IO II romanzo e la storia di Giorgio Panizza io.i La realtä del guazzabuglio umano Nel lungo e combattuto processo di identificazione di sé, della propria vocazione di scrittore, e della sua stessa collocazione nel mondo, in cui Manzoni si misura con i modelli piů aggiornati che trovava in gran parte vicino a sé (Parini, Alfieri, Monti, Foscolo) e li brucia, in una progressiva insoddisfazione per ogni forma della tradizione, per quanco rinnovata, e nel dubbio sul senso stesso dell'attivitä letteraria, ě giä chiaro come una delle piú forti ragioni di critica e di insofferenza sia la disponibilita e disposizione della letteratura a creare attraverso la parola oggetti immáginari. Quanto Manzoni veniva proclamando («il santo Vero / Mai non tradir», In morte di Carlo Imbonati, 1806, w. 113-214) e molto piu di una divisa polemica, o di unopposizione all ípocrisia e allbpportunismo. E un rovello profondo, che si scontra con una altrettanto insopprimibile vocazione e ambizione alia poesia, cioě appunto alia creazione verbale. Proprio il problema cruciale della necessitä che comunque la poesia produca «diletto» mo stra come sia in crisi la strada piu connaturata all'arte per raggiungerlo, cioě Finvenzione fantastica, sia nelle forme ormai dawero lontane «dei centauri e degli ippogrifl», che Manzoni deriderá nel dissuadere Marco Coen dalla letteratura (con la lettera famosa del 2 giugno 1831, Lettere, 1, lett. 395, p. 665), che in quelle, connaturate allinguaggio poetico italisno e al suo armamentario, della mitologia, che Favanguardia neoclassica aveva cosi tanto rivitalizzato. Se la ragion d'essere dell'arte, il senso del suo dono agli uomini, era 1'inciviiimento dei mortali attraverso le virtu, il «diletto», che delFarte era lo strumento indispensabile, non poteva sovrapporre de- MANZONI 10. iL ROMANZO E LA STOMA gli enti immaginari alia veritä, con la quale le virtu non potevano non identificarsi. Neli'escremo esaurimento de! proprio neociassicismo, ii poemetto Urania (1809), Pindaro-Manzoni ripercorre tutta quella mitologia, ma appunto non ce la fa piü, non puö credere a quegli Strumen ti del «diletto». Solo dalle Grazie «vien se cosa in fra i raortali / E di gentile, e sol qua giü quel canto / Vivra che lingua dal pensier profondo / Con la fortuna delle Grazie attinga» (w. 318-331). II pro-blema era appunto unire pensiero profondo e grazie, «l'interet et la bonne Poesie» (letteradel i° marzo 1809, CarteggioManzoni-Fauriel, p. 109). Problema tanto piü acuto, in quanto la proposta di un nuovo genere idillico che avanza nella cultura europea di inizio Ottocento come una (o la) strada della letteratura dei moderní, e nella quale quei due termini si potevano comporre, si scontra in Manzoni con una coscienza moko piú íncapace di quietarsi. Per Fauriel, che da quella soíuzione, in un dialogo stretto con Schiller, ě attratto proprio negli anni in cui s'incontra con Manzoni a Parigi, il nuovo idillio si fonda «sulla tendenza irresistibile dell'uomo verso una condizione ideale di ordine, di equilibrio e di tranquillitä, in cui non senta piü contraddi-zione positiva tra il suo destino possibiie e il suo destino reale». II genere idillico insomma «aspira alia meta forse piú emozionante e piú bella che si possa proporre la poesia: rappresentare lesistenza umana abbellita e addolcita dall'accordo deirinnocenza e della semplicita. con la pienezza delfintelligenza e della ragione» (Fauriel, 1810, pp. xxi-xxii e xxxi; trad. mia). Non ě necessario che Manzoni si converta perché senta che nella realta tale composizione ě per lui impossibile, e che allora alia letteratura spetti, come appunto scrive a Fauriel fin dall'inizio del loro rap-porto, il compito di esporre invece un «contrasto»: «la meditazione di ciö che ě, e di ciö che dovrebb'essere, e l'acerbo sentimento che na-sce da questo contrasto» (lettera del 9 febbraio 1806, Carteggio Man-zoni-Fauriel, p. 4). La conversione (nel 1810) da un senso allangoscia altrimenti intollerabiíe che sorge da quel contrasto, e che Manzoni generalizza come una condizione universale: «quando il Tasso rap-presenta il famoso pastore che accoglie Erminia pago della sua sorte, cade, mi sembra in errore volgare, immaginando 1'animo del pastore non quale doveva essere, ma quale doveva sembrare ad Erminia», in quanto «Finquietudine connaturale airuomo flnchegli rimane su questa terra dove non puö giungere al suo ultimo fine, fa si ch'egli sia sempre scontento del proprio stato e supponga che maggior riposo si trovi nelle altre condizioni». E dunque: «Ogni finzione che mostri ľuomo in riposo morale ě dissimile dal vero» (Materiali estetici, in Scritti letterari,pp. 48-9). Il vero, la condizione reale delľuomo nella storia, cioě dove si com-piono «í varj svolgimenti e gli adattamenti della natura umana nel cor-so della societa », é, come quasi confessa Manzoni in una dichiarazione altrove mai cosi esplicita e appunto sempre citata, «quello stato cos'i naturale alľuomo e cosi violento, cosi voluto e cosi pieno di dolori, che crea tanri scopi dei quali tende impossibile ľadempimento, che sop-porta tutti i mali e tutti i rimedj piuttosto che cessare un mornento, di quello stato ehe é un mistero di contraddizioni in cui ľingegno si perde, se non lo considera come uno stato di prova e di preparazione ad un'ahra esistenza» {Discorso 1S22, p. 64). L'inquietudine, lo «stato violento» non hanno nulla di leopardia-110, non hanno a che fare col "desiderío"; riguardano ľambito della morale, del comportamento, cioě il mondo delle relazioni, del rapporto tra gli individui, del singolo con il contesto sociale: questo ě per Manzoni il problema del «dover essere». A creare quello stato concorrono le infinite componenti delle individualita umane, in ciascuna delle quali si muove sempre il contrasto tra come si ě e come sarebbe giusto essere, tra «passioni» e «dovere», tra ignoranže e ragione. Neli'animo uma-no tutto ě «melange» ("mescoíato"), come scrive Madame de Staěl (1814, vol. li, p. 6o), in un libro che alimenta le riflessioni manzoniane intomo al 1815, e che ě determinante per il suo passaggio al dramma storico, al teatro moderno dei "caratteri"; sono «complicatissimi» i «motivi [...] che determinano ad agire» (Morale cattolica Amerio, 1, p. 125); il cuore umano, finirä per dire nello stile semplice dei Promessi sposi, ě un «guazzabuglio» (ps4ü 2013, p. 313). «Daüa riflessione di Manzoni esce traŕitta ogni specie di idillio» (Forti, 1981, p. Z64). Ma finalmente la letteratura ha un senso: con essa si puö rappresentare la realtä umana di quei "guazzabugli", perché ě analizzando i conflitti interiori che ne risultano, i percorsi che por-tano gli uomini ad agire, che si puö arrivare a cogliere, e a mostrare, cosa di quelle mescolanze ě "falso" e cosa ě "vero"; ě una scoperta che ciascuno puö compiere, soprattutto, e forse solo, nella «sventura», cioě nelle situazioni in cui ľindividuo si trova a scontrarsi con il contesto, e a misurarsi in questo modo con i limiti deüe convinzioni in 202 MANZONI 10. IL ROMANZO E LA STORIA cui ha operato, in cui si é dibattuto, per trovarsi ad accogliere veritä piu profonde; dunque non perché si osservi qualcuno che opponga la propria virtu alle violenze e ai vizi di un contesto dominante, ma perché il contrasto l'ha indirizzato a interrogarsi suile proprie scelte e a districarsi nel melange dei propri sentimenti, ritrovando ciô che Manzoni chiama le «idées calmes et grandes», quella veritä che per lui non puo non esserci ab aeterno ma al cui confronto valutiamo gli atti reali. Per questo é indispensabile che la «natura umana» sia colta nella veritä delle sue manifestazioni, calata negli intrecci reali, nei reali pro-cessi di causa-effetto di qualcosa che é accaduto, cioe nella storia. Nes-suna invenzione puó essere piu istruttiva, perché non si tratta tanto di "rappresentare" ciô che gli uomini hanno fatto, ma di capire perché, di intuire le ragioni dei comportamenti e cogliere in questo modo il con-flitto. Quando uno scrittore inventa, finisce per succedere che si sosti-tuisca «alla natura umana una natura convenzionale di perfezione o di perversttä, con tratti molto marcati e definiti, che non ci sono nella realtä, e senza quella mescolanza, quelle sfumature che vi si trovano, so-prattutto senza quel carattere di originalita di individualita, che non si manifesta che nelle circostanze in cui ľanimo é profondamente com-mosso e vivamente coinvolto e combattuto, e come accade nella realtä » (Primo sbozzo, Lettre ä M. C. ***; trad, di C. Riccardi, pp. 254-5; qui e nelle altre citazioni tutti i corsivi sono miei). É quanto awiene nella tragédia classicista, obbligata a seguire le regole delle "unitä", e dunque non solo a selezionare alcuni moventi, alcune passioni, ma a creare situazioni arbitrarie, mai accadute e inve-rosimili. Ma é quanto awiene ancor di piii in una forma come il romanzo, caratterizzata dalľinvenzione dei personaggi e delle vicende, e cui é dunque connaturato il rischio di dire il "falso": i romanzien «a forza di inventáre storie, situazioni nuove, pericoli inattesi, singolari contrasti di passioni e di interessi, hanno finito per creare una natura umana che non assomiglia per nulla a quella che avevano sotto gli occhi, o, per dir meglio, a quella che non hanno saputo vedere. E ciô si é tanto realizzato che ľepiteto di romanzesco é stato consacrato per designare generica-mente, a proposito di sentimenti e di costumi, quel tipo particolare di falsitä, quel tono fittizio, quei tratti convenzionali che caratterizza-no i personaggi dei romanzi» [Lettre a M. C.***, pp. 156-9; trad, di C. Riccardi). 10.2 Storia e poesia: ľequilibrio prowisorio nel teatro shakespeariano Nonostante ľevoluzione "realista" del genere, dal romance al novel, Manzoni si tiene dunque ben alia larga dal romanzo; la strada che gli si offre é quella del moderno dramma storico, con alle spalie i model-h dei «mirabile» Shakespeare. «Spiegare ciô che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto, per mezzo di quello che hanno fatto, ecco la poesia drammatica: creare dei fatti per adattarvi dei sentimenti é la grave pecca dei romanzi, da mademoiselle de Scudery fino ai nostri giorni» {Lettre a M. C. trad, di C. Riccardi, pp. 154-5). Siamo tra 1816 e 1821. É il momento del Conte di Cannagnola (edito nel 1820) e della prima fase di composizione d.t\YAdelchi. Manzoni é convinto di aver trovato un equilibrio. La sua vocazione inventiva, 3a sua indubbia potenza creativa hanno davanti a sé il campo offerto dali'immaginare i percorsi interni, i moti nascosti delle azioni di cui appare solo la mani-festazione esteriore: negli atti, nei discorsi. E escluso per principio che la restituzione poetica delle persone e delle vicende non rispettasse le coordinate storiche come era possibile conoscerle. Aiia voce del poeta-postero era destinato il coro, mai una trasposizione moderna dei personaggi, come spesso si é ripetuto. La "divinazione" manzoniana aveva dunque bisogno di un fondo storico solido; le era essenziale la possibilitä di leggere gli indivíduí nel contesto, perché solo in quel rapporto nasceva ľagnizione morale. Ľequilibrio raggiunto tra storia e poesia si reggeva su quella disponibilitä di documentazione: un equilibrio perfettamente gestito nel Carmagno-la, dove Manzoni, soprattutto in Sismondi {Histoire des Républiques italiennes du Moyen-Jge, chez H. Nicolle-chez Treuttel et Wiirtz, A Paris 1809-18), ha tutti i dati che gli servono; che si rompe invece con XAdelchi, tanto che, finita e pur pubbiicata la tragédia, al protagonista spetta la qualifica che sappiamo quanto negatíva di avere «une cou-Ieur romanesque» ("un tono romanzesco"). A mancare sono «i fon-damenti storici», cosi che «i disegni di Adelchi, i suoi giudizj sugli eventi, le sue inclinazioni, tutto il carattere in somma é inventato di pianta» {Adelchi 2015, p. 12); come Manzoni chiarisce bene, scriven-do a Fauriel (3 novembre 1821, Carteggio Manzoni-Fauriel, p. 313; trad, mia) di aver immaginato il carattere del protagonista sulia base di dati 204 20«; MANZONI 10. Ii ROMAiVZO E LA STORIA storici che aveva creduto fondati, quando non conosceva ancora bene la disinvokura con cui veniva maneggiata la storia, e di aver quindi co-struito il personaggio su quei dati, accorgendosi che non c'era niente di storico quando il lavoro era gia troppo avanzaco. Certo i dati sulle gesta longobarde erano esigui, ma in verita quello su cui Manzoni e ora costretto a interrogarsi e cosa si intenda per "dati storici". La storia insomma si rivela non essere riducibile a quanto nella Lettre era sembrato in relazione alia creazione del poeta: una serie di awenimenti «che non sono, per cosi dire, conosciuti che nella loro esteriorita» {Lettre a.M. (.'.""; trad, di C. Riccardi pp. 136-7), come quelli sintetizzati appunto nelle Notizie storicbe premcsst alle tragedie. Manzoni si accorge, come dira nel Discorso, che «una serie di fatti materiali ed esterni, per cosi dire, [...} non e per anco la storia, ne una materia bastante a formare il concetto drammatico di tin avvenimento storico ». Mentre: Le circostanze di leggi, di consuetudini, di opinioni, in cui si sono trovati i personaggi operanti; le intenzioni e le tcndenzc loro; lagiustizia 0 I'ingiusti-zia di esse, indipendentemente dalle convenzioni urnane, secondo o contra le quali e stato operato; i desiderj, i timori, i patimenti, lo stato generale dell'im-menso numero di uomini che non ebbero parte attiva negii awenimenti, ma che ne provarono gli effetti; queste ed altre cose di eguale, cioe di somma importanza, non si manifestano per lo piii net fatti stessi: e son pure la misura delgiudizio che se ne deveportare {Discorso 1822, pp. 6-7). Le circostanze e le istituzioni in mezzo a cui ci si trova a vivere in verita erano gia il contesto in cui cogliere e valutare il percorso di Carmagno-la; e appunto a Sismondi Manzoni aveva riconosciuto fin da subito lbriginalita di trattare la materia «come dovrebbero essere tutte le stone, e come pochissime lo sono», cioe «pigliando per base i cosrumi e 1'amministrazione, e gli effetti delle leggi sugli uomini, per cui devono essere fatte», mentre «accade troppo sovente di leggere, presso i piu lodati storici, descrizioni di lunghi periodi di tempi, e successioni di fatti vari e importanti, non vi trovando quasi altro che la mutazione che questi produssero negl'interessi e nella miserabile politica di pochi uomini: le nazioni erano quasi escluse dalla storia» {Morale cattolica Amerio, 1, pp. 4-5; e si potrebbe risalire ancora piu indietro, pur con diversita importanti, all'interesse per la Storia dellaguerra dett'indipen-denza degli Stati Uniti dldmerica di Carlo Botta). Ma ora ě appunto la verifica della mancanza totale di dati sulla "na-zione" cioe su una collettivitä, a obbligare lo scrittore a rendersi conto delia portata del problema e a coglierlo nella sua reale dimensions che ě poi quella che, per il fatto di riguardare ogni uomo, Manzoni ritiene piii giusta, tanto da vederla e da esprimerla attraverso un'immagine che ě poetica, giustamente celebre: Che se le ricerche le piu filosofiche, e le piu accurate su lo stato delia po-polazione italiana durante il dominio de' Longobardi, non potessero con-durre che alia disperazione di conoscerlo, questa sola dimostrazione sareb-be una delle piü gravi e delle piu feconde di pensiero che possa offrire la storia. Una immens a moltitudine d'uomini, una serie di generazioni, chepas-sa su la terra, su la sua terra, inosservata, senza lasciarvi un vestigio, ě un tristo ma portentoso fenomeno; e le cagioni di un tanto silenzio possono dar luogo ad indagini ancor piii importanti, che moke scoperte di fatto {Discorso 1822, p. 79). Non ě una riflessione solitaria. Augustin Thierry, uno storico francese che alia storia arriva dalla politica, nel luglio i8zo, due giorni prima della partenza di Manzoni da Parigi, con la prima deiie sue Lettres sur l'histoire de France (uscita su "Le Courrier rrancais" il 23 luglio 1820; la si veda in Discorso, p. 394) inaugurava un percorso decisivo per lo sviluppo futuro della storiografia; sosteneva che la «vera storia» della Francia non era quella che si era scritta fino a quei momento, ma quella che era rimasta sepolta nei documenti e nelle cronache del tempo, da dove si poteva ricostruire la scoria delle persone, la storia della massa, in cui vedere uomini «^l:aili a noi stessi», e non le «biz-zarrie» di un esiguo numero di personaggi ritenuti i soli degni di storia. Quelle conclusioni sulla storiografia che privilegia ia «miserabile politica» dei grandi e tace sulla vita delle «masse» si sono appunto alimentate con le letture e le conversazioni del soggiorno parigino di Manzoni, tra ľottobre del 1819 e il luglio 1820. Ě il periodo in cui io storico francese sta cominciando a proporre ia propria ricostruzione della divisione sociale in Europa come originata dal dominio degli in-vasori sui popoli asserviti, la ricostruzione cui Manzoni deve ľidea e ľimpostazione ááYAdelcbi. A legare Thierry e Manzoni ě Fauriel, che Manzoni celebra come «vivo esempíare di quello stile di storia, che risuka dalle tenaci contemplazioni di un intelietto profondo» [Discorso 1822, pp. 119-20). 2oé ?.r>-7 MANZONI 10. IL ROMANZO E LA STORIA 10.3 II romanzo storico: un nuovo equilibrio e una risorsa per lapoesia Thierry si riprometteva una riforma delia storiografia, in cui si fondes-sero erudizione e racconco, in cui, cioé, l'insieme di materiaii indistinti raccolto dalľerudizione fornisse la base indispensabile per ricostruire artraverso il racconto le condizioni di vita reali delle « masse », ne ripor-tasse in vita le individualita. Quando nel 1819 appare in Francia la tra-duzione di Ivanboe di Walter Scott, Thierry, che considera lo scrittore inglese «il maggior maestro che ci sia mai stato in quanto a divinazione storica» (Thierry, 1834, p. Xi), saluta il libro come un capolavoro. Scott aveva inaugurate nel 1816 con Waverley la nuova forma di "romanzo storico", che delia ricostruzione accurata delia realtä del passato, nei suoi aspetti sociali e di costume, una ricostruzione da «antiquario» (come si intitola un altro dei suoi romanzi), faceva il fondamento per ambien-tare percorsi in cui ľawentura era in realtä un processo di scoperta e di apprendimento della storia. Fu, come ě noto, un successo clamoroso in tutta Europa. Ivanhoe era dedicato al problema che Thierry stava in-dagando in quel periodo, la ricostruzione degli esiti deíía vittoria dei normanni sugli anglosassoni in Inghilterra nel 1066 non dal punto di vista dinastico, ma da quello delle condizioni sociali, dei rapporti che si erano venuti a creare tra dominatori e dominati. Un problema cruciaie, che, sottolinea Thierry, in un romanzo Scott aveva saputo presentare nella sua realtä viva come nessunbpera storiografica era riuscita a fare: in quel «teatro reale e dawero storico » in cui si cohoca k/äž>/e, la storia inventára, i personaggi ďinvenzione servono a rendere ancora piu evidente la grande scena poiitica in cui ii fa figurare. In conclusione, si ritrovapiu «storiavera» nei romanzi di Scott che nelle «compilazioni filosoficamente false» che si fregiano di quel nome. Cosi in un articolo pubblicato sul "Censeur Européen" del 29 maggio 1820, di cui Manzo-ni, ancora a Parigi, sembrerebbe non accorgersi, mentre, come si puô intuire da una lettera di poco successiva, ha letto Y Ivanhoe, ma non gli ě piaciuto, al contrario di Thierry e di Fauriel. A Milano, nonostante le insufficienze dei documenti e degh storici, Manzoni si dedica alia seconda tragédia. Tra novembre i8zo e febbraio 1821 stende i primi due atti. La crisi nella composizione ě ancora lontana, si aprira solo alľatto v, nelľagosto del 182,1. Ma qualcosa sta maturando. 108 Alia fine di gennaio annuncia a Fauriel come l'amico stretto Tommaso Grossi abbia intenzione di raffigurare un'epocaper mezzo di vmzfable di sua invenzione, grosso modo appunto come in Ivanhoe; 1'epoca ě quella della prima crociara e I'idea quella di rifiutare tutti i "coiori" conven-zionali, per dedicarsi a conoscere e a rappresentare quello che ě stato. Si tratta «di inventáře dei fatti per dare sviluppo a costumi storici». Ě appunto il modello di Scott, a proposito del quale Manzoni ora confessa e avanza forse una scusa: «Ho nominate Ivanhoe, e gli devo una ripa-razione: ero malato quando mi ě stato letto; ecco perché l'impressione che ne ho ricevuto allora ě stata cosi diversa dalla vostra» (lettera del 29 gennaio 1821, Carteggio Manzoni-Fauriel, pp. 286-7; trad. mia). E indubbio che ci sia voluto Thierry per far rileggere a Manzoni Ivanhoe. É a quell'articolo che si riferira anni dopo, chiusa la parabola, quando rícorderá: «Quante volte ě stato detto, e anche scritto, che i romanzi di Walter Scott erano piů veri della storia» {Del romanzo storico, p. 85). Ma quello che Manzoni vede nella rilettura ě altra cosa; il suo percorso non ě lo stesso di Thierry, gli e invece come speculare: il compito deííapoesia non ě «la narration historique» {ibid.), campo in cui la storia riesce comunque meglio; ma piuttosto approfittare della storia, raccogliendo i tratti caratteristici di un'epoca della societa, e svilupparli in un'azione. La prospettiva di Thierry e quella di uno storico, che ě attratto e convinto delle possibilitá narrative dellesposizione "romanzesca"; la prospettiva di Manzoni ě di un poeta, ed ě la scoperta di uno spazio impensato per la poesia, per la creazione. L operazione di Grossi gli sembra mostrare «una risorsa molto felice per questa poesia che non vuole morire, nonostante - si sta rivolgendo a Fauriel - i vostri tristipronostici» {ibid.). Manzoni sta dunque elaborando un nuovo equilibrio tra storia e invenzione: dove la storia face, e solo in quel caso, puó parlare la poesia, che scopre la liberta di inventáře i fatti proprio di quei personaggi di cui la storia non parla, aggirando, per cosi dire, il problema di esporre il falso, e trovandosi invece aperto un campo piu vasto e piu importante per rappresentare la condizione morale degli uomini, che resta Tunica ragione della letteratura. Una liberta ďinvenzione possibile solo tutta-via quando i dati della storia siano ben conosciuti. Con 1'epoca longo-barda non si potrebbe fare nessun romanzo. Ci vuole altro. Per esem-pio, «il Milanese del 1630, le passioni, l'anarchia, i disordini, le follie, le assurditá di quel tempo» (come scrive Visconti a Cousin il 30 aprile 1821, Carteggio Manzoni-Fauriel, p. 320; trad. mia). A questo punto 209 MANZONI 10. IL ROMAN Z O E LA STORIA 10.3 Ii romanzo storico: un nuovo equilibrio e una risorsa per la poesia Thierry si riprometteva una riforma della storiografia, in cui si fondes-sero erudizione e racconto, in cui, cioe, l'insieme di maceriali indistinti raccolto dali'erudizione fornisse la base indispensabile per ricostruire atcraverso il racconto le condizioni di vita reali delle « masse », ne ripor-tasse in vita le individualitä. Quando nel 1819 appare in Francia la tra-duzione di Ivanhoe di Walter Scott, Thierry, che considera lo scrittore inglese <