manzoni 12 stilistici e rétorici, spesso di matrice biblica, che costituiscono la controparte formale di concetti religiosi, che in tal modo si incarnano nella scrittura: non sono quindi il pre-concetto da dimostrare, ma dimostrazione in atto; non dall'ideale del pensiero al reale della scrittura, ma dalla realta della scrittura all'idealitä del pensiero, che in essa si incarna e quindi si manifesta (cfr. anche Sami, 2016, in particolare il primo capitolo). Annoni (2015), riprendendo con nuovi argomenti e ulteriori approfon-dimenti spunti gia. presenti nella critica manzoniana, segnala, anche se con qualche rigidita, la presenza, neUe opere di Manzoni, di una aporia che ne investe proprio il cattolicesimo: il poeta della «Madre de' Santi», della Pen-tecoste (v. 1) e dei Promessi sposi, «libro di pace», mal si concilierebbe con il poeta del «mondo della spada» (Annoni, 2015, pp. xl e xciv), che viene celebrato particolarmente in Marzo 1821 e che risorge episodicamente anche in seguito, ogni volta che emerge la passione politica per l'indipendenza e la liberta ďltalia, per conseguire le quali ritiene legittimo il ricorso alla violenza. La strada per una piú piena comprensione del modo in cui quella « religione cattolica» che «riempie e domina» i'«intelletto» di Manzoni si incarna (uso volutamente il termine teologico, poiché quella manzoniana va considerata una poetica dell'incarnazione) nelle sue opere, nella loro struttu-ra formale (neil'elocutio, noYinventio, nella dispositio), e appena intrapresa; e ancora da riprendere in esame ě il ruolo che esso modo ha nel conseguimento o meno del risultato estetico, nel senso manzoniano del bello morale. Il romanzo illustrato* di Salvátore Silvano Nigro e Francesco de Cristofaro iz.i Non sopire, non troncare C e un «gran fracasso», nei capitoli xviii e xix dei Promessi sposi. La casa di Renzo ě come Troia: «una cittäpreša ďassalto». Il monastero di Monza e, per don Rodrigo, un luogo da «espugnare». Vamontando un semenzaio di «guai», una «guerra... aperta», un «monte di disordi-ni»: tutta un'«iliade». A spegnere ľ«incendio», sopendo e troncan-do, prowede ľuomo-mantice. Gonfia le gote e soffia, soffia, soffia. «Un lungo soffio» equivale, nella sua sintassi mentale, a un «punto fermo». Ma gli capita anche di serrare le labbra e tirare dentro «tanťaria quanta ne soleva mandare fuori, soffiando». E un uomo ďapparato, di abilita piuttosto astuta e di vacuitä arruffata: abile anestesista dei buoni prin-cipi etici sacrificati agli interessi di famrglia e di casta. Ha «un parlare ambiguo, un tacere significativo, un icstare a mezzo, uno stringer dbc-chi ehe esprimeva: non posso parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia». Sotto sotto potrebbe essere una di «quelle scatole ehe si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c e nulla; ma servono a mantenere il eredito alla bottega». E il conte zio del consiglio segreto, il «comune zio» di don Rodrigo e di Attilio. Conoscitore delle tecniche pittoriche, Manzoni dediča al conte zio un ritratto a velature: «velare dicono i pittori il Coprire con colore liquido di poco corpo altro colore gia asciutto, affinché dalle due tin- * I parr. 12.1 e 12.7 sono di Salvátore Silvano Nigro; i parr. 12..2.-1z.6 di Francesco de Cristofaro. Ogni singola parte del contribute é stata concordata dai due autori. 138 239 MANZONI li. ILROMANZO ILLUSTRATE) FIGURA 12.1 Illustrazione di Francesco Gonin nel cap. xvm della Quarantana (ps+° i0o P- 337) ' te ne esca una cerza trasparente, die non potrebbesi ottenere dipin-gendosi alia prima e di pieno corpo» (Tommaseo, Bellini, 1879, iv, n, p. 1754)- Ed é abile, Manzoni, nel trasportare in morale ii lessico ar-riscico, ricorrendo al gioco barocco del velar rivelando. Scrive, nel ritratto in prosa: «sur un certo fondo di goffaggine, dipintogli in viso dalla nátura, velato poi e ricoperco, a phi mani, di politica, baleno un raggio di malizia che vi faceva un bellissimo vedere». La rivelazione del «raggio di malizia», ottenuta attraverso velature di «politica», ě il raggiungimento splendido del ritracto visivo realizzato da Gonin nella vignecta del capitolo xvm (fig. 12.i). Per il capitolo xix, Manzoni chiede a Gonin di illustrare il «sopire, troncare, padre moko reverendo» (cioě la fine della guerra, con l'allon-tanamento di fra Cristoforo la da dove non potrápiú intralciare i piani di don Rodrigo), nel colloquio del conte zio con il padre provinciale 240 FIGURA 11.2 Illustrazione di Francesco Gonin nel cap. xix della Quarantana (ps+° 1000, p. 3 66) dei Cappuccini. Ma locchio di Gonin scivola sul seguito del discorso: «Mio nipote ě giovine; il religioso, da quel che sento ha ancora tutto lo spirito, le... inclinazioni d'un giovine: e tocca a noi, che abbiaino i noscri anni... pur troppo eh, padre moko reverendo ?». Ě attratto dalla malinconia dell'awerbio, dalla mestizia del tramonto (fig. 12.2). A Manzoni la vignetta piace: con quelle due canizie logorate dalla vita, con quelle curvature sulle spalle, con la sospensione triste prima dell'avverbio che cade tra le loro mani. Manzoni ha concordaco con Gonin che ció che «allartista tornameglio» va rispectato; e in questo caso lui, lo scrittore, avrebbe adeguato il resto. Chi le vignetce detta, e chi le realizza collaborano nel comune rispetto delle proprie prerogative. E, in questo caso, Manzoni ha pensato di mettere in correla-zione il ritratto solitario del conte zio e il ritratto doppio cosi come ě stato realizzato da Gonin. Sorpassa il testo della Ventisettana e degli Sposi promessi, e riprende dal manoscritto del Fermo e Lucia un brano di commento che aveva lasciato cadere: «Chi fosse stato presente a quel dialogo avrebbe potuto scorgere in quel momento una mutazione curiosa nel volto dei due personaggi, che per la prima volta prendeva 241 manzoni 1'espressione ďun sentimento sincero: qui non aveva luogo la politica, e ii cuore parlava» (fl 2,006, p. 135). Recupera ilpasso, lo distende, lo integra maliziosamente: Chi fosse stato li a vedere, in quel punto, fu come quando, nel mezzo di un'o-pera seria, s'alza per isbaglio uno scenario prima del tempo, e si vede un can-cante che, non pensando, in quel momento, che ci sia un pubblico al mondo, discorre alia buona con un suo compagno. Il viso J'atto, la voce del conre zio, nel dir quel pur troppol, tutto ru naturale: li non c'era politica: era proprio vero che gli dava noia ďavere i suoi anni. Non giá che piangesse i passatempi, il brio, 1'avvenenza della gioventu. Frivolezze, sciocchezze, miserie! La cagio-ne del suo dispiacere era ben piú soda e importante: era che sperava un certo posto pííi alto, quando fosse vacato; e temeva di non arrivare a tempo. Octe-nuto che i'avesse, si poteva esser certi che non si sarebbe piú curato degli anni, non avrebbe desideraro altro, e sarebbe morto contento, come tutti quelli che desideran molto una cosa, assicurano di voler fare, quando siano arrivati a ottenerla (ps40 1002, pp. 366-7). Il cattivo pensiero di Manzoni mira a non redimere il personaggio del suo romanzo. Ma anche a commentary integrandolo, il siparietto rea-lizzato da Gonin. Le vignette non vanno lette tautologicamente. Ci di-cono molte cose, sulla collaborazione tra lo scrittore e 1'illustratore; e anche sulla storia del testo. A parte il fatto che Manzoni ha programma-to l'edizione definitiva dei Promessi sposi in modo che scritto e figurato fossero parti inseparabili di un'unica testualitá. 12.2 Negli occhi di chi scrive Se si sono prese le mosse da un dato, puntuale quanto emblematico, rilevabile nella «graii macchina» della Quarantana, lo si ě fatto anche per sfuggire a un imbarazzo metodologico; imbarazzo che e perö venuto il momento di affrontare. Giacché un ragguaglio delFintreccio tra codice verbale e codice visuale nei Promessi sposi puö avere abbrivi diversi. Puö partire dai primi decenni dell'Ottocento, allorché il co-smopolita e curiosissimo Alessandro aftina il suo gusto di connaisseur, la sua sempře denegata, sempre vigile competenza in materia di arrj figurative: nutrendola, frale altre cose, degli spettacolosi teleri barocchi e delle pitture caravaggesche, cioě dei sommi conseguimenti di quel se- ii. il romanzo illustrato coio la cui íuce finirá per irrorare il capolavoro. Oppure puo cominciare dal 1827, quando l'opera esce dalla tipografia nella sua forma originaria, fatta di sole parole., e subito sposa l'industria culturale dissipandosi, in ossequio ai costumi ďokralpe e ďoltremanica, in un'esistenza editona-le parassitaria e abusiva: dove troveranno spazio non solo le prime edi-zioni illustrate e serie litograficbe, che rifacendosi a modelli píttorici e ideologic! diversi finiscono per plasmare il senso e i sensi del romanzo neH'immaginario collettivo, ma anche tutte le pratiche performative, i balli, le pantomime, le stampe, i dipinti realizzati a partire dai testo. Infme, il nostra racconto puó principiare da quel giorno del 1837 in cui don Lisander, ormai spazientito per il dilagare delle edizioni pirata ma ancfie - sebbene gli studiosi fatichino tuttora ad accettarlo - rapito da un nuovo, entusiasmante "sogno di una cosa" si metre alia ricerca delle maestranze da convocare e nell'occasione chiede conforto e consiglio a un parente d'eccezione, Massimo dAzeglio. Converra attestarsi su quest'ultimo livello, e lasciare che gii altri due funzionino, per dir cosi, da fondalt. Non senza aver segnalato che quei fondali, luno piú remoto e l'altro piú prossimo, intersecano di con-tinuo la scéna principále: contribuendo, come memoria piú o meno riřlessa, piú o meno accettata, alia sua iconografia e ai significati che sprigiona (molte vignette della Quarantana sono semplicemente in-concepibiíi senza la nobile tradizione artistica secentesca e senza far-tigianato povero di quei primi incisori). E non senza aver osservato, a un piú alto grado di astrazione, che quando si parla di "immagini" aproposito dei Promessi sposi occorre tener presente che ě lo scrittore stesso, nella composizione dei luoghi e nella definizione dei personag-gi, a pensare in figuris: stante quel primato dello sguardo nel cui segno Ezio Raimondi (1974, pp. 3 ss.), rimeditando le lezioni di Michel Foti-cault e di Lucien Febvre, voile inquadrare quest'opera epistemologica-mente e morfologicamente aggettante «verso il realismo». Insomnia, le immagini sono immanenti al libro prima ancora che quest'ultimo le accolga effettivamente fra le sue pagine: soggiacciono alia scrittura, ia motivano e la definiscono cosi nel quadrante dei principi estetici come neile scintillazioni della «fantasmagoria» romanzesca. Manzoni, dunque, si ritrova a tu per tu con dAzeglio - uomo d'a-zione e di studio, scrittore, pittore - a parlargli deii'idea di consegnare ai suoi «venticinque lettori» un prodotto diverso: un ibrido audiovi-sivo, un «combinato mediale» (Alfano, 1014, p. 1171). Desidera che il suo artefatto piú ambizioso sia qualcosa di piú duna pur decanta- 2.43 manzoni cissima sequenza alfabetica; che i'«occhio», come voleva il geniale Hogarth (1999, p. 60), possa finalmente beneficiare appieno di quella «ghiotta sorta di caccia » che ě la contemplazione della bellezza. Forse egli ha letto e riletto tante volte quella storia, quella storia tante volte scritta e riscritta, che ora non puö piú fare a meno di guardarla dawero, e coi suoi occhi. Se ie immagini mentali hauno prodotto parole d'in-chiostro, le parole adesso dovranno produrre immagini d'inchiostro. Di piú: lo scrittore vuole che a guardare la storia di Renzo e Lucia coi suoi occhi siano anche i lettori. Se si compulsano alcuni dei disegni cor-renti in quei dieci anni di editoria selvaggia, e se si misurano i moti di stizza e le idiosincrasie che di quando in quando balenano nelle carte, ci si potrebbe perfino spingere a pensare che, piú ancora che di fornire una rappresentazione sinestetica della «cantafavola», Manzoni abbia a cuore di donare al pubblico una visione vergine: sottrarre ogni traccia memoriále fuorviante, sostituendo le interpretazioni figurative a opera di altri, sempře posticce e parziali, con la propria, ch e la sola autentíca e genuina. In virtú di un formato originale (basato suH'implementazione di un ampia serie silografica, da intercalare nel tessuto verbale), l'espe-rienza estetica sara cosi saturata e acclimatata entro una dimensione che oggi chiameremmo "immersiva". Soprattutto nei capitoli maggior-mente permeati di atmosféře da "commedia umana" appare evidente la volontá di conseguire una sorta di ridondanza delle immagini rispetto alle parole: tuttavia, come si vedrä, ciö a cui la macchina testuale della Quarantana perviene va ben oltre gli intend: innescando effetti di sen-so, alterazioni, corti circuit! in parte non previsti. 12.3 L'ora di ricreazione Chiediamoci allora, con doverosa brevita, come fossero fatte le stampe non autorizzate dei Promessi sposi che transitarono lungo il terzo decen-nio dell'Ottocento. La conquista del mercato era iniziata gia alia vigilia della pubbiicazione delh princeps presso Ferrario, quando Casa Ricordi avevaproposto al pubblico una serie di tavole litografiche da unire al te-sto (e giunto a noiperfino un «Manifesto di associazione », ossia di sot-toscrizione, che fornisce il mode d'emploi). Figli di padre ignoto, questi disegni sono al centro di un singolare giallo filologico: non solo perche ii. il romanzo illustrato sono rarissimí, al punto che non se ne trova quasi ttaccia negli archivi Ricordi e Ferrario, ma anche perché le didascalie recano in modo rego-lare unabbreviazione non perspicua, rinviante a un titolo ormai supera-to (Sp. Prom,). E dunque verosimile che la committenza risalga a moko prima del 1817, e che le comprensibili perplessitä dell'autore abbiano fat-to naufragare l'iniziativa. Ma ie capacitä di ticonversione delťindustria libraria italiana er ano al tempo - tempo di arrembaggio e di guerriglia con la censura, di invenzione estemporanea di coilane, di spasmodica intercettazione dei gusti del pubblico, di Campagne promozionali mol-to alla buona - ptodigiose: sicché non si puö escludere che, una volta ricacciata dal libro per volere di Manzoni, quella dozzina di iliustrazioni abbia circolato alla spiccíolata e sottobanco, magari all'insaputa di autore ed editore; esercitando nella cultura diffusa un potere subliminale di cui, a ben guardare, paghiamo ancora oggi le conseguenze. Comunque sia andata, le litografie griffate Ricordi, con il loro as-sortimento in chiave esemplare di altrettante ore topiche dell'intrec-cio e con le loro scelte grossolane o meglio «puerili» (Parenti, 1936, p. 36) nella caratterizzazione dei personaggi, guidarono non solo la prima ricezione dellbpera ma anche le tendenze di quanti si sarebbero poí awicendati neíía sfida deila traduzione visiva: dall'interpretazione cattolico-pauperista di Gallo Gallina a quella comico-realistica di Roberto Focosi (peraltro le due serie, ideologicamente e tematicamente complementari, escono in flagrante concorrenza: negli stessi anni e nello stesso territorio), fino a Domenico Landini e Bartolomeo Pinel-li, che contribuirono al fissarsi di unautentica koiné figurativa. Una ricognizíone di questo formidabile "sommerso" - sommerso fino a un certo punto, se nei 1830 le litografie di Gallina vengono esposte a Brera a mo' di polittico - non é priva di sorprese e di spiazzamemi. Vi si no-tano chiaroscuri e accenti sospesi fra il gotico e il devoto, e un assetto complessivo non del tutto digiuno di cultura artistica, in specie ba-rocca; una propensione spiccata per le scene di folia; una restituzione sovente anacronistica deíle fogge ďabbígliamento (applicazione piú lealista del re del celebre passo dalla lettera dedicatoria di Ivanhoe, ove si professava che non importa se per restituire il vestiario di unepoca si adoperano miniatuře relative a un altro secolo: bašta che funzioni, e che sia Storia, e che sia realtä). E si incontrano, di volta in volta, uno smilzo don Abbondio, una Lucia prosperosa, un Renzo a guisa di paggio (fig. ii.j). Ancora, ci si imbatte in arredamenti incongrui: come quello deíla dimora di don Rodrigo, che richiama piuttosto gli 244 245 manzoni iz. il romanzo illustrato pigura i2..3 '--~ _ G. Gallina, Renzo sul carro dei monatti, litografia, 182.9. Miláno Ca« Vr tparticolare) J 1,ulu' *-asa Manzoni '1* v. interní dei romanzi a la vogue d i Dumas. Piü in generale, si assiste al trionfo di una sorta di pittoresco domestico, spregiudicatamente adat-tato al mercato di arrivo: per cui in un'edizione veneziana ii barcaiolo che trasporta Lucia ricorderapiuttosto un gondoliere, mentre i famosi disegni di Pinelli finiranno per teletrasportare i due fidanzatini nelk Roma papalina. Eppure si sbaglierebbe a derubricare queste illustrazioni come qual-cosa di ailotrio per il solo motivo che sfuggirono aila volontä e al con-trollo dello scrittore. Intanto perché esse costituirono in qualche modo le prime "letture" complessive del romanzo; e poi perché non poterono non iiifluenzare la tradizione che si costitui immediatamente, addirit- tura prima che il testo trovasse la sua forma finale. Soprattutto, le Serie figurative di Gallina, Focosi e Pinelli possono essere viste come tre pro-nostici della fortuna criüca del romanzo, come tre scommesse su altret-tanti campi tematici (e registri espressivi): in un crescendo di "piacere del testo" che trascorre dal carattere ecumenico, sublime, quasi allego-rico del primo, attraverso i tagli piú mossi e materialistici del secondo, fino al segno corrusco e awenturoso, da squisito romance, del terzo. Se Niccolö Tommaseo poteva narrare, in un'umorosa e lungimirante lettera a Giovan Pietro Vieusseux datata 18x7, l'aneddoto di una fami-gliainglese che si era astenutadall'acquisto del capolavoromanzoniano «perche lo tmvava non libro da viaggio, ma da chiesa; non romanzo, ma Bibbia» (Tommaseo, Vieusseux, 1956, p. 115), bisognerä cuttavia riconoscere che le vesti iconografiche che, suo malgrado, il libro si ri-trovö a indossare potevano quantomeno allargare la gamma virtuale dei lettori, anzi la gamma delle nazionalitä dei lettori - o delle famiglie di íettori, giacché il romanzo mostra fin da subito una trasversalitä anche generazionale di target. Cid detto, 1promessi sposi sono sempře stati innanzitutto una storia italiana: una storia gloriosa quanto illegale. Solo nella penisola sessan-tacinque edizioni pirata, molto spesso illustrate, furono impresse nel giro di pochi anni: la mappa del malaffare aveva i suoi capoluoghi in Milano, Torino, Venezia e Firenze; e ia sua capitale in Napoli. Al fiume d'inchiostro si aggiunse poi lo sfavillio teatrale, ivi compresa una rap-presentazione in costume alia corte del granduca Leopoldo: a don Li-sander toccö non soltanto assistervi, ma anche portarsi a casa, a mo' di gadget, le relative tavole, ove le scene manzoniane venivano mortificate fino al grado zero della rappresentazione. Lora della ricreazione důro giusto dieci anni, dal 1827 al 1837: quando lo scrittore comprese che bisognava rilanciare sulio stesso terreno. I řantasmi che popolavano le menti dei suoi lettori potevano essere debellati solo da altri fantasmi. 12.4 La macchina fatale Lescogitazione di un dispositivo testuale anfibio e audace non é solo, pero, una contromossa delTautore a salvaguardia del suo capitale fantastice* e del suo diritto intellettuale. E anche uno schietto progetto di opera ďarte, che rampolla dauna cultura del romanzo di gittata europea 246 2.47 manzoni e di tempra modernissima. Si pub considerare il fervore di Manzoninci confronci dei libri illustrati alia stregua di un'altra conversione, quests volta non religiosa bensi estetica; ma se nella prima aveva rivestito un ruolo decísivo Enrichetta Biondel, ě ora la seconda moglie, Teresa Borri Stampa, a spalancargli lc porte del nuovo credo. I libri galeotti sono te opere dei maestri del "realismo sociále" franeese, a cominciare da quel: Grandville che aveva saputo far rifulgere di altra luce i romanzi di Bal-zac, scandendo la narrazione con vignette dal tratto leggero, seriamente quotidiano, mai oleograflco (cfr. Mazzocca, 1985b). E sará proprio que-sta strategia mimetica a prevalere nell'officina della Quarantana: seb-bene il fiat dell'impresa avesse avuto tutt'altra scaturigine, ancora una : volta nel segno di Walter Scott. Gia nel 1830, infatti, lo stesso editore della princeps dei Promessi sposi aveva pubblicato un Ivanhoe di successo, decorato dalle immagini a tutta pagina di Francesco Hayez: non deve sorprendere, allora, se é proprio il noto pittore veneziano il primo arte-fice a cui Manzoni rivolge la propria attenzione. I disegni preparatori, pero, non gli piacciono; il progetto abortisce. E solo nel 1839 che esso riprende quota, con uno slancio diverso e un in-tuizione nuova: le immagini avrebbero intervallato il testo; di piú, si sarebbero embricate a esso. II modello canonico di rappresentazione "all'inglese", che prevedeva appunto figure a pienapagina (di solito una per capitolo), veniva cosi rigettato, complice una smagliante edizione di Gil Bias di cui la critica ha da tempo segnalato la potenza ispiratrice. Ě d'Azeglio, come si ě accennato, a mettere in contatto Manzoni col torinese Francesco Gonin e con una compagine professionale di silo-grafi, coorclinata da Luigi Sacchi e fermata dai nieno nocj fratelli Paolo e Luigi Riccardi, figurista e paesista, dai ritrattista Giuseppe Segni, dal vedutista Luigi Bisi e dal prospettico Federico Moja; al risultato finale daranno poi ii loro contributo anche gli stessi Hayez e d'Azeglio, ri-spettivamente con due e tre iliustrazioni, e Louis Boulanger. Insomma, un drappello di artisti-artigiani dalle diverse specializzazioni, entro un modello di divisione del lavoro dalla micidiale precisione. In effetti il gioco di squadra, febbrile e meticoloso, ebbe due uomini soli al comando: Gonin, r«ammirabile traduttore», e Manzoni, vero regista (o «aiuto regista», come altri hanno piu moderatamente sug-geriro; cfr. Baldini, 1956) dellbperazione. I fondamentali studi di Pa-renti (1945), Mazzocca (1985b) e Barelli (1991) hanno opportunamente insistito sullaspecialissima qualita della collaborazione tra i due: stima 11. il romanzo illustrato f-reciproca, affiatamento, una rarissima simbiosi artistka. Manzoni gio-: ca ii ruolo di moderno editor, sollecitato soprattutro dalľaspetto eco-numico delľintrapresa: puntigliosa é la sua indagine di mercato, e cosi : le trattative con le tipografie. In una roboante lettera a Giacomo Bec-caxia osserva che la pubblicazione a dispense consente di programmare : con anticipo il calcolo delle spese, e pronostica che le vignette lo rende-ranno «difattounicovenditore [...], giacché il contraffattore non puó dar fuori quinternetti cosi nudi di ogni ornato»: ogni falsificazione sa-rebbe statadunque «non una speculazionemaunapazzia» (Lettere, 1, p. 119). Vediamo qui in azione un insospettabile scrittore-mercatante, compiaciuto oltremodo di quella che a lui pare una trovata ingegnosa e risolutiva: ľarte come una filigrána! Solo che malauguratamente aveva fatto, al pari del suo simpliássimus Renzo, i conti senza ľoste. Vuoi íl mercato giá saturo, vuoi lo sminuzzamento in pecie di un intreccio chera ormai entrato nella memoria collettiva (e che non poteva per-tanto capitalizzare la tecnica piu tipica dei formato: la suspense), vuoi ľinternazionalitä della proposta, difficilmente ricevibile da parte di un pubblico attardato e provinciale, vuoi il pervicace proliferare di copie contraffatte: fatto sta che, a onta delle ambiziose aspettative, ľedizione pubbHcata tra il 1840 e il 1842 per i tipi di Guglielmini e Redaelli non incontró lo sperato successo di vendite. I resti di quel cattivo affare era-no destinati a ingombrare per mold anni i locali di casa Manzoni. E dire che don Lisander - che sulla questione dei diritti d'autore era. stato aizzato da Balzac in persona in un leggendario rendez-vous nella «sala rossa» di via Morone: tabacchiera contro caffettiera - ce 1 aveva messa tutta. Si era assunto, oltre agli oneri economici, la piena responsabilitä del lavoro editoriale da compiere. Aveva finanche dero-gato al suo feticisrno del mot juste, poiché piu urgente era quelľaltro, nuovo feticisrno del libro a venire: pur di incontrare le necessitä di Gonin e di ottenere un risultato coerente nel rapporto fra parole e figure, si era mostrato disponibile a modificare il testo concepito e cesellato; anche regredendo, come si ě qui esemplificato nel par. iz.i, alia lettera del Fermo. Al livello prettamente operativo, poi, si era fatto carico di ciascuna delle scelte inerenti al progetto: non solo ľiconograŕia delle singole scene, ma anche la mise en page, i rapporti di grandezza tra le figure, i richiami interni al libro e perfino alia sua piu piccola, individua unita materiále (la singola pagina) o visuale (il verso di un foglio piu il recto del seguente). 149 manzoni 11. il romanzo illustrato figura iz.4 Pagine affiancate della Quarantäne, con ill zooi,pp. 746 e ?47) uscrazioni di Francesco Gonin (Ps« iJllSlSflSill^ Un caso per cutci si staglia fra le pp. 746 e 747 deila Quarantana, dove insieme a Gonin mette a segno quello che un giorno, in un'arte ancora di la da venire, si sarebbe detto un «montaggio delle atcrazioni»: af-fiancaliiltima vignetta della vicenda di Renzo c Lucia, con la famiglia finalmente costituita (ed eticamente istituita), e il quadro di desola-zione che apre la Colonna infame. Indubbiamente ricercato, l'effetto e percurbante: l'interno privato trascolora in esterno pubblico, il gaudio cristiano si storce in denuncia illuministica, la verticalirä cetragona del monumento vira in direzione ideologicamente simmetrica a quella del braccio del primo uomo del romanzo, teso a poneificare e a edificare. Forse Ipromessi sposi scanno cutti Ii, in quella sorta di "urloJ1 figurale; il loro senso profondo e, alla lectera, squadernato in un unico specchio di pagina, che diviene cosi ia pietra dello scandalo, Timmagine plastica della dislettura che per rroppo tempo ha segnaco lesegesi raanzoniana (fig. 12.4). 2.50 12.5 Cristalli di senso Se la doppia facciata a cavallo tra la «cantafavola» e l'inchiesta sul pro-cesso agli untori costituisce il punctum del libro, la "sezione aurea" ca-pace di guidarne l'interpretazione complessiva, le oltre 500 figure che vi sono disseminate compongono un ingranaggio testuak di straordinaria coerenza: un vero e proprio «sistema delle illustrazioni», che Giancar-lo Alfano (2014) ha delineato in uno studio aggiornato e acuto. Qui ci si limiterä a fornire un compendio della questione, rinviando per quakhe singolo campione al capitolo di Matteo Palumbo in questo stesso volume (cfr. cap. s)- Ripartiamo da un documento filologico del massimo interesse. L'in-tenzione di realizzare un prodotto omogeneo e la consapevolezza della natura tipografica dell'opera emergono infatti dall'analisi dei cosiddet-ti Motivi, che sono poi vere e proprie directive rivolte dallo scrittore a Gonin e contenenti indieazioni non solo di ordine tematico ma anche circa la ratio e la collocazione nella pagina delle vignette. Manzoni te-neva a che le immagini non fossero un ornamento, ma scandissero e pausassero il testo, guidando inoltre la lettura e la memorizzazione delle vicende. Nella Quarantana esse hanno talvolta posizione prolettica, piü spesso analettica: attuano una sorta di "dopptaggio" dello scritto. Alcune, soprattutto quelle con valore allegorico, svolgono una funzio-ne di «cristalli di senso» (Alfano, 2014, p. 1270): in stretco rapporto con il testo verbale, configurano una sorta di « costellazione semantica diffusa, realizzata attraverso relazioni di affinitä strutturale, anche a distanza» {ibid.). Qualche esempio chiarira quanto si sta affermando. Nel capolette-ra del capitolo xxvni e rappresentata lAbbondanza che rovescia una cornucopia con aria di scherno. Questa trasparente ipostasi della cat-tiva politica dei governanti milanesi innesca un corto circuito con il capolettera del capitolo xxxi dove h invece rappresentata un'allegoria della peste: i due «cristalli di senso» si richiamano vicendevolmen-te ponendo in rapporto causale e figurale la carescia e il morbo giallo. Vanno nella stessa direzione, in modo anche piü palese, le intestazioni dei capitoli: fatti salvi il I, il xiv e il xxxvi, che sono introdotti da immagini peculiari, ogni capitolo e annunciato da una specie di figura araldica che si ripete piü volte nel corso dell'opera. Il putto con le tor- 251 cc, la mano con il pugnak, la lorta :ra ľaquila e il serpente, la nave in tempesta, ľaquila con le ali dispiegate, i cani ehe braccano la lepre nella tana detengono la funzione di anticipazione a chiave di quello ehe sta per essere narrato. Bjsponde invece a una sorca di «cristallograria dinamica» {ibid.) la vignerta del capitolo iv dove sono ripresi, alľinterno di una singola immagine, piü awenimenti: ľomicidio di Criscoforo, ťedele servito-re di Ludovico, e la conseguente uccisione delľassassino da parte di questi, ehe poi ne mutuerä il nome. Altrove, la sequenza figurativa obbedisce piuttosto allo seopo di dinamizzare lo sguardo del lettore: gli effetti di inquadratura, la scala dei piani e la sequenza del montag-gio flniscono per dar víta a quella fattispecie ehe la critica chiama oggi "precinerna" (per inciso, non é im caso ehe Ipromessi sposi siano spesso risultati matéria prima perfettamente predisposta per la settima arte: non solo opere realizzate, da Bonnard ad Archibugi, ma anche pro-getti inesauditi, come il trattamento di Giorgio Bassani e il "cantiere" delia Film Lux, con Luchino Visconti in prima linea). Insomma, le Vignette configurano una sceneggiatura pronta per ľuso. Ma anche una scénografia: é attraverso la deserizione dei luoghi in cui sono campiti i personaggí ehe Manzoni e Gonin possono eniatizzarne il carattere e le propensioni. Si iaccia caso alle ambientazioni diversissime in cui si muovono i due protagonisti: Renzo, eroe viatore immerso nella natura e nella Storia grande, viene rappresentato alľaperto nella maggior parte delle illustrazioni ehe lo riguardano ed é anche protagonista di molte piú illustrazioni rispetto a Lucia, la quale é invece ritratta per lo piü al chiuso, di modo che, per dir cost, Xintérieur delľanima finisce per compenetrarsi núXintérieur dello spazio. Questo gioco estetico di pesi e di contrappesi tra il testo e le imma-gini conosce il suo punto di inerinatura U dove ľautore sembra tenere - piü che a intreccio, personaggi e ambienti - al suo precetto poetico fundamentale: quello secondo cui «il vero solo é bello» [Delromanzo storico, p. n). La minuziosa ricerca ďarchivio svoka nelle fasi prepara-torie del romanzo viene inŕatti tesaurizzata nella realizzazione di alcu-ne immagini: čosi per le vignette mimetiche di firme e seritte antiche, ehe aumentano ľimpressione di storicitä delia narrazione, esaltando il lavoro storiografico svolto "dietro le quinte". Piü che di effetti di realta, pertanto, questi arzigogoli grafici sono effetti di veritä, ehe prowedono a restituire la natura "documentale", come si direbbe oggi, delia serit-tura. Ne é riprova il fatto ehe la medesima tecnica venga ripresa nella Ii. IL ROMANZO ILLUSTRATO Colonna infame, dove s'incontra una postilla autografa di Pietro Verri ehe deve creare nel lettore ľilíusione di trovarsi di fronte a una testimo -nianza veridica. Ancora Alfano ha avueo il merito di porre in rilievo (suila scorta di Cartago, 1988), ľattenzione ehe nelľapparato iconografico delia Qua-rantana viene riservata alia mimica e alia gestualitä dei personaggi: un'attenzione da ricondurre per un verso alia circolazione ai piani aiti della cultura del tempo di quadri (anche viventi) raffiguranti scene del romanzo, per ľaltro alia fioritura in tutt'Europa dei manuáli di declamazione. A queíľakezza cronologica «modelli figurativi e tra-dizione fisiognomica si intrecciano con la tipizzazione dei caratteri e la rappresentazione delle passioni» (Pietrini, 2009, p. 79), cosi da realizzare un'importante «trasmigrazione di segni dall'arte al teatro e viceversa» {ibid.). «Se i pittori e gli scultori trassero ispirazione dalla scena per le loro creazioni e se a sua volta il teatro incarnô ľenfasi de-clamatoria delle pose pittoriche e statuarie, questo complesso codice visivo fu trasferito anche alle illustrazioni tipografiche di un romanzo» (Aifano, 1014, p. 12,81). Si tratta di un'indicazione critica assai reconda, che puö indurre a ripensare su basi nuove, a livello di semi-osfera piuttosto che di poetica (e di ossessioni) ďautore, la cruciale questione del rapporto filogenetico fra il laboratorio del romanziere e quello del drammaturgo. 12.6 Miláno 1869 Questa vicenda ha unappendice: un'appendice poco importante ai fini delľintelligenza del testo, ma di qualche rilíevo per comprendere il "funzionamento" della sua cradizione. I manuáli di letteratura e di filológia indicano il triennio 1840-42 come il capolinea del lungo pro-cesso di gestazione dei Prameni sposi, ed e giusto ehe sia cosi: il libro stáva ormai li, cristallizzato, imponente, ineludibile. Dopo quella data si susseguirono le ristampe, tanto della versione del 1827 quanto della Quarantana (gli studiosi hanno individuaco tre pícehí di concentra-zione delle pubblicazioni, corrispondenti al 1840, al 1869 e al 1873, anno della morte delľautore); una di queste, pero, presentava molte illustrazioni origináli, dovute a Luigi Borgomainerio - caricaturista e 252 153 manzoni future illustratore di un decisivo testo-staffetta del manzonismo. Cento anni di Rovani - e a Tranquillo Cremona, la cui opera era destinaca a largo consenso soprattutto tra le file degli scapigliati. Le creazioni dei due "giovani leoni" della New Wave lombarda rispecchiano poe-tiche e stili sensibilmente diversi: se il primo tende a concentrarsi sul disegno delle silhouettes (ma ě anche attento, da arredatore provetto, al tratteggio degli interni), laltro appare piú pittorico e romantico. Borgomainerio s'attesta sulla linea Pineili-Gonin, Cremona su quella Gallina-Focosi. Il volume venne impresso nel 1869 a Milano, presso lo stabilimento Redaelli dei fratelli Rechiedei. II solito Marino Parenti riporta un uma-no, troppo umano aneddoto circa i legni utilizzati per le illustrazioni dell'edizione: laddove nel manifesto si sosteneva che la Quarantana (incongruamente detta «edizione principe») fosse «affatto esauri-ta», in realtä «ilpověro Manzonidovevaaverne ancoramoltecopie», per cui fu costretto a « cedere i galvani deíle incisioni e le incisioni Stesse» (Parenti, 1961, p. 176). Per dipiü, laver stampato troppi esempla-ri era stato uno sbaglio anche perché si erano deteriorate le matrici: «poiche ia frequenza delle illustrazioni non poteva consentirne la totale soppressione, gli editoři si videro costretti a sostituire, almeno in parte, quelle inservibili» {ibid). Alle radiči di questa nuova stampa ve dunque un mero accidente materiále: l'intreccio causale fra l'uso che nel tempo logora gli stampi e una necessita economica. Nondimeno le piccole differenze intervenute tra il 1840 e il 1869 sono sintomatiche di una mutazione in at to. Non ě privo di senso, per esempio, che nelle soglie della Sessan-tanovana si possa ammirare un "medaglione", con ogni probabilita di Cremona, da cui c'interroga un Manzoni in posa (e in papillon). Don Lisander spunta a tradimento li dove meno ce lo aspetteremino; tra Fumoristica ultima vignetta dell'introduzione, nella quale, in pan-tofole dinanzi al caminetto, si culla il proprio libro, e 1'intestazione del capitolo 1, che miniaturizza il panorama del «ramo del lago di Como». Questa effigie posticcia ci park, per via indiziaria, del modo angoscioso in cui, dentro quel guado storico-letterario (tra il 1869 e il 1871 escono Fosca, Vita di Alberto Pisani, Mefistofele), un'intera ge-nerazione articolö il proprio rapporto col Padre Precursore ancora in vita. Ci insegna qualcosa del carisma di Manzoni e della canonicitá del capolaYoro, all'altezza cronologica del primo decennio unitario; e di queiramalgama di moralismo, cattolicesimo, populismo, disciplina IZ. il romanzo illustrato linguistica ehe gravava giä sulla nuova Italia e soprattutto sul sangue lombardo. Era roba assai difficile da digerire per scapigliati di provincia, «stenterelli», compositori di «quei piú modesti romanzi» (cfr. Lavagetto, 1976). Al Maestro, che in quegli stessi mesi mandava alie scampe, sempre con Rechiedei, XAppendice alia relazione DeU'unita della lingua e dei mezzi di diffonderla, erano in molti a tirare i piedi: come testimonia con perfido sfottô liricheggiante il Preludio del Pra-ga, anno del Signore 1864 («Casto poeta che ľltalia adora, / vegliar-do in sante visioni assorto, / tu puoi morir!... Degli antecristi e ľora! / Cristo ě rimorto»). E come si legge molto bene nel ritratto sincrono di Sala (gia immortalatore di unaltrettanto canonizzata, altrettanto ingobbita Lucia): «ben loncano daíľimmagine epica che ne avevano dato per esempio Molteni e dAzeglio nel 1831, ě un vecchio stance e apparentemente sereno, figura commovente, delicata e avulsa da ogni contesto»; piuttosto che un «ritratto del romanziere», la «caricatu-ra del ritratto del poeta » (Ferrari, Nancy, 2003., p. xx). Rappresentare Manzoni in questo modo (o forse semplicemente rappresentarlo in un qualsiasi modo) era una stratégia efficace per esorcizzarlo, e per addomesticarlo. Una simile pulsione iconoclastapuô notarsi anche nel modo in cui vengono maneggiati i beniamini di carta di don Lisander. Borgomainerio, in particolare, si diverte con le pose dei personaggi: cosi che il lettore della Sessantanovana troverebbe, al posto della celeberrima ftche pato-gnomica di don Abbondio colto nelľesercizio della sua dissimulazio-ne, con «ľindice e il medio della mano destra nel collare» (ps+0 2002, p. 47), un ritratto da fermo, in piena rumitiatio di pensieri. Il povero diavolo terrorizzato ě diventato quaicuno che espleta a freddo il proprio «Sistema» (cfr. Zottoli, 1933): tanto che ha sosrituito il cappello a lar-ghe falde con lo zucchetto d ordinanza. Nella Quarantana quel rittatto inframmezzava le due vignette che rappresentavano la scena topica del malincontro, e che rendevano assai bene il valore allegorico del taber-nacolo (che era punto di fuga nella prima) e il signum harpocraticum (centrále nella seconda). Ebbene, anche per quanto riguarda queste due fortunate illustrazioni, nella nuova edizione si registra una sensibile perdita, o forse riarticolazione, del senso. L'illustrazione di Cremona, a pagina intera e posposta rispetto alia sezione testuale corrispondente, colloca in primo piano i bravi: unaposizione che trasgredisce lalettera del testo manzoniano. Questi appaiono acquattati al di la del muro, in tensione, come pronti alľagguato; e non giä appoggiati, in attesa, 254 manzoni ii. il romanzo illustrato «ľuno dirimpetto alľakro» (ps4° 1001, p. 12), come recita íl passo del romanzo e come "traduce" Gonin (e con lui molti altri, fino a Sandro Bolchi nello sceneggiato rai). Se lo spettacore deve assumere up, punto di vista, sarä allora quello dei bravi, non piú quello del curato-che ě invece un'esile figurina vista da lontano, deprivata del focus della soggettiva. Insomma: i bravi incontrano don Abbondio — e non: don Abbondio incontra i bravi. L'altra vignetta, quella di Borgomainerio, sostituisce la seconda che Gonin aveva dedicato alľincontro. Sparisce il gesto, e a dare la cifra delia violenza e della prepocenza sono gli ogget-ti, per esempio una spada che sembra invadere perfino lo spazio della scrittura. Piů di rutto, colpisce la visuale ancora una volta sghemba e non prospettica che rimpiazza, con effetto perturbante, il "campo medio" di Gonin; e il ritaglio "silhouettistico" cuí é sottoposto anche ľe-lemento architettonico del tabernacolo. Le figurazioni delľincontro, che qui risultano consecutive e non inŕramezzate dal ritratto del parro-co, danno modo di confrontare la resa degli stessi soggetti da parte dei due artisti: Cremona ě certamente piú pittorico, sfalda la corporeitä, e fa parlare il luogo piú che i personaggi; la sua ě un'interpretazione essenzialmente romantica, meno attenta alia caratterizzazione dei personaggi di Borgomainerio, nonché di Gonin. Facciamo un'ultima fermata tra le pagine in quesťedizione (con qualche motivo) malnota. Forse il luogo testuale in cui maggiormente s'awerte una sorta di metamorfosi dello sguardo ě il frontespizio mor-to: la soluzione di Borgomainerio ě assai piú minimalista di quella della Quarantana. Come é noto, nelľorchestrazione tipograficaottocentesca ľantiporta era lo spazio della grancassa: di solito vi campeggiava un'im-magine únponente e sontuosa, con funzione sinottica rispetto al con-testo della vicenda, e valorizzazione emblematica dei principáli aspetti tematici, narrativi o perfino ideologici, Nelľillustrazione della Sessan-tanovana balza alľocchio una sorta di banalizzazione della figura goni-niana, che era dawero la «radice quadrata del romanzo» (cfr. Raimon-di, 1974): cosi, se la Quarantana offriva diritto d'asiio a personaggi di calibri diversi, configurandosi come un portolano allegorico della sto-ria che stava per essere narrata e come un diagramma dei suoi rapporti di forza, qui il grandioso arazzo-catafalco si riduce alia trama maestra - restituita con gusto librettistico e, per cosi dire, pxovo-liberty - dun amore contrastato, e gli attori erano ridotti alľessenziale. Alľinterno delľocchiello della P incipitale del titolo si trova difatti la raffigurazio-ne, tradizionaimente riconoscibile, di don Rodrigo, che spadroneggia 256 2-57 manzoni dalľalto; piu in basso, in un cartiglio, don Abbondio in acteggiamen.ro pensieroso; piu in basso ancora, la coppia dei promessi sposi, leipu-dica e lui spavaldo. Appena quattro personaggi, contro i tredici della Quarantana. Ma é il paradigma di fondo a subire una sorta di torsione, divenendo, da organicistico qual era, meccanicistico: alia conchiglia,: donde s'ingenerava il male, subencra ora un chiavistello, il cui profUo e la struttura portante delia nuova antiporta, e il cui detentore, iscritto nell'occhiello delia P, e quel personaggio cbe tiene incatenati, o mcglio inchiavettati, ilparroco e la coppia dei promessi sposi. Il teoréma é age-volmente decodificabile: quel che fu nátura germinante e impondera-bile, adesso ě storia, fatta di dominio, violenza, ricatto (fig. 11.5). 12.7 I Promessi sposi a colori Se giá nel 1869, Manzoni vivo, il magnifico Trionfo della Morte che furoreggiava sul frontespizio del 1840 era divenuto, nella versione sostitutiva, una specie di arnese meccanico con quattro omini che s'arrangiano come possono a giocare ai Promessi sposi, non ě difficile immaginare che cosa ne sia stato del romanzo illustrato net decenni a seguire. D'altra parte, un classico ě un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire, ma ě anche un libro cui si fanno dire cose che non si era mai sognato di dire. Non vi ě purtroppo lo spazio per sdipanare la vicenda, che comunque eccederebbe 1'argomento del pre-sente contributo; basterá ricordare che quella esistenza del testo vicaria e "illegale" che si ě cercato di raccontare - un'esistenza serpeggiante, fin dal 182.7, in sfere non necessariamente comunicanti: dai sottobo-schi editoriali alle pantomime fai-da-te - di facto non ě mai terminata. E stata anzi rinvigorita dapprima dalla fortuna delie edizioni di fine Ottocento illustrate da Giovanni Fattori e da Gaetano Previati, e poi dalla girandola delle parodie, dei riusi pubblicitari, delle version: see-niche, degli adattamenti per il piccolo e il grande schermo che hanno costellato i'ukimo secolo: fino al colmo, toccato in una spassosissima riscrittura televisiva in salsa bellzapoppin del 1989, di mettere i baffi alia monaca di Monza, insignendola del medesimo trattamento riservato da Duchamp alia Gioconda. Dalle figurine offerte da una nota marca di dadi da brodo alle pe-ripezie dei Promessi paperi disneyani, dallo strampalato musicarello ii. il romanzo illustrato del Quartetto Cetra alia fotografia sgargiante del kolossal ái Salvátore Nocita, ancora del 1989 (anno di celebrazioni, naturalmente), nel xx secolo il romanzo illustrato ticonquista un po' alia volta i colori: quei colori che, come avevano ben visto Mina Gregoři e Giovanni Testori, sono inseritti nel suo genoma escetico, e che sono innanzitutto i colori del Barocco, di Caravaggio, dello Spagnoletto; quei colori che nel 1830, alľalba di questa storia, avevano potuto ammirare i soli visitatori deliAccademia di Brera, allorché le dodici litografie di Gallo Gallina erano state esposte in esempiari acquarellati per ľoccasione. Dopo-diché, con ľeccezione di aleuni cimenti di pittori (anche molto alti: come la Gertrude di Giuseppe Molteni, o ľincontro ŕra ľlnnominato e Borromeo di Alessandro Guardassoni, o la giä cicata Lucia di Eliseo Sala), vince un po' ovunque una monocromia in sé remotissima daila cifra delia serittura manzoniana. Scrittura che, eminentemente, non disegna, bensi dipinge: satutando di rosso il naso di Azzeccagarbugli, il viso di Lucia, perfino il velluto della seggiola ďun ancenato ritratto su tela; producendo un macabro riseohtro fra i liquami gialli cosparsi sui muri di Miláno e i visi degli appestati, nelľultimo ineubo di don Rodrigo; servendosi di tutte le tinte della tavolozzaper rappresentare, pennellata su pennellata, lavigna inselvatichita di Renzo, o «quei cielo di Lombardia cosi bello, quande beilo» (ps+0 2002, p. 333). Forse, almeno in parte, si potrebbe attribuire la diffusa e annoiata ostilitä verso il romanzo piú prismatico e piú moderno del nostra Ottocento proprio a questa coazione al bianco e nero che ne ha troppo spesso soffocato il furore visionario. Non ě un caso che nel bellissimo // regista di matrimoni di Marco Bellocchio siano i fotogrammi abba-cinati dei vecchi Promessi sposi di Mario Camerini a infestare ľimma-ginario del protagonista: apparizioni spettrali che assediano ilsubcon-scio di un regista cui é stato commissionato unennesima pellicula a partire dal romanzo. Quando ľuomo scegliera di dileguarsi lontano dal continence, in una Sicília miticamente premoderna, si metterä a fare Ibperatore di filmini di nozze: qualcosa che somigliapiu a un me-stiere che a un'arte, eppure ě meno frustrante del rifacimento di opere letterarie. Un regista di matrimoni, difatti, puö sistemare gli element! come vuole, dentro e fuori del campo; puo scegliere i tempi e i modi non solo delľinquadracura, ma anche di gesti, contatti, movimenti; puö far apparire la scoria, con pochi trucchi di luce, fiaba o incubo; puo perfino entrarvi, giocando una parte acciva, alterando desideri e destini dei personaggi. Insomma, gli ě dato di divenire dawero il sog- 258 ^59 manzoni getto delia rappresentazione, in un duplice senso: al di qua e al di la delia membrána di celluloide. Certo, un cosi incondizionaco privilegio performativo non puô es-sere accordato a chi decide di misurarsi con un testo letterario, anzi con il Libro del nosrro canone nazionale. II margine concesso dalľortodos-sia purista risulta molto stretto e scomodo da abitare. Bisogna che la riscrittura sia, in uno, rispettosa e nuova: che ľautore faccia si il proprio gioco, esprimendo una visione peculiare apartire da unaposizione force, ma che al tempo stesso salvi e trasmetta il nocciolo duro della lettera originaria. Non sono mo hi i c asi in cui un simile miracolo ě awenuto: uno di essi - con cui chiuderemo questa traversata fatalmente troppo breve - ě ľapparato iconografico dei Promessi sposi editi nei "Millenni" Einaudi nel i960 (con una famosa introduzione di Alberto Moravia, che non piacque a Gadda), apparato che reca in ogni sua parte il segno acre delľautore, Renato Guttuso. Piu che illustrare I promessi sposi, Guttuso disegna un saggio critico a lente e minute scansioni. Maneggiando prosa e immagini del roman-zo (nella convinzione legittima che anche le vignette sono scrittura di Manzoni), si concede una raffinata e sghemba distrazione per poter im-piantare nella sua disegnata lettura saggistica quelľillusionismo morale ed emotivo che ha reso reciprocamente comunicabili (senza forzaturc e sovraccarichi ideologic!) la coscienza novecentesca e la "vita" tragica del Seicento milanese cosi comera stata raccontata nel romanzo. Si přendáno i capitoli sulla peste: dove le tonalitä livide della «ce-nere» e del brunastro dei «bruciamenti» tingono di sé la desolazione disfatta della Storia a partire dai fulcri emotivi della violenza lanziche-nesca e della costrizione di massa nel lazzaretto o campo di concentra-mento. Nella tavola a doppia pagina del capitolo xxxi, ľartista lascia che la nube nera della morte assorba e sfumi a lutto tutti i colori. Se un frate soccorre i malati, la brutalita nuda di un muscoloso monatto agguanta con violenza un cadavere: profanando, nella posa, una figura di Pieta. Il quadro ě fuligginoso. Due necrofori trasportano, disteso su una lettiga, un corpo senza peso. Ed ě sulľantico Trasporto di Me-leagro che Guttuso compone il particolare: con quel braccio destro che pende inerte dalla barella; con quelľarto cadente, che gli storici delľarte chiamano "della morte", passato dai rilievi dei sarcofagi pa-gani ai Trasporti di Cristo dipinti da Rafiaello e da Caravaggio (fra i molti altri), per laicizzarsi nel Marat di David e, con ľawento delľarte sociále otto-novecentesca, nei Trasporti delle vittime del lavoro. Quel 260 II il romanzo illustb.ato manzoni "braccio delia morte" che da pietosa sacralitä alle vittimc, ammassate su una carretca, scortata da un rigido e militaresco monatto dal volto selvaggio (non meno di quello truce di un bravo): fra i quali leccature di una tonalitä giallastra, che Cesare Garboli, scrivendo nel 1969 dei disegni danteschi di Guttuso, defini «dolorosa e schifosa» (Garboli, 1969, p. 131). I monatti hanno i corpacci volgarmente ottusi dei boia e dei carnefici. Le cavitä vuote di urli ciechi, dentro ľammasso delia car-retta, richiamano le bocche spalancate di quella Strage degli innocenti che é Guernica. Dal Trionfo delia Morte di Brueghel il Vecchio, dal suo affollato carro macabro, discendono le pose (giä presenti in Gonin) ag-grovigliate, scomposce, rovesciate e penzolanti dei cadaveri trasportati (fig. 12.6). Ancora. Capitolo xxxv: don Rodrigo giace morente sulla «mate-rassa». Manzoni l'aveva fatto vedere con la mano destra premuta sul cuore: «livide cutte», le dita adunche, «e sulle punte nere». Guttuso non rispetta la disposizione manzoniana delle mani. Ha lasciato che fosse la mano sinistra a poggiare sul petto, per poter far pendere dal gia-ciglio il braccio destro allentato: il "braccio delia morte", che qui é figúra di probabile «rawedimento» che riverbera, sulľormai inerme don Rodrigo, il perdono con il quale Renzo ha consegnato alia «misericordia» di Dio il suo persecutore: quel «tizzone ď inferno » che, nelle «enfia-te [...] labbra», riportate dal disegnatore insieme agli occhi «spalan-cati [...] ma senza sguardo», conserva ancora un contrassegno di «rab-bia» diabolica: «Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia, / e disse: "Taci, maladetto lupo! Consuma dentro te con la tua rabbia"» {Inferno vir 7-9). Guttuso riconosce ľallusione dantesca. E recupera la falda profunda del testo nellespressione facciale del morente, che i resti di una pul-sione ferina rivela da dentro il nido di peli aggrovigliati sotto le froge. Un passo a ritroso, infine. Capitolo XXXIV: la madre di Cecilia, Pieta in piedi, «scendevadallasoglia» diunuscio, «e venivaverso ilcon-voglio» dei monatti. Dalla illustrazione di Gonin, cui si rifa, Guttuso elimina il «convoglio» che, insieme a un altro dello stesso capitolo, fa da modello alia sua carretta delia morte: da entrambe il pittore cita un cadavere riverso con le braccia penzoloni. La donna é rimasta dram-maticamente sola, sulla soglia, statuaria. Stringe al petto il corpicino morto della figlia. Guttuso fa ruotare l'immagine di Gonin. E fa si che a «penzolare» con «inanimatagravezza», fuori dalla stretta della madre, sia il braccio destro della bambina; e non quello di sinistra, come era nella vignetta. Ricompare cost il lemma funebre del "braccio della iz. IL ROMANZO ILLUSTRATO morte": quella figura-aggettivo, quella formula pathos cristiano, at-traverso la quale Guttuso esplora delicatamente il linguaggio morale e religioso del romanzo manzoniano. Altro che il cattolicesimo tridenti-no, la propaganda, lbratoria d'apparato rawisati da Moravia nella sua introduzione. Anzi, anche il pittore avra esclamato, come Gadda: «Al diavolo il realismo cattolico!». Approfondimenti bibliografici L'interesse critico per le illustrazioni si puö far risalire al finissimo (e tran-cbant) A. Momigliano, IlManzoni illustratore dei "Promessi Sposi", in "Pega-so", 1,1930, pp. 309-27. D'impianto diverso, e ancora estremamente utile perla ricostruzione dell'intera vicenda, M. Parenti, Manzoni editore. Storia di una celebre impresa manzoniana, Istituto Italiano dArti Grafiche, Bergamo 1945; una ricognizione aggiornata, con molte novitä e osservazioni acute, si legge invece in Brancaccio (2016). Luca Badini Confalonieri ha allestito una zdiziont-monstre anastatica, con apparato di commento ricchissimo e attento anche alle illustrazioni (ps40 2006); un lucidoprolegomenon e Id., // nero e il bianco. Per I'edizione illustrata dei "Promessi Sposi", in "Sigma", xix, 1994, pp. 61-83. Al pari imprescindibile I'edizione nei "Meridiani" curata da Salvátore Silvano Nigro (A. Manzoni,Ro-manzi, con la collaborazione di E. Paccagnini, Mondadori, Milano 2002), con innumerevoli agnizioni, primizie, spigolature: lo stesso studioso ha dedicato alia questione affondi interpretativi e genealogici in due libri molto ispirati (Nigro, 1996; 2018). Piii di servizio le annotazioni di Giancarlo Alfano nelle-dizione bur, che per la prima volta si riferiscono all'intero apparato iconogra-fico; lo studioso fornisce altresi un'interpretazione complessiva e "strutturale" dell'iconotesto della Quarantana (cfr. Alfano, 2014). Nella stessa direzione sera giä mosso Fimportante Barelli (1991); mentre risulta piii specifico, sebbe-ne di grande interesse, il taglio di Cartago (1988). Un'inedita scorribanda bi-bliografica é proposta da de Cristofaro (2017). In prospettiva comparatistica, si ě anche awiata una ricognizione nelle traduzioni europee sincrone, spesso segrete debitrici della Quarantana (cfr. S. Garau, Tradurre l'immagine. L'illu-strazione nelle prime traduzioni dei "Promessi sposi", in L. Battistini etat, a cura di, La letteratura italiana e le arti, Atti del XX Congresso dellAssociazione degli Italianisti, Napoli, 7-10 settembre 2016, adi, Roma 2018, pp. 1-10). Alia memoria pittorica del romanzo ě consacrato Testori (1985), in fer-vido e fertile dialogo con Gregoři (1950). Ma, soprattutto, sull'argomento fa testo il capitale Mazzocca (1985b) - insieme ad alcune imprese collettive e cataloghi di mostre: Mazzocca (1985a); Pontiggia (1985); aa.W. (2006). Per una lettura acuta e appassionante, concentrata sopraccutto sulle riprese gad-dianc (via Longhi), cfr. C. Bologna, «Il sole non aveva ancora la minima in-\ tenzione di apparire all'orizzonte...». Camvaggio, Manzoni, Gadda, Longki, in "Lectere icaliane", lxv, 2013, 2, pp. 193-237. La dimensione intermediale, con le relative implicazioni teoriche, ě stata indagara da L. Toschi, Prodromi della multimedialita: "IPromessi Sposi" illu-strati, in "La Rassegna delia Letteracura italiana", xcix, 1995,1-2, pp. 131-40. Un cosmorama a tutto campo, compreso il teatro di figura, la pubblicita e akre forme delľindustría culturale, ě al centro di A. Grasso, L. Tettamanzi (a eura di), Le mille e una volta dei "Promessi Sposi", Nuova eri, Torino 1990. La recentissima convergenza sulle immagim (oltre al saggio di Nigro di cui si ě detto, ľinnovativo Brogi (2018), che contestualizza il «realismo eri-stiano» manzoniano in quello che definisce come un ecosistema di cultura visiva; e la suggestiva proposta di M. Maggi, Modernita visuale nei "Promessi Sposi". Romanzo e fantasmagoria da Manzoni a Bellocchio, Bruno Mondadori, Milano 2019) viene affrontata, con lucido sguardo ďinsieme e intuizioni origináli, da A. Cortellessz, IPromessi Sposi: un libroparallelo, in "Doppiozero", 6 gennaio 2019, https://www.doppiozero.com/materiali/i-promessi-sposi-un-libro-parallelo (ultimo accesso maggio 2020). 264. Manzoni moderno, Manzoni modello di Mauro Novelli 13.1 II vortice e gli abissi Una vecehia questione, quella della modernita di Alessandro Manzoni, declinata in mille modi: come del resto ě inevitabile quando si ě alle prese con un termine «straziato» e «stiracchiato a dir cose essenzial-mente diverse» (Scritti linguistics editi, p. 314), almeno quanto "po-polo". E allora opportuno sgombrare subito il terreno da un equivoco, muovendo dal «timore di non sentirsi abbastanza Moderni» (Arba-sino, 1973, p. iéi), cosi peculiare della cultura letteraria - e non solo letteraria - lombarda. Un timore che Manzoni non provô mai. Se ľe-sperienza della modernita corrisponde alia sensazione del vortice, che infuria per le vie della citta sconvolgendo ogni tradizione consolidata, ogni certezza acquisita, ogni ricovero del sacro, come ha argomentato magistralmente Marshall Berman (1012) ispirandosi al Baudelaire di Walter Benjamin, ebbene a tutto ciô ľautore dei Promessi sposi resta estraneo, E pur vero che in un passaggio decisivo del romanzo la realtä urbana risuechia irresistibilmente il protagonista, e puntuale echeggia il mot-clé: «11 vortice attrasse lo spettatore» (ps4c 2013, p. 359). Ma sarebbe arduo scambiare Renzo per unflaneur, e cogliere una stilla sol-tanto di fascinata attrazione nel racconto del suo choc al contatto con la folia rumultuosa. Niente di strano, naturalmente. Chi dovesse sorprendersi sarebbe vittima di uno dei tanti errori di prospettiva cui conduce la sterminata parabola esistenziale di un uomo nato prima della Rivoluzione francese, morto dopo la breccia di Porta Pia. Ma in fin dei conti, quando Manzoni mise mano ai Promessi sposi Baudelaire veniva al mondo, e quando questi fece stampare il suo saggio sulla. Modernitě, nel 1863, ilnostro ave-