Piccola Bibliotec Tommaso Landolfi IL MAR DELLE BLATTE E ALTRE STORIĽ ADELPHI iL RACC.OXTO DEL LI PO MANNARO L'amico ed io non possiamo patire la lu-na: al suo lume escono i morti sfigurati dalle tombe, particolarmente donne awoke in bianchi sudari, l'aria si colma d'ombre ver-dognole e talvolta s'affumica d'un giallo si-nistro, tutto c'e da temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, una notte di luna. E quel che e peggio, essa ci costringe a roto-larci mugolando e latrando nei posti umidi, nei braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti! Con cieca furia lo sbraneremmo, ammenoche egli non ci pungesse, piu ratto di noi, con uno spillo. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta la notte, e poi tutto il giorno, storditi e torpi-di, come uscissimo da un incubo infamante. Insomma l'amico ed io non possiamo patire la luna. Ora awenne che una notte di luna io sedts-si in cucina, ch'e la stanza piu riparata della casa, presso il focolare; porte e finestre ave-vo chiuso, battenti e sportelli, perche non penetrasse filo dei raggi che, fuori, empiva-no e facevano sospesa l'aria. E tuttavia sinistra movimenti si producevano entro di me, quando l'amico entro all'improwiso recan- 97 o in mano un grosso oggetto rotondo si-mile a una vescica di strutto, ma un po' piu briliante. Osservandola si vedeva che pulsa-va alquanto, come fanno čerte lampade elet-triche, e appariva percorsa da deboli corren-ti sottopelle, le quali suscitavano lievi riflessi madreperlacei simili a quelli di cui svariano le meduse. «Che ě questo?» gridai, attratto mio malgra-do da alcunché di magnetico neiraspetto e, dirö, nel comportamento della vescica. «Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla...» rispose l'amico guardandomi con un sorriso incerto. «La luna!» esclamai allora. L'amico annui tacendo. Lo schifo ci soverchiava: la luna fra l'altro sudava un liquido ialino che gocciava di tra le dita dell'amico. Questi perö non si decideva a deporla. «Oh, mettila in quell'angolo,» urlai «trove-remo il modo di ammazzarla!». «No» disse l'amico con improwisa risolu-zione, e prese a parlare in gran fretta. «A-scoltami, io so che, abbandonata a se stessa, questa cosa schifosa farä di tutto per tornar-sene in mezzo al cielo (a tormento nostro e di tanti altri); essa non puö farně a meno, ě come i palloncini dei fanciulli. E non cer-cherä dawero le uscite piü facili, no, su sempře diritta, ciecamente e stupidamente: essa, la maligna che ci governa, c'e una forza írre- 1 ía maligna cne ci governa, c c un<* x^x^- -sistibile che regge anche lei. Dunque hai ca-pito la mia idea: lasciamola andare qui sotto 98 la cappa, e, se non ci libereremo di lei, ci li-bereremo del suo funesto splendore, giac-che la fuliggine la farä nera quanto uno spazzacamino. In qualunque altro modo e inutile, non riusciremmo ad ammazzarla, sa-rebbe come voler schiacciare una lagrima d' argen to vivo». Cosi lasciammo andare la luna sotto la cap-pa; ed essa subito s'elevö colla rapiditä d'un razzo e spari nella gola del camino. «Oh,» disse l'amico «che sollievo! quanto fa-ticavo a tenerla giü, cosi viscida e grassa corn'e! E ora speriamo bene»; e si guardava con disgusto le mani impiastricciate. Udimmo per un momento lassü un rovellio, dei flati sordi al pari di trulli, come quando si punge una vescia, persino dei sospiri: for-se la luna, giunta alia strozzatura della gola, non poteva passare che a fatica, e si sareb-be detto che sbuffasse. Forse comprimeva e sformava, per passare, il suo corpo molliccio; gocce di liquido sozzo cadevano friggendo nel fuoco, la cucina s'empiva di fumo, giac-che la luna ostruiva il passaggio. Poi piü nulla e la cappa prese a risucchiare il fumo. Ci precipitammo fuori. Un gelido vento spazzava il cielo terso, tutte le stelle brillava-no vivamente; e della luna non si scorgeva traccia. Ewiva urrah, gridammo come inva-sati, e fatta! e ci abbracciavamo. Io poi fui preso da un dubbio: non poteva darsi che la luna fosse rimasta appiattata nella gola del mio camino? Ma l'amico mi rassicurö, non 99 poteva essere, assolutamente no, e del resto m'accorsi che né lui né io avremmo avuto ormai il coraggio d'andare a vedere; cosi ci abbanrionammo, fuori, alia nostra gioia. Io, quando rimasi solo, bruciai sul fuoco, con grande circospezione, sostanze velenose, e quei suf'fumigi mi tranquillizzarono del tut-to. Quella notte medesima, per gioia, an-dammo a rotolarci un po' in un posto umi-do nel mio giardino, ma cosi, innocente-mente e quasi per sfregio, non perché vi fos-simo astretti. Per parecchi mesi la luna non ricomparve in cielo e noi eravamo liberi e leggeri. Liberi no, contenti e liberi dalle triste rabbie, ma non liberi. Giacché non ě che non ci fosse in cielo, lo sentivamo bene invece che c'era e ci guardava; solo era buia, nera, troppo fu-ligginosa per potersi vedere e per poterci tormentare. Era come il sole nero o nottur-no che nei tempi antichi attraversava il cielo a ritroso, fra il tramonto e l'alba. Infatti anche quella nostra misera gioia ces-so presto; una notte la luna ricomparve. Era slabbrata e fumosa, cupa da non si dire, e si vedeva appena, forse solo l'amico ed 10 po-tevamo vederla, perché sapevamo che c era e ci guardava rabbuiata di lassu con ana di vendetta. Vedemmo allora quanto 1 ayes e danneggiata il suo passaggio forzato per ia gola del camino; ma il vento la sua corsa stessa I'andavano giada^enw mondando della fuliggine, e il suo continue 100 volteggiare ne riplasmava il molle corpo. Per molto tempo apparve come quando esce da un'eclisse, pure ogni giorno un po' piü chiara; finche ridivenne cosi, come ognuno puö vederla, e noi abbiamo ripreso a roto-larci nei braghi. Ma non s'e vendicata, come sembrava voles-se, in fondo e piü buona di quanto non si cre-de, meno maligna piü stupida, che so! Io per me propendo a credere che non ci abbia col-pa in definitiva, che non sia colpa sua, che lei ci e obbligata tale e quale come noi, dawero propendo a crederlo. L'amico no, secondo lui non ci sono scuse che tengano. Ecco ad ogni modo perche io vi dico: contro la luna non c'e niente da fare. 101