ovvero LE STAGIONI IN CITTÄ Presentazione delľautore 0 SCÄRMOITOADOBI Luna e Gnnc 79 Estate 14 Luna e Gnac La notte durava venti secondi, e venti secondi i] GNAC. Per venti secondi si vedeva il cielo azzurro variegato di nuvole nere, la falce della luna cre-scente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi Stelle che piú le si guardava piú infittiva-no la loro pungente piccolezza, fino alio spolverio della Via Lattea, tutto questo visto in fretta in fret-ta, ogni particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell'insieme che si perdeva, perché i venti secondi finivano subito e cominciava il GNAC. II GNAC era una parte della scritta pubblicitaria SPAAK-COGNAC sul tetto di fronte, che stava venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nienťaltro. La luna improwisamen-te sbiadiva, il cielo diventava uniformemente nero e piatto, le Stelle perdevano il brillio, e i gatti e le gatte che da dieci secondi lanciavano gnaulii ďa-more muovendosi languidi uno incontro alTaltro lungo le grondaie e le cimase, ora, col GNAC, s'ac-quattavano sulle tegole a pelo ritto, nella fosfore-scente luce al neon. Affacciata alla mansarda in cui abitava, la fami-glia di Marcovaldo era attraversata da opposte cor-renti di pensieri. Cera la notte e Isolina, che ormai era una ragazza grande, si sentiva trasportata per il chiar di luna, il cuore le si struggeva, e fino il piú smorzato gracchiar di radio dai piani inferiori dello stabile le arrivava come i rintocchi d'una serenata; c'era il GNAC e quella radio pareva pigliare un altro ritmo, un ritmo jazz, e Isolina pensava ai dancing tutti luci e lei poverina lassü sola. Pietruccio e Mi-chelino sgranavano gli occhi nella notte e si lascia-vano invadere da una calda e soffice paura d'esser circondati di foreste piene di briganti; poi, il GNAC! e scattavano coi polHci dritti e gli indici tesi, l'uno contro l'altro: - Alto le mani! Sono Nembo Kid! -Domitilla, la madre, a ogni spegnersi della notte pensava: «Ora i ragazzi bisogna ritirarli, quest'aria puö far male. E Isolina affacciata a quest'ora e una cosa che non va!» Ma tutto poi era di nuovo lumi-noso, elettrico, fuori come dentro, e Domitilla si sentiva come in visita in una casa di riguardo. Fiordaligi, invece, giovinotto melanconico, vedeva ogni volta che si spegneva il GNAC apparire dentro la voluta del gi la finestrina appena illuminata d'un abbaino, e dietro il vetro un viso di ragazza color di luna, color di neon, color di luce nella notte, una bocca ancor quasi da bambina che appena lui le sorrideva si schiudeva impercettibilmente e giä pareva aprirsi in un sorriso, quando tutt'un tratto dal buio risaettava fuori quello spietato gi del GNAC e il viso perdeva i contorni, si trasformava in una fioca ombra chiara, e della bocca bambina non si sapeva piü se aveva risposto al suo sorriso. In mezzo a questa tempesta di passioni, Marcovaldo cercava d'insegnare ai figlioli la posizione dei corpi celesti. - Quello e il Gran Carro, uno due tre quattro e li il timone, quello e il Piccolo Carro, e la Stella Polare segna il Nord. - E quell'altra, cosa segna? - Quella segna ci. Ma non c'entra con le stelle. E l'ultima lettera della parola COGNAC. Le stelle invece segnano i punti cardinali. Nord Sud Est Ovest. 80 Marcavaldo La luna ha la gobba a ovest. Gobba a ponente, Luna crescente. Gobba a levante, luna calante. - Papa, allora il cognac e calante? La ci ha la gobba a levante! - Non c'entra, crescente o calante: e una scritta messa 11 dalla ditta Spaak. - E la luna che ditta l'ha messa? - La luna non l'ha messa una ditta. E un satellite, e c'e sempre. - Se c'e sempre, perche cambia di gobba? - Sono i quarti. Se ne vede solo un pezzo. - Anche di COGNAC se ne vede solo un pezzo. - Perche c'e il tetto del palazzo Pierbernardi che e piü alto. - Piü alto della luna? E cosi, ad ogni accendersi del GNAC, gli astri di Marcovaldo andavano a confondersi coi commerci terrestri, ed Isolina trasformava un sospiro nell'an-simare d'un mambo canticchiato, e la ragazza del-l'abbaino scompariva in quell'anello abbagliante e freddo, nascondendo la sua risposta al bacio che Fiordaligi aveva finalmente avuto il coraggio di mandarle sulla punta delle dita, e Filippetto e Mi-chelino coi pugni davanti al viso giocavano al mi-tragliamento aereo, - Ta-ta-ta-ta... - contro la scritta lurninosa, che dopo i venti secondi si spegneva. - Ta-ta-tä... Hai visto, papä, che l'ho spenta con una sola raffica? - disse Filippetto, ma giä, fuori della luce al neon, il suo fanatismo guerriero era svanito e gli occhi gli si riempivano di sonno. - Magari! - scappö detto al padre, - andasse in pezzi! Vi farei vedere il Leone, i Gemelli... - II Leone! - Michelino fu preso d'entusiasmo. -Aspetta! - Gli era venuta un'idea. Prese la fionda, la caricö del ghiaino di cui sempre aveva in tasca una riserva, e tiro una sventagliata di sassolini con tutte le forze contro il GNAC. Luna e Gnac 81 Si sent! la gragnuola cadere sparpagliata sulle te-gole del tetto di fronte, sulle lamiere della gronda, il tintinnio dei vetri d'una finestra colpita, il gong d'un sassolino picchiato giu sulla scodella d'un fa-nale, una voce in strada: - Piovono pietre! Ehi las-su! Mascalzone! - Ma la scritta lurninosa proprio sul momento del tiro s'era spenta per la fine dei suoi venti secondi. E tutti nella mansarda presero mentalmente a contare: uno due tre, died undici, fino a venti. Contarono diciannove, tirarono il re-spiro, contarono venti, contarono ventuno venti-due nel timore d'aver contato troppo in fretta, ma no, nulla, il GNAC non si riaccendeva, restava un nero ghirigoro male decifrabile intrecciato al suo castello di sostegno come la vite alia pergola. - Aaah! - gridarono tutti e la cappa del cielo s'alzo infinitamente stellata su di loro. Marcovaldo, interrotto a mano alzata nello sca-paccione che voleva dare a Michelino, si sent! come proiettato nello spazio. II buio che ora regnava al-l'altezza dei tetti faceva come una barriera oscura che es eludeva laggiu il mondo dove continuavano a vorticare geroglifici gialli e verdi e rossi, e ammic-canti occhi di semafori, e il luminoso navigare dei tram vuoti, e le auto invisibili che spingono davanti a sé il cono di luce dei fanali. Da questo mondo non saliva lassu che una diffusa fosforescenza, va-ga come un fumo. E ad alzare lo sguardo non piu abbarbagliato, s'apriva la prospettiva degli spazi, le costellazioni si dilatavano in profonditá, il firma-mento ruotava per ogni dove, sfera che contiene tutto e non la contiene nessun limite, e solo uno sfittire della sua trama, come una breccia, apriva verso Venere, per farla risaltare sola sopra la cornice della terra, con la sua ferma trafittura di luce esplosa e concentrata in un punto. Sospesa in questo cielo, la luna nuova anziché 82 Marcovaldo Luna e Gnac 83 ostentare l'astratia apparenza di mezzaluna rivela-va la sua natura di sfera opaca illuminata intorno dagli sbiechi raggi d'un sole perduto dalla terra, ma che pur conserva - come puó vedersi solo in certe notti di prima estate - il suo caldo colore. E Marcovaldo a guardare queíla stretta riva di luna tagliata lá tra ombra e luce, provava una nostalgia come di raggiungere una spiaggia rimasta miraco-losamente soleggiata nella notte. Cosi restavano affacciati alia mansarda, i bambini spaventati dalle smisurate conseguenze del loro gesto, I sol i na rapita come in estasi, Fiordaligi che u nice tra tutti scorgeva il fioco abbaino illuminate e fi-nalmente il sorriso lunare della ragazza. La mamma si riscosse: - Su, su, ě notte, cosa fate affacciati? Vi prenderete un malanno, sotto que sto chiaro di luna! Michelino puntó la fionda in alto. - E io spengo la luna! - Fu acciuffato e messo a letto. Cosi per il resto di quella e per tutta la notte do-po, la scritta luminosa sul tetto di fronte diceva solo SPAAK-CO e dalla mansarda di Marcovaldo si vede va il firmamente Fiordaligi e la ragazza lunare si mandavano bací sulle dita, e forse parlandosi alia muta sarebbero riusciti a fissare un appuntamento. Ma la mattina del secondo giorno, sul tetto, tra i castelli della scritta luminosa si stagliavano esili esi-li le figure di due elettricisti in tuta, che verificava-no i tubi e i fili. Con l'aria dei vecchi che prevedo-no il tempo che fara, Marcovaldo mise il naso fuori e disse: - Stanotte sará di nuovo una notte di GNAC. Qualcuno bussava alia mansarda. Aprirono. Era un signore con gli occhiali. - Scusino, potrei dare un'occhiata dalla loro finestra? Grazie, - e si presenter: - Dottor Godifredo, agente di pubblicitá luminosa. «Siamo rovinati! Ci vogliono far pagare i danni! - penso Marcovaldo e giá si mangiava i figli con gli occhi, dimentico dei suoi rapimenti astronomici. -Ora guarda alia finestra e capisce che i sassi non posson essere stati tirati che di qua». Tento di met-tere le maní avanti: - Sa, son ragazzi, tirano cosi, ai passed, pietruzze, non so come mai ě andata a guastarsi quella scritta della Spaak. Ma li ho casti-gati, eh, se li ho castigati! E puó star sicuro che non si ripeterá piú. II dottor Godifredo fece una faccia attenta, - Ve-ramente, io lavoro per la «Cognac Tomawak», non per la «Spaak». Ero venuto per studiare la possibi-litá di una reclame luminosa su questo tetto. Ma mi dica, mi dica lo stesso, m'interessa. Fu cosi che Marcovaldo, mezz'ora dopo, conclu-deva un contratto con la «Cognac Tomawak», la principále concorrente della «Spaak». I bambini dovevano tirare con la fionda contro il GNAC ogni volta che la scritta veniva riattivata. - Dovrebb'essere la goccia che fa traboccare il va-so, - disse il dottor Godifredo. Non si sbagliava: giá sull'orlo della bancarotta per le forti spese di pubblicitá sostenute, la «Spaak» vide i continui guasti alia sua piu bella reclame luminosa come un cattivo auspicio. La scritta che ora diceva COGAC ora CONAC ora CONC diffondeva tra i creditori l'i-dea d'un dissesto; a un certo punto 1'agenzia pub-blicitaria si rifiutó di fare altre riparazioni se non le venivano pagati gli arretrati; la scritta spenta fece crescere l'allarme tra i creditori; la «Spaak» falli. Nel cielo di Marcovaldo la luna piena tondeggia-va in tutto il suo splendore. Era l'ultimo quarto, quando gli elettricisti torna-rono a rampare sul tetto di fronte. E quella notte, a caratteri di fuoco, caratteri alti e spessi il doppio di prima, si leggeva COGNAC TOMAWAK, e non e'era- 84 Ma rcovaldo Autunno no piu luna ne firmamento ne cielo ne rtotte, soi- tan to cognac tgmawak, cognac tomawak, co- 15 gnac tomawak che s'accendeva e si spegneva La pioggia e le fogiie ogni due secondi. II piu colpito di tutti fu Fiordaligi; 1'abbaino della ragazza lunare era sparito dietro a un'enorme, im-penetrabile vu doppia. In ditta, tra le varie altre incombenze, a Marcovaldo toccava quella d'innaffiare ogni mattina la pianta in vaso dell'ingresso. Era una di quelle piante verdi che si tengono in casa, con un fusto diritto ed esile da cui si staccano, da una parte e dall'altra, su luiv ghi gambi fogiie larghe e lucide: insomma, una di quelle piante cosi a forma di pianta, con fogiie cosi a forma di foglia, che non sembrano vere. Ma era pur sempre una pianta, e come tale soffriva, perche a star li, tra la tenda e il portaombrelli, le mancava-no luce, aria e rugiada. Marcovaldo ogni mattina scopriva qualche brutto segno: a una foglia il gam-bo s'inclinava come se non ce la facesse piü a reg-gere il peso, un'altra s'andava picchiettando di chiazze come la guancia d'un bambino col morbillo, la punta d'una terza ingialliva; finche, una o 1'altra, tac!, la si trovava in terra. Intanto (quel che piü stringeva il cuore) il fusto della pianta s'allungava, s'allungava, non piü ordinatamente fronzuto, ma nudo come un bastone, con un ciuffetto in cima che la faceva somigliare a un palmizio. Marcovaldo sgomberava il pavimento dalle fogiie cadute, spolverava quelle sane, versava a pie delia pianta (lentamente, che non traboccasse sporcando le piastrelle) mezzo annaffiatoio d'acqua, subito be-vuto dalla terra del vaso. E in questi semplici gesti metteva un'attenzione come in nessun altro suo la-