780 Inferno XXVI 81-84 s'io meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma Tun di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi». 82. li alti versi: Valta tmgedia di Virgilio (XX 113), YEnetét alto corrisponde al grado retorico illustre o tragico, clie deve esser tale sia per lo Stile che per l'argomento {Vulg. El. II, IV 5-8). Si allude qui soprattutto al libro II del poema, dove Virgilio narra la caduta di Troia; ma i due eroi sono piů volte n cordati neü'Eneide. «Virgilio suppone che il suo poema, scrit-to tanti secoli dopo la caduta di Troia, non sia rimasto ignou [nell'aldUä] ai due greci distruttori di Troia» (Torraca). 83. non vi movete: non proseguite oltre, doě fermatevi, - l'un di voi: giä vedemmo che questa forma indica non serrc-ricamente uno, ma quell'uno che le parole seguenti specifiche-ranno. Abbandonato il plurále, s'intende ormai che quellum e il solo che conta, 84. dove, per lui... a morir gissi: dove da lui si andö a moritt (cfr. I 126: per tne si vegna). La forma passiva dä singolare fons alia grande domanda, che qui fínalmente si pone. La domantl:i identifica colui al quale ě rivolta: della fine di Ulisse - di nti VOdissea non parla - nulla dí certo si sapeva, e si tramandavi-no varie e leggendarie versioni. Da piů autori comunque Dante poteva raccogliere Tidea del viaggio oceanico dell'eroe, sempře data come ipotetica e favolosa, Plinio e Solino.raccontavanodi una sua fine neirAtlantico, dove si era spinto, e aveva fqndato Lisbona. Servío accenna a questa ipotesi, fra le tre che si face-vano sulla fine di Ulisse («quamquam fmgatur in extrema Oceani parte Ulixes fuisse»: ad Aen. VI 107). Lo stesso Seneca (Ep, 88, 7) si fa eco di tali supposition!: «utrum inter ItaJiam el Siciliam iaotatus sit, an extra notum nobis orbetn». Ma al di li della ieggenda, il verso di Dante chiede, come giä per France-sca (V 118-20), il momento decisivo di quella vita, che egli stesso creerä alia sua misura. Al centro del verso, l'aggettivc perduto dichiara il profondo senso della storia. Ulisse non si t smarríto, egli si ě veramente, e per sempre perduto. Si ě ricono sciuto in questa parola dal Rajna il termine tecnico usato nci romanzi cavallereschi per Í cavalieri che non facevano piů ri-torno dalle awenture per le quali erano partiti. Il riferimentot probabile, ma la storia di Ulisse trascende l'arribito cavalkrc- ft Inferno XXVI 85-90 Lo maggior corno de la fiamrna antica cominció a crollarsi mormorandoř pur come quella cui vento affatica; 87 indi la cima qua e lä menando, come fosse la lingua che parlasse, gittb voce di fuori e disse: «Quando 90 85. Lo maggior corno...: dei due corni della fiamma (v. 68) Ulisse occupa il maggiore, per la sua maggior fama, e forse maggior colpa. SÍ osservi che sia la formulazione della doman-!,i [l'un di voi), sia la didascalia della risposta (Lo maggior cor-no), indicano Ulisse senza farne il nome. Cib accresce rnistero grandezza alia figura dell'eroe che ora parlerä, e che giä Tag-pEtivo maggiore sembra innakare sulla scena. - antica: di tanti secoli, remota. Secondo gli antichi autori, la guerra di Troia risaliva al XII secolo a.C; Orosio, principále Innre storica per Dante, la data fra il 1182 e U 1166 (Hist. VII )-4); si cfr. Conv. IV, V 6. Si tratta dunque, come annota FOttimo, di piii di duemila anni di lontananza. Ma Paggetti-n, come l'altro di questo verso [maggior], vale oltre il suo sen-ioletterale, creando intorno ad Ulisse lo spazio del mito. 86. crollarsi: scrollarsi ondeggiando (come si dice deglí al-bcrial vento); il verso lento e cupo indica il faticoso riscuoter-lidi quella voce, dopo tanto volgere di secoli. 87. pur come quella: proprio come una fiamma agitata dal vento (per 1'uso del pur intensive cfr. XXV 90; Par. I 51, e al-ttove). - ijfäiica: il verbo riferito alia fiamma riflette in realtä la fati-ca die la voce dell'antico eroe compie per farsi strada attra-wso la lingua di fuoco. 88. indi: prima si scrolla con un mormorio indistinto (86), poisimuove conprecisi movimenti (88), ed esce la voce (90). 8?. come fosse la lingua che parlasse: la cima della fiamma si muuve come se fosse lei la lingua che vi parla dentro, «che da loscocco alle parole» (Poletto). Questa viva invenzione sarä il-ustratanel canto seguente, ai vv. 13-8. 90. gtttd voce: gitto indica violenza; il primo erompere di quella voce antica ě come la rottura di un argine; e ne uscirä quel Quando di cui non si valuta facilmente la grandezza. Questa fatica ricorda il risalire della voce del suicida dall'in-terno del tronco, passando dal soffio alia parola (XIII 91-2). 782 Inferno XXVI 91-94 mi diparti' da Circe, che sottrasse me piü ďun anno lä presso a Gaeta, prima che si Enéa la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta .v mm 'i --2 II 3 stiene l'intera storia, ě una delle píů grandi invenzioni mná che e fantastiche di questo canto. La parola e protesá m:J vjp to, come quel viaggio verso l'ignoto, che non doveva líyjmí-la sua fine. _ ■ 91. Grce: nel suo avventuroso ritorno da Troia, Ulbsec* pitö nell'isola della maga Circe (ü promotitorio CircnA cht lo amö e lo trattenne presso di sé circa un anno. Dante, che non conobbe l'Oi&was, leggeva questo episodio in Öv:.cüo (A&f XIV 241 sgg.), da cui riprende qui vari spunti n;i:Taiin. Sf prattutto notevole ě che egli faccia cominciare il riiccojiio 7. vincer potero: il verso ě decisive e potente, e segna per p£K la figura di Ulísse. Tutto ció che piú fortemente lega ^jfflo non poté vincere quell'ardore che lo consumava. La pa-\\ardore - si noti il suo rilievo in fine verso - non si ritrove- n Ovidio, né in Orazío, né in alcun altro. Ě soltanto danism. Perché quell'ardore ě in realtá lo stesso che teneva 1'ani-Uidell'autore della Commedia, ma che troverá aitra via al suo ^pimento (si cfr. Par. XXXIII 48). •8. del mondo esperto: il terna risale ai primi versi dell'O-i&ňř, che Orazio traduce nella sua Arte Poetica: «dic mihi .Aba virum... qui mores hominum multorum vidit et urbes» lias 141-2) e riprende nelle Epištole, con parole apertamente ■jkhíggiate dal verso dantesco: «quid virtus et quid sapientia ;i!ifit/utile proposuit nobis exemplar Ulixen, / qui... et mo- -^■iiJDfflinuininspexit, latumque per aequor, / ... aspera multa JMnHto {Ep. I, il 17-22). L'Ulisse che qui appare porta dun-3Bf íutti i tratti deli'antico: la grandezza di Dante sta nel fat-..í6the egli non li sposta né li altera, ma, a misura di sé e del íšp fflondo, nuovamente li interpreta. Quell'ansia di tutto ijicikentare, della natura fisica {del mondo) e di quella mora-vizi... e del valore), propria del genio greco, ě ripresa '&l porta fiorentino, a distanza di due miílenni, a figura della wicpiia stessa vita; ma con la profonda coscienza - che íl cri-flj'irsimo .ha posto nel suo spirito - che Tintelletto umano Inferno XXVI 99-10? Inferno XXVI 106-109 785 e de lí vizi umani e del valore; ma mísí me per 1'alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. Vun líto e l'altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l'isola ďi Sardi, e Taltre che quel mare intorno bagna. Io c ř compagni eravam vecchi e tardi ijuaftdo venimmo a quella foce stretta fov' Ercule segno li suoi riguardi accio che Puom piu oltre non si metta; 108 100. ma; nonostante quei dolci e fořti legami; l1 avvc-r^uliw:; da inizio al viaggio che paEte dunque come una rottura. bliiw; rompe ogni ponte dietro dí sé. L'ampHssimo verso sirnbra-ill-'-latare alio sguardo e all'animo quel mare che si apre ilfivanii V lui, figura dell'infinito (le tre a successive creano larjjhczzy. to mare aperto). ■'■ - alto; profcmdo (e ancora il senso del nostro altó ware).ft mare su cui Uíisse si awentura ě il bacino occiden:;';kL del Ivifj diterraneo (vv. 103-5). 101. sol con un legno: con una nave soltanto; e con jííiííft: compagni, Le due circostanze (si notino i due termini in mixir-di verso, alleggeriti al massímo: sof picciola) auiru-nlano il'ii1 schio e rilevano l'ardire delTimpresa, e la solitudine ddl'iioiitt che 1'af fronta. - compagna; compagnia; normále nelTuso antico (cír. i'mj XXIII 127). \'i 102. picciola: di pochi, quel pochl che 1'hanno sep.uiio (ciť. nota al v. 91). - diserto: abbandonato, lasciato (dal lat. desertus); al i7iorne:)i;i> di partire, e quindi di scegliere. 103. L'un lito e l'altro: sono le due sponde del MwliitíM*--neo occidentale (Ullsse parte dalla costa campana verso ocěr-^ dente), cioě quella eucopea e quella africana, di cui«: :'.omm?»-noglí ultimi confini (la Spagna e il Marocco) prima ik'ilu stfX'K to che immette nell'Atlantico (la foce stretta del v. 107). 103-4. infin... fin...: i due avverbi indicano l'er-;rtma lutj'i ghezza di quel navigare. Tutta la tcrzina crea una rniticii loft tananza. 104. Morrocco: e la forma piu antica del nome, pní sosttaúí ta dall'attuale Marocco. - e l'isola ďi Sardi: la Sardegna; dipende da vidi. (!ii!tr, nillj mia navigazíone vidi le due coste {L'un lito e l'altro) i inn al % ro lembo estremo, e, tra di esse, le varie isole bagnaie da-v/Wi ■1: ; Sid-ovest, le altre isole avvistate saranno la Sicilia e le Ba-■|hi9; Ma Dante non fa qui troppi nomi, a differenza di altri wr-i precis i paesaggi geografici. Quelle isole sparse per il mare kco soitanio punti di riferimento, luoghi oltrepassati, in 'i:iá:cístraotdinario viaggio che tutto abbandona dietro di sé. : ■ iŮ6; vecchi e tardi: tanto era stato lungo quel viaggio; tardi, : iifli>rrrjai lenti, perché vecchi. L'aggettivo ritorna da Ovidio, lýogo sopra citato, dove Uhsse incita i compagni a lascíare :í;spiággia di Circe: «resides et desuetudíne tardi / rursus inire fíC-Šrii, rursus dare vela iubemur» {Met. XIV 436-7). Í07, quella foce stretta: lo sfxetto passaggio dove Íl Medi- li;mtie;o: sfocia nell'Oceano. íl termine foce, propriamente álto di fiume, poté essere suggerito a Dante da Orosio, la •aove descrive quei luoghi: «et Tyrrheni maris faucibus oceani ■ítí^sim (Hist. I 2, 7), E lo stretto di Gade {/return ^Mitanum) degli antichi (cfr. Par. XXVII 82), oggí dí Gibil-: ter-ra. Esso segnava il confine del mondo conosciuto, dato l'e-: iiianšvrischio che una navigazione nelTAtlantico comportava ;>s: le fiavi di allora. (Ai tempi di Dante appunto rísalgono i .přilni rentativi - certo a lui non ignoti - di andare oltre lo .íirétQ.va esplorare il mondo, sempre tuttavia in prossímitá ^íčfl costa.) Di qui il valore ernblematico del luogo, noto gia a -řffiki e Greci, che il mito antico aveva elevato a segno del li-i&i&posto agli uomini dalla divinita: «colonne di Ercole» era-; $u definii.c infatti le due montagne che fiancheggiavano lo :>uttto, quella di Calpe in Europa e di Abila in Africa, perché Ufliedall'eroe quasi gigantesche colonne dí guardia ai lati del 108. segno U suoi riguardi: pose segní da incuter rispetto, ti-fíťre: le due colonne appunto. II senso antico traslato di ri-iiMsfc va da «attenta considerazione» (cfr. Conv. I, X 3) a «ri-:+;:teso timore». Ercole avrebbe posto sulle due montagne bílili:šcrítta: non plus ultra, monito ai naviganti, che Dante .safe;qui tradurre nel suo piu oltre del v. 109. '1 !f>9. accio che I'uom...: questo verso dichiara a tutte lette-rola precis;! coscienza che Ulisse ha di infrangere col suo ge-w un divieto degh dei, I'uom, frequentemente usato come 786 Inferno XXVI 110-112 Inferno XXVI ltf-lU 787 da la man destra mi lasciai Sibilia, da ľaltra giä m'avea lasciaía Setta. "O f rati", dis si, "ehe per cento mília 1'umanita (cosi intende anche H Mattalia), assunta nella selili-, ria figura di Ulísse. 110. Sibilia: Siviglia, nell'entro terra spagnolo. a Ámi. quindi per chi varca Io stretto, poco oltre di esso. 111. Setta: k Septa dei romani, oggi Ceuta, sulk costa afe', cana, proprio dirimpetto a Gíbilterra. Essa ě situ.il/ plil ad' oriente di Siviglia, donde Tesatto uso del due tempi- w/íi setai, m'avea lasciata. Data la posizione di Siviglia, il passage oltre i Hguardi di Ercole ě a rigore giá avvenuto. Ma senilitfc che Dante faccia fermare la nave, aí momento cfclla sečká, estrema, quando ha di fronte solo 1'oceano, Iasciatc alic spalíj le ulrime citta abitate dagli uomini. 112. O frati: comincia qui il grande e breve discorso - h-mzion picciola, come Ulisse la chiamerá - con il quale J'aye: persuade i compagni, infondendo in quelle parole rardon-físr lo trascina, a varcare il Hmite, I fratelli, i fidi compagni, sůw. infíne una figura: Ulisse park ín realtá a se stesso, ed Cfjli bio-lo dt fronte alia grande scelta. Tutto il suo discorso, doví- u-suonano, come si vedra, piú accenti inconfondibili dclla voic stessa di Dante, esprime, nella drammatica finziont dellii-pello alTumano, un ben cliíaro significato: ě la voce slcssoďd mondo antico, cioě I'umana passione di virtu e conosívníí spínta qui per la foília di un alto íngegno alia přesut:zio:ie Š dominare Tinfinito (il mare oceano}, quella realtá chu Oío Ha riserbato a se stesso, e a coloro che a Iui la richiedonc. QwM£. intense frasi, intessute di ricordi e di echi di grande .iipniticí to (Vírgilio, Cicerone, Aristotele), e costruíte con alti^imajl te retorica, sono rimaste non a caso quasi emblem atfche ífclis; figura dantesca: esse esprimono il dramma e il significato deS* sua vita che proprio per compiere quell'ardente desiderio si: dístaccó - con la violenza che questo mito testimonia - dalls, via percorsa dali'eroe greco. Ulísse park con profonda serieiSi; egli non trama qui inganni (conduce ínfattí alia none anclií, se stesso). E tuttavia c'b un inganno nelle sue parole. Cue cfli ignora: per quella via egli non arriverá a canoscenza, ms ,i miir te. Come accadde a Francesca: amor condusse noi &á uria mořte, - che pet cento mília: l'esortazione delTeroe ai compapm pii- perigli siete gíunti a ľoccidente, , a questa tanto pícciola vigília á'i nostri sensi ch'e del rimanente :W non vogliate negar ľesperľenza. 114 Iiď, Dante lo leggeva in Virgilio: Aen. I 198 sgg.: «0 socii ■'.'iircjue enírn ignari sumus ante malorum), / o passi gravio-in Lucano (Pbars. I 299 sgg.}; in Orazío (Carm. I, VH 24 ^gj, Ufi analogo appello si ritrova nelle storie di Alessandro .iJígno, che guida i suoi oltre le regíoni estreme delTíndia: m «íé, queramus alio sub sole iacentes / antipodům populos ne í$xk nostra relinquat / vel virtus quid Ínexpertum...» (Gau-liet áe Chátillon, Alexandreidě X 314-6). Ma la bellezza e la fjf y&m& del discorso di Ulisse sta proprio in questo: nelTesse-■ílltiasua trama costituita da celebri luoghi del mondo antico, iji íhc esso riprende ed assume esplicítamente, nella sua persona-{feí.appassionata storia, quasi rivekndone ora íl vero signifi-: ;|. sfosella vicenda delPuomo, mtomilia: sta per numero quasi infinito; in Virgilio, al ■'■libjo citato {Aen, I 204): «per tot diserimina rerum»; e in Lu- |'=saa:«qui mille pericula Martis / mecum, aít, experti...». L13. I'occidente: l'estremo confine occídentale del mondo: .ipanío dove si vede tramontare il sole dal luogo posto al cen-liíodelie terre abitate, cioe Gerusalemme (cťr. Purg. II 1-3). 114. tanto picciola vigilia: a questo cosi piccolo tempo di snfaďi nostri sensi, cioě di vita fisica, che ormaí ci resta: «'a ■ ;.t:«íosl poco di víta; imperro che quando víviamo, vegghia- I^lJiostrí sentímenti» (Buti). ;:rt#/w:questa «veglia», ormai breve, che resta, prima delTe-sonno della mořte, puó ricordare íl valore che aveva la . ^'Xih vigilia come tempo di guardia delle sentinelle: e come 'I dime turno in cui i sensi ancora sono vigili e all'erta. vj-S" 115. ch'e del rimanente: costrutto latino: quae de reliquo ■il'.st che ci rimane. Come milia e vigilia, il latinismo alza Íl li- IislWell'allocuzione. 116. nan vogliate negar: quasi díca: il tempo che ci resta ě Kfflétoi poco; usiamolo a questa suprema impresa, ché, se '^■íkiemo morire, poco ormai perderemo («si morimur, parum ■'^■á*4t&:'perdimus»: Pietro). E evidente da queste terzine che '.lilisse é cosciente del rischío estremo che corre; con queste ;.a wet egli ne avverte i compagni e se stesso. 788 Inferno XXVI 117-119 Inferno XXVI 120-125 789 di retro al sol, del mondo sanza genie. Considerate la vostra semenzar fatti non foste a viver come bruti, 120 '^^MkW8'Per se£ulr vlrtute e canoscenza . I# , Li miei compagni fee' io sf aguti, ;Coa quests orazion picciola, al cammino, ,'■ die a pena poscia li avrei ritenuti; 123 r'-*t. - voka nostra poppa nel mattino, vale conoscenza sensibile, del mondo e della natura; quL-i;aap-i ;|' jemi facemmo all al folle volo, puntothe si fa con i sensi. :2 117. di retro al sol: alle spalle del sole, oltre il sole, cbsi*;v||;'' ' tre i! limite dove lo vediamo tramontare. Altri ifitendei-jE-; iw'i... guendo il cammino del sole, andando dietro al sole. Ma ' 'i2\. agtiti: regge al cammino: Facutezza e del desiderio, qui sizione dell'inciso (il mondo sanza gente h appunto l'emisfe j'f-ife'iia con forte ipallage ai compagni stessi: acutamente desi-opposto al nostro dove nasce il sole quando da noi tva:Tion{fc/;§i>'oi:: cfr. Par. I 83-4: un disio / mai non sentito di cotanto dr. Par. I 43-4) e il maggior ardire e rischio che questo iigflfcl'l W?. cato comporta (andare oltre al sole a noi visibile, cosa mai[m-M:'■ 'J2mraxionpicciola: piccola, breve, ma quanto potente! E tata) ci convincono a preferirlo (cosi sembra intendefelathfe:'^?irwa:;dell'Ulisse antico, la parola che convince, persuade, sa di Benvenuto: «ad aiiud hemispherium inferius, ad q^ri^^f'j-penetrando nell'intimo dei cuori. Dante riprende del-sol accedlt, quando recedit a nobis»). "__ ~~M delmito cio che era specificamente suo, traendolo alia - mondo sanza genie: cioe l'emisfero opposto a quelle iliGf» A \.pu-mova, e tragica, storia. rusalemme, o delle terre emerse (come si deduce dalvii^'iisil.'^ \2i.&pew. a fatka. sud-ovest, v. 126), che si credeva occupato soltantn Jail'* n J* )2~:evolta...: rivolta la poppa della nave verso oriente {nel ceano. ,' ! ;| ?4ti;r.fi)i cioe dirigendo la prora ad occidente, e voltando le 118. vostra semenza: la vostra origine; la parolave-spiegWi:.-!!'.^ alomondo conosciuto, Cosi intendono i piu, IL Torraca da cio che segue: da chi e per che cosa foste fatti, cioe cress, .$^vortuttavia che quella era gia prima la direzione della na-S'introduce qui, nel contesto antico, il motivo cristiaho ddVili-i* tl- ora e modificata, inclinando verso sud (cfr. v. 126 e rigine divina dell'uomo: considerate onde siete nati^ che ^:i«>SM;» e preferl intendere nel mattino come complemento di natl da Dio» (Buti). i~j2.»«pojsnella prima ora del giorno. L'osservazione e acuta, ma 119. fatti non foste: non foste creati per vivere ctffiir hcs^-fl^ ilsofitesto sembra richiedere il primo significato. II 'M-{bruti); diversa e la vostra stirpe: a voi e stata datavKbett JJiffiVtfetso ritrae il momento magico della gtande partenza, lonta e ragione, le prerogative dell'uomo, perche le n=\als ^.'l:JT{^asperanza; il volta e appunto H segno della «svolta» deci-guendo virtu e conoscenza. Quest! ultimi due versi,vcosttiiiiii: ^'jf'Sidiquelle vite. con forza appassionata (si noti l'inversione iniziale, e le parcfe.; ;|. 125. facemmo alt. \ remi diventano ali, sotto l'ardore di chi eminent! poste a chiusura), sono quelli decisivi di tutta V*m- Ivf -TKsipinge,- e la nave sembra volare sulle acque; Timmagine zione». La prima parte non fa che prepararli, ma quesw c I'^'.^JiitgiJiriBa usata in senso inverso (il «remigium alarum» di De-gomento vero ed unico, che tocca le radici stesse deIi?uo.m.|-fl^ /lifiW. VI 19) si trasforma qui a figura del desiderio appas-i compagni, cioe gli uomini, non potranno non corrisptindergli' i-Wwnaiifdell'uomo. Per il valore del binomio virtute e canoscenza, segno dd r^lffijiikiivolo: Taggettivo dichiara tragicamente la qualita di do antico e insieme di tutto I'umano, si veda l'lntr'oduzionti JK': ^lo, che pur aveva un cosi straordinario mcanto. E pa-canto. '.!/dominante, Tunica della storia in cui l'antica voce dell'e- - bruti: animali non razionali; h il termine in Dante seiiipis-^^v-snvela la coscienza ora acquisita del suo errore. II suo signi-opposto agli uomini, quando vuole esaltarne la dignita. C^. ,;|1|§ kmí fa bruno, cioě di indistinto e oscuro colore (come tutte ignotano, ma essi non sono soli sulToceano: il loro viággiofr ^.íuracntagne lontane della terra), ě cbiaramente riconoscibile seguíto e in certo senso guidato daíTalto, da quel volere.a/toii \ % ft '* montagna del purgatorio, situata per Dante, come ab-che Uíisse riconoscera al momento della sua fine (cfr, v;;|'H).'.:' jl Ifeimtdetto, aglí antipodi di Gerusalemme. Quando Dante vi 127. Tutte le Stelle: oltrepassato l'equatore, appalisfei y}á-.]§ ři!;nKera a sua volta, il suo verso ricorderä in modo esplicito la via le stelle deH'altro polo {quello antartko), cioe deilá:"vďla: :lelI'uomo che aveva tentato di varcare da solo quelle ac-celeste visíbile dalTemisfero australe: dicendo che g/á Mik M *í V'vrg. I 131-2). erano visibili, s'intende che la nave si é inoltrata per Iuíijjo $ 1*4. alta tanto: la cima del purgatorio, dove ě posto ilpara-tratto verso sud (sono infattí trascorsi ben cinque mesi di ňt. .Ji&s lerrestre, si innaíza oltre l'atmosfera, come si sapra poí, vigazione, come si dirä). Questo modo di indicare il tempocJí! .Iřf flí Ü Gölor brnno e 1'altezza infiníta concorrono qui a creare luogo dal cielo notturno, con quelle nuove stelle - l'unicfl toss;': 4 -li visione quasi di sogno, di qualcosa di irreale, e inaccessi-visíbile - che sovrastano la soHtaria nave, apre alia méffl»is*iv»4lsc. kJidea che íl paradiso terrestre si trovasse sulla terra, in spazio insieme di fascino e di rischio. II viaggio di Uíisse seni » wi alToceano, in luogo remoto aglí uomini e su un monte bra svolgersi solo di notte (come osserva Íl Renucci), visto sďa .iwvmo, era opinione antica, attribuita a Beda, e rittovabile dalle stelle e dalla luna. Egli víaggia in realtá nelle tenebrt - r| t*Ja Ghssa ordinaria: «ubicunque autem sit, scimus eum ter- 128. e 'I nostra tanto basso: eil nostro polo, cioě il. ciéfo htl- ^«mr-esse, et interiecto Oceano, et montibus oppositís, re-íentrionaíe, era andato via via scomparendo dall'ori'ä'äwiiiC' vfr.sbTissiiíium a nostro orbe, in alto situm, pertíngentem usque marino: cfr. Conv. II, XIV 1: «lo Cíelo stellato... mostraci iV'ä filiunarem circulum» (PL 113, col. 86). La grandezza dell'in-no de li poli, e l'altro tiene ascoso»; la stessa immagirW.iiior ^ ■f.azrme dantesca sta nel fare di quel mito lontano una realta nerä nel primo canto del Purgatorio, quando Dante guardrfasi I jroceta, con precise coordinate geogřafiche, senza perdere il nuovo cielo da quella riva dove Ulisse non giunse (Purg. ] '2^ '| ^ mistero: un luogo a cui una rotta umana puö rivolgersi, 30). ': Ij im vista die l'occhio umano puó accogliere, e insieme un so- 130. racceso... casso: per cinque volte si era riaccesa, e ciii-! ■ á ■íachenon si puö raggiungere. _______k_ ___ . , / ii !ii l '