MANZONI Per la reiazione inscindibile del romanzo con le Vignette e la Storia della colonna infame essenziale Nigro (ps+° 2002; 1018). Tra i saggi degii ultimi de-ccnni ricordiamo almeno Spinazzoia (1984); E. Raimondi.Za dissimulazione romanzesca. Antropológia manzoniana, ilMulino, Bologna 1990; G. Macchia, Manzoni e la via del romanzo, Adelphi, Milano 1994; V. Di Benedetto, Guido, aiPromessi Sposi. Ipersonaggi, lagente, leidedíta, Rizzoli, Milano 1999; Pupi-no (1005); F. Suitner, "IPromessi Sposi". Uriidea di romanzo, Carocci, Roma 2012; A Boschi,//romanzo mdiscreto. Epistemologia delprivato nei "Promessi Sposi", Quodlibet, Macerata 2014; Ftare (2016); Brogi (2018). La Storia della colonna infame di Giulia R ab oni 6.1 La genesi del těsto La composizione materiále della Storia della colonna infame ha inizio nella primavera del 1823 come ultimo dei capitoli del romanzo dedicati alia rappresentazione della peste milanese del 1630 (ncl Fermo e Lucia - ancora suddiviso in un impianto tetrastico di modello scottiano il V del tomo iv). Ma certo ľintento di trattare quello che qualche anno piú tardi Manzoni definira con il consueto understatement «un ca-quetage de famüle» (a Fauriel ľ n giugno 1827, in Carteggio Manzoni-Fauriel, lett, 96, p. 504), e che costituisce un episodio particolarmente infamante nella storia giuridica e civile di Milano, era ben presence alľautore fin dalľinizio della stesura e della immaginazione stessa dei Promessi sposi. Tanto che nel breve sunto fornito da Ermes Visconti (vi-einissimo a Manzoni in quegli anni) a Victor Cousin nelľaprile 1821, la storia delia condanna, della tortura e della esecuzione di Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza occupava uno spazio centrale, preminente rispetto alia stessafabula narrativa: Alessandro dunque ha incominciato a dipingere ii quadro della Milano del 1630: le passioni, ľanarchia, i tumulti, le follie e le assurdita di quel tempi. Una peste che ha devastato la Lombardia proprio in questi anni, qualche interes-santissimo episodio della vita del Cardinale Borromeo, ii fondatore della nostra Biblioteca Ambrosiana, il celebre processo chiamato da noi della Colonna infame, capolavora di prepotenza, superstizione e idiozia forniranno i fatti reáli su cui costruire la fabula del romanzo (Casalini, 2004, lett. 11; trad. mia). Del resto a Manzoni che ai primi delľOttocento aveva potuto leg-gere le Osservazioni sulla tortura di Verri, pubblicate postume (nel uz MANZONI 6. LA STOTUA DELLA COLONNA INFAME 1804) da Pietro Custodi, non potevano ccrto sfuggire la centralitä e la simbolicitä di una vicenda che si prestáva mirabilmente a una lettu-ra insieme storica e morale, nella quale mectere a frutto le due anime deila propria formazione: ľereditä illuministica (e appunto familiare) di Beccaria e Verri nella battaglia per una giustizia non vendicativa, e ľinsegnamento di una morale cattolica che chiamava in causa tanco le colpevoli coscienze dei giudici, quanto quelle, meno responsabili ma pur sempre da condannare, degli imputari, a loro volta accusatori di altri innocenti in un estremo e disperato tentativo di salvezza. La sto-ria degli untori milanesi permetteva insomma di rirlettere in corpore vili sulle pratiche piu brutali che la stessa religione aveva autorizzato e promosso in nome di una separazione tra destino del corpo e destine delľanima che soltanto una lettura finalmente laica della giustizia aveva potuto sinora combattere, e che a Manzoni premeva di ac-quisire e superare alľinterno di una prospettiva di iede (e torneremo in chiusura sul peso di questo catrolicesimo militante). Insieme, se-condo una visuale piu propriamente civile e politica, la vicenda permetteva un affondo, pienamente documentato, nei meccanismi di rimozione e di autoassoluzione di una classe dirigente pronta a far-si guidare dalle passioni di un popolo, preda a sua volta delľirrazio-nalitá, di cui in realtä nulla le importava, e dello stesso ceto intellet-tuale, tanto coevo quanto postumo, a sua volta incline ad assecondate la voxpopuli laddove non vi fossero in gioco ragioni personali di in-teresse (in senso tanto culturale quanto politico). Insomma un cro-giuolo di riflessioni, che oltre a consentire una precisa messa a fuoco della propria posizione intellettuale ben si prestáva narrativamente a portare al culmine ilpathos del romanzo prima dello scioglimento finale: quasi un memento al lettore, apochi passi dal lieto fine, di una storia finita invece tragicamente, e i cui protagonisti assomigliavano pero moltissímo a quellificti del romanzo (come mostreranno anche le vignette delľedizione definitiva, per cui cfr. cap. 11 di S. S. Nigro e F. de Cristofaro). Da qui anche l'impostazione in qualche modo romanzesca della prima Colonna, con la sceneggiatura del luogo del delicto visto dalla prospettiva delle due donne del popolo («Due femminelle, Catteri-na Rosa, e Ottavia Boni, standosi sgraziatamente alia iinestra di buon mattino, il giorno 21 di Giugno, nella contrada della Vetra de' Cittadi-ni», C<3/o«Mí?2ŕtf2,primaredazione,p. 231), ilnascerepreconcetto dei sospetti su Guglielmo Piazza e il diffondersi "epico" delle voci («La 1Z4 fama giunse al senato»), immediatamente acquisite dagli sbirri e dai giudici, I'interrogatorio, la tortura, iestorsione al Piazza di un'accusa inventata contro il primo passatogli per ia mente, il barbiere Giangia-como Mora, la perquisizione della bottega di questi, il suo arresto e la tortura (intercalate dalla mise en relief 'dei pensieri dell'uomo e di quelli della sua famiglia bandita), e poi la ulteriore catena di accuse che ne consegue travolgendo altri innocenti, piu o meno onesti e piů o meno a loro volta deboli, o forti fino a tm martirio dai tratti in taluni casi cristologici. Per concludere infine con il diverso trattamenco riservato all'unico imputato eccellente, don Giovanni Gaetano de Padilla, figlio del castellano spagnolo di Milano, detenuto e poi assolto: circostanza che, denunciando con evidenza il differente atteggiamento tenuto dai giudici, costituisce la prova provata della loro colpevolezza e dunque, al di la delle contingenze storiche, del libero arbitrio (nel bene e nel male) nellagire umano. Un prograroma a cui Manzoni si terra fedele in prima battuta, ma che si interrompera invece di li a poco di fronte a un testo che stava prendendo uno spazio eccessivo, come del resto dichiara lo stesso autore in chiusura del capitolo iv: Passare questi giudizj sotto silenzio sarebbe ommettere una parte troppo es-senziale della storia di quel tempo disastroso; il raccontarli ci condurrebbe, o ci terrebbe troppo fuori del nostra sentiero. Gli abbiamo dunque riserbati ad un'appendice, che terra dietro a questa storia, alia quale ritorniamo ora.; e dawero (fl 2006,1, p. 100). Correggendo l'annuncio precedente: Quantunque noi sentiamo dí esser giá troppo usciti dalla via della nostra storia, e questi giudizj non abbiano una rclazione necessaria con essa, pure i'importanzaloro ci strascina a toccar qualche cosa deipiú clamoroso. II lettore che annojato di questa nostra giá lunga natrazione accessoria, conservasse ancora qualche curiosita di vedere la fine della narrazione principále, saki il seguente capitolo (fl 1006, ii, p. 571). E che ancora ribadisce in una prima stesura della introduzione definitiva deli a Colotma: L'autore aveva disegnato di fame succintamente il racconto, in quella parte dello scritro antecedente, dove son riferiti in compendio, e in forma affatto MAJSTZONI storica, i fatti piú notabili di queila peste. Ma essendogli il racconto riuscito croppo ludgo per un episodio, dovette lasciarlo fuori (ms. Manz.B.x.6, c. ir) L'indicazione verrä poi lasciata cadere nella versione a stampa (ma im-porta rikvare fin da subito il peso specifico di quell'«in forma affat-to storka», su cui torneremo), forse perché ritenuta eccessivamente pedante, a favore del solo riferimento all'inevitabile senso del ridicolo provocato dal contrasto tra lattesa di unbpera immaginata come di vasta materia e il libretto partorito: In una parte delio scritto antecedente, I'autore aveva manifestata l'intenzio-ne di pubbiicarne la storia; ed e questa che presenta al pubblico, non senza vergogna, sapendo che da altri é stata supposta opera di vasta materia, se non altro, e di mole corrispondente. Ma se il ridicolo del disinganno deve cadere addosso a lui, gli sia permesso almeno di protestare che nell'errore non ha col-pa, e che, se viene alia luce un topo, lui non aveva detto che dovessero parto-rire i monti. Aveva detto soltanto che, come episodio, una tale storia sarebbe riuscica troppo lunga, e che, quantunque ii soggetto fosse gia stato trattato da uno scrittore giustanience celebre (Osservazionisulla tortura, di Pietro Verri), gli pareva che potesse esset trattato di nuovo, con diverso intento. E basterá. un breve cenno su questa diversity, per far conoscere la ragione del nuovo lavoro. Cosi si potesse anche dire I'utilita; ma questa, pur troppo, dipende moko piu dall'esecuzione che dall'intento [Colonna 2002, red. definitiva, In-troduzione, pp. 3-4). Indubbio dunque ě il momento della nascita del testo, tanto "rela-tivo" ossia considerato in rapporto alia sua opera "madre", quanto assoluto (il tomo Hi porta nelfultima carta la data autografa «11 Marzo 1823»), che puö anzi essere ancor piú nettamente circoscrivi-bile allaprile-maggio di quell'anno, quando Manzoni scrive a Fauriel {Carteggio Manzoni-Fauriel, lett 78 del zi maggio 1823, p. 412) di trovarsi a metä dell'ultimo volume (che consta di un totale di nove capitoli) e di essere rimasto bloccato a Milan o a causa della necessita di consultare libri e document! in gran parte rari e persino unici, per lo piu avuti in prestito; cosa che ben si addice alle fonti impiegate nella Colonna. e in parte nei capitoli immediatamente contigui del Fermo e Lucia. Meno facile ě invece Stabilire i tempi delle fasi redazionali successive e i motivi di un accantonamento durato quasi vent'anni, fino all'u-scita dellbpera in coda all'edizione definitiva dei Promessi sposi (1842), é. LA STORIA DELLA COLONNA INFAME depo una riscrittura radicale, eseguita in larga parte parallelamente alia stampa. Li che rende necessaria un analisi piú dettagliata di tutte k tappe della elaborazione. 6.1 I momenti ekborativi della prima Colonna In tanto, se le carte della prima minuta della Colonna (il ms. Manz.B.x.3, ďora in avanti A, della bnb, Biblioteca Nazionale Braidense) ci dicono chiaramente che il testo venne composto fino a un certo punto come capitoio di fl e quindi concluso e rivisto come opera autonoma, ě pero impossibile a causa della sostituzione e della perdita di molti fogli rico-struire lo stato preciso della redazione interna al Fermo, e soprattutto stabilirne la cronologia relativa rispetto alla proseeuzione del romanzo: non ci sono indizi insomma che possano permettere di capire se Manzoni si fermô per portare a termine la Colonna. o se la accantono mo-mentaneamenteper finire il romanzo (il 17 settembre del 1823), ripren-dendola solo piú tardi. Gli usi linguistici di A (lessicali, ma soprattutto fonetici e grafici) posti in rapporto con quelli del Fermo non danno indicazioni dirimenti, anche se ě possibile ritenere che Manzoni, im-merso nella consultazione dei documenti e delle testimonianze, abbia portato la stesura fino in fondo, pur essendosi resosi conto che ľecces-siva ampiezza (soprattutto a causa delľ«altra storia »; ossia quella dei giudizi degli storici che oceupa ľultima parte delľopera, certamente seritta dopo la separazione dal romanzo) ne imponeva una trattazione autonoma. E forse a deciderlo per lo scorporo avra giocato anche ľin-tuizione delia diversa e piú importante funzione che la Colonna avreb-be potuto assumere al di fuori dei Promessi sposi: non piú storia nella storia, ma griglia interpretativa, matrice ed emblema del terna portante delľintero romanzo, e con questo posta in esplicito dialogo. A favore delľipotesi di una conclusione immediata sta pero soprattutto la presenza sulle carte di A di una serie di correzioni che costi-tuiscono una vera e propria fase elaborativa, indicata da Riccardi con fi, caratterizzata da una serittura piú posata, da interventi di riordino e miglior definizione del ragionamento: una fase di íntensa revisione che comporta la sostituzione di aleuni fogli, e che sembra suggerire un ritorno successivo, di rilettura complessiva e a freddo, e dunque un mo- MANZONI ó. LA STORM BELLA COLONNA INFAME mento di stacco cronologico. Iato che non puó pero cssere troppo lun-go, come invece propone Riccardi, perché gli usi linguistici nelle parti nuove sono ancora del tutto omogenei alia «dicitura» del Fermo, e precedent! alia revisione del romanzo che inizia nelľautunno del 18x3. Se tuttavia per questa prima lase di elaborazione sul ms, A la forbice cronologica puo vari are di non piú di qualche mese (primavera-estate del 1823 o inizio autunno dello stesso anno), piú rilevante é la discus-sione- a proposito del secondo manoscritto (Manz.B.x.4 della bnb, d'ora in avanti Cc) di mano di copista ma con correzioni autografe (tecnicamente dunque un idiografo): lavoro che Riccardi assegna agli anni 1829 (per quanto riguardaľallestimento del copista) e 1831-33 (per la correzione autografa), basandosi su testimonianze epistolari (non d'autore) e, per quanto attiene alia revisione, a valutazioni linguistiche e stilistiche. Tali valutazioni si sono pero dimostrate, dopo la pubbli-cazione della Seconda minuta del romanzo, e una piú chiara delinea-zione dei tempi e dei modi del lavoro linguistico manzoniano, difficil-mente sostenibili. La copia, evidentemente preparata per la consegna alia censura e poi alia tipografia, mantiene infatti, senza che ľautore intervenga a correggere e nelle stesse varianti autografe, una serie di usi soprattutto grafici e fonetici (per esempio ľutilizzo deiie -j semivo-caliche o le doppie di alcuni iemmi come proccumre, ommettere, abbo-minevole) die verranno superati nella redazione del romanzo a partire dalla primavera del 1824 e che solo in minima parte saranno ribaltati nella Quarantana. Del resto, se ě vero che gli interventi di correzione su Cc sono molti, ľimpianto rimane sostanzialmente identico a quel-lo deil'autografo, con ľunica eccezione delľintroduzione - alľinterno della quale lo scorporo dal romanzo e dunque la seppur relativa autonómia rendono necessario inserire qualche elemento di contestualizza-zione -, e di interventi mirati a eliminare tratti eccessivamente patetici (allocuzioni dirette a Dio, ai giudici), divaganti (le polemiche contro ľArcadia), e a maggiormente mettere in evidenza punti importanti del ragionamento o a rendere piú fluido lo stile: niente insomma che non appartenga alia fase di revisione dal Fermo e Lucia alia Seconda minuta, e anzi molto meno. Uipotesi di una confezione e correzione quasi contigua alia stesura ě comprovata peraltro dalla tavola pubblicitaria registrata sulla Seconda minuta (bnb, Manz.B.lll) dei Promessi sposi, dove la Colonna ě annunciata «sotto i torchi». E un nuovo indizio materiále, venuto in luce durante i lavori di descrizione a tappeto dei manoscritti per il portále Manzonionline, sembrerebbe dare una prova ancor piú forte a questa datazione: la mano dei copista di Cc infatti ě la stessa che nel settembre dei 1823 esempla, in alternanza con altra mano per ora ignota, il ms. Manz.B.xxxn.8 della lettera al marchese dÄze-glio, scritta a Brusuglio e spedita il 22 settembre, ed ě probabilmente da identificarsi anche con quella dei copista dei ms. Manz.B.xxxin.5 dei Cinque Maggio, ricondotta dal primo possessore dei manoscritto, Gaetano Giudici, al fattore di Brusuglio Césare Maderna. Testi tutti che si situano appunto tra 1821 e 1823. Insomma, la nuova datazione non soitanto sgombra il campo dalfi-potesi di un Manzoni impegnato nella revisione della Colonna tra 1831 e 1833, con il progetto, mai altrimenti testimoniato né tantomeno at-tuato, di pubblicarla isolatamente dal romanzo, e soprattutto arretra-to a una scelta linguistica precedente al lavoro sulla Ventisettana, ma fornisce anche due altre indicazioni importanti. La prima, relativa al percorso linguistico dei romanzo: la decisione di far copiare la Colonna, e di correggeria, mostra che neifestate-autunno dei 1813, malgrado la dichiarazione di "scriver male" consegnata alla seconda introduzio-ne dei romanzo, lautore era sufficientemente convinto della lingua Ii utilizzata (certo, faute de mieux, come pure dichiara esplicitamente); il che rafforza la ricostruzione dei tempi di lavoro della Seconda minuta (per cui si rinvia a Raboni, 2008b; 2012a). La seconda indicazione, di maggior conseguenza, riguarda invece Sa decisione di non pubblicare la Colonna con laprinceps dei romanzo; decisione che diventa piú significativa di fronte a una copia giä pronta e corretta. Certo, sappiamo che giä nella primavera dei 1824 Manzoni abbraccia una soluzione linguistica diversa rispetto alfinizio della riscrittura dei romanzo; il che avrebbe comportato una conseguente revisione in senso toscano-iibresco della Colonna-, la quäle dovevaperö apparirgli tanto per mole quanto per genere (il taglio saggistico, con i discorsi diretti affidati alle citazioni dei verbali) molto piú semplice da uniformare. Né sembrano soddisfacenti le diverse spiegazioni tra-dizionalmente date dagli Studiosi: non quella delleccessiva ampiezza dei tomo III dei romanzo, dato che la Colonna era pubblicizzata sotto i torchi separatamente; né quella, pur senz'altro reale, della preoccu-pazione politica, dal momento che appunto nel 18x3-24, e quindi in un clima caldissimo e piú agitato di quanto sara. il 1827, l'annuncio sul manoscritto autografo delia Seconda minuta, riportato sulla copia pre-sentata alla censura nel luglio 1824, mostra che Manzoni era intenzio-nato alla pubblicazione (e nemmeno in questo caso é possibile Stabilire 121} MANZONI 6. LA STOMA DELLA COLONNA INFAME puntualmente quando cambiö idea, dal momento che le paginc iniziali dei primi due tomi delľedizione Ferrario dei Promessi sposi sono state ricomposte alľaltezza dei tomo in, e con queste potrebbe essere caduto il prospetto pubblicitario). La ragione va quindi trovata nel testo stesso, e nell'insoddisfazio-ne che poteva provocare a Manzoni, Si é scritto (Puppo, 1979; Zama, 2013, pp. 169-94) che ľimpianto delia prima Colonna mette poco in evidenza quello che diventerä il morivo centrale delia versione definitíva, la colpa dei giudici e dunque la lettura "ulteriore" rispetto a Verri; cosa che se senz'altro é vera dal punto dl vista retorico, non lo é invece da queilo testuale. La lettura manzoniana é infatti fin dalľini-zio chiaramente orientata a sottolineare la diversa interpretazione dei dati rispetto alla lettura storicamente determinata delle Osservazioni verriane; e il fatto che nella prima forma ciö si sveli nel corso dei te-sto, e assuma particolare ed esplicitato rilievo solo nella sua conclu-sione, é il portato delľimpianto narrativo della prima stesura, molto simile peraltro alle parti storiche dei Fermo e Lucia, giocate sul doppio e alternante registro delia finzione e della realtä documentaria. Non quindi ľottica interpretativa, ma il taglio narrativo e la conduzione dei testo sono il problema con cui Manzoni si trova a fare i conti pro-babilmente apartire dalľinverno dei 1824-25 quando, a tomo r dei ro-manzo giä stampato, e a buona parte dei n giä rifatto una prima volta, il lavoro subisce una battuta ďarresto ehe porterä alla consegna dei tomo II dei Promessi sposi alla censura solo nel maggio dei 1825, e ehe si approfondirä ulteriormente nel m, concluso a tappe lungo il 182,6-27. Una rielaborazione complessa che ha a ehe fare con una serie di motivi strutturali e di diverso bilanciamento dei ruolo dei narratore, ma che in particolare mette in evidenza, insieme alľapprofondimento psicologico dei personaggi e al moltiplicarsi dei punti di vista, anche una piü netta separazione tra la fabula, via via piü autonoma, e la sto-ria vera e propria, ulteriormente arricchita da ricerche di prima mano e, per quanto possibile, separata, specie nel tomo m, con maggior nettezza dal corpo delia narrazione, poiché "blindata" alľinterno di capitoli condotti, come abbiamo ricordato alľinizio, «in forma affat-to storica». Lo stesso dimostra una piü attenta amrninistrazione dei termini di storico, verita e veridicita che cadono, in riferimento alla vicenda inventata, nel corso delia rielaborazione (cfr. Raboni, 2015; Alziati, 2018, pp. 109-22). Si capisce allora, di fronte a questa nuova consapevoiezza, come ľimpianto troppo esile e troppo "contaminato" della prima stesura non potesse piů funzionare, ricadendo, in anticipo rispetto alle dichiarazioni pubbliche, nella condanna dei generi misti che nascerä in forma di lettera a Goethe nel 1828 e vedra la luce solo nel discorso Del romanzo storico del 1850. 6.3 La redazione definitiva Mentre dunque da un lato i Promessi sposi, malgrado le perplessita sul loro statuto di genere misto, arrivano a conclusione (ma i tredici anni della revisione forse, okre ailo sforzo linguistico, risentono anche di questa sfiducia ontologica), la Colonna si ferma in attesa di una chiari-ficazione tanto teorica quanto documentaria molto piů ingente e che non poteva essere risarcita dal valore insieme letterario e simbolico del romanzo. E certo avra giocato anche il ritrovamento di nuovi documenti ďar-chivio specificamente legati alla vicenda della peste - awenuto, come ha notáto Nunnari (2013, pp. 499-502), nei mesi di rieíaborazione dei capitoli storici; ciö che fa percepire a Manzoni la necessitä di uninda-gine a tutto campo. Non stupisce perciö il momentaneo abbandono del testo, né il suo accantonamento negli anni della riřlessione sulla lingua, peraltro funestati dai dolorosi lutti privati, quando aíle richie-ste dei conoscenti la risposta ě sempře negativa e distaccata: «de' miei Untori, le son tutte favoie» (a Gaetano Cioni il 25 ottobre 1835, inLet-tere, 11, lett. 456, p. 50). Seppure a distanza di molti anni, la prova di questo iter intellet-tuale, tuttavia, ě data dalla nuova e definitiva Colonna a cui Manzoni inizia a lavorare, secondo quanto testimoniano le richieste di iibri e documenti e le lettere dei familiari, nellautunno dei 1839, una volta cioě concluso 1'accordo con la casa editrice Gugliehnini e Redaelli. Con tempi di elaborazione strettissimi che costringeranno a un lavoro massiccio suU'impaginato, al punto che lautore suggerisce per le iilu-strazioni (non avendo ancora ben chiaro l'impianto integrale) di ri-produrre ritratti di eriminalisti e storici, piů semplici da progettare a testo non concluso. E ancora interviene a movimentare il lavoro una circostanza esterna: la pubblicazione da parte di Césare Cantú (1839), che ben sapeva del lavoro in corso di Manzoni, dell estratto del proces-so stampato nei 1633 dal difensore del Padilla, di cui Alessandro si era 131 MANZONI servito come base deila prima redazione. Una pubblicazione che, in-sieme alia notizia del progetto di una edizione francese della Colonna (forse ricavato dall'occhiuta censura da una lettera spedita da Manzonl al suo traduttore francese Jean-Baptiste de Montgrand, il 23 ottobre 1839 - Lettere, 11, lett. 530, p. m -, in cui si annuncia 1'aggiunta di: «un breve scritto [,.,] che e la storia del processo menzionato nel capitolo 32 dei Promessi sposi», trad, mia: la prima segnalazione ufficiale e infatti del 28 ottobre), mette in subbuglio lapolizia e la censura austriaca, che confonde i due testi e preme sullufficio milanese per avere notizie e chiedere la revisione attenta e l'eventuale sospensione dell'opera man-zoniana «scritta in forma democratica» (i documenti sono attual-mente conservati alia bnb, Manz.Ant.lx.b.1.111/2). Piu difficile alio stato attuale e invece stabilire a cosa si riferissero le brevissime righe, prive di qualsiasi aspetto ufficiale (carta sempli-ce, nessuna intestazione, nessun bollo, indicazioni non complete), firmate dal censore Mauro Colonnetti e datate 16 luglio 1840 (bnb, Manz.V.S.ll 3-4): «11 sottoscritto ha letto con tutta la diligente atten-zione, di che possa essere capace, il ms. Storia della Colonna infame ecc. e nulla vi ha trovato che susciti da parte della Censura un giudizio non favorevole, o sia direttamente, o sia indirettamente riguardo ai suoi principj e alia morale religiosa e politica»; Xadmittitur, benche questo sembri piuttosto un appunto privato, non puo infatti essere in alcun modo riferito alTapprovazione della Colonna definitiva che, per i tempi e il modo di lavorare che si e detto, era ancora a questa data di la da venire. L'unica spiegazione plausibile al momento e che si sia tratrato di una lettura del testo prowisorio (per non fermare il manifesto e 1'inizio delledizione), che presupponeva probabilmente un esame successivo direttamente sui fascicoli via via stampati. E ancora, a ulteriore complicazione del quadro, viene la scelta di pubblicare a Parigi, per tutelarsi dalle riproduzioni pirata in Francia, un capitolo dei Promessi sposi (il xxxv) nella nuova versione "fiorentina", insieme al primo della Colonna: cio che cosrringe ad anticipare i tempi rispet-to alia stampa dei fascicoli del Redaelli. Anche in questo caso dunque siamo di fronte a un lavoro in progress, e nel corso del quale si dilatano le parti di approfondimento sto-rico, tanto da portare a una suddivisione in capitoli che alternano al resoconto della vicenda, spesso in "presa diretta" dai verbali, la delinea-zione del quadro giuridico, superando fandamento piu omogeneo e disteso della prima redazione e riawicinandosi al modello delle Osser- 6. LA STORIA DELLA COLONNA INFAME vnzioni del Verri, con le quali il confronto risulta esplicito fin dalľin-troduzione, ora nettamente incrementata. Nella versione definitiva il testo risulta cosi diviso in sette capitoli nei quali lo scavo sulla legislazione penále e ľaffondo sui criminali-sti si fanno serrati, al punto da correggere le interpretazioni verriane in base a considerazioni di tipo filologico. II confronto con ľillumi-nista milanese si accentua, inoltre, grazie alia possibilita intervenuta nel frattempo, per mezzo del figlio di Pietro, Gabriele, di consultare direttamente lestratto del processo consegnato dai giudici alia dife-sa del Padilla, piu ampio e in parte divergente daila stampa del 1633, utilizzato epostillato da Verri (e di cui Manzoni si fa trarre copia, ora Manz. XIII.10incluse le annotazioni, riportate in rosso dal copista), che non solo fornisce in qualche caso nuovi particolari, ma crea un ulteriore elemento di dialogo, a sottolineare il diverso approccio di fondo. Notevolmente rimaneggiata anche la sezione finale sulla "storia delia storia" della Colonna, dove, una volta tralasciati gli storici e i letterati coevi alia peste (Mascardi, Achillini, Cinquanta, Tadino, Lampugnano, Torre, ma con l'eccezione del Ripamonti, stimato, pur nella condanna, non solo per il suo «bel latino », ma anche per una sensibilita storica decisamente piu raffinata), ľattenzione si focaliz-za ora sui soli autori settecenteschi (Nani, Muratori e Giannone; eli-minati pure i cronachisti del Settecento, come La Croce, Lattuada e Argelati, tacciati di "secentismo mentale") per chiudere con Parini. Come a circoscrivere l'esame a partire dalla nascita della storiografia scientifica moderna, cosi da evitare a priori possibili assoluzioni sul piano metodologico (cosi era la storiografia, nel secolo decimosetti-mo!) e da evidenziare in maniera piu netta la negligenza degli intellet-tuali, colpevoli, con i giudici, di «quelľignoranza che ľuomo assume eperde a suo piacere» [Colonna 2002, red. definitiva, pp. 7-8). Tanto piu che sia Ripamonti sia Muratori mostrano in piu luoghi di essere convinti fino a un certo punto della reale esistenza degli untori. Si veda per esempio come viene corretto il passo relativo al Nani, che nella prima redazione constava di un rapidissimo accenno (utile piu che altro alia condanna successiva del plagio del Giannone): Dopo questo scrittore ci abbattiamo in uno dei pochi non lombardi che a nostra notizia abbiano fatra menzione di quel fatto; Batista Nani, uno di quegli storici veneti che scrissero per pubblico decreto. Ecco il suo giudizio: «Se ben veramente ľimmaginazione de' popoli, akerata dallo spavento, moke 132 133 MANZONÍ 6. LA STORIA DELLA COLONNA INFAME cose si figurava, ad ogni módo il delitco tu scoperco, e punito, stando ancora in Milano lc iscrizioni e le memorie degli ediflzj abbattuti, dove que' mostri si congregavano* (Coionna 2002, prima redazione, 1153, p. 183). Nella redazione definitiva il paragrafe prendera una ben díversa esten-sione, tutca aU'insegna del «doppiopeso e doppia misura»: Un altro istoriografo, ma in un campo piú vasto, Batista Nani, venezíano, che in qucsto caso non poteva esser condotto da nessun riguardo a dire il falso, fu condotto a crederlo dah" autorita ďuniscrizione e ďtm monumen-to. «Se ben veramente», dice, «rimmaginazione deJ popoli, akerata dal-lo spavento, moke cose si figurava, ad ogni modo il delitto fu scoperto e punito, stando ancora in Milano fiscrizioni e le memorie degli edifici abbattuti, dove que' mostri si congregavano.» Chi, non conoscendo altro di quello scrittore, prendesse questo ragionamento per misiira del suo giudizio, s'ingannerebbe di molto. In varie ambascerie importanti, e in varie cariche domestiche, aveva avuto campo di conoscer gli uominí e le cose; e da. prova nella sua storia ďesserci non volgarmente tiuscito. Ma i giudizi criminali, e la pověra gente, quanďě poca, non si riguardano come materia propriamente della storia; sicchě, non c e da maravigiiarsi che, occorrendo al Nani di parla-re incidentemente di quel fatto, non ci guardasse tamo per la minuta. Se al-cuno gli avesse citata unaltra coionna, e un'altra iscrizione di Milano, come prova duna sconfitta ricevuta da veneziani (sconfitta tanto vera, quanto il delitto di que'mostri), certo ilNani si sarebbe messo a ridere {Coionna 2002, red. definitiva, vn 7-9, p, 147). 6.4 Unbpera partigiana ? All'apparire della Coionna «le silence s'est fait», come scrive Manzo-ni a Adolphe de Circourt {Lettere, li, lett. 685 del 14 febbraio 1843, p. Z79). Malgrado l'ammirazione di Lamartine, Thierry e poche akre attestazioni di stima, 1'accoglienza delTopera ě certamente freddissima, e in parte senz'altro dovuta a quanto Manzoni stesso aveva immagina-to; l'attesa da parte del pubblico di un těsto narrativo. Si veda, a mo' di paradossale esempio, un passo di un articolo uscito nella raccolta La scienza e la fede, vol. v (Tipografia Raimondi, Napoli 1843) della "Biblioteca cattolica", fondata dal reazionario redentorista monsignor Celestino Code, dove in uno stile a dir poco purista si prende posizio- 134 ne «Su rimbrottt che si fanno al Manzoni per aver mostrato scrittor ladro il Giannone, e sulle lodi sterminate che si danno a costui» senza tuttavia nascondere come: Quest operetta a dir vero non é stata tale da poter contentare in tutto ia gran-dissima espettazione postasi fra noi; e forse il desiderio grande e i'aspettarci dal Manzoni cosa sopra mirabile, le avra fatto piu mal che bene. Ma non perb bisognava dar la sola al Manzoni, come s e fatto nel Progresso ed altrove, con dare a quel libro tanti strambottoli di nomi; che si vuol rispettare i'uomo; e in quel libretto stesso, sebben di forma non troppo forbita} v e di grandi veritä da farsene tesoro, chi vuol conoscere questo garbuglio del cuore umano. Carlo Dionisotti, aliargando, more suo, lo sguardo alia situazione della giustizia coeva, ha perö anche mostrato come la Coionna esca in un momento inattuale rispetto al nuovo clima politico risorgimentale, che aveva bisogno di guardare in avanti e non di rinvangare vicende che sembravano ormai del tutto superate. E d'altra parte la sfortuna del pamphlet manzoniano prosegue a lungo, prima nel periodo postu-nitario bisognoso a sua volta, di fronte a situazioni geograficamente e culturalmente tanto diverse, di una pratica di amministrazione della giustizia pragmatica e di compromesso, e poi durante il regime fasci-sta, che certo non poteva vedere di buon occhio un testo che colpiva insieme la tortura, la politica populists e 1'asservimento degli organi giudiziari e della classe intellettuale. Ma non solo: bordate contro la Coionna arrivano anche da fonti meno sospette, come da Fausto Ni-colini, archivista e allievo di Croce, che nel suo volume Feste e unto-ri (Nicolini, 1937) dopo aver fornito una ricostruzione storica della peste milanese dedica il iv e ultimo capitolo {Sulla "Storia della coionna infame") a una puntuale contestazione della tesi manzoniana - tacciata, sulfa scorta del maestro (Croce, 1930), di antistoricismo e di scorrettezza nell'aver sovrapposto un disegno "morale" alia ricerca scientifica -, cui si contrappongono invece la retta procedura seguita dai giudici e dal presidente del Tribunale di Sanita, il senátore Marcantonio Monti, e lattitudine crirninosa (al di la dei fatti contestati) della maggior parte degli imputati. Una tesi, non priva di affermazio-ni pesantemente classiste, che verrä ripresa - anche dopo la rivaluta-zione novecentesca del testo - da Franco Cordero in un libro impregnate di un ancimanzonismo radtcale, che alia denigrazione di fondo di bigottismo e ipocrisia non manca di associare dubbie accuse di stile 13s MANZONI 6. LA STOMA BELLA COLONNA INFAME predicatorio e «obeso» (Cordero, 1984). Lacritica, inaccettabile nel-lc forme in cui é espressa, sfiora tuttavia un tasto compiesso cui si ě giä fatto cenno: cioě la volonta di Manzoni di creare un controcanto cactolico al dererminismo storico di impronta laicista, silenziando il ruolo delia Chiesa e dei suoi rappresentanti, come risulta anche dal ritratto tormentato del cardinale Federigo Borromeo, cui Manzoni addebita piú che altro la debolezza di aver acconsencito alia processio-ne di cui si narra nel capitolo xxxii del rornanzo, e dalla rappresenta-zione sofferente dei confessori dei condannati. E, ancora, dal silenzio delia Colonna sulle ben attestate forme di autosuggestione, analoghe a quelle dei tanti indemoniati e delle streghe, turce a loro volta stimulate da un contesto inquisicorio e persecutors condotto sotto i crismi della religione. In questo quadro puö allora forse collocarsi anche la pesantissima censura deü'Historia civile di Pietro Giannone, che pur partendo dai plagi relativi alľepisodio del processo agli untori si estende ben oltre il reso conto della peste; e che, al di la dei puntuali e indubitabili rilievi (ma si veda la difesa di Gentile, 1904, e la dura replica a questi di Dio-nisotti, 1998), piu che di una incomprensione delle novitä di impianto delľopera storiografica dei napoletano (Merlotti, 2000) pub risentire di una presa di posizione ideologica "militante". Resta in ogni caso una distorsione (peraltro ben rilevata dalla cri-tica coeva e postuma anche a proposito dei Promessi sposi, e ben com-prensibile e attesa per ľautore della Morale cattolica) ehe non inficia la ricostruzione puntuale della vicenda, né implica una volontaria mani-polazione dei dati, né tantomeno porta mai a rinunciare alia denuncia della violenza giudiziaria e alia battaglia per una giustizia mondana, come sembra invece suggerire Cordero e ancora condividere una parte della letteratura recente. Si veda per esempio il saggio di Ruggiero, nel quale, alľinterno di una ampia discussione di natura giuridica che allarga anche lo sguardo alia posizione manzoniana nei confronti di giusnaturalismo e contrattualismo, mi pare permanga una incomprensione di fondo del pensiero manzoniano, di cui risulta del tutto azze-rata la componente riformista: «Bmerge da tutta lbperetta [...] una concezione massimalista del processo storico, perfettamente in sinto-nia con la nitida visione etica giansenista che affiora da tutta ľopera manzoniana piu matura: il male é male (e ha spesso il carattere di un male ontologico invincibile e irreversibile)», che non lascerebbe «evi-dentemente posto per le "riforme umane che si fanno per gradi", anzi le posizioni di "moderatismo" ŕiniscono per danneggiare/inquinare la dialettica storica» (Ruggiero, 2009, p. 37i). Secondo una lettura che identifica tout court, a mio parere non correttamente, il riformismo con la fiducia incondizionata nelle magnifiche sorti e progressive, cer-to quest'ultima estranea al Manzoni maturo. Puö essere infine interessante chiedersi perché Manzoni non abbia approfondito ľaspetto storico-politico del "caso untori": ossia non si sia esplicitamente domandato come sia stato possibile il coinvolgimen-to, in mezzo a tante «genti meccaniche», di un personaggio blasona-to come il figlio del castellano spagnolo Padilla, terza autorita politica dello Stato, comandante della guarnigione spagnola e responsabile di-retto dopo il governatore per le questioni militari relative al ducato. Un'incriminazione che benché sfociata in un'assoluzione aveva tuttavia comportato mesi di carcere per ľimputato e che, soprattutto, era stata perseguita con accanimento, se non addirittura suggerita (come insinua la difesa del Padilla), dagii stessi inquisitori. Due contributi recenti (Canosa, zooo; Spiriti, 2009) forniscono a tal riguardo due chiavi di lettura diverse e anzi in qualche modo op-poste. Ii primo colloca la vicenda nel quadro di uno scontro di poteri tra le autorita, spagnole e il Senato milanese. II Senato, cioě, attraverso il suo "braccio tecnico" rappresentato dal Tribunale di Sanita, avrebbe approfittato della peste per riprendere il controllo della cittä, riconqui-stando, grazie anche a una gestione durissima, la centralitä politica da cui era stato progressivamente emarginato dagli spagnoli. Ii secondo ri-costruisce invece un conflitto interno ai poteri e alle consorterie locali che, in particolare, opponeva in quel periodo, in vista della successione a Federigo Borromeo nella carica di arcivescovo di Milano, la fazione legata al neo-cardinaie Ercole Teodoro Trivulzio, che sosteneva la can-didatura del cardinale romano Gerolamo Colonna, a quella favorevole a Césare Monti - che diventerä in effetti arcivescovo ambrosiano -fratello di Marcantonio, presidente del Tribunale di Sanita. Una "fai-da" legata anche a precisi interessi economici (e in effetti nelle accuse verranno anche coinvolti dei banchieri) che spiegherebbe addirittura il coinvolgimento del primo accusato, Guglielmo Piazza, commissario di Sanitä e dunque alle dirette dipendenze del Tribunale. Uno scenario alia cui ricostruzione sarebbero certo occorse (e occorrono in effetti cutt'oggi) ulteriori ricerche, ma che, se toccato anche dubbiosamente, avrebbe potuto sfocare il terna principále delľopera. Sollevare la que-stione delle faide di potere, alle quali saranno forse da addebitarsi an- MANZONI che azioni e dicerie provocatorie e mirate (le voci, registrate anche nei Promessi sposi, che attribuivano le unzioni a questo o quel potence), avrebbe potuto infatti indebolire il tenia dei "due pesi e due misure" ossia della "ignoranza morale", a favore di quello di un abuso spregiu-dicato del potere, ugualmente spietaco ma storicamente determinato. Va tuttavia detto che la percezione delle diverse dinamiche locali della Miiano spagnola ě una prospettiva solo di recente acquisita agli studi storici, e arcicolabile soltanto attraverso uno spoglio degli archivi spagnoli, a fronte della visione risorgimentale, compattamente negativa e informata a una contrapposizione tra "naturali" e "dominatori stranieri" (Signorotto, 1996), cui contribui in buona parte proprio il romanzo manzoniano. 6.5 Il caso Parini Ugualmente problematica ě ľultima questione che tocchiamo in questo rapido sunto: ossia la condanna, anchessa in toni estremamente duri, espressa contro Giuseppe Parini nel capitolo vii, al culmine della rassegna dedicata ai giudizi postumi. Qui il poeta lombardo ě tacciato non solo di adesione passiva alia vulgáta, ma, peggio, nelía impossibilitä di conoscere il suo reale pensiero in merito, di aver comunque sfruttato un episodio infamante per un malinteso senso del privilegio poetico. Una accusa questa che, anziehe alleggerire, aggrava la posizione di Parini, per il quale Ermes Visconti, in una postilla sul ms. A, aveva inutil-mente impetrato per dono, giustiŕrcando ľapparente iniquitä del testo con I'eta giovanile. Dopo gli studi di Annoni (2000) é oggi accettato dalla maggior parte della critica manzoniana il fatto ehe ľode pariniana, letta alľAc-cademia dei Trasformati in un anno imprecisato (secondo Gašpari, 1990, prima del 1762.) - lasciata inedita e in seguito pubblicata da Domenico Balestrieri, membro dei Trasformati, in una nota alia propria traduzione milanese della Gerusalemme Liberata -, sia da interpretarsi non come condanna delľinfamia delle vittime ma della tortura e del monumento eretto a memoria delľepisodio, come mostrerebbe anzi-tutto il contesto a cui la citazione si rivolge. Nel passo annotato (canto vín, 70), infatti, Balestrieri utilizza ľimmagine della cologna infamm 6. LA STORM DELLA COLONNA INFAME per riferirsi a una accusa diffamatoria ordita contro il pio Goffredo: vittima innocente, dunque, come Piazza e Mora. Alcune tessere dell o-de inoltre awicinano la rappresentazione pariniana delľinfamia (una donna nuda discinta, seduta su strumenti di tortura e col capo coperto da «strane mitre»: con riferimento probabilmente ai copricapi fatti indossare ai condannati al momento deíia eseeuzione) ad altri testi di polemica civile, come Pingimi, 0 Musa, or eheprescritto é ilfoco (contro ^xautos dafe) oFogliazzi, amordi Temi e delle Muse (contro le guerre), tutti degli stessi anni e tutti riportati in coda al volume I degli Opera omnia pariniani curati dal Reina; ultima ľode sulla colonna accompa-gnata dalla nota di rinvio al Balestrieri. A questa tesi, che legge ía preša di posizione manzoniana come frut-to di accecamento passionale (sia pur nella ricerca del vero) e, freudia-namente, di "uccisione del padre", si possono pero forse opporre aieuni indizi di segno diverso. Anzitutto, ehe ľinterpretazione non ě affatro cosi limpida: anche nella sua "integrita parziale", infatti, il dubbio se a essere condannata come infame sia ľunzione fatta dagíi aceusati o la pratica della tortura rappresentata dalla colonna resta. La lettura attuaie, insomma, é supportata piú da una vaíutazione globale delle posizioni etiche pariniane (e dai raffronti contestualí di cui si ě detto) ehe dalla interpretazione letterale del testo. Di piú, Manzoni cita solo i primi nove versi, seguiti nella prima redazione da un «etc.» che sarä eliminato in quella definitiva (diversamente Annoni, 1000, p. 96, nota 5); né il testo introduttivo («Ecco dunque i pochi versi di quel frammento») íascia intuire ehe si fossero conservati altri versi. E certo la mancanza del seguito, con ľimmagine delia donna, rende il senso ancor piú ambiguo. Cosi i w. 3-9: In fra ľerbe infeconde e i sassi e il lezzo Quivi romita una colonna sorge Ov'uom mai non penetra, perö ch'indi Genio propizio alľinsubre cittade Ognun rimuove alto gridando: - Lungi, O buoni cittadini, lungi ehe '1 suolo Miserabile infame non v'infetti. Dove i versi finali sono ľesatta traduzione delia seritta latina incisa sulia colonna, come Manzoni índica in nota. Volontario depistamento ? In realtá un elemento materiále potrebbe suggerire una svista manzoniana: 138 139 MANZONl infacti, nclľedizione Reina (presente nclla sua biblioteca: Manz.xv.17) i w. 1-9 sono sul recto dell'ultima pagina del volume, accompagnati al piede daíía nota di rinvio al Balestrieri, ciö che puö dare un'impressione dicompletezza; mentre i successivi ventuno seguono sul retro. U «etc.» della prima redazione potrebbe d'altronde benissimo interpretarsi come allusione al fatto che originariamente il testo aveva, come era chiaro dal titolo e dalla nota del Balestrieri, una continuazione. Di certo, comunque stiano le cose per quanto riguarda la posizio-ne di Parini (su cui si veda anche la divcrsa opinione di Paccagnini in ps40 2.002 e di Badini Confalonieri in ps+° 2006, II, ad locum), a Manzoni doveva risuítare insopportabile ľutilizzo di imjnagini mitologiche e periodi torniti per dipingere, senza una esplicita e chiara presa di di-stanza, le phi nefaste azioni condotte da uomini contro uomini (cfr. Frare, 2009, p. 52). A impedirgli, eventualmente, una indagine supplementäre, insomnia, fu forse il fastidio verso quella poesia neoclassica di cui prestissimo (nella celebre lettera a Fauriel del 9 febbraio 1806, Carteggio Manzoni-Fauriel, lett. 1, pp. 3-5) aveva percepito i limiti, ri-baditi e approfonditi nella Lettera sul Romanticismo e in un passo dei Materials estetici, e finalmente con la Colonna esposti a una radicale e pubblica condanna (cfr. cap. 12 di G. Panizza). 6. la STÜRZA DELLA COLONNA INFAME siva), si veda, sulla prima redazione, la discussione in Raboni (2014; 2015). Suíľedizione parigina a cui si é facto riferimento: 1 promessi sposi, capitolo XXXV, can molu correzioni e aggiunte inedite. Storia della colonna infame, capitolo I, inedito, Vinchion, Paris 1842 (un esemplare deila quale é conservato alia BNB: Misc.Manz.B.1/32), condotta da Manzoni grazie alia coliaborazio-ne dei frarelli De Fresne, dx. Paccagnini in ps4° 2002, Nota critico-filologica, pp. xxi-xliv. Dopo il lungo silenzio fino agli anni Cinquanta, la Colonna ha goduto di 11 in avanti di una serie di edizioni con autorevoli prefazioni (Moravia, Vigo-relli, Sciascia) e articoli, saggi e convegni difBcilmentc censibili in questa nota (se ne veda una breve rassegna in Vigorelli, 1987). Oltre ai commenti delle edizioni succitate si segnala ľutile edizione Riccardi negli Oscar Mondadori {Colonnaiff86) ehe fornisce anche, unica in edizione economica, il testo di Cc. Sul tenia della giustizia e sui rapporci con Verri (dove la bibliografia é vastissima ma spesso ripetitiva) cfr. per un primo inquadramento il volume miscellaneo a cura di Panizza (2014). Pochi infine gli studi piü propriamciiLe linguistici (tutto retorico quello di Pupino, 1982), per i quali si puö vedere, oltre alle annotazioni sparse nei commenti, il recente contributo di Bricchi (2017, pp. 69-95). Approfondimenti bibliografici Ľedizione di riferimento ě quelia curata da C. Riccardi nell'Edizione Naziona-le delle Opere di Alessandro Manzoni: Colonna 2002. Oitre al testo definitivo Riccardi pubblica anche il testo dei ms. a e quello di Cc (pp. 229-92 e 161-227). II testo definitivo riproduce quello delľesemplare corretto Tr. Rari 36 conservato a Casa Manzoni. Segnala le varianti di stampa dei fascicoli delľedizione Redaelli, Ghísalberti (ps4° 1954, p. 835), ehe della prima redazione riproduce in fl 1954 solo il testo di A, con le varianti di Cc m Nota. Si attiene alla redazione di A anche Paccagnini, ehe fornisce un elenco delle correzioni operáte rispetto all edizione Ghisaiberri (fl 2002, pp. Lxxxvii-xcv), mentre la redazione definitiva (ps+° 2002) ě proposta in anastatica. Infine riesamina la situazione dei fascicoli ľedizione di Badini Confalonieri (ps4° 2006,11), ehe riproduce anche le illustrazioni, e fornisce un'ampia giustificazione delíe íezioni adottate e degii scostamenti da Ghisalberti. Mancano ancora, ma sono in corso di elaborazio-ne, le edizioni critiche con apparato di entrambe le redazioni. Per la storia dei testo, oltre alle Note di Ghisalberti e alla Nota al testo in Colonna 2002 (le cui risultanze sono accettate da tutta la bibliografia succes- 140 141