cattura Renzo e produce il ralenti elegiaco del narratore» (Nigro, in Ipromessi sposi, 2014, p. 1002). Tanto all'interno quanco alľesterno delia rappresentazione si consuma l'esperienza di uno sguardo ehe lavora, per via di stacchi dram-matici, sulľaumento progressive di intensita: gli occhi fisici e gli occhi dell'animo «invogliato» alia visione fanno un corpo unico. Piu che nar-rarci un'azione, la pagina manzoniana ci narra, allestendola come in una liturgia, una ritualizzazione (cristiana) delia morte che funziona come un'immagine sacra vivente, vale a dire capace di addensare e produrre una pratica devozionale, una situazione di preghiera. La scéna, infatti, ě una specie di tableau vivant composto atcraverso il dispositivo dimostrativo della visione di Renzo: «il suo sguardo s'incontrô in un oggetto singo-lare di pieta, ďuna pieta che invogliava ľanimo a contemplarlo». Sono alľopera moduli teatrali giä collaudati altre volte, per esempio nel ri-tratto iniziale di Gertrude, che qui vengono aumentati e drammatizzati dallo scambio con d monatto: il «ma» awersativo, le riprese lessicali e l'impetfetto durativo, le negazioni che, per un verso, come le pieghe di un tessuto quando si apre, dilatano i tempi di immaginazione del raccon-to sollecitandone una risposta empatica e contemplativa; per ľaltro verso compongono d tono cadenzato di una preghiera, quasi si rrattasse, come nella tecita del rosario, di un Mistero da contemplare. Il brano manzoniano ci mette al cospetro di una situazione visuale che soprattutto per la composizione teatrale e per ľambiente drammatico co-struiti dalla scrittura, fa ripensare a una delle tele phi importanti di Cara-vaggio: hMadonna deiPellegrini (1603-05; tav. 8.3). Il quadro, detto anche Madonna di Loreto, fu dipinto per d luogo dove si trova cuttora, la cappella Cavalletti deda chiesa di SanťAgostino. .AJ suo apparire provocô «estremo schiamazzo» (Baglione, in Valdino-ci, 2,010, p. 66), ma piů che altro, e a differenza di una mitologia abba-stanza fuorviante di Caravaggio come pittore maledetto, lo sdegno piů forte non si riferiva alia figura usata per la Madonna - Lena, una prostituta amante di Caravaggio. Lo scandalo vero furono i piedi sporchi del pellegrino nella parte del quadro piú vicina a noi, e la cuffia deda vecchia accanto: «una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pede-grini, uno co' piedi fangosi, e ľaltra con una cuffia sdrucita, e sudicia*-, come scrisse, di nuovo, Baglione nella Vita di Caravaggio (1625; Valdino-ci, loio, pp. 6y6). Torna, come si vede, ľattenzione alia moltitudine. Ma e'e di piu. S e risaliamo dai contenuti alia maniera di comporre i materiali, in-clusa la definizione dei rapporti tra i gruppi raffigurati, e confrontia-mo la visione caravaggesca e quella manzoniana, una prima identita significativa riguarda il modo in cui entrambi i testi ci interpellano, vale a dire non solo sono visti (il primo perché e un quadro, il secondo perché ě esplicitamente presentato come una situazione a cui assiste Renzo), ma ci chiedono di essere visti e di unirci alia visione a cui stan-no assistendo alcuni dei personaggi. Anche la madre di Cecilia, come la Madonna dei Pellegrini, ě «un idolo adorabile» (Longhi, 1973, p. 861); la diagonále del quadro che va dal punto in alto a sinistra, dove si trova la testa del Bambino, al punto in basso a destra dove si appog-gia il piede destro del pellegrino, crea il senso di una vista assoggetta-ta, inginocchiata, e, nel medesimo tempo, compartecipe: alto e basso appartengono alia medesima linea. Il soggetto del quadro, come della scéna letteraria, ě anzitutto lo scambio di sguardi: tra i pellegrini e la Madonna, che scende anch'essa dei gradini, tra la madre di Cecilia e d monatto. C'e una situazione spettatoriale costruita all interno stes-so della scéna, e che fa da ponte tra il soggetto rappresentato e la sua ricezione. Questo sprofondamento devoto nell'atto di guardare fa si che anche chi guarda dal di fuori prenda parte con partecipazione, e, in questo atto del contemplare, stabilisca una confidenza forte con il soggetto delľazione. Guardare diventa allora come partecipare a una comunitä: quella della Chiesa. E significa pure farlo affermando una spiritualita reattiva e dinamica, non inerte: come quella della madre di Cecdia che ha «un'anima tutta consapevole e presente a sentir[e]» il dolore, sceglie di deporre lei stessa il corpo della bimba sul carro (come giä aveva raccontato Borromeo nel De pestilentia) e impartisce indicazioni precise al monatto, che da parte sua, «quasi ossequioso» e «soggiogato» reagisce drammaticamente; una reattivitä dinamica come i pellegrini, che sembtano essere ritratti al primo sguardo con la Madonna: «s'inginocchiano avanti due Pellegrini con le mani giunte: e '1 primo di loro é un pověro scalzo li piedi, e le gambe, con la mozzet-ta di cuoio, e 'J bordone appoggiato alia spalla, ed ě accompagnato da una vecchia con la cuffia in capo» - scrisse Giovan Pietro Bellori nella Vita di Caravaggio {i6ji\ Valdinoci, 2010, pp. 93-4). Niente e nessuno, nel brano manzoniano come nella tela caravaggesca, sembra essere rimasto indifference o inanimato: ogni cosa e ogni figura, al conttario, sono attraversate da una teatralitä drammatica e 114 un romanzo per gli occhi dinamica. E come se tutti i personaggi ritratci fossero dcgli attori, alio stesso modo della madre di Cecilia e il monatto, che si sono messi a recitare una sacra rappresentazione. Sembra quasi che la Madonna e il Bambino siano due figure di un tabernacolo - magari proprio come quello davanti al quale Renzo si era inginocchiato, al primo arrivo a Milano (ps, xi, p. 129, § 51; tav. 6.8) - e che improwisamente ab-biano preso vita - i piedi della Madonna appoggiano solo la punta a terra, come se fossero ritratti nell'istante eterno deH'apparizione. La luce, in chiaroscuro, che Ii illumina entrambi, fa risaltare la prossimitä fisica e simbolica tra la leggerezza aerea di quelle punte appena appog-giate sul gradino e la gravitä terrestre del ginocchio e dei piedi sudici del pellegrino crollato al suolo, in segno di immediata remissione al sacro: in questa compresenza arriva il miracolo estetico del realismo cristiano. La combinazione di elementi reali e ideali (Pericolo, ton, p. 58), il melange di immanenza e rrascendenza, di puro e impuro, in una narrazio-ne che reinventa una prospettiva storica mettendo assieme Dio e le «genti di nessuno »: questa compresenza di situazioni e codici tenuti separati dal-la tradizione con cui rispettivamente si confrontano, e una delle risorsepiü rivoluzionarie del realismo cristiano, oltre che un punto cruciale di affinitä tra Caravaggio e Manzoni. Alio stesso modo della scelta di raccontare il mondo attraverso le vite di « due oscuri montanari», il soggetto d«fia Madonna diLoreto, una delle opere piu popolari del Caravaggio, non segue 1'iconografia tradizionale, ma, come ha spiegato Mina Gregori: e ripensato natucalizzando e ricreando una situazione reale. La Madonna che stringe il Figlio con la mano bcllissima premendo la carne a rammentarne la natura umana (un pensiero che ritorna in questi anni nella Coronazione Cecconi e nella Deposiziime), si affaccia sulla porta della Santa Casa che la incornicia come una nicchia. La coppia dei due vecchi pellegrini oranti, inginocchiati e con i piedi nudi, introduce uno straordinario e "lombardo" inserto pauperistico (Gregori, 1997, p. 20). Le genti «meccaniche» ai piedi della Madonna dei Pellegrini, come la moltitudine che si affolla attorno a Maria morta, nel quadro, realizzato negli stessi anni, della Morte della Vergine (1604-06; fatta acquistare al duca di Mantova da Rubens); o, ancora, come gli avventori di una manzoni e caravaggio 125 taverna secentesca a tavola con Cristo, nella Cena in Emmaus, non rac-contano, dunque, soltanto e genericamente l'umanitá pověra; ma sono corpi, segni, di veritá piú articolate ed eloquenti. La raffigurazione dei piedi nudi, aveva scritto Borromeo nel De pictura sacra, ě un simbolo di obbedienza e fedeltá: la medesima simbologia penitenziale - cfr. tav. 7.3 - a cui potremmo riferirci anche ripensando al San Matteo e Vangelo di Caravaggio scartato; o persino ripensando a don Rodrigo, di Gonin, raffigurato con i piedi sporchi e nudi come un pellegrino caravaggesco, quando ormai é in procinto di morire e, forse, di riawi-cinarsi a Dio. i^fefiílliliiiiíi PS, XXXV, p. 687 Caravaggio non fu un artista maledetto, alla maniera di un poeta fran-cese ottocentesco. Caravaggio per tutta la vita ebbe scambi intensi con le figure e la cultura della Controriforma, fino a prendere gli ordini lui stesso. Caravaggio assomiglia, in maniera profonda, al personaggio manzoniano di padre Cristoforo. Entrambi si possono capire meglio, e in modo meno aneddotico, se li guardiamo dentro gli sguardi e la cultura del loro tempo, e di un appassionato pauperismo di cui ľin-tetptete piú autorevole, come si racconta nei Promessi sposi recupe-rando la Vita scritta da Francesco Rivola (1656), fu proprio Federigo Borromeo: 12.6 un romanzo per gli occhi Nel 1580 manifesto la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e ne prese l'abito dalle mani di quel suo cugino Carlo, che una fama, giá fin d'allora antica e universale, predicava santo. Entro poco dopo nel collegio fondato da qucsco in Pavia, c che porta ancora il nome del loro casato; e II, applicandosi assiduamenre alle oceupazioni che trovó prescritte, due akre ne assunse di sua volontá; efurono d'insegnar la dottrina cristiana aipiii rozzi e derelitti delpopolo, e di visitare, servi-re, consolare esoccorreregl'infermi. Si valse dell'autorita che tutto gli conciliava in quel luogo, per attirare i suoi compagni a secondarlo in tali opere; e in ogni cosa onesta e profittevole esercitó come un primato d'esempio, un primato che le sue doti personali sarebbero forse basrate aprocacciargli, se fosse anche stato [' infimo per condizione. i vantaggi d'un altro genere, che la sua gli avrebbe potuto pro-curare, non solo non li ricercó, ma mise ogni studio a schivarli. Voile una tavola piuttosto povera che frugale, usó un vestiario piuttosto pověro che semplice; a conformita di questo, tutto il tenore della vita e il contegno. Né credette mai di dovcrlo mutare, per quanto alcuni congiunti gridassero e si lamentassero che av-vilisse cosi la dignita della casa. Un'altta guerra ebbe a sostenere con gristitutori, i quali, furtivamente e come per sorpresa, cercavano di mertergli davanti, addos-so, intorno, qualche suppellettile piu signorile, qualcosa che lo facesse distinguer dagli altri, e figurare come il principe del luogo (ps, xxii, pp. 415-6, §§ 16-18; cor-sivo mio). Vocazione e misericordia Gaardare un quadro alľinterno del luogo per ii quale e scato dipinto ě un'esperienza non cosi rara, in kalia, e tuttavia non piú famigliare come alcuni secoli fa. Non ě scontato ammirare una tela sacra in una chiesa, in-vece che in un museo o in una mostra. Alcuni lavori di Caravaggio, per fortuna, si trovano ancora negli spazi per i quali sono stati preparati, perciô si puó immaginare con meno dimcolta che in altri casi ľesperienza visuale originaria prevista da queste opere, realizzate e situate anche per procura-re, parlando agli occhi, ľoccasione di una contemplazione spirituále. La penultima illustrazione del capitolo vín della "Quarantana" (tav. 6.7), tratta dalla pagina dei ľromessi in cui padre Cristoforo, prima di con-gedarsi dai protagonisti in fuga, li invita a pregare, puó aiutarci a vedere meglio questo mondo in cui parola e immagini si saldano nelľesperienza della preghiera, sotto gli occhi di una pittura sacra: - Prima che parriate, - disse il padre, - preghiamo tutti insieme il Signore, perché sia con voi, in codesto viaggio, e sempre; e sopra tutto vi dia forza, vi dia amore di manzoni e caravaggio 12-7 volere ció ch'Egli ha voluto -. Cosi dicendo s'inginocchiô nel mezzo della chiesa; e tutti fecerlo stesso. Dopo ch'ebbero pregato, alcuni momenti, in silenzio, il padre, con voce sommessa, ma distinta, articolô queste parole: - noi vi preghiamo ancora per quel poveretto che ci ha condotti a questo passo, Noi saremmo indegni della vostra misericordia, se non ve la chiedessimo di cuore per lui; ne ha tanto bisogno! Noi, nella nostra rribolazione, abbiamo questo conforto, che siamo nella strada dove ci avete messi Voi: possiamo offrirvi i nostri guai; e diventano un guadagno. Ma lui!... ě vostro nemico. Oh disgraziato! compete con Voi! Abbiate pieta di lui, o Signore, toccategli il cuore, rendetelo vostro amico, concedetegli tutti i beni che noi possiamo desiderate a noi stessi. Alzatosipoi, come in fretta, disse: - via, figliuoli, non c'é tempo daperdere: Dio vi guardi, il suo angelo v'accompagni: andate -. E mentre s'avviavano, con quella commozione che non trova parole, e che si manifesta senza di esse, il padre soggiunse, con voce alterata: - il cuor mi dice che ci rivedremo presto (ps, VIII, pp. 161-2, §§ 85-87). E una scéna "a lume di notte": nello spazio rabbuiato della chiesa, un fascio di luce proveniente da una finestra in alto a destra, rischiara le figure, in maniera "mirata", come se fosse un raggio divino. Siamo in presenza di un procedimento scenografico "caravaggesco", evidentemente: luci e ombre compongono e orientano il senso della scéna, trasformandola nel teatro di un evento drammatico. Ľuso del chiaroscuro prodotto dalľ inserzione improwisa di una «striscia di luce » come dispositivo prospettico e dram-maturgico ci ricordala Vocazione di san Matteo (tav. 8.6), e sarä recupera- iz8 un romanzo per gli occhi manzoni e caravaggio 129 to anche per illustrare altti momenti cruciali del romanzo, sialetterari che iconografici. Cosi, poträ trattarsi di far risaltare, attraverso la scrittura, momenti di particolare censione e teatralizzazione del racconto: Tonio, eh? Entrate, - rispose la voce di dencro, II chiamato apri 1'uscio, appena quanto bastava per poter passar lui e il fratello, a un per volta. La striscia di luce, che uscí d'improwiso per quclla apertura, e si disegnö sul pavimento oscuro del pianerottolo, fece riscoter Lucia, come se fosse scoperta. Entrati i fratelli, Tonio si tirö dietro I'uscio: gli sposi rimasero immobili nelle tenebre, con l'orecchie tese, tenendo il fiato: il rumore piú forte era il marrellar che faceva il povero cuore di Lucia (ps, viii, p. 141, § 12). II lucignolo, che mořiva sul pavimento, mandava una luce languida e saltellante sopra Lucia (ps, vni, pp. 144-5, § 23). L'oste gli diede 1'aiuto richiesto; gli stese per di piů la coperta addosso, e gli dis-se sgarbatamente - buotia notte, - che giá quello russava. Poi, per quella specie ďattrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto d'amore, e che forse non é altro che il desiderio di conoscere ciö che opera fortementc sull'animo nostra, si fermö un momento a contemplate l'ospite cosi noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, con la mano stesa, ribatter sopra la luce (ps, XV, p. 292., § 11). Altre volte, luce e buio sono usati per sottolineare una tensione progressiva: Provava un certo ribrezzo a inolrrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia ando avanti; ma piú che s'inoitrava, piú il ribrezzo cresceva, piú ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rapprescntavan figure strane, deformi, mostruose; l'annoiava I'ombra delle cime leggermente agitate, che tremoiava sul sentiero illuminato qua e lädallaluna (ps, XVlI.p. 329, § 15). Oppure luce e ombra sono due poli complementari che esprimono la compresenza drammatica di due parti in conditio: da un lato la mancanza di Dio e il tormento (suggeriti dall'ombra, figura di uno spazio chiuso, magari separato da una grata), e, dalhaltro lato, la promessa di una grazia (associata alia luce proveniente da un altrove aperto). É quanto accade, per esempio nel punto in cui Lucia, nel capitolo ix, incontra per la prima volta Gertrude (tav. 2.9, in una scena che richiama un quadro che sia Go- nin che Manzoni potevano aver visto: tav. 2.8). Soprattutto, perö, questo modo di comporre la rappresentazione torna nella famosa notte dellTn-nominato. Recuperiamo ü passo piú emblematico: Un qualche demonio ha costei dalia sua, - pensava poi, rimasto solo, ritto, con le braccia incrociate sul petto, e con lo sguardo immobile sur una parte del pavimento, dove il raggio della luna, entrando da una finestra alta, disegnava un quadrato di luce pallida, tagliata a scacchi dalle grosse inferriate, e intagliata piú minutamente dai piccoli compartimenti dclle vetriate. - Un qualche demonio, o... un qualche angelo che la protegge... Compassione alNibbio!... Domattina, domattinadi buon'ora, fuor di qui costei; al suo destino, e non se ne parli piú, e, - proseguiva tra sé, con quell'a-nimo con cui si comanda a un ragazzo indocile, sapendo che non ubbidirá, -e non ci si pensi piú (ps, xxi, pp. 396-7, 12-13). Dove scrittura e immagine fanno un corpo unico di rimandi non tanto a singole suggestioni caravaggesche, ma a un sistema culturale complessivo - per Ü quale, nelle parti precedent!, abbiamo usato e spiegato espressioni come "costellazione Borromeo", o "realismo cristiano". Guardando meglio la sequenza della convetsione dellTnnominato, riconsiderandola atttaverso le questioni gia viste e discusse, confron-tandola con quella del personaggio assieme al quale l'lnnominato piú 130 un romanzo per gli occhi ci ricorda, per i suoi travagli interiori, 1'opera di Caravaggio, vale a dire padre Cristoforo, a questo punto del discorso possiamo aggiungere un altro aspetto. Se, difatti, socco il segno di Borromeo e della cultura della Concroriforma, il rapporto tra parola religione e immagini si raffbrza cosi tanto, questo awiene anche attraverso la mediazione di san Filippo Neri, maestro spirituále di Federigo Borromeo, e atttaverso la pratica della preghiera interiore che san Filippo e i Filippini, 1'ordine da lui fondato - committente di alcune opere di Caravaggio - riprende da sant'Ignazio di Loyola. GiiEsercizi spirituals, difatti, consistono in una forma di preghiera che compone l'ambiente immaginandolo "visibil-mente", cioe attraverso una concentrazione visiva forte sull'argomento da meditare. Per concentrarsi meglio e creare delle correnti di emozioni la pratica meditativa consiste nell'invenzione di immagini mentali attraverso le quali contemplare gli episodi della vita di Cristo, ricorrendo anche a immagini familiari come quelle di parenti e amici che favorisca-no l'immedesimazione. Questa «vista dell'immaginazione» (Ignazio di Loyola, 2005, pp. 51 passim) richiede una sorta di sptofondamento visivo sull'argomento da meditare, e una teatralizzazione della preghiera che sembra riportarci, come atmosféra narrativa, alio sguardo assorto dell'Innominato «con le braccia incrociate sul petto, e con lo sguardo immobile sur una parte del pavimento, dove il raggio della luna, entran-do da una finestra alta, disegnava un quadrato di luce pallida*. Continuando ad andare dietro alle immagini, non per incantat-ci su una suggestione, ma per ritrovare la cultura da cui ci parlano, ě interessante, tra 1'altro, ripercorrere l'arco narrativo del ritrovamento della grazia compiuto daU'Innominato. La leggenda della conversione dell'Innominato, difatti, ě un tema forte del racconto che piú che altro funziona come leggenda popolare di forte impatto presso le classi po-polari («Vedevano in lui un santo, ma un di que' santi che si dipingono con la testa alta, e con la spada in pugno»: ps, xxiv, p. 473, § 89); mentre guardando al modo in cui il testo prepara la resa a Dio, vale a dire attraverso la digressione e la crisi scatenata dall'arrivo al castello di Lucia (ossia colei che da la luce), sembra piuttosto operare la categoria gesuitica della "vocazione" (cfr. Prosperi, 2016, pp. 31 ss.). Come don Rodrigo, in sortotraccia, quando passeggia nella quadreria degli antena-ti; come padre Cristoforo, e perfino Gertrude, ai quali il testo riserva la digressione; anche nell'Innominato la scintilla che scatena la resa a Dio parte da una rimessa in discussione della vita passata. Il registro auto- manzoni e caravaggio 131 biografico delle digressioni dedicate a questi personaggi, e assimilabile alia presa di distanza dagli antichi peccati, in preparazione deH'uomo nuovo. Questo "andare all'indietro" ricorda la pratica gesuitica dell'e-same di coscienza come esercizio di preparazione a uno spazio interiore passivo pronto a essere toccato dalla luce di Dio: E per farla pass are, ando cercando col pensiero qualche cosa importance, qualcheduna di quelle che solevano occuparlo fortemcntc, onde applicarvelo tutto; ma non ne trovo nessuna. Tutto gli appariva cambiato: cio che altre volte stimolava piu fortemente i suoi desideri, ora non aveva piu nulla di de-siderabile: la passione, come un cavallo divenuto tutt'a un tratto restio per un'ombra, non voleva piii andare avanci. Pensando all'imprese awiate e non finite, in vece d'animarsi al compimento, in vece d'irritarsi degli ostacoli (che I'ira in quel momento gli sarebbe parsa soave), sentiva una tristezza, quasi uno spavento de' passi gia fatti. Il tempo gli s'arTaccio davanti voto d'ogni intento, d'ogni occupazione, d'ogni volere, pieno soltanto di memorie intollerabili; tutte Tore somiglianti a quella che gli passava cosi lenta, cosi pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti i suoi malandrini, e non trovava da coman-dare a nessuno di loro una cosa che gl'importasse; anzi l'idea di rivederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un'idea di schifo e d'impiccio (ps, xxi, pp. 406-7, §§ 45-46). Tutto l'esame interiore dell'Innominato procede in un teatro di penti-menti, emersioni, resistenze interne e opposizioni escerne tipiche del ro-manzo di vocazione gesuitico. La vocazione, come preparazione di uno spazio di risposta alia luce e a Dio, si consuma come progressiva sottra-zione dell'io alia specularita con rimmagine di se passata. Come risposta a Cristo che arriva come luce improwisa, come voce, come con san Paolo e come nella pagina manzoniana. Dio, infatti, ha il potere di "toccare" e "tenere in mano il cuore degli uomini" (ps, xx, p. 389, § 41). Di nuovo, un filo che s'intreccia, per esempio, con la Vocazione di san Matteo cara-vaggesca, dove il protagonista siede accanto ai suoi alter ego, che conti-nuano a contare soldi. Di nuovo, la forza drammatica con cui Dio arriva nelle tele di Caravaggio: Non si conosce nulla su eventuali rapporti di Caravaggio con la Compagnia di Gesu, ne e possibile ricavare da fonti che non siano la sua stessa opera di pittore un'idea delle sue convinzioni in materia di religione. Ma non c e dubbio che la sua incerpretazione della chiamata di san Matteo immerge lo spettatore nel clima ij2 un romanzo per gli occhi di quella visione profondamente drammarica dei rapporto tra l'uomo e Dio che ncl corso de] Cinquecento aveva preso Forma nelle correnti piu diverse, da quelle deH'agostinismo radicale di marca luterána a quelle degli alumbrados spagnolí e degli "illuminati" italiani (Prospěn, 2.016, p. 44). Un po' come dire che a Dio non ci si converte. A Dio, finalmente, dram-maticamente, si risponde, dallo spazio di un'immagiiie nascosta ma che, in sottotraccia, sembra lavorare continuamente: quella dello smarrimen-to nelle tenebre, della «solitudine tremenda» di cui ci parlano tanto le oscuritá di Caravaggio quanto i notturni dei Promessi sposi. Dal fondo di questa disperazione delhanima nasce Tattenzione, sia di Caravaggio che di Manzoni, per un binomio forte tra vocazione e misericordia allestito dalla Controriforma, e cosi importante per en-trambi gli autoři perché oltre a flssare un terna spirituále fissa una nuo-va cultura. «Dio perdona taňte cose, per un'opera di misericordia!», ripete due volte Lucia alhlnnominato, mettendo in moto 1'arrivo della grazia (ps., xxi, p. 399, §§ 21-22). «Dio che ha operato in voi il pro-digio della misericordia», dirá il cardinal Federigo alhlnnominato, quando si rende conto della sua volontá di cambiamento (ps, xxiii, p. 432, § 21). Proprio dove abbonda il peccato, come mostrano le vicende di san Matteo, o di Paolo, o di Pietro, o dell'hmominato e perfino don Rodrigo, li possono arrivare la grazia e la misericordia. In fondo alla disperazione si puó trovare la ragione della nostra prossimitá alla moltitudine e, at-traverso di essa, attraverso le sue miserie, a Dio. Questo ě il buio sacro di cui tanto P opera di Caravaggio quanto la scrittura dei Promessi sposi si impossessano e che scelgono di rappresentare. «Ma ció che gli andava balenando era ormai non tanto il "rilievo dei corpi" quanto la forma delle tenebre che li interrompono» (Longhi, 1973, p. 819), Per trovare perdono ai peccati, secondo la lezione di san Matteo (anche 1'unico evangelista che usa il termine «Chiesa» per indicare la comunita voluta da Gesú), il cristiano deve attenersi a due gruppi di sette opere di misericordia, spirituále e corporale. Caravaggio, come dopo di lui Manzoni, preferi soprattutto le seconde: quelle rappresen-tate nel quadro omonimo dipinto, tra il 1606 e il 1607, per il Pio Mon-te della Misericordia, a Napoli, dove si trova ancora (tav. 8.7). Riguar-diamole: 1. dar da mangiare agli afFamati; z. dar da bere agli assetati; 3. vestire gli ignudi; 4. alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; manzoni e caravaggio 133 6. visitare i carcerati; 7. seppellire i morti. Ecco che, a rileggerle, risalta meglio come /promessi sposi sia anche, un grande racconto popolare sulle opere di misericordia: PS, XXXII, p. 615 Non solo perché ciascuna delle opere di misericordia é presente ed ě svolta via via nel romanzo - sia dai padri cappuccini che dai protagonisti o dai personaggi minori - ma, soprattutto, perché per Manzoni, come per Caravaggio, far parlare la misericordia corporale signiricó comporre un mondo che rendesse pieni e necessari questi atti, vale a dire un universo capace di rendere visibile la gente affamata, assetata, stracciona, senza casa, malata, imprigionata, insepolta: la moltitudine dai piedi sporchi: Nell'uscire, vide, accanto alla porta, che quasi v'inciampava, sdraiate in terra, piu che sedute, due donne, una attempata, un'altra piu. giovine, con un bambino, che, dopo aver succhiata invano ľuna e ľaltra mammella, piangeva, piangeva; tutti del color della morte: e ritto, vicino a loro, un uomo, nel viso del quale e nelle membra, si potevano ancora vedere i segni d'unantica rob usee zza, domata e quasi spenta dal lungo disagio. Tutt'e tre stesero la mano verso colui che usciva con passo franco, e con ľaspetto rianimaro: nessuno parló; che poteva dir di piu una preghiera? 134 un romanzo per gli occhi - La c'e la Prowidenza! - disse Renzo; e, cacciata subito la mano in tasca, la voto di que' pochi soldi; Ii mise nella mano che si trovo piü vicina, e riprese la sua stca-da (ps, xvn, pp. 337-8, § 42.). Le Sette opere di Misericordia di Caravaggio fu consegnato il 9 gennaio 1607, e sistemato nella chiesa del Pio Monte deda Misericordia di Napoli, dove si trova tuttora. Incrociando questa data con d tempo storico inscenato dal romanzo possiamo fingere che il grande quadro alla parete della chiesa dove padre Cristoforo e i promessi pregano prima di congedarsi (tav. 6.7), neda notte del 10 novembre 162.8, invocando «misericordia» per chi ha rovinato i loro progetti, fosse, secondo la cronologia, un dipinto simile ada tela piú "popolare" di Caravaggio: Sette opere di Misericordia (tav. 8.7). Trasparenza e opacita Un arazzo strappato Creare una visione piú vera della cosa di cui é immagine e racconto: da stradě diverse tanto rdlusionismo barocco quanto il realismo cristiano possono produrre questo eťfetto, e farci dunque guardare e sentire come reali (il «vero per soggetto») una foglia di vite accartocciata che si sporge da una canestra di frutta, o un ragionamento alla carlona (cfr. Barenghi, 1994) intorno alla Guerra dei Trenťanni fatto a tavola, in un palazzotto tra i monti lombardi. La "naturalezza" e la forza del "componimento", che poi ě come dire la capacita delTarte, derivano dagli effetti di prospettiva sude cose, dai processi di visione organizzati attorno ad esse, scegliendo su cosa mettere o non mettere gli occhi, a partire dalla consapevolezza deďarte come rifacitura, messa in teatro, rappresentazione, illusione: pit-tura su pittura, scrittura su scrittura. Nei vari capitoli di questo libro abbiamo via via riflettuto intorno ai nuovi codici di realismo allestiti dai Promessi sposi, con un'azione rivolu-zionatia paragonabile, per 1' impatto, ada forza visiva, emotiva e dramma-tica delle opere caravaggesche. In entrambi i casi, e con linguaggi diversi, la potenza deda visione costruita dallopera sa arrivare alla moltitudine pur realizzando una composizione per niente semplice, anzi elaborata, e che puó anche mettere in scéna dubbi, paure, zone buie di opacita riflessiva. II finále dei Promessi sposi ě una delle parti che piu mescola la scelta di far entrare 1'immanenza nel campo del rappresentabde, owero del visibde, e d progetto di un componimento capace di rimandare a veritá che tra-scendono la singolaritá terrena. Colpisce che questa situazione riguardi un romanzo do ve, come in nessun altro, la metafora del racconto come opera di tessitura ricorre cosi tanto e cosi variamente. Ipromessi sposi, difatci, si apre con 1'immagine degii splendidi «arazzi» dede narrazioni storiche