Studi bu^atiani Rivista del Centra Studi Buzzati fondata da Nella Giannetto Direttore Bianca Maria Da Rif Comitate direttivo Fabio Atzori • Delphine Bahuet-Gachet • Marie-Helene Caspar Stefano Lazzarin ■ Paolo Conte ■ Ilaria Crotti Direttore responsabile Eldo Candeago Rcda^ione Patrizia Dalla Rosa • Manuela Gallina • Eleonora Rossi Silvia Zangrandi Segretaria di reda^ione Patrizia Dalla Rosa Comitato scientifico del Centro Studi Bu^ati Fabio Atzori ■ Almerina Buzzati • Ilaria Crotti Patrizia Dalla Rosa • Bianca Maria Da Rif • Sergio Frigo Stefano Lazzarin • Giovanni Puglisi ■ Maurizio Trevisan Giovanni Trimeri «Studi buzzatiani» is an International Peer-Reviewed Journal. The eContent is Archived with Clockss and Portico. Indiri^are manoscritti, libriper recensione, segnala^ioni a: Redazione di «Studi buzzatiani», Centro Studi Buzzati Via Luzzo n. 13, 32032 Feltre (bl), tel. 0439-885331, infocentrostudi@buzzati.it Autorizzazione del Tribunale di Belluno n. 9/96 del 31 luglio 1996. Studi bu^atiani Rivista del Centro Studi Buzzati fondata da Nella Giannetto ANNO DICIANNOVESIMO '2014 FABRIZIO SERRA EDITORE PISA • ROMA 30 BRUNO MELLARINI meno al compiersi del viaggio, o al chiudersi di una sua fase essenziale, nel senso che il personaggio, dopo aver a lungo vagheggiato la possibi-litä del ritorno, finisce per riconoscere nella permanenza in Africa una concreta prospettiva di vita, nel segno, come suggerisce ľimmagine delia capanna «fatta di canne e di fango», di una ritrovata purezza ed essenzialitä (il che, se vogliamo, oŕfre una soluzione ancora una volta incerta, ma senz'altro preferibile a quella del ritorno in patria). Da canneti non lontani salivano, con ľapprossimarsi delia notte, vekmi di nebbia, non densa, lieve; ma bastavano ad offuscare i profili di certe montagne gibbose, color leone, che emergevano parecchi chilometri al nord. Voci isolate di bestie cominciarono a udirsi, rau-che e nuove per noi. La cupola nera della notte si chiudeva sul mon-do.1 Sotto la «cupola nera» della notte africana, nel silenzio spezzato solo dalle voci degli animali, ľuomo appare una creatura come le altre, ef-fettivamente armonizzata col mondo; ed ě questa, a ben vedere, la vera conclusione della vicenda di Bondini, segnata dalla rinuncia al desiderio di tomare in Italia, ma, soprattutto, da una sorta di ritorno al presente, quel presente eterno ed immutabile che non necessita del ruturo e in cui il personaggio sembra alia fine scomparire. che affermare che la tocchi con mano; ma ogni volta, ripetutamente, viene sospinto alľindietro da una forza dirompente: la paura delľignoto, o forse la mancanza del coraggio necessario per fare il grande e definitivo sako»: D. Comberiati, art. cit., p. 86. 1 D. Buzzati, Uomo in Africa, cit., p. 20. Dialogo tra Buzzati, Leopardi e la luna. Strategie ironiche ed eloquenti in alcuni articoli di argomento lunare ROSANNA MaGGIORE la lontananza degli oggetti giova infinitamente a ingrandirli Giacomo Leopardi Introduzione Alle soglie degli anni Cinquanta, il 22 settembre 1949, sul «Corriere .della Sera» esce un articolo alquanto insolito, in cui ľElzeviro in persona prende la parola per difendersi contro chi sostiene che a essere di moda oggi sarebbero i resoconti «gelidi e oggettivi», non piú i rac-conti pieni di «fantasia e sentimento». Per questo, molto umilmente, ľElzeviro si chiede: Con tutto quello che ě successo e sta ancora succedendo nel mondo, ě lecito che io continui, come alle volte capita, a parlare delia luna?1 La firma in cake al testo é di Dino Buzzati, e da qui prenderô le mosse per analizzare alcuni articoli di argomento lunare da lui pubblicati sul «Corriere della Sera» dagli anni Cinquanta agli anni Settanta.2 Nelľarticolo sopra citato, ľElzeviro sembra annunciare la propria morte e ľimpossibilitä della poesia oggi: ma non morirä né rinuncerá ai suoi «antichi amori fuori tempo».3 La sua luna, protagonista di diverse imprese 'spaziali', non sarä piú ľ«amica del silenzio» di virgiliana memoria, e lo scrittore dovrä spesso awalersi di un futro ironico per 1 D. Buzzati, La parola all'El^eviro, «Corriere della Sera», 22 settembre 1949. 2 Per lo spoglio del giornale mi sono awalsa delľínatce degli articoli e dei racconti di Bu^ati apparsi sul «Corriere della Sera», curato da Nella Giannetto e Paola Lagomanzini, in II püineta Buzzati, Atti del Convegno Internazionale (Feltre-Belluno, 12-15 ottobre 1989), a eura di N. Giannetto, Miláno, Mondadori, 1992, pp. 569-593. Sugli articoli di argomento lunare di Buzzati si veda F. Siddell, Buzzati e la luna, in Bu^atigiornalista, Atti del Convegno (Feltre-Belluno. 18-21 maggio 1995), a eura di N. Giannetto, con la collaborazione di P. Dalla Rosa, M.A. Polesana, E. Bertoldin, Milano, Mondadori, 2000, pp. 157-167. Tengo a precisare che per questo intervento ho selezionato solo alcuni dei tanú articoli (per lo piú inediti in volume) che Buzzati ha dedicato alle imprese 'spaziali' degli anni Sessanta e Settanta. 3 Poco dopo, ľElzeviro afferma: «Si, negli ultimi tempi ho fatto degli sforzi, ho tentato di rin-giovanire, ho cercato, con la mia fantasia, di awicinarmi agli uomini, parlando di ciô che a loro veramente importa. Tuttavia, l'ho detto, talora mi assopisco, torno per debolezza agli antichi amori mori tempo, dimentico che c'e l'atomica»: D. Buzzati, Laparola alVL\eviro, cit. 32. ROSANNA MAGGIORE continuare a parlarne. Essa ci ricorderä, nondimeno, quella di uno dei piú grandi poeti lunari delia letteratura italiana, Giacomo Leopardi, che per il giornalista bellunese diventerä un possibile hersaglio' pa-rodico (vedremo bene in che senso), ma anche un modello, se ě vero che giä in alcune opere leopardiane (si pensi alle Operette morali) il mito vive una condizione per cosi dire posruma, e ciô comporta la scelta di Strategie ironiche.1 Tale registro ironico non sostituirä del resto quello lirico o eloquente, ma si alternerä a esso, in quanto Buzzati non prende una posizione univoca di fronte alle imprese spaziah: ora spera che gli astronauti non mettano piede sul satellite, ora incita al «folle volo»; ora denuncia la vanitá di ogni conquista, ora sottolinea ľimpossibilitä di vivere senza desiderare. In apparenza contraddittorie, queste attitudini obbedisco-no in realtá a una logica ben predsa, che deve non poco a Leopardi e che mi propongo qui di analizzare. AnTICHI AMORI FUORI TEMPO Se si scoprisse ehe la luna é molto pni lontana del previsto é uno degli articoli buzzatiani piú citati in merito alle imprese lunari. Qui, in un primo momento, ľautore commenta la possibilitä di arrivare sulla luna e di vedere «il retro del satelüte, ľaltra faccia misteriosa ehe non si ě fatta vedere mai».2 Di fronte a questa possibilitä, serive, 1 Fornisco di seguito una bibliograíia specifics sul rapporto era Buzzati e Leopardi. I primi articoli significativi sono quelli di G. Sandrini, Presen^a di Leopardi nel prima Bu^ati, «Studi buzzatiani», vi, 2001, pp. 7-19, e P. Abbrugiati, Unegreffe vénéneuse: Leopardijardinier de Bu^ati, «Italies», vin, 2004, pp. 275-297. Fanno riferimento a Leopardi, seppur brevemente, anche C. De Vecchis, H «sottile dialogare». Appuntiper un'analisi del dialogo in Bu^ati, «Studi buzzatiani», iv, 1999, pp. 125-153: 127; e F. Siddell, Bu^ati e la luna, cit., pp. 161,162. Tra i saggi piú recenti, si veda S. Lazzarin, «Le immense cose che si sono sognate...». Costanti evocative epresence leopardiane nella narrativa breve di Bu^ati, «Italianistica», xxxiv, 1, 2005, pp. 33-48; saggio modificato, am-pliato e ripubblicato col titolo Dalle costanti dell'accumulations evocativa al leopardismo di Bu^ati, in Id., í! Bu^ati 'secondo', Manziana (Roma), Vecchiarelli. 2008, pp. 199-302. Si vedano inoltre I. Gallinaro. La morte «cosa scmplice e conforme a natnra». Fonti leopardiane del aDeserto dei Tarta-ri», «Revue des Érudes Italiennes», LI, 3-4, 2005, pp. 259-271, ora in Ead., Morire in locanda. Drogo e i suoi padri, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2007, in cui la studiosa approfondisce il lavoro di Sandrini, e A. Izzo, Tra Zenone e Leopardi. I «Sette messaggeri» di Dino Bu^ati, «Moderna», xn, 2, 20io, pp. 127-135: 130, dove troviamo un breve riferimento al Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez- Per quel che riguarda la presenza di strategie ironiche in alcuni articoli di argomento lunare, mi permetto di rimandare al mio Le operette lunari di Dino Bu^ati, «Studi buzzatiani», xvtii, 2013, pp. 43-62. 2 D. Buzzati, Se si scoprisse che la luna ě molto piii Inntana del previsto, «Corriere della Serav, 17 ottobre 1958. Qui, come in seguito, i corsivi che segnalano prestiti lessicali (dai Canti, dalle Operette morali e dallo ZibalAone) sono miei. Salvo indicazioni contrarie, gli articoli citati in nota sono di Buzzati. DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDI E LA LUNA 33 le famose imprese che ci avevano fatto battere il cuore da bambini, Ulisse, Marco Polo, Cristoforo Colombo eccetera, diventavano pic-cole piecole, quasi ridicole, poco piú che una passeggiata in giardino. E la sera, quando compariva nel cielo sopra i tetti, la guardavamo giä in uno strano modo, la vecchia Luna, e si pensava: tu non sai niente, tu navighi attraverso i neri spazi con la ma solita immobile faccia piuttosto butterata, tu fissi enigmaticamente i pastoři erranti nell'Asia, ú compiaci ancora di simili ridicoli giochetti e noi intanto ti stiamo preparando uno scherzo, ma uno di quegli Scherzi! Cosi le dicevamo in cuor nostro1 La luna ě ancora lontana, ma sta giä cambiando volto. Ii riferimento al Canto notturno di un pastore errante dell'Asia e il possibile ammieco a La sera del di di festa (dove la luna appare «queta sovra i tetti») richiama-no Leopardi; eppure Buzzati non si mostra cosi fedele al modello. Nel Canto notturno il pastore si rivolge alla luna con una série di interroga-tivi metafisici e con queste angosciose parole: «E tu certo comprendi / II perché delle cose», «Tu sai, tu certo», «Mille cose sai tu», «Ma tu per certo / Giovinetta immortal, conosci il tutto»;2 Buzzati, dal canto suo, cambia tono e afferma: «tu non sai niente», in quanto l'astro non puö immaginare ciö che gli uomini stanno architettando a sua insaputa. La luna di Buzzati non ě inoltre un'entitä extraumana, «giovinetta immor-tale», «vergine» e «intatta»: ě «vecchia» e la sua «faccia» ě «butterata». Infine, nel Canto notturno ě il pastore a fissare enigmaticamente la luna, non la luna a fissare enigmaticamente il pastore. Buzzati fa dunque il verso a Leopardi, mascherando cosi il suo rammarico; ciö che di auten-tico rimane (i pastoři erranti dell'Asia, la luna sopra i tetti), immesso in un nuovo contesto, sembra il residuo di un edificio poetko crollato, se non del tutto, afmeno in parte. Per capire a cosa si debba questa trasformazione, puö essere utile leggere oltre. Buzzati si chiede come mai non ha provato dispiacere alla notizia che il Pioneer non ha raggiunto la luna: si tratta forse di uno «scrupolo poetico» legato al tramonto di un mito, «[o] ě invece il presentimento che, come per tutte le cose lungamente vagheggia- 1 Ibid. 2 Le edizioni di riferimento sono le seguenti: G. Leopardi, Poesie e prose [1988], a eura di R. Damiani e M.A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberri, 2 voli., Milano, Mondadori, 2003 (nelle citazioni le sigle Om, per le Operette morali, e C, per i Cmiti, saranno seguite dal numero della pagina), e G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, ed. eritica e annotata a eura di G. Pacella, 3 voli., Milano, Garzanti, 1991 (nelle citazioni ľabbreviazione Zib. sará seguita dal numero della pagina secondo la numerazione leopardiana). In merito al Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, cfŕ. C, pp. 84-88, w. 69, 70, 73, 77, 98, 99. 34 ROSANNA MAGGIORE te, la felicitä sia nella speranza, nell'attesa, nei preparativi, nella lotta per arrivare e non nell'awenuta conquista?».1 Come ha sottolineato Stefano Lazzarin,2 la prima ipotesi non esclude la seconda perché, in Buzzati come giä in Leopardi, sentimentu poetico e «teoria del piace-re» vanno di pari passo: felicitä e poesia possono risiedere in ciö che ě lontano, vago e indefinito; nella speranza del futuro o nel ricordo del passato, mai nel presente. Questa idea ě alia base della poetica di Buzzati, e ci aiuterä a comprendere il suo atteggiamento nei confronti delle imprese spaziali. Essa illumina giä, in effetti, il passo precedente: la luna, osservata da vicino, perde la sua aura poetica, e proprio allora subentra l'ironia delTautore. La conquista dell'astro nella realtä implica la perdita dell'astro neU'immaginazione: per questo lo si guarda giä «in uno strano modo».3 Che attesa e speranza siano per Buzzati ingredienti essenziali della poesia lo prova del resto un elzeviro di poco precedente, Una pallottola di carta (uscito sul «Corriere della Sera» il 30 ottobre 1956, raccolto in Sessanta racconti nel 1958), dove, parlando di un ipotetico «poema» scrit-to su un foglio accartocciato, il narratore afferma: come nella vita 1'attesa di un bene certo ci da piú gioia che ü rag-giungerlo (ed ě saggio non approfirtarne subito, ma conviene as-saporare quella meravigliosa specie di desiderio che ě il desiderio sicuro di essere appagato ma non ancora praticamente soddisfatto, l'attesa insomma che non ha piú timori e dubbi e che rappresenta probabilmente l'unica forma di felicitä concessa aü'uomo), come la primavera, che ě una promessa, rallegra gli uomini piú dell'estate che ne ě il compimento sospirato, cosi il pregustare con la fantasia lo splendore del poema ignoto, equivale, anzi supera il godimento artistico della diretta e profonda conoscenza.4 L'unica gioia possibile ě insita nell'attesa, nel desiderio: lo scrittore sembra avere in mentě i Detti Memorabili di Filippo Ottonieri,5 il Dialogo ' Se si scoprisse che la luna ě molto piú lontana delprevisto, dt. ! Cfr. S. Lazzarin, Dalle costanti dell'accumula^ione evocativa al leopardismo di Bu^ati, cit., pp. 291-292. 3 Se si scoprisse che la luna é molto piii lontana del previsto, cit Puó essere interessante notáre che, oltxalpe, un autore caro a Buzzati come André Breton reagirä in modo simile di fronte all'allunaggio. In una lettera indirizzata alia figlia Aube il 16 settembre 1959, 1'autore fřancese scrive: «Un peu sombre aujourďhui je suis. Encore sous le coup de cet "alunissage" qui me pa-rait ä tous égards detestable. Kien ne peut faire que ces messieurs n'aient souillé d'ores et dejä un des deux grands luminaires [...]. Cest la poesie toute entiěre qui est touchee»: A. Breton, Lettres ä Aube. 1938-1966, Paris, Gallimard, 2009, p. 127. 4 Cito da D. Buzzati, Centottanta racconti (d'ora in avanti 1S0R), Milano, Mondadori, 1982. p.564. 5 Si veda un passo come questo: «Rispondendo a uno che l'interrogö, qual rosse il peggior DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDI E LA LUNA 35 di Torquato Tasso e del suo Genio familiäre,1 o alcune pagine dello Zibal-done (in particolare quelle dedicate alia «teoria del piacere»). A confer-mare la presenza di Leopardi ě d'altronde lo stesso Buzzati, che poco dopo spiega in che modo perfino una pallottola di carta possa essere poetica: L'importante, soprattutto, ě credere che in quel libretto, in quella pagina, in quei versi, in quei segni, ci sia un capolavoro (vedi Leopardi, ZibalÄone: 'II bello in grandissima parte non ě tale, se non perché tale si stima').2 A proposito di questo passo, Lazzarin afferma ehe Buzzati «forse cita a memoria, incorrendo in qualche imprecisione».3 In realtä, passando dal tema delľattesa fonte di piacere al peso dell'opinione nella forma-zione del gusto, lo scrittore cita Zibaldone 1884. Non eseluderei nondi-meno una čerta irónia sia nella deserizione della scéna in cui il protagonista (un poeta) compone i suoi versi, sia nel passo sopra citato e in quesťultimo strano rimando, quasi una nota a piě di pagina inserita alľinterno di un racconto. AUudendo ad alcune immagini poetiche le-opardiane (la finestra inuminata da un fioco lutne, i versi composti alia luce di una solitaria lampada, ľora tarda)4 e alternando a esse scene prosastiche rieche di contrappunti ironici, Buzzati sembra ricalcare una situazione a cui non ě piú possibile assistere. La pallottola di carta po-trebbe nascondere ben altro ehe una poesia (i conti, un appunto di fatti domestici), e forse anche per questo ě megHo non aprirla. Insistendo sul valore delí'attesa e del desiderio (a cui erede fermamente), Buzzati mette in luce i limiti a cui va incontro la poesia oggi. In questo racconto e nell'articolo precedente, i riferimenti ai versi leopardiani hanno dunque carattere parodico perché vengono immessi in contesti nuovi, momento della vita umana, disse: eccetto il tempo del dolore, come eziandio del timore, io per me erederei ehe i peggiori momenti fossero quelli del piacere: perché la speranza e la ri-membranza di questi momenti, le quali oceupano il resto della vita, sono cose migliori e piú dolci assai degli stessi diletti. E paragonava universalmente i piaceri umani agli odori: perché giudicava ehe questi sogliano lasciare maggior desiderio di se, ehe qualunque altra sensazione, parlando proporzionalmente al diletto [...]. Anche paragonava gli odori alľaspettativa dei beni; dicendo ehe quelle cose odorifere che sono buone a mangiare, o a gustare in qualunque modo, ordinariamente vincono con ľodore il sapore; perché gustati piacciono meno ch'a odorarli, o meno di quel che dalľodore si stimerebbe»: Om, p. 127. 1 Si confrontino in particolare le riflessioni sul piacere «sempre passato o futuro, e non mai presente», e quelle sul «desiderio puro della felicitä; non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere»: Om, pp. 71-73. 2 180R, p. 564. 3 S. Lazzarin, Dalle costanti delVaccumula^ione evocativa al leopardismo di Bu^ati, cit., p. 219. 4 Immagini presenti nelle Kicordan^e, poesia prediletta da Buzzati, che la cita esplicitamente in un racconto intitolato Jí nostro segreto, ora in D. Buzzati, Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre storie, a eura di D. Porzio. Milano, Mondadori, 1990, p. 152. 36 ROSANNA MAGGIORE stranianti.1 Le forme poetiche scelte sembrano infatti prive di vero referente, utilizzate come brand di un discorso metanarrativo che mostri l'inattualitä di quelle forme oggi. Se di paródia si puô parlare, il vero 'bersaglio' di Buzzati non ě perciô Leopardi (che resta anzi un modello di poetica), ma la realtá presence. II confronto con il 'maestro' serve a mettere in luce ľinconsistenza dei nuovi miti, la nostalgia nei confronti degli antichi. Non DELUDERCi, Luna Ľantifrasi, la personificazione, la riduzione e ľadozione di un registro prosastico in cui rimangono tracce di un linguaggio poetico sono strategie ironiche di cui Buzzati si serve spesso negli articoli 'lunari' degli anni Cinquanta. A maggior ragione se ne servirá nel decennio successi-vo, quando ľuomo sarä a un passo dalľamato satellite. Lo mostra, per esempio, Non deluderci, Luna (17 luglio 1969),2 un dialogo tra un uomo e una donna intenti a guardare ľ astro degli amanti: alla televisione lui, dal balcone lei. Lui freme all'idea che ľuomo sua per mettervi piede, lei spera che la Luna se ne vada. Che, awicinandosi gli esploratori, i pionieri, gli ulissidi, gli eroi, improvvisamente tu, solinga, eterna peregrina, ti stacchi dalľorbita antichissima, tolga gli ormeggi e ti allontani, bea-ta, via per gli spazi del cosmo. Vederti rimpicciolire a poco a poco, restringerti, giú per le profonditá sconfinate, in silenzio, diventare 1 Indicando con il termine «parodia» la riedizione straniante di un těsto, faccio riferimento a G. Genette, Palinsesti. La letteraturaalsecondogrado [1982], Torino, Einaudi, 1997; maanche aun intervento di Nella Giannetto, la quale sottolinea che gli obiettivi del parodiante possono essere la canonizzazione, la demitizzazione, la desacralizzazione di un auctor, o il puro jeu littéraire: «La canonizzazione si ha quando ľautore parodiato ě oggetto di ararnirazione da parte del parodiante. In questo caso la parodia, puntando sugli elementi piú significativi e interessanti del co-dice espressivo delľartista, prima di tutto contribuisce a metterli in evidenza [...]. La parodia si risolve cosi in una sorta di elegante omaggio dissimulato (la dissimulazione, come ě noto, ě un procedimento tipico dell'ironia) [...]. La demitizzazione [...] [n]asce in genere anch'essa dalľam-mirazione, o almeno da un atteggiamento benevolo. Nello stesso tempo, pero, si propone di smitizzare il valore troppo assolutizzato, la sacralitá intoccabile di un auctor. [...] Esiste poi la parodia malevola: quella che dissacra e demolisce, suscitando un vero disprezzo per il parodiato [...]. Questo ě vero se, come alcuni fanno, si assegna alia sola satira, fřa rutte le forme di ironia, la funzione di colpire con violenza il suo bersaglio o per fini moralistici o, al contrario, per dar sfogo a un impeto ďodio e di vendetta. [...] Quanto alla parodia come jen íittérflxre [...] [é] un disinteressato e disimpegnato gioco con la forma, un divertissement, spesso virruosistico, ehe si compiace di se stesso e ha per fine se stesso, che si mantiene assolutamente libero da implicazio niseconde»: N. Giannetto. Rassegna sulla parodia in letteratura, «Lettereitaliane», xxix, 1977, pp. 461-481: 469, 470. Nel caso di Buzzati, mi pare si possa parlare di canonizzazione o tutťal piú di demitizzazione del modello leopardiano, non certo di parodia malevola o di mero jeu littéraire. 2 Non sembra casuale la scetta del verbo «deludere», solitamente associato al venir meno di speranze, desideri e aspettative. dialogo tra buzzati, leopardi e la luna 37 una palla, una pallina, un lume, un lumicino, un punto di luce, e poi piú niente.1 Awertiamo una čerta tensione, e sembra quasi di vederla, questa luna che piano piano indietreggia fino a diventare «un punto di luce, e poi piú niente». In realtá, indifferente alle preghiere degli uornini, non si allontana... E sempře ferma... Dio mio, mi pareva proprio che la Luna a un tracto si fosse un poco rattrappita. E invece... invece niente. [...] Non si ě mossa, ahimě. Sta sempře li, al suo solito posto. Pověra disgraziata Luna, ebete, senza amor proprio, senza fantasia. E gli uornini non ci troveranno niente. Constateranno che non ě fatta nep-pure di formaggio, come d dicevano da bambini, di ernrnenthal, coi buchi. Pietre mořte e bašta. Neanche un moscerino. Non un segno di vita, una traccia di remota civiltá, uno spillo, un fiammifero spen-to, un microbo fossile, un biglietto del tram. Niente di niente.2 Che Leopardi sia presente lo testimonia ancora una volta la puntuale citazione dal Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, dove la luna appare «solinga, eterna peregrina». Anche qui, perö, il verso della cele-bre poesia segnala una nostalgia, un desiderio che non verrá esaudito. L astro notturno non si allontana, e al registro lirico subentra quello ironico-prosastico. La luna non ě piú «giovinetta immortale», «vergi-ne» e «intatta»: ě «povera», «disgraziata», «ebete». Ed ě, soprattutto, «senza fantasia»: non ricorderá né il «cacio ffesco» di cui parla Leopardi nel Dialogo della Terra e della Luna,3 né il deposito di oggetti perduti di ariostesca memoria.4 L'incanto ě stato rotto, e gli uornini non possono piú sbizzarrire la loro fantasia. 1 Non deluderci, Luna, «Corriere della Sera», 17 luglio 1969. 2 Ibid. 3 Ľimmagine della luna come green cheese ě anche nel celebre Intorno alla luna (cap. 11) di Jules Verne, dove il protagonista osserva il paesaggio selenitico: uno spettacolo deludente e tutťaltro che poetico. Al «cacio» leopardiano sembra invece pensare Italo Calvino in due rac-conti 'cosmicomiď degh anni Sessanta. Se pero, inizialmente, la luna ě un grande contenitore di latte, un latte «molto denso, come una specie di ricotta», col tempo - basteranno pochi anni - sarä ridotta «a una specie di crosta di formaggio mordicchiata». Dal colore bianco della luna si passa al latte, dal latte rappreso alla ricotta, daila ricotta al formaggio e perfino alia sua crosta: segno che ľastro ha perso il suo mistero e il suo antico fascino. Rimando rispettivamente a La distanza della Luna (in Le Cosmicomiche, 1965) e a Lefiglie della Luna (in La memoria del tnondo e altre storie cosmicomiche, 1968), entrambi in I. Calvino, Romanzy e racconti, a eura di M. Barenghi e B. Falcetto, 3 voli., Miláno, Mondadori, 2004: n, p. 84 e p. 1194. 4 Come ě possibile notáre, Buzzati usa termini prosastici, che tuttavia rimandano a imma-gini letterariamente connotate (il formaggio, il ricettacolo di oggetti perduti). Quanto agli ag-gettivi, la luna «disgraziata» di Buzzati sembra un ammicco (e contrario) a quella «graziosa» (ossia «gradita») della celebre poesia Alla luna di Leopardi, ed «ebete» va forse inteso non come «stupido», «ottuso», ma nella sua origine dotta, a indicare ľ«essere smussaro». 38 ROS ANNA MAGGIORE Naturalmente Buzzati non ě 1'unico a riflettere sulle conseguenze dell'allunaggio. Quello stesso 17 luglio 1969, sulle colonne del «Corriere della Sera», Eugenio Montale afferma che non sará lo sbarco sulla luna a impedire la poesia. Se «[n]essun poeta moderno si rivolgerebbe alla luna col famoso interrogativo 'che fai tu in ciel?' etc.» non ě certo per le nuo-ve imprese: la luna ě stata «[d]etronizzata da gran tempo» e «soprawi-ve come parola d'uso».1 Qualche anno prima, oltretutto, in un articolo significativamente intitolato La luna proibita (sul «Corriere ďinforma-zione» il 6-7 marzo 1963), Montale aveva descritto Era proibito di Buzzati e Luciano Chailly con queste parole: «L'argomento ě tipicamente buzzatiano. Siamo in un Ministero dei numeri [...]. E proibito parlare del mondo che fu: nátura, amore, poesia sono parole interdette: e guai a parlare della luna. D'altronde, la luna non c'ě; pare se ne sia perso il ricordo». «Pare», perché in realtá fa la sua comparsa: ě pero «mostruo sa, incombente, e sta per ammaccare e spappolare il globo terrestre».2 Abbiamo dunque una luna minacciosa e incombente, da un lato, e una luna in televisione, potremmo dire in scatola, dalTaltro. Quesťul-tima ě 1'immagine che Buzzati ci suggerisce in Non deluderci, Luna, in perfetta sintonia con quella che Virgilio Lilii ci offrirá in un articolo significativamente intitolato Teleluna, uscito a distanza di pochissimi giorni, il 23 luglio 1969, sempře sul «Corriere della Sera». Giustamente F autore si domanda: Chi si affaccia al balcone per vedere la Luna? Chi leva gli occbi al cielo? Chi esce, dico, di casa? La Luna vera, autentica, ě entrata in casa nostra, nella nostra stanza, eccola li, sul tavolo, ogni casa ha la sua Luna [...]. E la Luna catturata dagli uomini, ě la Luna conquista-ta, prigioniera, chiusa dentro la cornice dell'apparecchio rivů, come in una gabbia, come in un recinto. S'agita un poco, trema, sbian-ca, oscilla, ci mostra la pelle butterata, tutta buchi, tutta cosparsa di imbuti, s'appanna, si dilata, si rattrappisce, somiglia a un organo animale [...], ma non si muove dalla nostra stanza.3 1 E. Montale, Luna e poesia, in Rapporto suXVera spadale, supplemento del «Corriere della Sera», 17 luglio 1969, p. m. In quello stesso torno di tempo Primo Levi scrive: «Pochi fra noi sapranno rivivere, nel volo di domani. l'impresa di Astolfo, o lo stupore teologico di Dante, quando senti il suo corpo penetrate la diafana materia lunare, "lucida, spessa, solida e pulita". E peccato, ma questo nostro non ě tempo di poesia: non la sappiamo piů creare, non la sappiamo distillare dai favolosi eventi che si svolgono al di sopra del nostro capo»: P. Levi, La luna e noi, «La Stampa», 21 luglio 1969. 2 Un po' come nel racconto Vincantesimo della natura (raccolto nel 1958 in Sessanxa racconti), dove la luna non ě piú la «placida abitatrice delle nostre notti [...], discreta arnica al cui lume fa-voloso le catapecchie diventavano castelli», ma «uno smisurato mostro butterato di voragini»: incombente, terrificante, funesta: 180R, pp. 493-495. 3 V. Lilli, Teleluna, «Corriere della Sera», 23 luglio 1969. DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDI E LA LUNA 39 Notiamo l'antifrasi (la «Luna vera, autentica» ě quella «entrata in casa nostra*, quasi a mimare il linguaggio pubblicitario, a sottolineare il potere mediatico del nuovo oggetto), la scelta di termini che farmo pensare a un atto di sopraffazione (la Luna ě «catturata», «conquista-ta», «prigioniera», «chiusa», «come in una gabbia», «in un recinto»), e la personificazione (la Luna sembra aver paura: «s'agita, trema, sbianca, oscilla», e anche qui ha (da pelle butterata, tutta buchi, tutta cosparsa di imbuti»). Ci troviamo insomma davanti a una luna prossima, concreta, tangibile: (muova*.1 Di fronte a un tale evento, diverse sono le reazioni della gente. Buzzati ne registra qualcuna in un articolo intitolato Lunario (uscito il 20 luglio 1969),2 in cui, tra i vari personaggi, compaiono anche 1'autore e suo nipote. II primo insegna al secondo dove si trova l'astro notturno, quanto ě grande, quanto ci vuole per raggiungerlo, chi sono i suoi abi-tanti. Buzzati vorrebbe che della luna restasse al nipote «una impressio-ne favolosa, remotissima, irraggiungibile» (si noti per inciso la climax, atta ad accrescere il senso della 'distanza'), ma sa che i bambini delle future generazioni «guarderanno la Luna come noi dal lungomare di Napoli guardiamo l'isola di Capri: un'appendice, un sobborgo, che per arrivarci basta slungare una mano».3 Sentiamo quasi un'eco del Dialogo 1 Luna nuova si intitola un altro articolo di Lilli, sul «Corriere della Sera» il 28 dicembre 1968. Qui la luna ě diventata 'ďoggetto d'una gara di tiro spettacolarew tra America e Russia, che ne hanno fatto una «provincia della terra». Finito il tempo della luna come oggetto poetico, é il caso «di dimenticare Leopardi e perfino Dante, Virgilio e perfino Omero». Al centro della fantasia campeggia ormai la Terra che, guardata dalla luna, appare «come una specie di pallone da calcio, di anguria scolorata, di pera, di vescica di strutto. perfino un poco mucillaginosa (come una grossa medusa), perfino un poco flaccida nel gioco dei raggi teletrasmessi». Le immagi-ni utilizzate da diversi autoři per descrivere la luna vengono per lo piú adartate alia Terra. In quesťultimo passaggio, troviamo il «cocomero» e la «palla» usati da Leopardi (che evidente-mente non viene dimenticato del tutto) per descrivere rispettivamente la Luna e la Terra nelle Operette; la «vescica di strutto» e la «medusa» scelte da Tommaso Landolfi per la Luna del suo Racconto del lupo mannaro (1937). Il viaggio dell'Apollo 8 ha dunque, conclude Lilli, «impicciolito la Luna, ingrandito la Terra». 2 Come noto, il lunario ě un almanacco popolare, destinato in origine a registrare le fasi della luna. Qui inctica il libro in cui vengono annotate sia le ^disparate reazioni, variazioni, ipotesi, meditazioni, fantasie » della gente comune, sia i titoli di giornale che annunciano la conquista e l'esplorazione del satellite. Questi titoli mostrano, inizialmente, la grandezza dell'evento («La piú gigantesca impresa della storia itmana. Rviaal viaggio favoloso. Esultan^a mondiale per la strepitosa vittoria [...]»), in seguito la sua riduzione a fatto quotidiano («Sciopero ad oltran^a degli addetti alle lineespa^iali. Drammatico week-end nel cielo [...]. Di nuovo incrisii cosmodromiper Vesodo natali^io. Salvare il paesaggio selenitico [...]»). Un articolo per certi aspetti simile ě quello pubblicato da Domenico Rea sul «Corriere d'informazione» il 16 luglio 1969 (lo lassu? Nemmeno morto), in cui lo scrittore chiede a diversi napoletani cosa pensano dello sbarco degli uomini sulla Luna. 3 Lunario, «Corriere della Sera», 20 luglio 1969. 40 ROSANNA MAGGIORE della Terra e della Luna, dove si ricorda die molte persone «levandosi sulle punte de' piedi, e stendendo le braccia» non riuscirono a toccare le sponde lunari:1 adesso basterebbe «slungare una mano». Ma si tratta di una vera conquista? Cosi risponde Buzzati: Ahime, siccome in questa vita tutto si paga, quanto phi grandi e lontane saranno le conquiste dello spazio, tanto piu piccolo diven-tera il nostro mondo. E il giorno che sara esplorato anche l'ultimo meandro deU'universo e non rimarra piu niente da scoprire, l'uomo si trovera di nuovo in carcere e Tunica soluzione sara un bel colpo di rivoltella2 Compare qui il motivo del mondo che diventa sempre «piu piccolos, frequente negli articoli di argomento lunare (gia in Se si scoprisse che la luna e molto piu lontana del previsto Buzzati awertiva che l'«universo che ci attornia ci sembrera rimpicciolito» e, ancor prima, in un testo dedicato alia conquista dell'Everest, leggiamo: «La Terra non sembra diventata aU'improvviso piu angusta e squallida? [...] globo che ieri sembrava sterminato, oggi si e fatto piccolo, proprio una palla di cui conosciamo ormai tutti i segreti, frugata e percorsa in ogni senso»).3 Secondo Buzzati, le conquiste circoscrivono e limitano l'immaginazio-ne, senza rendere gli uomini piu felici. II suo pensiero trova parziale riscontro nella Storia del genere umano («la terra e le altre parti dell'universo [...] appaiono tanto piu strette a ciascuno, quanto egli ne ha piu notizia»)4 e nella canzone Ad Angelo Mai («Ahi ahi, ma conosciuto il mondo / Non cresce, anzi si scema / [...] Nostri sogni leggiadri ove son giti? / [...] Ecco svanirono a un punto, / e figurato e il mondo in breve carta; / ecco tutto e simile, e discoprendo / solo il nulla si accresce»).5 1 Riporto il passo per intero: «Ma io ci so dire che se i ruoi non si curano di conquistarti, tu non fosri pero sempre senza pericolo: perché in drversi tempi, moke persone di quaggiú si po-sero in animo di conquistarti esse; e a quest'effetto fecero molte preparazioni. Se non che, salite in luoghi altissimi, e levandosi sulle punte de' piedi, e stendendo le braccia, non ci poterono arrivare»: Om, pp. 48, 49. 2 Lunario, cit. 1 L'articolo, il cui titolo é L'Everest, uscito sul «Corriere d'informazione» il 3-4 giugno 1963, é stato poi raccolto in D. Buzzati, Cronache terrestri, a cura di D. Porzio, Miláno, Mondadori, 1972, pp. 105-107:107. Una «palla» é la Terra per Ercole e Atlante nell'omonima operetta leopar-diana. * Storia del genere umano, Om, p. 15. 5 G. Leopardí, Ad Angelo Mai, C, p. 18, w. 88-100. Si veda anche L! passo dello Zibaldone, di poco antecedente alia canzone (Zib. 100, 8 gennaio 1820), o ancora una pagina come questa, dell'anno seguente: «La scienza distrugge i principáli piaceri dell'animo nostro perché deter-mina le cose, e ce ne mostra i confini, benché in moltissime cose, abbia materialmente ingran-dito d'assaissimo le nostre idee. Dico materialmente, e non giá spirirualmente, giacché p. e. la distanza dal sole alia terra, era assai maggiore nella mente umana, quando si credeva di poche miglia [...]. Cosi la scienza é nemica della grandezza delle idee, benché abbia smisuratamente ingrandito le opinioni natural! [...] Ciô che dico della scienza, dico dell'esperienza ec. ec. La maggiore anzi la sola grandezza di cui l'uomo possa confusamente appagarsi é l'indeterminata. DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDI E LA LUNA 41 L'uomo si sparerá dunque un colpo di rivoltella non tanto perché non avrä piú niente da scoprire, quanto perché non potrá piú desiderare (o anche solo distrarsi). Per Buzzati, lo abbiamo visto, non sono le conquiste a rendere felice l'uomo, ma il desiderio che le alimenta. Come la felicitä, la poesia risiede nello slancio verso ľignoto, nelľattesa e nella tensione create dalla 'distanza'. Ridotta questa 'distanza', viene meno il desiderio: e ľalone poetico scompare. Lo mostra anche Sort soletti (i° febbraio 1971), al cui centro ě il terna delľassuefazione, la capacitá umana di abituarsi ai piú grandi eventi, e di sminuirli, non appena escono dal dominio dei sogni e delle speranze. Per questo Buzzati passa dal cosmico al comico (la luna diventa qui la protagonista di una trasmissione - di un reality-show diremmo oggi -che nessuno ha piú voglia di seguire), adotta un linguaggio che mima il parlato (frequenti i modi di dire, gli incisi, le interiezioni), inline sfrutta la stratégia delľenumerazione caotica. Leggiamo: Soli soletti - perché camuffare la realtä? - pochi, pochissimi ormai preoccupandosi della luna. [...] Nelľintermezzo ci sono state, e sono, taňte di quelle grane nostre, chi pensa alia situazione polirica, chi alia propria, chi alľaumen-to, chi all'inflazione, chi al Milan, chi al Mec, chi a Reggio Calabria, chi al divorzio, chi alle spese ďospedale per la nonna che stavolta proprio mica ci vedo chiaro, chi alle continue balle d'Alemagna che ci propinano giornalmente, chi alia ragazzetta ďamore, chi al rrucco immobiliare, chi alle scarpe nuove, chi alla moglie rischiosa, chi alle ricerche di archivio, chi alia speranza di assunzione, chi alio scatto di camera, chi alla colazione di lavoro, chi al rischiatutto, chi alľargine precario, chi al congresso socialista, chi alio slalom speciale. Ma chi alla luna?1 Non si tratta qui delľaccumulazione evocativa, di cui Buzzati si serve spesso e che Lazzarin ha minuziosamente ricondotto al lessico infini-tivo leopardiano, bensi delľaccumulazione caotica.2 Se la prima ordi-na diversi elementi secondo il principio del crescendo enfatico, dando voce al pathos delľattesa o del ricordo, quella caotica aUinea elementi disparati, esprimendo ľassenza di armonia tipica del presente. E la come risulta pure dalla mia teória del piacere. Quindi ľignoranza la quale sola puč. nascondere i confini delle cose, ě la fonte principále delle idee ec. indefinite. Quindi ě la maggior sorgente di felicitä, e perciô la fanciullezza ě ľetá piú felice dell'uomo, la piú paga di se stessa, meno soggetta alla noia»: Zib. 1464,1465, 7 agosto 1821. 1 Soü soletti, «Corriere della Sera», i° febbraio 1971, ora in D. Buzzati, Cronache terrestri, cit., pp. 26g, 266. 2 Vd. S. Lazzarin, Dalle coscanti delľaccumulazione evocativa al leopardismo di Buzzati, cit. 42. ROSANNA MAGGIORE mancanza di poesia, anche. Ci si ě difatti abituati alle conquiste spaziali, e da topos poetico per eccellenza la luna si ě trasformata in un semplice luogo comune. Lo scrittore in persona, poco dopo, afferma: Sono andato per l'occasione in uno dei migliori negozi di retorica -owiamente non posso fare nomi - specializzato per lo piú in articoli spaziali. La padrona mi ha aperto un grande armadio, pieno zeppo di iperboli e incensi e fanfare, appunto di genere astronautico e interplanetary. Ne ě uscito un odore di muffa, polvere e naftalina. «Che Cosa vuole signore?» - mi ha detto. - «La měrce ě ottima, ep-pure non funziona piü. Nel 1969, il boom. Adesso ablativo assoluto». Neanche io ho comprato. Era roba andata a male, puzzava. Ma cosi mi trovo anch'io sguarnito di aggettivi, di pennacchi, di trionfi, di alleluia, di gloria, di entusiasmo.1 A causa delľassuefazione (vero e proprio leitmotiv negli articoli buzza-tiani di argomento lunare), negli anni Cinquanta e Sessanta la stratégia delľaccumulazione da evocativa diventa spesso caotica, ľiperbole ri-volta verso il meno e non verso ü piú. Un altro esempio ě in A qualcu.no piace calAa (2 agosto 1967), dove ě possibile scorgere ľombra di Leopardi, anche se non si tratta di un testo 'lunare'. Qui Buzzati si serve delľaccumulazione caotica per descrivere Miláno, cittá «senza slancio e fantasia»,2 affermando poi ehe in estate tutta la sua bruttezza «esplode potente e vittoriosa, in una sorta di tor-pido delirio, nel quale ě dolce sprofondare».3 Del resto, continua, «poi-ché si sa ehe le cose piú belie delia vita sono il desiderio e la speranza e mai no ľappagamento, ľestuoso forno di Miláno, a motivo del forte contrasto con le felicitá vagheggiate, ě crogiolo di sofferte volutta». Se ě vero insomma che la felicitá consiste nel desiderio (questa la lezione di Leopardi), Milano puč> essere una cittá in cui «sprofondare» - e non DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDI E LA LUNA ■13 piú solo «naufragare» - ě «dolce» (questa ľironia di Buzzati).1 Al polo opposto si colloca un testo come Plenilunio (sul «Corriere delia Sera» il 24 settembre 1970, poi in Le notti difficili), dove il giardino delľinfanzia ě un «paradiso in cui sarebbe bello naufragare». Abbiamo qui una cita-zione piú fedele, non ironica, ed ě facile capirne la ragione: in questo testo la dimensione cittadina viene sostituita dal giardino delľinfanzia, del passato, e qui ľ«amica luna» («amica» come neľľ£>ieitíe di Virgilio, o come nel Dialogo delia Terra e delia Luna di Leopardi) «mutata non ě mai». POSSIAMO COMMUOVERCI ANCORA Negli articoli di argomento lunare, le strategie ironico-prosastiche han-no essenzialmente due funzioni: prendere le distanze dalle false conso-lazioni umane e denunciare ľimpossibilitá delia poesia e delia felicitá nel presente (di qualsiasi epoca, non solo di quella attuale). Ma se ě vero ehe le conquiste limitano ľimmaginazione e non conducono alia felicitá, ě anche vero ehe gli uomini non possono vivere senza mera-vigliarsi, desiderare o tendere verso ľignoto, e in questo slancio vi ě indubbiamente qualcosa di poetico.2 Per questa ragione, in diverse oc-casioni, soprattutto prima deľľallunaggio, Buzzati adotta un registro eloquente o solenne per descrivere le imprese lunari. In Possiamo comrnuoverci ancora (12 agosto 1962), per esempio, leggia mo ehe «nonostante la nostra assuefazione ai miracoli, scandalosamen-te rapida, ľanimo ě preso dallo stupore»; ehe «esiste una disponibilita di meraviglia ŕinora appena intaccata». Certo, Qualcuno dice: a cosa serve? Anche quando saremo arrivati sulla Luna, ehe benefici ne ricaveranno gli uomini? e perché la vagheggiata conquista di Marte o di Venere dovrá farci piú felici? 1 Soli soletti, cit. 2 A qualcuno piace calda, «Corriere della Sera», 2 agosto 1967, dove leggiamo: «Bene, quella che é ritenuta la bruttezza di Milano, doe: quelle stradě, quelle piazze monotone convenzionali utilitarie dimesse squallide scolorite senza slancio o fantasia; quelle case subito degTadate dopo un paio d'anni dalla edificazione, senza bei tetti o awenturose mansardě; quelle prospettive tutte uguali e scoraggianti, dove si direbbe non ci sta posto per la speranza e il Capriccio dell'uo-mo; quell'aver meticolosamente distrurto le cose vecchie e saporite, il gusto vecchio, i vecchi camini, i vecchi caffe; quel non esserci né fiume né collina né mare né montagna né lago né boschi né prad; quella piartezza, quell'incombere periferico delle architetnrre produttive, dure ferruginose; i capannoni i magazzini i fumaioli i muri di cinta i capannoni le gru le rotaie i rralicci i capannoni senza un cervo volante, una bandiera, un fibre; quei disperanti cortili degli alveari, cosi inadatti alle guerre dei bambini; quel rigurgito in apparenza folie su e giú senza interruzione di auto camion cisterně furgoni scatenaü; tutte quelle cose che dimentico, per cui, appena giunto, il giovanorto del sud si sente stringere il cuore». 1 Ibid. ' Un articolo per cerri versi simile e Costruirsi la notte (sul «Corriere della Sera» il 30 marzo 1968, ora in D. Buzzati, La donna, la citxä, l'inferno, a cura di M. Ferrari, Treviso, Canova, 1997, PP- 34-35). Qui Buzzati afferma che, se ci si vuole costruire una notte come si deve, «[ajncora piü indispensabile e che tutto attorno ci sia [...] la cittä, una abbastanzagrande cittä con la sua varietä travolgente di vite, i noti abissi in cui e cosi interessante sprofondare. [...] Equello che in linguaggio improprio si chiama poesia?». Si direbbe di si, se e possibile essere trasportati «sopra le strade, sopra i tetti f...], nei sogni e nelle immaginazioni a catena che sono poi le cose piü importanti della vita» (ibid., pp. 34,35). 2 Come ricorda piü volte Leopardi, le illusioni sono ineliminabili. Nello Zibaldonc leggiamo ad esempio: «Le illusioni per quanto sieno illanguidite e smascherare dalla ragione, cuttavia restano ancora nel mondo, e compongono la massima parte della nostra vita. E non basta conoscer tutto per perderle, ancorche sapute vane. E perdute una volta, ne si perdono in modo che non ne resti una radice vigorosissima, e continuando a vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta l'esperienza, o certezza acquisita» (Zib. z13-14). 44 ROSANNA MAGGIORE No, probabilmente la complessiva iiifelicitä umana non sarä al-leviata né dalla Luna né dai piú remoti pianeti. Eppure questo ě il grande slando dell'uomo, dal tempo di Teseo, Icaro e Ulisse, se siamo diversi dalle bestie ě proprio per questo insaziabile, anche se folle, bisogno di andare sempře piú in lä, di svelare ad uno ad uno i misteri del creato.1 Qualcuno giudica queste imprese perfino «spiritualmente negative»: Fino a quando credevamo soltanto in Dio, dicono costoro, l'uomo aveva la sensazione di avere intorno un universo libero e sconfinato. Oggi invece che trionfa la scienza, ě costretto a riconoscere i suoi li-miti [...]■ Insomma questi voli spaziali - dicono - anziehe allargare il nostra orizzonte, finiranno per farci sentire piú prigionieri di prima.2 Sono questi, secondo Buzzati, «ragionamenti molto discutibili», ma conclude: «ammettiamo pure che ci sia un fondo di ragione. [...] Cosa importa?».3 Buzzati denuncia le illusioni umane," ma si lascia anche coinvolgere da esse. Ii desiderio dell'uomo ě inesauribile, e rinasce anche dalle ce-neri di ciö che la ragione distrugge. Possiamo commuoverci ancora ě dun-que uno di quei testi (lo rivela giá il titolo) in cui la 'distanza', da rifugio della ragione, diventa luogo del desiderio; in cui la dimensione dell'at-tesa ha la meglio su quella della disillusione; in cui lo sguardo 'dall'alto' si trasforma in sguardo 'da dentro'. Nessuna sorpresa, quindi, se in alcuni testi l'autore si dichiara contrario alia conquista della luna mentre in altri condivide l'anelito umano a svelare i misteri del creato; se passa dalla critica all'elogio del rischio, da un registro ironico-prosastico a un registro solenne. Lo stesso puö dirsi per L'eterno slancio (22 dicembre 1968), dove r«eterna spinta irreversibile che [...] ci costringe a voler vedere sempře di piú»s condurrä l'uomo oltre nuove colonne d'Ercole. Ciö spiega la presenza di aggettivi e superlativi atti a esaltare le imprese umane («gigantesca, orgogliosa e temeraria awentura», «difficolta suprema», «terrificante pericolo», «smisurato sforzo», «massima perfezione»), anche se l'autore sa bene che 1 Possiamo commuoverci ancora, «Corriere della Sera», 12 agosto 1962. Naturatmente l'«insa-ziabile, anche se folle, bisogno di andare sempře piú in lä» richiama il xxvi canto deU'Infmio dantesco, dove Ulisse sprona i suoi compagni a fare dei remi «ali al folle volo»: cfr. Inferno, xxvi, w. 112-125. Altrettanto presente a Buzzati sembra essere il Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietra Gutierrez di Leopardi. 2 Ibid. 3 IWd. 4 Come abbiamo visto, in diversi articoli Buzzati insiste sul motivo della prigione da cui non ci si libera evadendo altrove. s L'eterno slancio, «Corriere della Sera», 22 dicembre 1968; ora in D. Buzzati, Cronache terre-stri, cit., pp. 261-262. dialogo tra buzzati, leopardi e la luna 45 con il lancio dell'astronave alla Luna - pur nella dannata ipotesi di in-successo - un'era storica e finita per sempre. Diamo l'addio alpastore errante dell'Asia, a un venerando, e a molti di noi sempre caro, mondo poetico. Una ventina di giorni fa [...] guardavo la Luna nel suo piü grande splendore, e mi chiedevo: Ti rivedremo mai piü cosi lontana, irraggiungibile, misteriosa? Fra un mese, se gli astronauti ti avranno raggiunta, potrai trasformare ancora le nostre povere case in un so-gno, ci darai ancora queü'indieibile incanto, quei sowaumani pensieri. quell'aramo struggimento? Ho paura di no.1 Questo testo e caratterizzato da una forte oscillazione tra slancio verso l'ignoto e nostalgia verso ciö che non lo e piü. Di qui un misto di elo-quenza e di lirismo (si notino terrnini come «lontana», «irraggiungibile», «misteriosa», o i nessi «indieibile incanto», «sovrumani pensieri», «arcano struggimento»,2 a indicare qualcosa che sta oltre o nel pro-fondo, ad ogni modo qualcosa d'inaccessibile all'uomo). AI contrario, quando la dimensione del presente ha la meglio su quella del desiderio o del ricordo, subentra un registro espressivo di segno opposto. Possiamo pertanto osservare che lo scrittore si mostra coinvolto se si tratta dello slancio umano verso l'ignoto, piü distaccato se al centro sono i risultati raggiunti. La conquista della luna rappresenta per Buzzati un limite per l'immaginazione, ma l'awentura, il rischio e il pericolo alimentano senz'altro la poesia. Le imprese lunari sono un falso antido-to contro l'infelicitä, ma sono anche la prova tangibile dell'inesauribile desiderio umano. Non dimentichiamo, inoltre, che di fronte all'ignoto l'uomo non per de la capacitä di stupirsi: egli riacquista anzi la condizione di chi vede le cose per la prima volta; di chi, adottando punti di vista inediti, puö guardare in modo diverso anche il proprio mondo. Dalla Luna alla Terra: la nuova speranza Ladozione di un altra prospettiva puö essere uno strumento per co-struire nuove immagini, per fondare una nuova visione del cosmo, per pensare e agire diversamente nel mondo di oggi. Lo testimoniano articoli come La nuova speranza (28 dicembre 1968), in cui a essere osserva-ta da lontano non e piü la luna ma la Terra: 1 Ibid.. p. 263. 2 «Arcano struggimento» ě anche in Dolce notte (in Ii Colombre. 1966), riscrittura della celebre pagina in cui Leopardi descrive il giardino della souffrance (Zib. 4175, 19-22 aprile 1826). A ta] riguardo, si veda p. Abbrugiati, Leopardi jardinier de Buzzati, cit. 46 ROSANNA MAGGIORE Ecco: per la prima volta [...] l'uomo ha potuto vedere il proprio mondo da lontano e dalľako. [...] L'abbiamo vista ľaltro ieri sera con i nostri occhi da una distan-za di centinaia di migliaia di chilometri la faccia di questo angusto isolotto su cui viviamo. Sará stato per circostanze tecniche della tra-smissione ma non era una faccia attraente. Si distingueva anzi una specie di naso grosso e rapace, una bocca dura, due occhi carichi di malizia. Che lezione. Noi eravamo su quella specie di minuscolo porno perso nelľeternitá degli spazi, miliardi di esseri come me come voi rinserrati gli uni sugli altri ehe si guardavano in cagnesco, liti-gavano, protestavano, si ammazzavano e peggio. [...] l'Apollo 8 ci faceva sentire quanto insensato ě il nostro modo di vivere.1 II mondo non viene perso di vista, ma guardato da una tale distanza ehe ľimmagine ne giunge rimpicciolita: da un lato si annullano le dif-ferenze fra individui, gruppi sociali e nazioni, dall'altro ľosservatore abbraccia in una visione simultanea ľintero universo. La Terra, scrutata da lontano, non appare tuttavia piú attraente: rap-presentando il noto, la 'distanza' ehe si stabilisce non puô essere poeti-ca, ma critica. Di qui ľuso di un linguaggio prosastico (la Terra ha una «faccia», non un volto), della reductio (non ě altro che un «angusto isolotto», un «minuscolo pomo»), della personificazione (ha bocca, naso e occhi, e pensiamo ancora una volta al Dialogo della Terra e della Luna) e perfino della caricatura (il naso «rapace» rimanda a un animale piú che a un uomo). L'obiettivo di Buzzati non ě evadere, bensi «vedere il nostro pianeta qual ě [...] vedere noi stessi come siamo, perché ci ve-dremo da fuori dalľalto dall'esterno».2 In questo modo «realizzeremo la nostra pochezza e solitudine nel quadro dell'universo», e fonderemo forse una «nuova cultura».3 Grazie all'Apollo 8 - continua Buzzati - sará possibile capire «quanto ě insensato il nostro modo di vivere». Naturalmente ci si potrebbe chiedere se l'Apollo 8 non sia anch'esso il riflesso di tale insensato modo di vivere, se dietro la sete di conoscen-za degli uomini non si celi una segreta volontá di supremazia. Ma su questo Buzzati non si pro nuncia: come abbiamo visto, le sue riflessioni sono per lo piú di ordine poetico o esistenziale, raramente chiamano in causa la storia e la political 1 La nuova speran^a, «Corriere della Sera», 28 dicembre 1968. 2 Ibid. ' Sarebbe perciö interessante confrontare gli articoli di Buzzati con quelli di scntton che denunciano la «macchinazione mUitare e pubblicitaria» e la «frode retorica». Cito da G. Man-ganelli, La luna. Che noial Adesso non ci piacepiü, pubblicato su «II Giorno» il 13 dicembre 1972, ma penso soprattutto a uno scrittore come Guido Ceronetti, autore di un libro intitolato Difesa DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDI E LA LUNA 47 Lo conferma Storia meravigliosa (18 aprile 1970), dove ritroviamo la nostalgia verso ciö che non e piü ignoto (il motivo leopardiano del 'mai piü' e particolarmente caro a Buzzati), ma anche la speranza di vedere le cose diversamente: Ora che tutto dovrebbe essere sollievo, letizia, entusiasmo per la ter-rificante prova cosi bravamente superata. Ecco che invece si prova un sentimento malinconico ed amaro, un po' come quando una cosa bellissima e passata e sappiamo che non si poträ ripetere maipiü [...], come quando e appena passato Natale e si awerte che la sua cara illusione e miseramente finita. [...] l'incanto e svanito per sempre. Per sempre? Oppure l'espe-rienza e servita a qualcosa? Oppure il dramma spaziale ci ha portato a guardare piü in lä del nostro campicello, a considerare un po' piü la nostra debolezza e miseria, ad aprire un po' piü raramente la valvola dell'insofferenza e dell'odio?1 Secondo Buzzati, l'allunaggio potrebbe modificare le basi mentali della nostra vita quotidiana. Un'idea importante, questa, perche implica una considerazione positiva della scienza e delle imprese spaziali. Un pro-blema tuttavia sussiste ed e legato all'assuefazione, che impedisce agli uomini non solo di godere del momento presente, ma anche di essere profondamente scossi dalle grandi rivoluzioni. Quanto alla scienza, nei primi anni Sessanta lo scrittore la considera una cosa a se rispetto alla poesia;2 poi sembra modificare, almeno in parte, le sue posizioni. Di abbastanza sicuro c'e nondkneno questo: che se la scienza suscita sentimenti poetici non e tanto per le sue con-quiste, quanto per la spinta verso l'ignoto che esse presuppongono. Nell'articolo Fede del cronista binare (6 marzo 1970), dedicato aU'attivi- della luna, edito nel 1971, e a un poeta come Andrea Zanzotto. particolarmente sensibile a questo terna (si vedano le ix Ecloghe e La luna, ifatti, i Senhals, del 1962 e del 1969 rispettivamente). Per restare alle colonne del «Corriere della Sera», Giovanni Mosca, che a Leopardi e alla Luna degli anni Sessanta dediča diverse vignette, scrive un elzeviro intitolato Capo Recanati, in cui il personaggio Leopardi afferma: «Non puô essere, come io terno, ehe non si miri alla Luna per il naturale desiderio dell'uomo ďesplorar ľinfinito, ma per motivi di prestigio nazionale? E ehe la luna sia solo un falso seopo, il vero consistendo nella postazione di piattaforme spaziali dalle quali si possa con ľatomica minacciare ogni parte della Terra?». Ľelzeviro esce il 7 maggio 1966; ľu sará la volta di una piecola operetta morale di Tommaso Landolfi, H gigante, in cui ľautore riprende il topos della fine del mondo e della Terra osservata da lontano: cŕr. T. Lan-nOLFi, Del meno. Cinquanta el^eviri, Miláno, Rizzoli, 1978. Segno, insomma, ehe Leopardi era ben presente in quel periodo, anche sulle colonne dei giornali. 1 Storia meravigliosa, «Corriere della Sera», 18 aprile 1970. 2 In un articolo uscito non sul «Corriere della Sera» ma sul «Corriere d'informazione» (Non esiste piú ľincredibile. Abitudine al miracolo) il 6-7 maggio 1961, Buzzati sostiene ehe il dominio della scienza implica la fine delľarte: «poesia, pittura, musica moriranno per sempre». 48 ROSANNA MAGGIORE tä dell'inviato speciale Giancarlo Masini, la scienza che quest'ultimo ama é non a caso quella che «porta anche alle difficili e pericolose av-venture». In un articolo del 22 luglio 1969, 7Í momenta sublime, ľautore afferma invece che Armstrong e Aldrin ci avevano portato in una sorta di aldilá che ve-devamo con i nostri occhi e in cui tuttavia la nostra mente si smarri-va [...]. E la favola, il mito, la poesia, anziehe venir distrutti dai 'computers', dai transistor, dai sapienti ordigni teenologici, rinascevano in proporzioni gigantesche.1 E questo uno dei casi in cui Buzzati sembra assumere un atteggiamen-to positivo nei confronti della scienza: ci troviamo tuttavia di fronte a un «aldila arcano, da cuipotranno scendere, sulla Terra, smisurate cose awenire». Fino a quando ľuomo puô confrontarsi con un oltre («un aldila») segreto o misterioso («arcano»), che per di piú apre prospettive sconfinate («smisurate»), la poesia non corre seri pericoli. Le cose van-no diversamente, invece, se al centro é la cruda realtä. Queste osservazioni ci condueono infine a un ordine di considerazio-ni piú generale, sul modo in cui Buzzati interpreta Leopardí. Avendo bene a mente la «teoria del piacere», sottolineando sempre il valore della commozione e della 'distanza', del ricordo o del desiderio, lo scrit-tore adotta una chiave romantica, nostalgica ed elegiaca nel leggere le opere leopardiane. Una chiave diversa da quella usata da altri autori del secondo Novecento, proiettati piú verso la realtá esterna che verso la propria interioritä, piú verso il futuro ehe verso il passato, inclini a minimizzare il romantico e a evidenziare lo spiccato interesse di Leopardí per il sensismo e il materialismo settecentesco, per la scienza e ľastronomia. Basti pensare al Leopardí 'galileiano' di Italo Calvino che, proprio sulle colonne del «Corriere della Sera», rispondendo ad Anna Maria Ortese, il 24 dicembre 1967 afferma di voler «vedere di piú nella luna», perché la scienza funge da stimolo all'immaginazione, non certo da limite.2 Per Calvino, la poesia non é insita solo nello slancio 1 Ü momenta sublime. «Corriere della Sera», 22 luglio 1969. Questo testo sara ripubblicato, con diverso ritolo (Bu^ati e la conquista della Luna), su «Sette giorni illustrati dal Corriere della Sera» il i° luglio 1989 e, ancora prima, il 5 marzo del 1986, per i «Dieci anni e un secolo» del «Corriere della Sera». In quesťoccasione furono selezionati una serie di articoli atti a ripercorrere le tappe piú importanti del secolo. La firma di Buzzati si trova in calce alla pagina dedicata al 1969, in cui sono raccolti tre testi: uno a commento della strage di piazza Fontana, gli altri due dedicati alla «straordinaria awenrura che portô Armstrong e Aldrin sulla Luna». Si veda D. Buzzati, Luna, eecoci. E Armstrong mette piede sul satellite, «Corriere della Sera», 5 marzo 1986, p. 30. 2 Scrive Calvino: «Ionon voglio [...] esortarla all'enrusiasmo per le magnifiche sorti cosmo-nautiche dell'umanitá: me ne guardo bene. Le notizie di nuovi lanci spaziali sono episodi d'una lotta di supremazia terrestre e come tali interessano solo la storia dei modi sbagliati con cui DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDÍ E LA LUNA 49 verso ľignoto, ma nelle conquiste Stesse, nella possibilitá di ripensare il cosmo e di stabilire un nuovo rapporto tra uomo e universo. Se é vero che la scienza circoscrive, é vero pure che ogni scoperta apre nuove di-mensioni. Di fronte a ciô che non conosce ľuomo riacquista inoltre la condizione di chi nomina le cose per la prima volta, quella spontaneitä («fanciullezza» direbbe Leopardí) ehe si perde con ľetá matura. Buzzati, ďaltra parte, sa bene ehe non sará un satellite artificiale a privare il cielo dei suo mistero.1 É quanto sostiene in Noi e la luna, un articolo seritto per il «Corriere dei Piccoli» il 16 febbraio 1969, e ehe scelgo a mo' di conclusione, in quanto lo serittore sembra tirare le fila dei proprio discorso. Rispondendo a un bambino convinto ehe la luna non perderá il suo fascino poetico a causa delle imprese spaziali, Buzzati afferma: ancora i governi e gli stati maggiori pretendono di decidere le sorti dei mondo passando sopra la testa dei popoli. Quel ehe mi interessa invece é tutto ciô ehe é appropriazione vera dello spazio e degli oggetti celesti, cioéconoscen^a: uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole, definizione ďun rapporto tra noi e ľuniverso extraumano. La luna, fin dalľantichitá, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione dei poeti čosi si spiega. Ma la luna dei poeti ha qualcosa a ehe vedere con le immagini lattiginose e bucherellate ehe í razzi trasmettono? Forse non ancora: ma il fatto ehe siamo obbligati a ripensare la luna in un modo nuovo ci porterá a ripensare in modo nuovo taňte cose. [...] Chi ama la luna dawero non si contenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto piú stretto con lei, vuole veder di piú nella luna, vuole ehe la luna dica di piú. II piú grande serittore della letteratura italiana ďogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna ínnalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo ŕu uno dei modelli della lingua di Leopardí, gran poeta lunare»: cfr. Occhi al cielo. Filo diretto Calvino-Ortcse, ora in I. Calvino, Saggi 1045-1985, introduzione di M. Barenghi, Miláno, Mondadori, 2007, vol. I, pp. 226-228. 1 A tal proposito, uno dei piú cari amiá di Buzzati, Arturo Brambilla, scrive nel suo Diflrio: «Soffici a proposito di un satellite artificiale: "Noia e tristezza di sentir čosi violato e come scon-sacrato ľintatto, solenne mistero degli alti cieli..., di sentire... in gran parte essiccata la prima cosmica fonte delia poesia". Se il mistero dei cieli si lasciasse sconsacrare čosi fadlmente, non sarebbe un gran mistero. Se una fonte di poesia si inaridisse per un satellite artificiale, non sa-rebbe un gran danno perderla». Ciô non toglie, aggiunge tuttavia Brambilla, ehe il bello risiede soprartutto in ciô ehe é ignoto: «11 fascino delle persone (come delle cose), salvo rare eccezioni, é in funzione inversa della conoscenza ehe ne abbiamo. E una delle illusioni fondamentali, senza cui é difficile vivere, é di eredere ehe ciô ehe ancora non si conosce valga di piú di ciô ehe giá si conosce. Le relazioni amorose per lo piú si fondano su questa illusione e ne derivano la loro labilita*. E non manca un riferimento a Leopardi: «Chi fa ľamore, poco ha coscienza delľamo-re. Cosa sia, o cosa possa essere ľamore, sa chi non lo fa o lo fa poco. Leopardi, Schubert... Dart WD du nicht bist, dort ist das Glúck. [La felicitá é lá dove tu non sei] (Schubert, Der Wanierer)»: A. Brambilla, Diario, con una prefazione di D. Buzzati, Miláno, Mondadori, 1967, p. 181. Puô essere utile ricordare ehe Brambilla muore il 17 maggio 1963, e ehe il 26 sertembre di quello stesso anno Buzzati propone a Neri Pozza di pubblicare «una quantitä di sue notazioni, pezzetti autobiografici, pensieri filosofici e sulľarte, insomma qualcosa ehe, come tipo, puô ricordare lo Zibaldone di Leopardi»: cfr. N. Pozza, Saranno idee ďarte e di poesia. Carteggi con Buzzati, Gadda, Montale e Parise, a eura di P. Di Palmo, Vicenza, Neri Pozza, 2006. 50 ROSANNA MAGGIORE la Luna ha perso gran parte del suo mistero e quindi del suo incanto poetico perché infatti le cose e i paesi sconosciutí, inesplorati, eserci-tano un fascino molto maggiore che quelli noti perché lasriano via libera alle piú pazze speranze. Cosi, sulla Luna quale si conosceva una volta, gli uornini poteva-no sbizzarrire la loro fantasia, immaginando perfino che vi abitasse-ro stráni esseri o mostri, che vi si potesse svolgere una vita favolosa. Oggi che gli astronauti si sono awicinati [...] sappiamo che la vita lassú non esiste e che si tratta di un arido e inospitale deserto. Favole, illusioni, sono cosi spárite per sempre.1 Eppure, continua Buzzati, non si puô dire certamente che la Luna, guardata di quaggiú, abbia perso la sua bellezza poetica. [...] La Luna ci apparirá sempre come una volta, enigmatica sféra so-spesa negli spazi. E la sua luce continuerá a illuminare le nostre notti, trasformando i paesi, le strade, le campagne in un mondo incantato, dandoci quella commozione indicibile che alla tua giovanissima etä anch'io giä provavo. La luna deve essere «guardata di quaggiú* e deve apparire come «quel-la di una volta» per non perdere la sua «bellezza poetica» (segno che una 'distanza' deve sussistere), ma insomma il giovane interlocutore di Buzzati ha ragione. E forse non é un caso che il suo nome sia... Giacomino!2 Conclusioni Alla luce dei testi esaminati, possiamo osservare che da Leopardi Buzzati non riprende solo diverse immagini o temi, ma anche alcune idee estetico-filosofiche che sostanziano la sua poetica. Come ha sottolinea-to Lazzarin, tale poetica si fonda sul valore della 'distanza' (del desiderio e del ricordo) e implica ľadozione di diversi espedienti lirici. Non meno frequenti sono ďaltra parte, se si tratta di descrivere la realtä contingente, alcune stratégie ironiche o prosastiche (antifrasi, rovesciamento, riduzione, personiŕicazione, caricatura, accumulazione 1 D. Buzzati, Noi e la luna, xCorriere dei Piccoli», 16 febbraio 1969. 2 Ľipotesi che Buzzati ammicchi a Leopardi chiamando Giacomo un suo personaggio trova conferma in testi come Le gobbe del giardino (in H colombre) o Vantaggi del progresso (in Siamo spiacenti di). Espliciti riferimenti a Leopardi sono invece in Una pallottola di carta (in Sessanta racconti), Che atleta! (in Siamo spiacenti di), Cambiamenti (in Le notti diffiríli), Ľesecufione del com mendatore (ora in Le cronadie fantastiche di Dino Buzzati), U nostro segreto (Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre starie), La legge del piú forte («Corriere dei piccoli», 8 settembre 1968, p. 23). DIALOGO TRA BUZZATI, LEOPARDÍ E LA LUNA 51 caotica) che per diverse ragioni chiamano in causa lo stesso Leopardi. Egli diventa un 'bersaglio' parodico se si tratta di denunciare ľostilitä dei tempi e i rischi a cui va incontro la poesia oggi, restando tuttavia un modello formale e concettuale. NegU articoli analizzati, riprendendo la teória leopardiana del piacere e della lontananza, Buzzati sottolinea infatti ľimpossibilitá della poesia e della felicitä nel presente (di qual-siasi epoca, non solo di quella attuale), a cui contrappone ľinesauribile desiderio umano, di per sé poetico. Di qui ľalternarsi di un linguaggio solenne per lodare lo slancio umano verso ľignoto, e di un linguaggio ironico per mostrare la vanitä di ogni conquista. Non si tratta pertanto di individuare due o piú fasi del pensiero buz-zatiano: in uno stesso torno di tempo lo scrittore puô amiriirare la sete di conoscenza dell'uomo e criticare ogni falsa illusione; spronare al «folle volo» e awertire che ogni scoperta sarä vana. Col passare del tempo le sue idee cambiano (non mancano a volte ambiguitä e contro-sensi), ma questa alternanza é un tratto tipico della sua scrittura, e rive-la due attitudini diverse si ma strettamente legate. Seguendo Leopardi, Buzzati esprime in fondo la contraddizione insita nella vita dell'uomo che, consapevole della propria infelicitä e dell'impoeticitá del presente, non puô smettere di desiderare. Al centro é insomma la fondamentale e disperata tensione umana alla felicitá. Quesťipotesi troverebbe parziale conferma nel fatto che il giorna-lista non scrive dei resoconti «gelidi e oggettivb, né presta particolare attenzione alla portata storico-politica delle imprese 'spazialť. Benché non manchino, di tanto in tanto, riferimenti alla guerra fredda, alla bomba atomica e al «duello spaziale» tra Stati Uniti e Russia,1 negli articoli di Buzzati le imprese lunari diventano spesso U pretesto per una riflessione di tipo poetico-esistenziale. Non meno importante é infine la scelta dell'ironia come ricerca di un altro punto di vista, di un altrove in cui ľuomo trovi rifugio non per evadere dal proprio mondo, ma per osservarlo da un'altra prospettiva, per scoprirne i limiti. Per tutte queste ragioni, nei testi buzzatiani intravediamo ľombra di Leopardi e, s'intende, della sua luna. Una luna che muta, continuando pero (o meglio: perciô) a nutrire ľimmaginazione di chi ľosserva. 1 Si veda per esempio D. Buzzati, Piccole cronaáie del Duemila. Per Marte si soprassiede, «Cor-riere della Sera», 27 ottobre 1966, ora in Id., Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre storie, cit., pp. 7S-81.