Dalla terra alla luna e ritorno Le cronache spaziali di Dino Buzzati sul Corriere della Sera (1953-1969) di Cristiana Lardo «Ne rimaneva vergine solo un pezzettino, una gobbetta, un minuscolo bitorzolo di neve. Ivi si era rifugiata la poesia, con i sogni, le speranze, delusioni, le bellissime cose inutili tuttavia così indispensabili alla vita. A partire dal 29 maggio scorso la poesia se n’è andata anche di là. Dove potremmo ritrovarla?»1 . Così scrive Dino Buzzati nel 1953, a proposito della storica spedizione che per la prima volta era giunta fin sulla vetta dell’Everest. Buzzati è un autore particolarmente affezionato alle cronache che riguardano l’alpinismo: alpinista lui stesso, «era un alpinista soprattutto nel senso più profondo ed autentico della parola. Per lui l’alpinismo era un fatto esistenziale, un modo di essere»2 . Alla ricerca della poesia: nello stesso articolo dedicato all’Everest e alla spedizione, quella che ne ha rivelato la reale altezza (otto metri in più delle misurazioni strumentali eseguite non in loco) e la reale natura («oggi siamo sicuri che la cima favolosa è fatta come tante altre, che non vi abitano gli dei della montagna»), Buzzati immagina quale possa essere la nuova frontiera della scoperta. «Ci rimane la Luna – qualcuno dice – rimangono i pianeti, gli spazi siderali. Qui non c’è limite per la sete di ignoto e di avventure. Esaurita la terra, esploreremo l’universo». E se, come Buzzati suggerisce, «non siamo mica nati da zero... Siamo nutriti da una tale quantità di cose, che, alle volte, non ci avvediamo nemmeno 1 D. Buzzati, L’Everest, in Corriere di informazione, 3-4 giugno 1953. 2 M. Trevisan, Due temi alpinistici per un giornalista alpinista, in Buzzati giornalista, a cura di Nella Giannetto, Mondadori, Milano 2000, p. 278. STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 544 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 di questi influssi»3 , è da notare che la prospettiva ricorda da vicino una poesia di Giovanni Pascoli, il poemetto Alexandros4 e, pertanto, costituirebbe un altro tassello di echi pascoliani nella produzione buzzatiana5 . E invece poi la Luna è stata “conquistata” davvero: dal 1958 al 1971 Buzzati segue sul Corriere della Sera e sul Corriere di Informa- zione6 i passi della spedizione lunare, culminata nel ’69 con lo sbarco e proseguita per altri tre anni con altre dodici spedizioni. Dovrebbe essere, dunque, la celebrazione di un’epopea: i toni dei giornalisti del Corriere sono trionfanti, entusiasmati, celebrativi. Invece, il ruolo del contraltare, dell’“avvocato del diavolo” sembra essere la scelta di Buzzati. L’episodio lunare nella vita giornalistica di Buzzati è particolarmente importante: di fatto la letteratura è coinvolta, se si può dire, alla terza potenza (ove la seconda è costituita dagli articoli che parlano di letteratura e del fare letterario7 ). Quindi: dal 1952, per circa vent’anni, Buzzati si è occupato della cosiddetta “corsa” alla Luna, la gara tra America e Unione Sovietica per l’egemonia nei voli spaziali, culminata nell’allunaggio (americano) del 20 luglio 1969. Si è detto “corsa” ma subito ci si è pentiti del termine: se di corsa affannosa e militarmente strutturata si è trattato, è vero però che il termine getta qualche perplessità soprattutto per il modo in cui Buzzati ha letto la vicenda e come tale l’ha raccontata. I suoi articoli non sono solo cronaca: sono spesso elzeviri, brani letterari scritti da un letterato che prende il suo spunto dai fatti che accadono. Una lettura poetica del presente seguendo le varie spedizioni russe e americane; cronaca di una specie di guerra, in cui chi vince è un problema della storia e non della poesia. La luna è la depositaria della poesia e dell’immaginazione: «la meraviglia è uno degli elementi della 3 Y. Panafieu, Dino Buzzati: un autoritratto, Mondadori, Milano 1973, p. 34. Nel caso specifico Buzzati sta parlando delle rappresentazioni dei visi in Poema a fumetti e dei quadri di Munch. 4 G. Pascoli, Alexandros, in Poemi conviviali, Zanichelli, Bologna 1904: «Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla! / Non altra terra se non là, nell’aria, / quella che in mezzo del brocchier vi brilla». 5 Se gli autori della letteratura italiana coinvolti nella narrativa buzzatiana sono molti, il più delle volte dissimulati e sottotraccia, a Pascoli è riservato un posto speciale (cfr. nota 8). 6 Quotidiano del pomeriggio del Corriere della Sera dal 1945 al 1981. 7 Densa e significativa è la presenza della Luna nella sua narrativa. Non si entrerà nell’analisi del topos, limitandoci a ricordare il racconto Era proibito, uscito proprio sul Corriere il 1° dicembre 1955 e poi ricompreso nella raccolta Sessanta racconti (Mondadori, Milano 1958), in cui un onorevole fanatico del progresso ha emanato un decreto per abolire la poesia. La Luna, eterno simbolo, viene contrapposta alle più confacenti luci elettriche. È significativo notare come Buzzati in qualche modo ribalti il ruolo mitopoietico delle fonti di illuminazione (naturale/artificiale). Meraviglia e letteratura 545 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 poesia»8 e secoli di poesia sono andati a finire laggiù, sulla Luna, come le cose perdute della Luna ariostesca. 1. Contro le stelle Il primo articolo di questa rassegna rivela da subito il tono semiserio che caratterizza tutta la cronaca lunare di Buzzati. Si intitola Contro le stelle ed è un elzeviro ironico ma non troppo. Sempre considerate consolatrici delle angustie umane, depositarie della funzione tutta letteraria di prospettare un altrove misterioso e suggestivo, le stelle vengono osservate dall’io narrante in contrapposizione agli altri punti di luce, quelli terreni: lampioni, colonnette, luci elettriche e soprattutto finestre illuminate. «Finestre accese di uomini e donne miserandi come me, globi dell’illuminazione pubblica, superstiti insegne del bar, colonnette di benzina, semafori ammiccanti, enigmatici lumini sospesi sulle antenne dei grattacieli, desolati riverberi della nostra povera vita quotidiana, che Dio li benedica. Come piccole, straniere, avare e stupide al loro paragone risultavano le stelle del firmamento, anche se così graziose. Per secoli e secoli abbiamo continuato ad adorarvi, nel nostro piccolo noi stessi, in vostro onore abbiamo avuto occasione di scrivere un sacco di idiozie. Ma che cosa c’avete mai dato mai? Quando vi siete degnate? Impassibili, gelide, lontane, neanche capaci di farci ritrovare la strada nella notte della paura e della fuga. Mondi incommensurabili? Fornaci grandi centomila volte il nostro sole? Monumenti dell’universo? Ce lo hanno detto i libri. Ma chi, siamo sinceri veramente, chi lo ha mai creduto fino in fondo?»9 Si tratta di stelle impregnate di letteratura («Le stelle, le meravigliose, eccole tutte in uno sterminato brulichio sopra di noi») nel pieno della loro funzione, se così si può dire, di interlocuzione con l’io lirico, come da perfetta tradizione10 . Le stelle sono punti di luce letteraria- 8 Y. Panafieu, op. cit., p. 189. 9 D. Buzzati, Contro le stelle, in Corriere della Sera, 19 agosto 1956. 10 Sui debiti e i rimandi della tradizione letteraria italiana precedente in Buzzati, relativamente a Leopardi, Pascoli e Manzoni si veda: G. Carnazzi, Buzzati critico: raccontare i libri degli altri, in Buzzati giornalista, cit., p. 261; Fantasmi antichi e moderni. Tecnologia e perturbante in Buzzati e nella letteratura fantastica otto-novecentesca, Fabrizio Serra, Pisa 2008, p. 24; S. Zangrandi, Cose dell’altro mondo. Percorsi nella letteratura italiana del Novecento, Archetipo Libri, Bologna 2011, p. 113; P. Abbrugiati, Une greffe vénéneuse: Leopardi jardinier de Buzzati, in Italies, VIII, 2004, pp. 275-297; F. Favaro, Un giardino (lo stesso?) tra Leopardi e Buzzati, in www.sinestesie.it/ARCHIVIO/tuttaletteratura/leopardi_buzzati.pdf; S. Lazzarin, «Le immense cose che si erano sognate»... Costanti evocative e presenze leopardiane nella narrativa breve di Buzzati, in Italianistica, XXXIV, 1, 546 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 mente contrapposti alle luci tutte umane della città, siano esse insegne, finestre aperte di notte, lampioni dell’illuminazione pubblica, neon, lampadari, eccetera. La sterminata meraviglia del creato è contrapposta alle miserie terrene, simbolo della «povera vita quotidiana». Oltre a segnare una linea ben precisa, portata avanti, come si vedrà, fino alla fine, l’articolo è un’ulteriore testimonianza di come per Buzzati risulti impossibile, oltre che offensivo nei confronti del suo lettore, distinguere il giornalismo dalla letteratura. È uno scrittore-giornalista fermamente convinto dell’impossibilità di scindere le due cose. E alla domanda «Nel caso tuo e la pratica del giornalismo ti ha giovato o magari danneggiato come scrittore?», egli risponde: «Il giornalismo per me non è stato un secondo mestiere, ma un aspetto del mio mestiere. L’optimum del giornalismo coincide con l’optimum della letteratura. E non vedo come la pratica del giornalismo, se si tratta di buon giornalismo, possa nuocere a uno scrittore. Certe esperienze cronistiche, anzi, penso siano nettamente vantaggiose agli effetti artistici»11 . Si è molto parlato del travaso interrelato delle due attività: ed è vero che tanti articoli di giornale sembrano brani letterari12 e viceversa, allo stesso modo, senza una specifica – apparente – distinzione13 . La linea di confine non sembra neanche essere, appunto, la sede: sul Corriere e sui suoi inserti via via nel tempo sono stati ospitati anche elzeviri che poi sono confluiti in raccolte come racconti. Ci sono in 2005, pp. 33-48; G. Sandrini, Presenza di Leopardi nel primo Buzzati, in Studi buzzatiani, VI, 2001, pp. 7-19; R. Maggiore, Le operette lunari di Dino Buzzati, in Studi buzzatiani, XVIII, 2013, pp. 43- 62; I. Gallinaro, Morire in locanda. Drogo e i suoi padri, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2017, p. 13; R. Zucco, «Qualcosa era successo»: una possibile fonte pascoliana per Buzzati, in Lingua e letteratura, XXII-XXIII, 1994, pp. 157-164; N. Giannetto, Il sudario delle caligini, Olschki, Firenze 1996, p. 213; A.R. Daniele, Dino Buzzati e le riscritture della peste manzoniana, in Manzoni negli scrittori del secondo Novecento, a cura di P. Frare, O. Ghidini, F. Pierangeli, D. Iuppa, in Studium, VI, novembre-dicembre 2017, pp. 943-965; R. Maggiore, Dialogo tra Buzzati, Leopardi e la luna, in Studi buzzatiani, XIX, 2014, pp. 31-52; A.R. Daniele, Ombre femminili in Dino Buzzati. Indizi di donne prima di Un amore, Franco Cesati, Firenze 2018, p. 109 e ss.; C. Lardo, «Ci vorrà naturalmente una guida», Memoria e dialoghi nell’opera di Dino Buzzati, Studium, Roma 2014. 11 In Corriere di Informazione, 11-12 giugno 1966. 12 Si vedano, a titolo di esempio, i suoi articoli di cronaca nera raccolti in D. Buzzati, La “nera” di Dino Buzzati, a cura di L. Viganò, Mondadori, Milano 2002 o la raccolta degli articoli della sua rubrica omonima in D. Buzzati, I misteri d’Italia, Mondadori, Milano 1978. Cfr. inoltre N. Gianetto, Alle origini della scrittura buzzatiana: i primi articoli, i primi racconti, in Narrativa, XXIII, 2002, pp. 5-20; F. De Bortoli, Buzzati e il «Corriere». Il giornalista e lo scrittore, in Studi buzzatiani, VIII, 2013, pp. 89-93; F. Zangrilli, La penna diabolica. Buzzati scrittore-giornalista, Metauro, Pesaro 2004. 13 È lo stesso Buzzati che mette in guardia il lettore in Y. Panafieu, Autoritratto, cit, specialmente nei capitoli “L’alchimia delle idee” (pp. 149-160) e “Giornalismo insegna” (pp. 161- 167). Meraviglia e letteratura 547 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 Buzzati, senza apparenti paratie, racconti concepiti fin da subito come pezzi letterari e racconti nati come se fossero articoli di stampa. «Mascherato dietro le figure dei suoi personaggi, Buzzati ha la vocazione di un reporter»14 , anche se, in questo caso, non precisamente sui luoghi di cui riferisce... Non fisicamente, almeno. 2. Se si scoprisse che la Luna è molto più lontana del previsto Buzzati ritorna sull’argomento con gli stessi toni, sempre accompagnato in sottotesto dagli autori della letteratura, italiana e non, due anni dopo. L’articolo si intitola significativamente Se si scoprisse che la Luna è molto più lontana del previsto15 e commenta il fallimento del razzo Pioneer, che, partito verso la Luna l’8 novembre 1958 (senza persone a bordo), non era riuscito a superare l’atmosfera terrestre. Un fallimento, suggerisce non senza paradossi, che ha fatto tirare al mondo un poetico «sospiro di sollievo», a dispetto dei soldi impiegati per la missione. «E la sera, quando compariva nel cielo sopra i tetti, la guardavamo già in uno strano modo, la vecchia Luna, e si pensava: tu non sai niente, tu navighi attraverso i neri spazi con la tua solita immobile faccia piuttosto butterata, fissi enigmaticamente i pastori erranti nell’Asia, ti compiaci ancora di simili ridicoli giochetti e noi intanto ti stiamo preparando uno scherzo, ma uno di quegli scherzi! Così le dicevamo in cuor nostro, ma per essere sinceri non si era completamente sicuri perché, a guardarla bene, La Luna era spaventosamente lontana, possibile mai che un razzo riuscisse a scavalcare un tale abisso? [...] All’annuncio che un marchingegno fabbricato esclusivamente da noi era in viaggio per l’antico nostro satellite, la meraviglia ci fu. Non la soddisfazione. E quando il giorno dopo i giornali (sempre in prima pagina) fecero sapere che sì, l’esperimento era andato in modo magnifico, ma che per un banalissimo inconveniente, a un terzo della strada il razzo non ce l’aveva fatta più e si era incamminato sulla via del ritorno, ebbene – perché negarlo? – a questa notizia, chi scrive e parecchi altri che in seguito ce l’hanno confessato hanno tirato un sospiro di sollievo». Perché, si chiede Buzzati? Nell’articolo propone varie ipotetiche ri- 14 A.R. Daniele, Satelliti del canone letterario: la “quæstio Buzzati” e la letteratura giornalistica, in I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo, Atti del XVII congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Roma Sapienza, 18-21 settembre 2013), a cura di B. Alfonzetti, G. Baldassarri e F. Tomasi, Adi editore, Roma 2014, p. 9. 15 D. Buzzati, Se si scoprisse che la Luna è molto più lontana del previsto, in Corriere della Sera, 17 ottobre 1958. 548 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 sposte: per la profanazione del luogo del mistero? Per i denari spesi? Per il rischio di sfruttamento del satellite? Oppure per la poesia, che resterebbe senza una residenza? Perché l’appagamento di quello che si attende genererebbe solo un ulteriore anelito, perché il destino dell’uomo è la ricerca e l’insoddisfazione? «Chi lo sa», risponde Buzzati. «Sinceramente non siamo riusciti a decifrare il motivo, in apparenza assurdo, per cui l’arrivo del primo raggio sul satellite ci farebbe dispiacere. Quel giorno insomma, ho il dubbio che l’uomo si sentirà più potente ma più povero. E che lo stesso universo che ci attornia sembrerà rimpicciolito. Perciò, a rischio di scandalizzare i benpensanti, qui formuliamo la speranza che né il secondo razzo, né il terzo, né il quarto giungano a destinazione ma che ce ne vogliano decine o centinaia. E che invece di mesi, per approdare lassù occorra un travaglio di lunghissimi anni. Meglio ancora se, durante i tentativi, si constatasse che il conto degli astronomi non torna e che i loro calcoli sono completamente sbagliati; se la Luna, anziché a 380.000 chilometri, risultasse di gran lunga più lontana, mettiamo a 300 milioni di chilometri, e si dovesse ricominciare tutto da capo. Ma come sperarlo? Gli astronomi la sanno troppo lunga, purtroppo». Si tratta di considerazioni, dicevamo, al limite dell’antifrasi, caratterizzate da quel tono ironico che Buzzati riserva sempre alle sue cronache lunari. Qualche considerazione, tuttavia, è opportuno farla. La prima è che Buzzati riserva per sé il ruolo di contrappunto, di redattore degli a parte: Buzzati non è mai polemista, non ha mai toni da invettiva moraleggiante, toni scandalizzati e fatti per scandalizzare. Il tono da pamphlet non gli appartiene affatto. Però la sua è una cronaca eccentrica: referenziale, certo, ma tutta piegata dalla parte della poesia e delle sue ragioni. E questa nota implica la seconda considerazione: da giornalista e da scrittore, Buzzati, al centro e come “stella fissa”, tiene la letteratura. E anche il suo essere cronista è sempre determinato dal fatto letterario, come dimostra per esempio il suo linguaggio di tono lirico («Stelle dunque piccolissime, più minuscole del lumino che arde dinanzi al tabernacolo del bivio. Più del fiammifero acceso, più insignificanti della scintilla che fa la scarpa del bracconiere urtando nelle pietre, quanto più belle di voi, più misteriose e nobili sono le lucine della notte umana, il fuoco del camino, per esempio, le fiaccole, i fanali dei treni, i fari, i riverberi degli altiforni, la candela in fondo alla soffitta, gli spiriti che in forma di fuochi fatui nelle sere di afa si inseguono nelle cripte sepolcrali») e il riferimento costante ai precedenti letterari. Parlare della Luna vuol dire coinvolgere Leopardi (e Pascoli, come si è visto, e Ariosto e Dante). Meraviglia e letteratura 549 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 Rossana Maggiore nel suo saggio Le operette lunari di Dino Buzzati rintraccia una presenza costante e palese di stilemi e procedimenti stilistici propri delle Operette morali in alcuni articoli dedicati alla Luna: nelle sue «operette lunari», Buzzati ha un «interlocutore privilegiato che risponde al nome di Giacomo Leopardi» e sfrutta tutte le sue «strategie retorico-stilistiche. In sintesi: il dialogo; il distanziamento spaziale o temporale; l’identità sovrannaturale dei personaggi; la visione antropomorfa; la giustapposizione di dimensioni contrarie e dissonanti (comica e cosmica, fantastica e quotidiana); l’alternanza di registri espressivi opposti (linguaggio letterario e familiare, sostenuto e colloquiale, aulico e prosaico); la scelta di immagini insolite; l’intensificazione del lessico attraverso la ripetizione e l’alterazione; l’antifrasi e l’espressione indiretta»16 . 3. E dopo? È il caso dell’articolo che segue in senso cronologico, intitolato E do- po?17 : l’elzeviro compare sulla prima pagina del Corriere di informazione, come fondo; in alto, uno schema mostra come la sonda Lunik 9, effettuato il primo atterraggio morbido sulla Luna, stia trasmettendo le immagini all’agenzia Tass, e come esse stiano rimbalzando sui quotidiani di tutto il mondo. I toni dell’articolo di testa sono entusiastici: tutto il mondo sta guardando cosa succede sulla Luna in quei precisi momenti. Ancora più spiazzante risulta quindi essere il corsivo buzzatiano, graficamente stretto tra la spiegazione disegnata e l’articolo che celebra – con malcelata invidia, ma solo un pizzico – i trionfi russi18 . Ironicamente, Buzzati si riserva anche stavolta il «punto di vista poetico»: avvicinare il mondo della poesia e della meraviglia (la Luna) significa ridurlo a qualcosa di materiale che rivela la sua irriducibile differenza con l’immagine dipinta che secoli di poesia ne hanno dato: e, di conseguenza, svelare la sua scarsa attrattiva. Ce n’è anche per le stelle, per quei punti di luce che da sempre hanno fatto nascere la poesia: «la stessa volta stellata finirà per risultare angusta, meschina, addirittura repellente come le pareti di un hangar». La meraviglia, insomma, non abita più lassù. 16 R. Maggiore, op. cit., pp. 43-62 passim. 17 D. Buzzati, E dopo?, in Corriere di informazione, 20 settembre 1959. 18 La gara per l’egemonia mondiale tra Urss e Usa è spesso oggetto di ironie in Buzzati, non solo sul Corriere: si veda per esempio il racconto La lezione del 1980, in Il Colombre e altri racconti, Mondadori, Milano 1966. 550 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 La demitizzazione, la riduzione ironica non è un tema nuovo per la narrativa di Dino Buzzati. In fondo, forse, Buzzati ne ha sempre parlato, fin da Barnabo delle montagne, passando per il Deserto dei Tartari, massimamente con Poema a fumetti, fino ad arrivare alle ultime prove narrative. Tranne I miracoli di Val Morel, che significativamente conserva intatte tutte le manifestazioni dei miti che Buzzati ha sistematicamente ridotto, osservandone sconsolato la demolizione, probabilmente tutte le opere, ciascuna per sé, ciascuna con il proprio tono, hanno registrato questo scacco. Si tratta di uno scacco all’immaginazione e quindi uno scacco alla poesia, che prende forme diverse e nomi diversi: «Gli antichi, ancestrali miti in cui gli uomini potevano ancora apparire come eroi e gli animali come creature soprannaturali rimangono dunque sullo sfondo del racconto, che può essere letto, di conseguenza, come una parabola sulla fine del mondo fiabesco; la favola – che Buzzati sottopone alla critica implacabile dei fattori razionali della demitizzazione – finisce così per negare se stessa, dicendo dell’impossibilità, per l’autore moderno, di recuperare le favole antiche, di ritrovare nella sua intatta originaria purezza il mondo dell’infanzia e, connesso, l’esperienza eversiva e liberatoria del sogno e della fantasia»19 . Il brano si riferisce al racconto L’uccisione del drago, un’altra storia di demitizzazione forzata. È la storia di una spedizione che, saputo dell’esistenza di un drago nella valle, nei possedimenti del conte Gerol, si reca alla sua tana per ucciderlo. Siamo nel 1902 e tutto nel racconto sembra una favola, tranne le considerazioni del naturalista che fa parte della spedizione. Il drago con uno stratagemma viene fatto uscire dalla sua grotta, ma il fumo venefico che emette morendo intossica il proprietario del possedimento: «Gli uomini del paese erano spariti, come tre sentissero la maledizione due. Le ombre salivano sopra le pareti crollanti. Il corpo del drago, carcame incartapecorito, si levavano ininterrotti e due fili di fumo e nell’aria stagnante si attorcigliavano lentamente. Tutto sembrava finito, una triste cosa da dimenticare e nient’altro. Ma il conte Gerol continuava a tossire, tossire. Sfinito, sedeva sopra un pietrone, accanto agli amici che non osavano parlargli. [...] . “Me la sentivo” sussurrò il governatore Andronico alla moglie che tremava un poco. “Me la sentivo che doveva finire malamente”»20 . 19 B. Mellarini, Il mito e l’altrove, Serra, Pisa 2017, p. 72. 20 D. Buzzati, L’uccisione del drago, in I sette messaggeri, cit., p. 113. Meraviglia e letteratura 551 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 Ma se il concetto poeticamente espresso nell’ultima tavola di Poema a fumetti («gli ultimi re delle favole si incamminavano all’esilio»21 ) è un motivo costante in Buzzati narratore, tanto da indurre i critici coevi a parlare – erroneamente – di «monotonia»22 , la sua produzione giornalistica, fatti salvi i prelievi, gli interscambi, i riferimenti e la mutua intertestualità di cui abbiamo già dato conto, forse testimonia di uno spazio diverso. Un luogo in cui il cronotopo è di per sé più cogente, dove le parti in causa si moltiplicano e soprattutto dove la referenzialità dell’oggi gioca la sua parte. È lo spazio in cui bisogna raccontare quello che sta accadendo al suo pubblico. 4. Gli antiluna «C’è una categoria di persone, molto più numerosa di quanto non si possa supporre, a cui tutta questa faccenda della Luna dà un maledetto fastidio. Non hanno il coraggio di dirlo, magari, ma le cose stanno proprio così. Quanta gente pensa che tutti i miliardi che si spendono per sbarcare sulla Luna potrebbero essere impiegati in modo più utile, ad esempio per rendere meno idiota, ignorante e bestiale l’umanità, ciò che contribuirebbe immensamente a diminuire la fame, le malattie, gli e le guerre. Ritiene che l’uomo, intellettualmente e moralmente, sia rimasto indietro di decenni rispetto al progresso scientifico e tecnico; e che importantissimo e urgentissimo sarebbe colmare tale distacco: impresa per cui quei miliardi andrebbero d’incanto»23 . È una provocazione in qualche modo “guidata”. Ai toni entusiastici che accompagnavano l’impresa lunare, massimamente sul Corriere della Sera, con aggiornamenti quotidiani, schemi e disegni per essere compresi dai lettori, Buzzati risponde con la sua voce tutta particolare, anche a proposito della sua specificità di scrittore: «È convinta altresì che anche dal punto di vista poetico la conquista della 21 È la parte testuale dell’ultima tavola di D. Buzzati, Poema a fumetti, Mondadori, Milano 1965. 22 Evito di sottoporre all’attenzione del lettore una serie di letture miopi e ingenerose dell’opera di Buzzati che sono state proposte fino agli anni Ottanta e mi limito a condividere la risposta di Stefano Lazzarin: «Monotonia: non tanto di monotonia si tratta, quanto di ‘ricorrenza ossessiva’ di temi, stilemi, stratagemmi narrativi, ecc. Ed è vero che la peculiarità di Buzzati consiste anche in questo fenomeno di eterno ritorno» (S. Lazzarin, Il Buzzati «secondo». Saggio sui fattori di letterarietà nell’opera buzzatiana, Vecchiarelli, Manziana 2008, p. 47). 23 D. Buzzati, Gli antiluna, in Corriere di informazione, 4-5 febbraio 1966. 552 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 Luna, di Marte, eccetera non porterà niente di buono: e che la stessa volta stellata finirà per risultare angusta, meschina, addirittura repellente come le pareti di un hangar. Perciò a qualsiasi notizia di successi spaziali, capsule, sonde, e simili, anche se in sé ardui e meravigliosi, invece di rallegrarsi, prova dispiacere. Si augura quindi che l’allunaggio, l’ammartaggio, l’avveneraggio – eventi ovviamente inevitabili – avvengano più tardi che sia possibile, tra cinquanta, sessanta, cento anni: comunque dopo la propria morte. Misoneisti? Reazionari? Retrivi? Oppure semplicemente saggi? Tra quella gente ci sono anch’io»24 . L’elzeviro recupera un tono inaugurato pochi anni prima, ed è un tono ironico o meglio sarcastico. E se l’ironia e il gusto per l’antifrasi è il denominatore comune di tutte le sue cronache lunari, in questo articolo Buzzati ritrova quel tono, già sperimentato in narrativa, amplificato e confermato in se stesso. Del resto il 1966 è un anno importante per le sue attività e per la sua vita. L’articolo è di febbraio, ma nei mesi successivi dello stesso anno accadono tante cose: in giugno esce la sua raccolta di racconti Il Colombre25 , che segna un rinnovato interesse per la favola (Il Colombre) e la prosecuzione di un tema a lui molto caro, l’inferno a Milano (Viaggio agli inferni del secolo); da settembre alla metà di dicembre gli viene affidata una rubrica sul Corriere, estremamente interessante e davvero profetica, intitolata Piccole cronache del Duemila26 ; in dicembre, infine, sposa Almerina Antoniazzi. Il Buzzati del ’66 è un autore ilare e fecondo, incline all’ironia e proiettato verso il futuro come quando si fanno progetti importanti per 24 Ibid. 25 D. Buzzati, Il Colombre e altri racconti, cit. 26 Si tratta di una rubrica durata tre mesi circa, mai pubblicata a sé, nella quale Buzzati finge di aver ricevuto un importante incarico dal direttore del Corriere: farsi ibernare per essere risvegliato nel Duemila, e da lì riportare cronache e considerazioni sul giornale. L’“inviato nel tempo” Buzzati racconta, quindi, come è fatto il mondo del Duemila, trasmettendo i suoi articoli al giornale tramite un misterioso marchingegno che consente di spedire direttamente gli articoli. Racconta al suo pubblico che nel Duemila le persone non possiedono più una propria automobile, ma tramite un abbonamento tutti possono guidare auto parcheggiate da altri utenti; e ancora che le persone comunicano tramite minuscoli telefoni portatili, chiamati “teletini”, che consentono anche di vedere su un piccolo schermo la persona che stanno chiamando; l’inglese è obbligatorio dalla prima elementare, tanto che i suoi lemmi stanno sostituendo quelli italiani; la lira è stata sostituita da una nuova valuta molto più potente, il “lirone”; a teatro si va con un biglietto elettronico; l’elenco delle anticipazioni “profetiche” potrebbe continuare… Probabilmente, anche questa esperienza è un’ulteriore dimostrazione della specificità narrativa buzzatiana: il desiderio e di quella necessità di aggiungere una dimensione al reale. Meraviglia e letteratura 553 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 la propria vita. E se si esclude la cosiddetta “Acqua granda” di Venezia (l’alluvione del 4 novembre 1966, per la quale Buzzati esprime le sue preoccupazioni sul Corriere, tanto importante da far deviare le Piccole cronache sul problema di Venezia e della sua risoluzione nel Duemila), tutto fa pensare che quell’anno sia stato un anno gioioso e pieno di cose belle. Anche il tono marcatamente letterario delle sue cronache spaziali subisce in qualche modo un’impennata: si carica di umorismo – pur mantenendo la sua carica d’esordio, quella dell’articolo Contro le stelle – e ribadisce (finge?) tutto il suo scetticismo nei confronti dell’intera operazione. Gli antiluna sembra così assumere una piega da polemista, sembra esprimere un moderato dissenso, sembra prendere una posizione, per così dire, politica. 5. Non deluderci, Luna Però alla Luna si addicono parole letterarie e non politiche, per Buzzati. E nello stesso anno, in maggio e in agosto, la creazione di storie prende di nuovo il sopravvento. Escono due elzeviri intitolati Cosmodromo abbandonato e Icaro. Il primo ricorda molto il penultimo racconto di Cronache marziane di Ray Bradbury27 , There will come soft rains, il secondo è un racconto che riprende un tema molto caro a Buzzati, quello del malato che attende un’operazione risolutiva: l’asteroide Icaro sta per schiantarsi sulla terra (il racconto è ambientato due anni dopo, nel ’68) e uno dei due medici che stanno per operare, l’io narrante, il prof. Rilka (!), vuole che lo scrittore gli dia un giudizio sulle poesie che egli scrive di nascosto. Ancora una volta, l’argomento lunare richiama a Buzzati la poesia e la letteratura, dunque. Stella fissa, come si è già detto: e il suo intervento lunare successivo non fa che confermarlo. L’articolo è del fatidico 1969 e precede di tre giorni l’impresa: 17 luglio. Lo sbarco, come si sa, è avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 di quello stesso anno. Il racconto elzeviro si intitola Non deluderci, Luna ed è un dialogo tra una moglie e un marito durante la diretta televisiva dello sbarco. Dialogo o, meglio, partitura teatrale. Buzzati è stato, come si sa, autore di teatro dal 1942 al 1966. L’articolo è un racconto a due voci: durante lo sbarco, una coppia commenta da casa. Lui è davanti alla televisione, 27 R. Bradbury, Cronache marziane, Mondadori, Milano 1954. 554 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 mentre lei si affaccia al balcone, per vedere se la Luna, accortasi dello «scherzo» che l’umanità ha preparato per lei, scapperà lontano: «- Su, vieni dentro. Che cosa stai lì ancora sul balcone mentre qui la tele ci sta facendo vedere la cosa più favolosa mai avvenuta da che esiste il mondo? - Aspetta, aspetta un momento. - Vieni! La navicella sta per scendere. Si vede tutto, come a essere sul posto. - Un momento solo, ti prego. - Tu, già, hai sempre delle idee balorde per la testa. Che cosa stai ruminando adesso? Che cosa aspetti come un’oca sul balcone? - È stupido, lo so. Tu non mi puoi capire. Ma io ho ancora una piccola speranza. Insensata, forse. Però meravigliosa. E da qui, da questo miserabile balcone, io potrò adesso vedere se... L’ultima speranza, vuoi saperlo?, è che tra poco, questioni di minuti, la Luna se ne vada. Che avvicinandosi gli esploratori, i pionieri, gli ulissidi, gli eroi, improvvisamente tu, solinga, eterna peregrina, ti stacchi dall’orbita antichissima, tolga gli ormeggi e ti allontani, beata, via per gli spazi del cosmo. Vederti rimpicciolire a poco a poco, restringerti, giù per le profondità sconfinate, in silenzio, diventare una palla, una pallina, un lume, un lumicino, un punto di luce, e poi più niente. [...] Ma non pensi che formidabile scandalo sarebbe, che colpo di scena, che rivoluzione? Per un poco i tre campioni dell’Apollo 11 si metterebbero a inseguirla, in groppa alla forza gravitazionale eccetera, poi da Capo Kennedy dovrebbero dargli l’ordine di rientro. Dietro front, senza nulla di fatto. E lei, la luna... addio per sempre. - Sciocchezze. Basta, ti prego. Vieni dentro. Il modulo si è staccato, sta discendendo. Vieni a vedere. È uno spettacolo incredibile. - Somaro. Non si dice modulo. È un anglicismo intollerabile e cretino. Apparecchio, veicolo, navicella, capsula, Come vuoi. Modulo no. - Lo sai che adesso si vede la luna come se fosse a Porta Garibaldi! Vieni, ti dico. -È pazzesco, lo so. Però io aspetto ancora. Un ultimo barlume di speranza. Pensa come sarebbe bello. Altro che conquista del sistema planetario. Altro che odissea spaziale. L’intero nostro universo spirituale sbaragliato, sovvertito, rimesso in discussione. La nostra vita, di noi poveri vermi della Terra, moltiplicata per mille, tutte le più pazze utopie rinascere, tutti in ginocchio, rapiti, dinnanzi alla terribile rivelazione di Dio, aspettata da secoli e secoli. - Si può sapere che cosa hai nella testa? Quello che sto vedendo è incredibile. Una trasmissione perfetta, ti dico. Da centinaia di migliaia di chilometri, il diavolo solo sa come fanno. - Coraggio, vecchia Luna, fatti coraggio, è l’ultima occasione. Non c’è un istante da perdere. Muoviti. Ribellati. Fuggi. Non importa se finirai nel- Meraviglia e letteratura 555 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 la fornace di una stella, se ti scotterai un poco, sacrìficati per noi che ti abbiamo voluto così bene, che ti abbiamo dedicato tante poesie, tante canzoni. Fa’ che rinasca l’antica cara fede che ci aveva abbandonati. Fa’ che si spalanchi universo nuovo. - Stai dando i numeri? Muoviti, sbrigati, dannazione. Il modulo, pardon, la navicella, in questo istante sta atterrando. Corri a vedere. Ti pentirai amaramente! - Ecco! Si muove! Evviva! Ti giuro. Vieni tu fuori, la luna sta muovendosi, si allontana, corri qui tu questo balcone... oppure... che sia soltanto suggestione? Si allontana veramente? No, non si allontana... È sempre ferma… Dio mio, mi pareva proprio che la Luna un tratto si fosse un poco rattrappita. E invece... Invece niente. - Idiota. Hai perso lo spettacolo più grande di tutta la millenaria storia dell’uomo. Hanno toccato terra. Sono fermi. Adesso Armstrong… - Non si è mossa, ahimé. Sta sempre lì al solito posto. Povera disgraziata Luna, ebete, senza amor proprio, senza fantasia. E gli uomini non ci troveranno niente. Constateranno che non è fatta neppure di formaggio, come ci dicevano da bambini, di emmenthal, coi buchi. Pietre morte e basta. Neanche un moscerino. Non un segno di vita, una traccia di remota civiltà, uno spillo, un fiammifero spento, un microbo fossile, biglietto del tram. Niente di niente. - Armstrong sta scendendo la scaletta... l’uomo è sulla Luna, cammino sulla superficie della Luna. Ti rendi conto dell’enormità della cosa? - Sì. Il fatto più gigantesco da quando esiste il nostro globo. La tappa più importante della storia. La porta che ci apre all’universo. La gloria dell’uomo... che peccato. (adesso vengo anch’io a vedere)»28 . Chiedendo scusa per la lunghezza del brano riportato (a brani non sarebbe stato sufficientemente comprensibile), occorre osservare che questo articolo – e il successivo – offre più di uno spunto di riflessione sull’interpretazione di come Buzzati ha letto l’avventura lunare. La prima è stata ribadita più volte: al centro c’è la letteratura, meglio, la poesia. «L’importante nella poesia è lo stacco / imprevedibile e stagno / che fa sentire la presenza / e il genio, la stoltezza divina»: così scrive Buzzati nel suo poemetto Tre colpi alla porta29 solo pochi anni prima; e ci ritorna sopra nell’Autoritratto: «La poesia è prima di tutto un sprigionamento di energie fisiche. Sono delle energie che magari la scienza non ha ancora catalogate, ma di cui sono convinto che sono proprio fisiche»30 . La poesia ha una sede sua. Fisica e metafisica insieme, ritrac- 28 D. Buzzati, Non deluderci, Luna, in Corriere della Sera, 17 luglio 1969. 29 D. Buzzati, Il capitano Pic e altre poesie, Neri Pozza, Vicenza 1982, p. 58. 30 Y. Panafieu, op. cit., p. 189. 556 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 ciabile nel cuore dell’uomo e in tutto ciò che il cuore dell’uomo osserva tenendo lei stessa al centro. «È meraviglia in quanto la vera poesia ha sempre qualcosa di imprevedibile per il lettore»31 . E in questa doppia Luna, «una persona sul balcone guarda la Luna come immagine nel cielo, mentre l’altra guarda lo sbarco degli astronauti in televisione [...] fa risaltare l’inconciliabilità delle due immagini della Luna. Nell’impossibilità di congiungere l’oggetto celeste e la superficie del satellite che accoglie la navicella, sembrerebbe che la vecchia poetica della Luna fosse rimasta intatta»32 . Colpisce inoltre, in questo articolo, l’insistenza su alcuni lemmi particolarmente cari a Buzzati: lemmi che fanno parte del suo lessico intellettuale e narrativo: «Dio», «diavolo», «speranza», «fantasia», «punto di luce», «sbaragliare», «meraviglia»: parole, insomma, molto più frequenti nella sua attività narrativa che in quella giornalistica. E ancora: l’elzeviro è una storia, una narrazione, con i due personaggi, tra narrativa, teatro e poesia; e il ruolo del(la) protagonista è affidato a lei, alla donna, a lei è affidato il ruolo dell’apertura ad ogni possibile – comprese le ironiche critiche al marito a proposito dell’utilizzazione di un termine desunto dall’inglese. Allo stesso modo a lei è affidato il compito di dire la cosa più importante di tutte: sulla Luna mancano la vita e la fantasia. La folle corsa alla conquista dello Spazio è cosa inutile all’uomo, quindi, detta e ribadita fin dall’inizio delle cronache lunari di Dino Buzzati. 6. Lunario L’articolo più bello, più suggestivo, più citato e – anche – più vicino alla sua narrativa è l’ultimo che si prenderà in considerazione: reca come titolo Lunario, è diviso in cinque sezioni, intitolate I bambini, I Mericani, La fede, Proporzioni, L’abitudine ed è stato pubblicato il giorno prima dello sbarco33 . Anche in questo caso l’articolo, più che un resoconto referenziale o un giudizio d’opinione, è una prova narrativa piena di riferimenti “vischiosamente” letterari. Consiste in una raccolta di finte testimonianze e reca, in testa a tutto, l’affermazione «Tot capita, 31 Ibid., p. 190. 32 F. Siddell, Buzzati e la luna, in Buzzati giornalista, cit., pp. 164-165. 33 D. Buzzati, Lunario, in Corriere della Sera, 20 luglio 1969. Come si sa, il razzo Apollo 11 toccò il suolo lunare alle 22.56 del 20 luglio, ora statunitense, mentre in Italia erano le 4.56 del giorno 21. Meraviglia e letteratura 557 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 tot lunae». È una raccolta fittizia di più voci e pareri di “irregolari” a proposito dello sbarco: un bambino di nove anni, un vagabondo, uno studente scettico, un vecchio professore gravemente malato, una serie di possibili titoli di giornali del futuro. Nella prima parte il bambino, nella fictio nipotino del redattore, smaliziato e incuriosito, dice di non aver paura dei Seleniti, anche se essi sono in grado di leggere nel pensiero: «Infatti i bambini dopo di lui sono diversi, e quando saranno grandi guarderanno la Luna come noi dal lungomare di Napoli guardiamo l’isola di Capri; un’appendice, un sobborgo, che per arrivarci basta slungare una mano». Il vagabondo intervistato nella seconda parte ha le idee chiare e scoraggerebbe «i mericani» dall’andare sulla Luna: «“Mi no gh’andaria se fussi i mericani - Mi dice Toni Sorse, l’ultimo forse dei vagabondi solitari senza tetto che girovagano per la Val Belluna, detto così, perché, almeno una volta, pare che i topi fossero il suo principale nutrimento. Non che possono combinare brutte cose, ma quelli là sulla luna certo no i gh’a caro”. “Chi quelli là?” “I morti, no? Tutti sanno che i morti finiscono sulla Luna, Deo gratias” “Ah, dunque il paradiso sarebbe sulla Luna?” “Io non so niente di paradiso o non paradiso. So che i morti finiscono sulla luna, Deo grazias. Senò dove vuoi che vadano?” “Non c’è anima viva sulla Luna. Ci sono già girati intorno da vicino, l’hanno fotografata davanti e di dietro, anche un topo l’avrebbero visto, se ci fosse”. “Bravo – risponde Toni senza raccogliere l’allusione – i morti sono come il fumo, più sottili ancora del fumo”. “Starebbero un po’ stretti – gli dico – se pensi a tutti quelli che sono morti da quando…” “Come il fumo, ci dico, più sottili del fumo. Deo gratias. Nella mia sacca, qua, ce ne sarebbero milioni” “Allora i mericani, come dici tu, manco se ne accorgeranno” “I mericani no che non vedranno niente. Ma quelli là sì che vedranno i mericani. E non gli piacerà, ti dico. I morti devono riposare in pace, Deo gratias, bei tranquilli, pacifici, senza strepiti, altrimenti perché sarebbero morti?”». Nella terza parte, le parole dello studente scettico, che nonostante le dirette televisive e la stampa continua a credere che lo sbarco sia una 558 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 gigantesca montatura, potrebbero essere attribuite a nostri contemporanei (visto che la posizione è ampiamente diffusa, oggi); mentre di tutt’altro tono è il raccontino della quarta parte dell’articolo, in cui un vecchio scienziato, grazie al quale sono stati fatti tutti i progressi per consentire all’uomo di arrivare sulla Luna, molto malato e ricoverato, al momento fatidico della diretta dello sbarco, dopo aver tanti insistito per avere un televisore in camera, vede che «dietro all’apparecchio televisivo lentamente si alza una cosa nera, un muro nero, una montagna nera che si fa sempre più immensa. Con sforzo, il professore si sfrega le palpebre: no, non è illusione ottica e neppure gli si sta offuscando la vista: per il resto egli vede benissimo la stanza, i mobili, il medico e le tre infermiere sedute, perché la clinica è povera di televisori e quelli sono venuti a tenergli compagnia per assistere alla storica trasmissione. Ben presto la nera muraglia ha raggiunto un’altezza che né le parole né i numeri possono dire, la luna al paragone è diventata una sfera piccolissima, un granello di zucchero, tosto inghiottito dalle tenebre. A poco a poco, quasi strisciando, la smisurata montagna si avvicina, e il professore capisce che riguarda personalmente lui, non altri». Chiede allora che la televisione venga portata via, fra le proteste delle infermiere e del medico che guardano con lui; «Ha ragione, invece – dice la Elide – che cosa vuoi che gliene importa ormai della Luna? Ha cose ben più serie a cui pensare». L’ultima sezione dell’articolo è una serie di possibili titoli, secondo lo stilema già sperimentato da Buzzati più volte in narrativa del climax ascendente, che egli chiama «progressioni». «Titoli dei giornali: La più gigantesca impresa della storia umana. Il via al viaggio favoloso. Esultanza mondiale per la strepitosa vittoria. Trionfale ritorno dei tre leggendari eroi. Ripercussioni mondiali dell’epico evento. E adesso l’assalto all’infinito. Alla vigilia del bis con super capsula. Il mammut del cosmo è partito. Nuova memorabile conquista del genio umano. Russi e americani si abbracciano nel Mare della Tranquillità. Pieno successo del decimo sbarco - Entro due anni la ridotta lunare sarà un Meraviglia e letteratura 559 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 fatto compiuto. In orbita il grande terminal interplanetario. Perfino un supermarket e una piscina ad acqua ionizzata. Anche l’Italia entra nell’agone spaziale. Il progetto passato alla camera con un’esigua maggioranza. Inaugurata dal presidente della Repubblica la base spaziale di Pantelleria. Felice approdo lunare del primo Italfuso - Entusiasmo in tutta la penisola Penoso fiasco dei contestatori - Calde felicitazioni del presidente americano. Sciopero ad oltranza degli addetti alle linee spaziale. Drammatico weekend nel cielo - Tamponamenti a catena sulla rotta lunare il numero 3 - Dieci disintegrati e settantadue feriti - La curiosa avventura di una giovane coppia in viaggio di nozze - Si invoca un più severo regolamento. Di nuovo in crisi i cosmodromi per l’esodo natalizio. Salvare il paesaggio selenita: una benemerita crociata di Luna Nostra». Lunario è un articolo di giornale, un elzeviro, ma anche una bellissima pagina di letteratura. L’optimum del giornalismo significa forse anche che la fruizione di ciascun aspetto (la pagina di libro, fatta per durare, e la pagina di giornale, valida per un giorno solo) può scambiarsi di posto con l’altra, vicendevolmente, senza più scrittura “d’occasione” legata alla cronaca di una determinata data. Lunario è una pagina di letteratura e Buzzati sembra esserne perfettamente consapevole, perché ciascuna delle sue cinque parti ha a che fare con i suoi temi, i suoi stilemi, le sue immagini, i suoi cronotopi. E, forse, non solo suoi. Se si volesse provare ad analizzarli, ne risulterebbe che I bambini riprende un tema molto caro a Buzzati, quello dell’infanzia creatrice di miti, seppure declinandolo “verso il basso” e scegliendo come personaggi l’autore in prima persona e il suo nipotino. Il quale anticipa un riferimento che fa pensare ad Ariosto («Prima che fosse troppo tardi, due anni fa, una sera, ho portato fuori in giardino mio nipote di nove anni per guardare la Luna. “Sai come è fatta?” gli ho chiesto. “È fatta come una palla e si vedono due che si baciano” –“Bene, e sai quanto è grande? Bada: anche le cose grandi a una certa distanza diventano piccoline. Su, prova a dire”»)34 . I Mericani, oltre a riprendere una figura cara alla sua narrativa, quella dell’homeless, presenta riferimenti letterari ariosteschi (i morti, il Paradiso) e leopardiani; il racconto riprende le parole di una delle tavole conclusive di Poema a fumetti: «Dormono. Sotto la terra per sempre. Nel silenzio della terra profonda, eternità nera. O di 34 «Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia: / che quel paese appresso era sì grande, / il quale a un picciol tondo rassimiglia /a noi che lo miriam da queste bande» (L. Ariosto, Orlando Furioso, XXXIV, 71). 560 C. Lardo - Dalla terra alla luna e ritorno STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 luce?»35 . Il brano La fede riprende (e anticipa) un procedimento classico di Buzzati36 ma anche molti suoi personaggi di racconti, colmi di ideologia che li rende miopi fino alla fine: («“L’ingegnere e pilota Neil Armstrong, età 39 anni, ammogliato con figli, in questo istante sta camminando sulla superficie della Luna. Ti basta? Lo vedi o non lo vedi? Vuoi rispondere?” “Lo vedo. Però non mi basta. Io non ci credo”»). Il racconto Proporzioni è, in quanto racconto vero e proprio, a cominciare dal titolo37 , una storia pienamente allineata con la produzione letteraria buzzatiana; e, infine, un’altra storia, L’abitudine, ambientata nel futuro, evocata con i titoli dei giornali che da soli creano il plot. Lunario è, insomma, un perfetto esempio per spiegare come la cronaca spaziale buzzatiana sia strettamente legata alla letteratura. La sua, ma anche quella di tutti gli altri scrittori, non importa se italiano o stranieri. Quella premessa («Tot capita, tot lunae») suggerisce che, forse, a Buzzati più che le conquiste spaziali interessano le storie che la Luna può generare, la mitopoiesi lunare; ma poiché «non c’è anima viva sulla Luna. Ci sono già girati intorno da vicino, l’hanno fotografata davanti e di dietro, anche un topo l’avrebbero visto, se ci fosse»38 , l’orizzonte non può che essere quello dell’uomo: la meraviglia è tornata qui, sulla Terra, nel nostro mondo tra noi. E se le mitologie antiche hanno narrato storie per ciascuna stella del cielo, la mitopoiesi buzzatiana segue lo stesso modo di procedere: al posto dei punti di luce del creato, però, ci sono i punti di luce creati dall’uomo. Ci sono «finestre accese di uomini e donne miserandi come me, globi dell’illuminazione pubblica, superstiti insegne del bar, colonnette di benzina, semafori ammiccanti, enigmatici lumini sospesi sulle antenne dei grattacieli desolati riverberi della nostra povera vita quotidiana, che Dio li benedica. [...] Se qualcuno sente il bisogno di prove sensibili, allora la potenza dell’Eterno si manifesta infinitamente più forte e conturbante nell’asta che un bambino traccia con la penna sul quaderno, in un motore d’automobile, in un cervo volante che dondola nell’aria. Per misurare l’animo di un uomo, sia pure quello di un cane, non bastano miliardi di anni luce»39 . Cristiana Lardo 35 D. Buzzati, Poema a fumetti, cit., p. 223. 36 Quello che i critici hanno definito “incipit cronachistico”. 37 Che sembra doppiamente significativo: si parla di proporzioni fisiche, di proporzioni metafisiche ma anche narratologiche, visto che si tratta di una narrazione compiuta in poche righe. 38 D. Buzzati, Lunario, cit. 39 D. Buzzati, Contro le stelle, cit. Meraviglia e letteratura 561 STUDIUM - lug./ago. 2019 - n. 4 - ISSN 0039-4130 SOMMARIO Il saggio propone una rassegna degli articoli che Dino Buzzati ha scritto sul Corriere della Sera a proposito dell’allunaggio del 1969. Come in tutta la sua attività giornalistica, i suoi articoli non sono solo resoconti: sono spesso elzeviri, brani letterari, caratterizzati sempre dal carattere referenziale e rispettoso proprio del buon giornalismo. L’epopea lunare di Buzzati è una lettura poetica del presente, seguendo le varie spedizioni russe e americane ma tenendo sempre presente il fatto letterario: la Luna è la depositaria della poesia e dell’immaginazione. I suoi articoli sulla vicenda sono inoltre un’ulteriore testimonianza di come per Buzzati risulti impossibile, oltre che offensivo nei confronti del suo lettore, distinguere il giornalismo dalla letteratura. Da giornalista e da scrittore, Buzzati tiene la letteratura al centro come “stella fissa”: parlare della Luna vuol dire coinvolgere Leopardi, Pascoli, Ariosto, Dante e tutti gli autori di tutte le letterature del mondo. Se le mitologie antiche hanno narrato storie per ciascuna stella del cielo, la mitopoiesi buzzatiana segue lo stesso modo di procedere: al posto dei punti di luce dell’universo, però, ci sono i punti di luce creati dall’uomo. Aggiungendo che «per misurare l’animo di un uomo, sia pure quello di un cane, non bastano miliardi di anni luce». SUMMARY This essay examines the articles written by Dino Buzzati on the Corriere della Sera on the occasion of the “Moon Landing” in 1969. Literature plays a key role in Buzzati’s journalistic experience of the “Moon Rush”. His articles are not only reports, but real short stories, sometimes Elzevirs, where he always keeps an eye on the referential features of journalism. Buzzati’s Moon epic is a poetic reading of the present and follows the American and Russian missions: it is a chronicle of a “war”, whose winner is decided by history, and not by poetry. And yet Buzzati is interested in the poetry. Moreover, his articles are evidence of the authors’ attitude to the relationship between journalism and literature. He looks at literature as a journalist and a writer, being convinced that the two cannot be distinguished; for him to talk about the Moon means to talk of Leopardi, Pascoli, Ariosto, Dante and all the writers of world literature. Ancient mythologies created stories for every star in the sky. Buzzati’s storytelling follows the same path of ancient mythologies that created stories for every star in the sky. In his case, however, the points of light created by man replace the points of light in the universe: there are – he writes – the lighted windows of common men and women, street lighting, illuminated signs and traffic lights, all of them reverberations of our daily life.