LUCA MAZZOCCHI «Occhi al cielo». Note sulla luna nel secondo Calvino In Letteratura e Scienze Atti delle sessioni parallele del XXIII Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti) Pisa, 12-14 settembre 2019 a cura di Alberto Casadei, Francesca Fedi, Annalisa Nacinovich, Andrea Torre Roma, Adi editore 2021 Isbn: 978-88-907905-7-7 Come citare: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/letteratura-e-scienze [data consultazione: gg/mm/aaaa] Letteratura e scienze © Adi editore 2021 1 LUCA MAZZOCCHI «Occhi al cielo». Note sulla luna nel secondo Calvino L’intervento esplora l’immaginario lunare di Calvino, prestando particolare attenzione alle cosmicomiche lunari degli anni Sessanta. La crescita di un interesse per la luna è connessa agli incontri decisivi con Giorgio de Santillana (autore nel ’69 di una Lettera a proposito della luna) e soprattutto con Raymond Queneau (autore nel ’50 della Petite cosmogonie portative). Oltre a mostrare l’infittirsi di occorrenze lunari nei testi di Calvino dagli anni Sessanta in poi, l’intervento intende riflettere sul ruolo cruciale giocato dalla luna nell’elaborazione di una concezione della letteratura come «mappa del mondo e dello scibile» e nella definizione di un nuovo canone letterario. 1. Pochi giorni dopo la morte di Calvino, nel settembre ’85, Natalia Ginzburg pubblica sull’«Indice dei libri del mese» un ricordo dell’amico. Menziona il loro ultimo incontro nella stanza d’ospedale a Siena, dove Calvino era stato operato, e il commento scherzoso da lui pronunciato al risveglio in riferimento alle flebo cui era attaccato: «Sembro un lampadario».1 Prosegue quindi rievocando il loro primo incontro a Torino subito dopo la guerra, e si sofferma sui racconti che in quegli anni Calvino portava da leggere a lei e a Pavese. In quei testi «si scorgevano», secondo la Ginzburg, «paesaggi festosi, immersi in una luce solare: a volte le vicende erano vicende di guerra, di morte e di sangue, ma nulla sembrava offuscare l’alta luce del giorno; e non un’ombra scendeva mai su quei boschi verdi, frondosi, popolati di ragazzi, di animali e di uccelli».2 Anche nel Visconte dimezzato del ’52 e nella raccolta delle Fiabe italiane del ’56 («il più bel libro per l’infanzia che sia apparso in Italia, dopo Pinocchio») la Ginzburg vede la «medesima luce festosa e solare». A un certo punto però avviene in Calvino una «profonda trasformazione»:3 A poco a poco sono scomparsi dai suoi libri i paesaggi verdi e frondosi, le nevi scintillanti, l’alta luce del giorno. Si è alzata nel suo scrivere una luce diversa, una luce non più radiosa ma bianca, non fredda ma totalmente deserta. L’ironia è rimasta, ma impercettibile e non più felice di esistere, bianca e disabitata come la luna.4 Secondo la Ginzburg questo cambiamento è del tutto compiuto nelle Città invisibili del ’72 («secondo me il più bello dei suoi libri»), a cui si ispira l’immagine di chiusura dell’articolo: «Sulle città, altissime sotto il cielo, brulicanti e splendenti, formicolanti di umani errori, traboccanti di merci e di cibi, affollate di traffici, dominio dei topi e delle rondini, cala il tramonto».5 La «profonda trasformazione» è raffigurata dalla Ginzburg in termini cosmico-astrali, come un passaggio, cioè, dal sole alla luna. Le note raccolte in questo mio intervento ripercorrono alcuni passaggi lunari nell’opera di Calvino.6 L’immagine della luna è molto cara a Calvino e diffusa trasversalmente nei 1 N. GINZBURG, ll sole e la luna, «L’indice dei libri del mese», II (settembre-ottobre 1985), 8; poi raccolto in M. Belpoliti (a cura di), «Riga 9»: Italo Calvino. Enciclopedia. Arte, scienza e letteratura, Milano, Marcos y Marcos, 1995, 188-191, da cui cito: 188. Un rimando all’opposizione sole-luna formulata dalla Ginzburg in relazione a Calvino è in G. SANDRINI, Le avventure della luna. Leopardi, Calvino e il fantastico italiano, Venezia, Marsilio, 2014, 26. 2 GINZBURG, Il sole e la luna…, 189. 3 Ivi, 190. 4 Ibidem. 5 Ivi, 190 e 191. 6 L’intervento sviluppa alcuni spunti dalla mia tesi di diploma per la Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia (a.a. 2015-2016, relatrice: Clelia Martignoni). Segnalo qui alcuni importanti studi sulla luna in Calvino di cui ho tenuto conto: M. RIZZANTE, Calvino e la luna, in M. Belpoliti (a cura di), Italo Calvino…, 293-303; P. ROTA, La sfera e la luna. Studio di una figura tra Leopardi, Galileo e Calvino, «Studi e problemi di critica testuale», LI (ottobre 1995), 125-158; P. GRECO, Calvino, «La luna di pomeriggio…» e La Luna e la vocazione profonda della Letteratura e scienze © Adi editore 2021 2 suoi testi, dagli inizi sino ad alcuni brani molto famosi delle Lezioni americane (uscite postume nell’88)7. Ciò che vorrei rimarcare è che le comparse lunari si infittiscono in corrispondenza della cruciale svolta degli anni Sessanta: nel ’64 Calvino ripubblica Il sentiero dei nidi di ragno (del ’47) con una molto nota Prefazione che porta i segni di un nuovo stile e i sintomi di un cambiamento in senso cognitivo-culturale; nel ’65 esce il primo volume delle Cosmicomiche, cui seguono nel ’67 Ti con zero e nel ’68 La Memoria del mondo e altre storie cosmicomiche. Sotto il segno del suggestivo rimando lunare della Ginzburg, il mio intervento prenderà dunque in particolare considerazione alcuni luoghi dell’immaginario lunare nel secondo Calvino, nel tentativo di mostrare che dagli anni Sessanta in poi il tema luna si arricchisce di nuovi importanti significati, finendo col giocare un ruolo decisivo nel processo di «costruzione calviniana di una letteratura come filosofia naturale» (Bucciantini).8 Ma partiamo da Ultimo viene il corvo (’49). In Paura sul sentiero, tra i più incisivi dei racconti resistenziali, la staffetta Binda deve «marciare la notte nel buio delle vallate» per riferire che i tedeschi muovono verso una brigata partigiana. La luna accompagna Binda dall’attacco del testo («Alle nove e un quarto arrivò su Colle Bracca assieme alla luna»), rendendo morbidi e irreali i contorni delle cose intorno a lui («Il prato di Colle Bracca nella luna sembrava molle»).9 All’inizio di Furto in una pasticceria (uno dei racconti del dopoguerra), il Dritto, Gesubambino e Uora-uora camminano «con la luna che li seguiva» – quasi una quarta complice del colpo – «lungo i fili dei tram».10 La luna non bada soltanto a partigiani e ladruncoli, ma compare anche in Il gatto e il poliziotto mentre l’agente Baravino perquisisce una casa popolare. Attirato dal gatto del titolo nei labirintici interni della casa, Baravino finisce per perdersi, e il suo volto giovane («un disoccupato che da poco tempo s’era arruolato nella polizia») è rivelato quando la luna diventa visibile: «L’abbaino era quasi vuoto: fuori la luna cominciava a prender lucentezza sulle nere case. Baravino s’era tolto il casco: il suo viso era tornato umano, esile viso di ragazzo biondo».11 letteratura italiana, in ID., L’astro narrante. La luna nella scienza e nella letteratura italiana, Milano, Springer, 2009, 243-272 e 273-285; F. DEPONTI, L’orizzonte vuoto. Italo Calvino e la luna nel nuovo millennio, «Griseldaonline», XIV (2014), https://griseldaonline.unibo.it/article/view/9176; R. MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna, tra «levitazione desiderata e privazione sofferta», «Studi Novecenteschi», XLIII (2016), 92, 371-398. Si è già ricordata la monografia di SANDRINI, Le avventure della luna… 7 Come nel seguente, citatissimo brano: «La luna, appena s’affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. In un primo momento volevo dedicare questa conferenza tutta alla luna: seguire le apparizioni della luna nelle letterature d’ogni tempo e paese. Poi ho deciso che la luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. Le numerose apparizioni della luna nelle sue poesie occupano pochi versi ma bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi l’ombra della sua assenza» (I. CALVINO, Saggi 1954-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, 2 tomi, d’ora in avanti S 1 e S 2: S 1, 651-652). 8 M. BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza. Gli alfabeti del mondo, Roma, Donzelli, 2007, 59. 9 I. CALVINO, Romanzi e racconti, ed. diretta da C. Milanini, a cura di M. Barenghi-B. Falcetto, Milano, Mondadori, 1991-1992, 3 voll., d’ora in avanti RR 1, RR 2 e RR 3. Per Paura sul sentiero vedi RR 1, 246-252: 246 e 249. 10 Ivi, 299-306: 299. La luna segue anche Casimiro nella fiaba teatrale del ’77 L’ussaro e la luna: «Casimiro s’accorse che, in qualunque direzione lui andasse, seguendo i zigzag delle strade, la luna lo seguiva. Lui avanzava o indietreggiava e la luna avanzava o indietreggiava; se lui metteva il cavallo al passo, la luna rallentava; se lui dava di sprone, anche la luna faceva un balzo» (RR 3, 607-612: 607). Per la fiaba cfr. infra, 18- 19, n. 103. 11 RR 1, 352-358: 352 e 357. Sia detto per inciso che in Ultimo viene il corvo tratti lunari sono attribuiti al suolo per descrivere la terra quando è rocciosa, oppure resa dura e incolore dall’inverno: così in Alba sui rami nudi («la terra fa una crosta grigia, quasi lunare, che risponde sorda alla zappa», ivi, 173-180: 173) e Uomo nei gerbidi («una fascia d’una terra incrostata e grigia come quella della luna, da cui s’alzavano piante striminzite come ci coltivassero stecchi», ivi, 186-191: 188). Un simile accostamento tra suolo terrestre e lunare è già nel Sentiero Letteratura e scienze © Adi editore 2021 3 Nel Barone rampante (’57) la luna fa compagnia a Cosimo durante la prima notte da lui trascorsa sugli alberi: «La luna si levò tardi e risplendeva sopra i rami. Nei nidi dormivano le cincie, rannicchiate come lui».12 Si veda poi al capitolo XV, quando Cosimo combatte i pirati: «Sorse la luna in quel momento e lampeggiarono la spada donata dal Barone al figlio e quelle lame maomettane». Più avanti nel capitolo lo zio Enea Silvio grida disperatamente alla luna il nome di Zaira, la donna (un’amante o una figlia) a cui cercava di ricongiungersi tramite i pirati: «Ed Enea Silvio Carrega faceva segno di sì col capo, e parlava turco tra le lagrime, e gridava alla luna quel nome».13 La luna è destinataria anche delle declamazioni del tenente-poeta Agrippa Papillon da Rouen, in cui è ironicamente assimilata a una palla di cannone: «Quando deflagrerai, luna, sollevando un’alta nube di polvere e faville, sommergendo gli eserciti nemici, e i troni, e aprendo a me una breccia di gloria nel muro compatto della scarsa considerazione in cui mi tengono i miei concittadini!».14 La mancata deflagrazione del satellite e il suo moto inerte alludono allo stato di sospensione che caratterizza la vita del tenente e del suo plotone, caduti in una specie di letargo: l’apostrofe alla luna è il segno di uno scollamento dalla realtà, di un desiderio di un altrove in cui sia possibile quel che è impossibile sulla terra.15 Dal «tornante decisivo dei primi anni Sessanta» (Mengaldo)16 le comparse lunari si infittiscono. In Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (che esce nel ’63 e raccoglie testi pubblicati dal ’52), la luna rimanda a un rapporto perduto con la natura. In La villeggiatura in panchina, la luna («tutta calma, irradiante la sua luce senza fretta, venata ogni tanto di sottili resti di nubi») si contrappone al semaforo che impedisce a Marcovaldo di trovare riposo in una calda notte estiva («quella falsa luna intermittente del semaforo che continuava a sgranare il suo giallo, giallo, giallo»).17 In un altro brano piuttosto noto, Luna e Gnac, la luna («la falce della luna crescente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi stelle che più le si guardava più infittivano la loro pungente piccolezza») si dei nidi di ragno («le reti metalliche che cintano i semenzai gettano una maglia d’ombre sulla terra grigio-lunare», ivi, 23) e torna nelle Cosmicomiche: cfr. infra, 19-20, n. 107. 12 RR 1, 547-777: 575. 13 Ivi, 668 e 669. Tocca alla luna, in chiusura di capitolo, illuminare la testa decapitata dell’uomo galleggiante in mare: «Qualcosa galleggiava in mezzo al mare come trasportato da una corrente, un oggetto, una specie di gavitello, ma un gavitello con la coda… Ci batté sopra un raggio di luna, e vide che non era un oggetto ma una testa, una testa calzata d’un fez col fiocco, e riconobbe il viso riverso del Cavalier Avvocato» (ivi, 671). 14 Ivi, 761. Le lamentele di Agrippa ricordano quelle di un altro generale francese, Gaston Bombard de la Mitraille, nella già cit. L’ussaro e la luna. 15 Per Cosimo la luna rinvia a un altrove in cui possa concretizzarsi il suo desiderio di amore e intimità fisica: «Nel fantasticare, riusciva a non figurarsi dove quelle cose sarebbero successe, se sulla terra o lassù dov’era ora: un luogo senza luogo, immaginava, come un mondo cui s’arriva andando in su, non in giù. Ecco: forse c’era un albero così alto che salendo toccasse un altro mondo, la luna» (RR 1, 677). Più in generale, nel Barone rampante la luna è spesso associata a una tensione vitalistica che percorre la natura invitandola all’accoppiamento: di Cosimo si dice che «se aveva tante donne appresso, non si spiegherebbero le notti di luna quando egli girava come un gatto, per gli alberi di fico i susini i melograni attorno all’abitato, in quella zona d’orti cui sovrasta la cerchia esterna delle case d’Ombrosa, e si lamentava» (ivi, 694); della banda di monelli e ladruncoli si dice che «la presenza di Viola metteva in corpo un’eccitazione stranita come di lepri al chiar di luna» (ivi, 591). L’immagine delle lepri danzanti è già in Ultimo viene il corvo («Ieri notte ho visto i leprotti lassù saltare sotto la luna. Ghi! Ghi! facevano», Uomo nei gerbidi, ivi, 189), ed è di ascendenza leopardiana («O cara luna, al cui tranquillo raggio / Danzan le lepri nelle selve», Vita solitaria, vv. 70-71; «delle lepri si dice che la notte, ai tempi della luna, e massime della luna piena, saltano e giuocano insieme», Elogio degli uccelli): su questo cfr. ROTA, La sfera e la luna…, 153, che rinvia a sua volta a E. PERUZZI, Odi, Melisso, in ID., Studi leopardiani II, Firenze, Olschki, 1987, 75-138: 89-90. 16 Mi riferisco alla fondamentale esamina: P.V. MENGALDO, Aspetti della lingua di Calvino, in ID., La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi, 1991, 227-291: 260. 17 RR 1, 1071-1078: 1073. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 4 alterna all’oscurità in cui sprofonda il cielo quando si accende il neon intermittente di un’insegna pubblicitaria («La luna improvvisamente sbiadiva, il cielo diventava uniformemente nero e piatto, le stelle perdevano il brillio»).18 Una notte uno dei figli di Marcovaldo guasta accidentalmente il meccanismo di accensione dell’insegna e il cielo torna visibile. La famiglia è in estasi davanti alla struggente bellezza della luna: Sospesa in questo cielo, la luna nuova anziché ostentare l’astratta apparenza di mezzaluna rivelava la sua natura di sfera opaca illuminata intorno dagli sbiechi raggi d’un sole perduto dalla terra, ma che pur conserva – come può vedersi solo in certe notti di prima estate – il suo caldo colore. E Marcovaldo a guardare quella stretta riva di luna tagliata là tra ombra e luce, provava una nostalgia come di raggiungere una spiaggia rimasta miracolosamente soleggiata nella notte.19 Il recupero di un’«assoluta serenità naturale»20 è tuttavia negato. Nel finale, alla prima scritta si sostituisce una seconda scritta installata da una ditta concorrente: questa volta «non c’erano più luna né firmamento né cielo né notte, soltanto COGNAC TOMAWAK, COGNAC TOMAWAK, COGNAC TOMAWAK che s’accendeva e si spegneva ogni due secondi».21 Nello stesso ’63 in cui raccoglie le prose di Marcovaldo Calvino ha l’idea per la prima cosmicomica: La distanza della Luna, su cui lavora a più riprese nella primavera e nell’estate ’64.22 A novembre il testo è anticipato sul «Caffè politico e letterario», per poi confluire nelle Cosmicomiche del ’65, primo dei dodici racconti del volume.23 Riportando una dichiarazione contenuta in un dattiloscritto inedito preparato da Calvino per una lettura, Claudio Milanini segnala che la posizione iniziale attribuita al racconto è dovuta alla volontà di «cominciare con la luna» in «omaggio ai poeti lunari della letteratura italiana, da Dante a Ariosto a Leopardi».24 La cosmicomica si ispira alla teoria della recessione proposta dall’astronomo e studioso delle maree George H. Darwin (figlio di Charles), secondo cui la luna, in una fase primordiale successiva alla sua formazione, sarebbe stata 18 Ivi, 1133-1138: 1133. 19 Ivi, 1136. Il passaggio con Marcovaldo che guarda con «nostalgia» alla luna ricorda certe chiuse malinconiche delle cosmicomiche lunari incentrate sul tema della perdita e sulla volontà di un ricongiungimento con la luna: cfr. infra, in partic. 6-7, 13-14 e 18. 20 Così nell’appena cit. Villeggiatura in panchina, RR 1, 1073. 21 Ivi, 1138. Su questi due brani (e su un richiamo al Newtonismo per le Dame di Francesco Algarotti), cfr. anche MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 375-376, che rimanda a sua volta a ROTA, La sfera e la luna…, 135. Segnalo che la luna è presente anche nella chiusa dell’ultima prosa di Marcovaldo, in cui un leprotto (simbolo della pagina bianca) sfugge a un lupo (simbolo dell’inchiostro nero che cerca di vergarla): «Uscì un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un’impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perché era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi» (I figli di Babbo Natale, RR 1, 1174-1182: 1182). 22 Cfr. la Nota al testo di Claudio Milanini alle Cosmicomiche in RR 2, 1318-1344; per La distanza della Luna, ivi, 1323-1327. Le Note di Milanini beneficiano delle informazioni ricavate da materiali filologici conservati in casa Calvino (due foglietti con lista aggiornata all’84 di tutte le cosmicomiche con data e luogo di composizione, più autografi e dattiloscritti delle cosmicomiche): cfr. ivi, 1319. 23 I. CALVINO, La distanza della Luna, «Il Caffè politico e letterario», XII (novembre 1964), 4, 3-14; ora in RR 2, 81-96. Nel «Caffè» sono anticipate altre tre cosmicomiche: Sul far del giorno, Un segno nello spazio e Tutto in un punto. In rivista La distanza della Luna è accompagnata da tre illustrazioni di Chago raffiguranti un omino trafitto dalla luna, un omino che bacia la luna allungandosi da una scala a pioli, un clown nel cielo stellato (le prime due sono riprodotte in MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 384). 24 Cfr. RR 2, 1323. Sui «poeti lunari» cfr. infra, 16-17. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 5 molto vicina alla terra. Una volta al mese, al plenilunio, «bastava andarci sotto con la barca», conferma Qfwfq, «appoggiarci una scala a pioli e montar su»:25 Voi non ve ne potete ricordare ma io sì. L’avevamo sempre addosso, la Luna, smisurata: quand’era il plenilunio – notti chiare come di giorno, ma d’una luce color burro –, pareva che ci schiacciasse; quand’era lunanuova rotolava per il cielo come un nero ombrello portato dal vento; e a lunacrescente veniva avanti a corna così basse che pareva lì lì per infilzare la cresta d’un promontorio e restarci ancorata. Ma tutto il meccanismo delle fasi andava diversamente che oggigiorno: per via che le distanze dal Sole erano diverse, e le orbite, e l’inclinazione non ricordo di che cosa; eclissi poi, con Terra e Luna così appiccicate, ce n’erano tutti i momenti: figuriamoci se quelle due bestione non trovavano modo di farsi continuamente ombra a vicenda.26 Come suggerisce questo pur breve campione testuale, il tema cosmico è abbassato, avvicinato a una dimensione umana, con notevole effetto comico: esempi lampanti si danno laddove la luna e le incursioni lunari di Qfwfq e compagni sono descritte con un linguaggio dall’andamento colloquiale, che spesso attinge, come sopra, a immagini quotidiane, quando non prosaiche. Il registro comico sconfina frequentemente nel grottesco, specie in certe descrizioni quasi degradanti: il latte lunare è «molto denso, come una specie di ricotta», la superficie del satellite è «accidentata di spunzoni taglienti e orli slabbrati e seghettati» e ricorda un pesce («al ventre d’un pesce, era venuta somigliando, e anche l’odore, a quel che ricordo, era, se non proprio di pesce, appena più tenue, come il salmone affumicato»).27 Il grottesco si mescola all’erotico (e viceversa), massimamente quando è introdotta la relazione del tutto particolare tra il cugino sordo di Qfwfq e la luna: Il suolo della Luna non era uniformemente squamoso, ma scopriva irregolari zone nude d’una scivolosa argilla pallida. Al sordo questi spazi morbidi davano la fantasia di capriole o voli quasi da uccello, come se volesse imprimersi nella pasta lunare con tutta la persona. Così inoltrandosi, a un certo punto lo perdevamo di vista. Sulla Luna s’estendevano regioni che mai avevamo avuto motivo o curiosità d’esplorare, ed era là che mio cugino spariva; e io m’ero fatto l’idea che tutte quelle capriole e pizzicotti in cui si sbizzarriva sotto i nostri occhi non fossero che una preparazione, un preludio, a qualcosa di segreto che doveva svolgersi nelle zone nascoste.28 Perso «nel suo rapimento lunare»,29 il sordo ha un rapporto fisico, spesso descritto con metafore sensuali o erotico-amorose, con la luna, di cui esplora la superficie come il corpo di una persona amata, in modo forse rozzo ma appassionato. Quando è illustrata la procedura di raccolta del latte lunare, il contatto è quasi esplicitamente sessualizzato, con la luna oggetto di un’operazione estrattivo-penetrativa: «invece del cucchiaio certe volte bastava ficcasse sotto le squame la mano 25 RR 2, 82. Per altre due analisi della Distanza della Luna, cfr.: SANDRINI, Le avventure della luna…, 57-60, dove il trattamento del tema cosmico-lunare è visto in relazione a Leopardi e Queneau (su Queneau cfr. infra, 9-12); MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 383-384, dove si osserva – con rimando a R. BERTONI, Note sul dialogo di Calvino con Leopardi, in ID. (a cura di), Giacomo Leopardi. A Cosmic Poet and His Testament, Torino, Trauben, 1999, 69-100: 85-86 – che il tentativo degli uomini di raggiungere la luna è ripreso dalla Satira III di Ariosto. 26 RR 2, 81. 27 Ivi, 84 e 82. Giuseppe Sandrini rileva che il paragone tra latte lunare e ricotta rielabora uno spunto leopardiano dal Dialogo della Terra e della Luna (la Terra che domanda alla Luna: «sei fatta, come affermano alcuni Inglesi, di cacio fresco»): cfr. SANDRINI, Le avventure della luna…, 58-59. Il paragone luna-formaggio è un punto di contatto tra Leopardi, Calvino e Queneau: cfr. infra, 11, in partic. n. 58. 28 RR 2, 85. 29 Ivi, 88. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 6 nuda, o solo un dito […] e dove metteva la mano lui, il latte schizzava fuori come dalle mammelle d’una capra»; e più avanti: «c’erano punti, per esempio, che toccava solamente per il gusto di toccarli: interstizi tra scaglia e scaglia, pieghe nude e tenere della polpa lunare».30 Se il sordo è interessato solo alla luna («appena il satellite era passato in là, il sordo rientrava nel suo isolato distacco per le cose del mondo; solo l’approssimarsi del plenilunio lo risvegliava»),31 in un intreccio di amori non corrisposti di matrice ariostesca Qfwfq ama la signora Vhd Vhd e la signora Vhd Vhd ama il sordo. Intuita l’intenzione di quest’ultima di appartarsi per un mese con il sordo sulla luna, Qfwfq la raggiunge e i due rimangono bloccati sul satellite. La connessione tra la signora Vhd Vhd e la luna porta alla luce uno dei temi-chiave della cosmicomica: il femminile. In chiusura di racconto, la luna si avvicina per l’ultima volta alla terra e Qfwfq si inerpica subito su un’asta di bambù allungata da terra fino a cadere in mare; la signora Vhd Vhd, al contrario, decide di rimanere sulla luna. Come il sordo accetta l’allontanamento della luna per amore: e anche questo era da lui: da lui che non sapeva concepire desideri in contrasto con la natura della Luna e il suo corso e il suo destino, e se la Luna ora tendeva ad allontanarsi da lui, ebbene egli godeva di questo allontanamento come aveva fino allora goduto della sua vicinanza.32 Così la signora Vhd Vhd accetta di divenire tutt’una con il satellite: solo in quel momento ella mostrò fino a che punto il suo innamoramento per il sordo non era stato un frivolo capriccio ma un voto senza ritorno. Se quel che ora mio cugino amava era la Luna lontana, lei sarebbe rimasta lontana, sulla Luna.33 Realizzando un’adesione perfetta tra lunare e femminile, l’allontanamento definitivo della luna fa emergere in chiusura altri due temi-chiave, a loro volta interconnessi: l’irraggiungibilità-inviolabilità della luna e la distanza. Qfwfq conclude il suo racconto con una nota di malinconia per quel che è andato perduto: «il mio pensiero era solo di dolore per lei perduta, e i miei occhi s’appuntavano sulla Luna, per sempre irraggiungibile, cercandola».34 Se al principio la vicinanza del satellite consente le incursioni di Qfwfq e compagni (e dunque anche l’operazione estrattiva del latte di cui si diceva prima), il suo allontanamento trasforma la luna in un altrove, in un luogo irraggiungibile (e dunque inviolabile). La distanza ha anche importanti conseguenze su un piano gnoseologico. La permanenza pur temporanea di Qfwfq sulla luna gli consente infatti di osservare la terra da una nuova prospettiva: il nostro sguardo si levava lassù al mondo dov’eravamo nati, finalmente percorso in tutta la sua multiforme estensione, esplorato in paesaggi mai visti da nessun terrestre, oppure contemplava le stelle di là della Luna, grosse come frutta di luce maturata sui ricurvi rami del cielo, e tutto era al di là delle speranze più luminose, e invece e invece e invece era l’esilio.35 Osservando la realtà dall’esterno, Qfwfq può comprenderla meglio e giungere così a una presa di coscienza: fuori dalla terra l’innamoramento per la signora Vhd Vhd non ha senso perché è il 30 Ivi, 85. 31 Ivi, 89. 32 Ivi, 95. 33 Ibidem. 34 Ivi, 95-96. 35 Ivi, 93. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 7 nostro essere terrestri che rende le cose tali quali sono (in assenza di coordinate e punti di riferimento avremmo bisogno di riposizionarci). Riprendendo uno dei motivi di fondo del Barone rampante, la prima cosmicomica associa alla distanza la possibilità di un punto di vista privilegiato sulla realtà, mostrando che anche allontanandoci possiamo entrare in relazione con ciò che ci circonda, senza negarlo, forse capendolo meglio.36 2. Massimo Bucciantini ricorda che nell’84, rispondendo a una domanda di Ernesto Ferrero, Calvino connette l’avvio della scrittura cosmicomica a un incontro con lo storico della scienza Giorgio de Santillana. Calvino lo conosce nel ’59 a Boston, durante un soggiorno di sei mesi negli Stati Uniti finanziato da una borsa di studio della Ford Foundation.37 Dopo l’incontro di Boston, lo ascolta anche nel marzo ’63 durante una conferenza al teatro Carignano di Torino intitolata Il fato nell’antichità e nell’era atomica. Calvino se ne ricorda bene nell’85, quando recensisce una raccolta di saggi di de Santillana:38 il testo che apre il libro e gli dà il titolo è una conferenza che Santillana fece per l’ACI in varie città italiane nel 1963, e pubblicò poi su «Tempo presente» di Nicola Chiaromonte (in quegli anni una delle più belle riviste italiane). Ascoltando la conferenza nel 1963, ne ebbi come la rivelazione d’un nodo d’idee che forse già ronzavano confusamente nella mia testa ma che m’era difficile esprimere; e sarebbero state difficili da esprimere anche dopo, ma da quel momento sono stato cosciente d’una distanza da colmare, d’un qualcosa a cui «far fronte». (Santillana: «Ed è cosa da poco che il nome stesso della scienza in greco, epistéme, significhi far fronte?»). Dico l’idea che nessuna storia e nessun pensiero umani possono darsi se non situandoli in rapporto a tutto ciò che esiste indipendentemente dall’uomo; l’idea d’un sapere in cui il mondo della scienza moderna e quello della sapienza antica si riunifichino. Rileggendo ora il testo, ritrovo l’emozione di quando Santillana uscì con l’esempio inaspettato di Pierre 36 Nel ’78, a Daniele Del Giudice che gli domanda: «“Il gran segreto è celarsi, eludere, confondere le tracce”. Una tua frase ad Arbasino, all’inizio della belle époque, così chiamasti gli anni Sessanta. Ci sei riuscito. Al punto che oggi ci chiediamo: Calvino, come l’Amargo, è nella luna?», Calvino risponde: «La luna sarebbe un buon punto d’osservazione per guardare la terra da una certa distanza. Trovare la distanza giusta per essere presente e insieme distaccato: era questo il problema del Barone rampante» (Situazione 1978, S 2, 2828-2834: 2828). 37 Durante il soggiorno Calvino è molto colpito da New York – città che fa da sfondo ad alcune Cosmicomiche e in particolare alla Molle Luna e alle Figlie della Luna, per cui cfr. infra, 14-16 e 17-18 – e scrive articoli e impressioni (buona parte dei quali esce sul settimanale «Abc») destinati al libro Un ottimista in America, ritirato dallo stesso Calvino mentre il testo è già in bozze. 38 Per un’accurata ricostruzione dell’influenza del lavoro di de Santillana su Calvino, cfr. il cap. Fiaba, mito, cosmologia: Calvino e de Santillana in BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, 65-86, da cui traggo i due rinvii all’intervista di Ferrero dell’84 e alla recensione dell’85. Per l’intervista: Se lo scrittore sapesse che la scienza è anche fantasia, «Tuttolibri», X (21 gennaio 1984), 390, 1; ora in I. CALVINO, Sono nato in America… Interviste 1951- 1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2002, 559-560. La recensione esce con il titolo «Il cielo sono io» sulla «Repubblica» del 10 luglio ’85; ora con il titolo «Fato antico e fato moderno» di Giorgio de Santillana in S 2, 2085-2091. Il volume recensito è G. DE SANTILLANA, Fato antico e fato moderno, Milano, Adelphi, 1985. Nato nel 1902, laureato in fisica a Roma, assistente del matematico e storico della scienza Federico Enriques, de Santillana si era trasferito negli Stati Uniti per le leggi razziali (era di famiglia ebraica) e nel ’54 era diventato professore di storia delle scienze al MIT di Boston. Quando Calvino lo incontra aveva già pubblicato The Crime of Galileo (Chicago, University of Chicago Press, 1955; ed. it. con il titolo Processo a Galileo, Milano, Mondadori, 1960) e The Origins of Scientific Thought (Chicago, University of Chicago Press, 1961; ed it. con il titolo Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo: 600 a.C.-500 d.C., Firenze, Sansoni, 1966). Nel ’69 avrebbe pubblicato con l’etnologa tedesca Hertha von Dechend il suo più importante lavoro: Hamlet’s Mill. An Essay on the Frame of Time (Boston, Gambit, 1969; ed. it. con il titolo Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Milano, Adelphi, 1983). Per queste e altre informazioni, rinvio a BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, cap. cit. sopra. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 8 Bezuchov in Guerra e pace, che fatto prigioniero e in pericolo di vita guarda le stelle e pensa che tutto questo cielo è in lui, è lui.39 In sintesi, Calvino scopre in de Santillana che linguaggio mitologico e linguaggio scientifico sono due facce della stessa medaglia in quanto entrambi elaborano forme di conoscenza del reale. Le prime grandi narrazioni cosmologiche sono il prodotto del tentativo di comprendere e dunque entrare in armonia con il cosmo governato dalle stelle e dai pianeti. Comprendere e dunque entrare in armonia: perché in un «pensiero che è nella sua essenza una cosmologia», fato e libertà finiscono per coincidere, e la «vera libertà dell’uomo non può dispiegarsi che in un solo modo, entrando in perfetta sintonia con il ritmo e l’armonia dell’intero universo».40 Assimilati spunti e suggestioni della conferenza di marzo, in novembre Calvino elabora alcuni appunti per le primissime storie cosmicomiche: fra queste c’è La distanza della Luna, presa in esame poco fa. Torniamo dunque alla luna. Naturalmente anche de Santillana è molto interessato al significato storico-scientifico delle missioni spaziali che tra anni Cinquanta e Sessanta si prefiggono di esplorarne la superficie. Al 7 luglio ’69 – una decina di giorni prima dell’allunaggio – è datata la poco nota Lettera a proposito della luna, indirizzata da de Santillana all’amico di lunga data Alberto Moravia e pubblicata nel medesimo anno in «Nuovi argomenti» (la rivista trimestrale diretta da Moravia stesso, Alberto Carocci e Pier Paolo Pasolini).41 Nella lettera de Santillana prende il via ricordando che «il mondo moderno ha perso il senso della meraviglia»,42 e prosegue pensando alla sorpresa che Galileo proverebbe: se vedesse l’Apollo circuire la luna proprio come un sasso, secondo la sua idea, lui che vide per primo «l’universo cento e mille volte più grande che non pensassero i sapienti delle età passate» – scrive lui già cieco – lui che per primo vide la luna come una terra con le sue montagne, e disse la terra stessa essere un astro perduto nell’immensità dei cieli, e la luna girare attorno alla terra come un sasso lanciato da montagne simili alle nostre, e i pianeti non essere stelle, ma sfere simili alla terra, e seppe con Keplero, suo compagno di fede, intuire le armonie pitagoriche che poi si rivelarono anche vere.43 Segnalando che uno studio diretto del satellite è impossibile a causa delle ingenti risorse necessarie per finanziare missioni e ricognizioni lunari, de Santillana conclude auspicando che: si trovi una relazione dell’uomo verso il cosmo, come ho cercato di mostrare con le mie ricerche sulla scienza protostorica, che era a un tempo essenzialmente antropocentrica, proprio come quella di Dante, ma anche cosmocentrica in un senso più profondo, perché il cosmo era allora pensato sul serio e capace di influire sull’uomo e di dare un senso alla sua vita, anche più di come pensasse Dante con la sua bella astrologia ben calcolata.44 39 S 2, 2088-2089 (cit. parzialmente in BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, 74; corsivo nel testo originale). 40 BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, 73 (la prima cit. è da DE SANTILLANA, Fato antico e fato moderno…, 13). 41 G. DE SANTILLANA, Lettera a proposito della luna, «Nuovi argomenti», n.s., 15 (luglio-settembre 1969), 293- 296. 42 Ivi, 293. 43 Ivi, 293-294. 44 Ivi, 296. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 9 Accanto a de Santillana, gioca un ruolo fondamentale per le Cosmicomiche anche Raymond Queneau,45 la cui influenza è frequentemente ricordata per la narrativa combinatoria degli anni successivi,46 ma raramente chiamata in causa per gli anni Cinquanta e Sessanta, cui invece andrebbe più propriamente riportata. In un’intervista dell’85 rilasciata a Paul Fournel, Calvino dichiara che:47 Il progetto delle Cosmicomiche (e della sua continuazione, Ti con zero) s’ispirava contemporaneamente a Lucrezio e a Ovidio. O, se si preferisce, da un lato alla Piccola cosmogonia portatile di Queneau (il De rerum natura del nostro secolo), dall’altro a certi repertori etnografici di miti cosmogonici primitivi. Il procedimento di Palomar è diverso; manca il versante Metamorfosi, ossia mitico. Palomar interroga il mondo come un Lucrezio scettico e sprovvisto d’ogni sistema, partendo dai dati molto elementari della sua esperienza quotidiana.48 Nel ’42 in Francia esce Pierrot mon ami, tradotto per Einaudi in italiano nel ’47: l’immediata recensione di Calvino all’uscita del libro dimostra che Calvino legge Queneau almeno da quella data.49 Nel ’50 è la volta della Petite cosmogonie portative, un poemetto in sei canti di circa 1400 alessandrini liberi, che ripercorre la storia dell’universo dalla sua formazione alla comparsa dell’uomo e alle invenzioni tecnico-scientifiche del ventesimo secolo. Come nota Francesca Serra, una lettera a Franco Quadri datata 1° aprile ’65 (il volume delle Cosmicomiche in cui è raccolta La distanza della Luna esce a novembre) attesta che a quest’altezza cronologica Calvino ha molto cara la traduzione della Cosmogonie, definita «un grande libro, di cui si parla troppo poco, anche in Francia», nonostante sia «uno dei più straordinari exploits del nostro secolo».50 Queneau muore nel ’76.51 Nel 45 Per una panoramica sul rapporto Calvino-Queneau cfr. le pagine dedicate agli incontri con l’Oulipo nel profilo calviniano di Francesca Serra: F. SERRA, Incontri all’Oulipo, in EAD., Calvino, Roma, Salerno, 2006, 300- 309. Per maggiori informazioni, cfr.: M. FUSCO, Italo Calvino entre Queneau et l’Ou.Li.Po, in Italo Calvino. Atti del convegno internazionale (Firenze, 26-28 febbraio 1987), Milano, Garzanti, 1988, 297-309; S. CAPPELLO, Les années parisiennes d’Italo Calvino (1964-1980). Sous le signe de Raymond Queneau, Parigi, Presses de l’Université ParisSorbonne, 2007, in partic. i capp. II «Le Cosmicomiche» e V Queneau et la «Petite Cosmogonie Portative»: 37-53 e 105- 154. È interessante anche un’intervista a Calvino dell’83 dal titolo Queneau, una proposta di saggezza, tutta dedicata allo scrittore parigino, in CALVINO, Sono nato in America…, 555-557. Nato nel 1903, laureato in filosofia alla Sorbona, dopo aver lavorato in banca, Queneau si era avvicinato negli anni Venti ai surrealisti, e dal ’30 lavorava per l’editore parigino Gallimard (per cui dirigeva dal ’54 l’Encyclopédie de la Pléiade). 46 A partire dal Castello dei destini incrociati, uscito per la prima volta in edizione limitata presso il lussuoso editore di Parma Franco Maria Ricci nel volume d’arte Tarocchi. Il mazzo visconteo di Bergamo e New York del ’69, e dalle Città invisibili del ’72. 47 L’intervista esce nel giugno ’85 con il titolo Italo Calvino: Cahiers d’exercice su «Le Magazine Littéraire», 220, 84-89. Domenico Scarpa ne fa una traduzione italiana per il libro: Italo Calvino newyorkese, a cura di A. Botta e D. Scarpa, Avagliano, Cava de’ Tirreni, 2002, 15-25. Il testo è riportato, con il titolo I quaderni degli esercizi, anche in CALVINO, Sono nato in America…, 637-645, da cui cito il passaggio riportato più sopra: 642-643. L’intervista, piuttosto nota, è richiamata anche da SANDRINI, Le avventure della luna…, 53, n. 35. 48 CALVINO, Sono nato in America…, 642-643. All’inizio della stessa intervista Calvino dichiara di avere «due livres de chevet: il De rerum natura di Lucrezio e le Metamorfosi di Ovidio. Vorrei che tutto ciò che scrivo si rifacesse all’uno o all’altro, o a tutti e due» (ivi, 636). Sul versante Ovidio, si ricordi che nel ’79 (sei anni prima) Calvino aveva scritto la premessa dal titolo Gli indistinti confini all’edizione delle Metamorfosi uscita per Einaudi a cura di P.B. Marzolla. Gli indistinti confini si legge ora con il titolo Ovidio e la contiguità universale in S 1, 904-916. Per il rapporto Calvino-Ovidio cfr. E. PIANEZZOLA, Calvino: da Ovidio alle «Lezioni americane» in ID., Ovidio. Modelli retorici e forma narrativa, Bologna, Patron, 1991, 193-197. 49 La recensione si legge ora in S 1, 1408-1409. 50 Cfr. SERRA, Calvino…, 301. La lettera si legge in I. CALVINO, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2000, 858-859. Rimandando ai verbali di una riunione all’Einaudi, Massimo Bucciantini fa notare che una «prima presentazione editoriale» della Cosmogonie risale al marzo ’65: «Abbiamo libero un traduttore come Quadri e io penserei di fargli fare la Petite cosmogonie portative, molto bello e sconosciuto. È un poema, una specie di Lucrezio ironico, con una struttura di poema enciclopedico, e una specie di guida in fondo. È praticamente intraducibile, però si può darne una traduzione informativa, perché l’interesse Letteratura e scienze © Adi editore 2021 10 ’77 Calvino convince l’ormai anziano Sergio Solmi a fare una traduzione in endecasillabi sciolti con la promessa di una collaborazione.52 La Piccola cosmogonia portatile esce dunque per Einaudi nell’82 (un anno dopo la morte di Solmi) con una Piccola guida alla «Piccola cosmogonia» di Calvino.53 Così la Guida descrive, con parole che risultano illuminanti se accostate anche alla scrittura cosmicomica, la «doppia linea» del «cammino» intrapreso da Queneau nella Cosmogonie: battaglia sui due fronti per sconfiggere tanto la rarefazione squisita del «cosmico» nella poesia tradizionale, quanto la freddezza anonima e impoetica del linguaggio scientifico e dell’informazione manualistica. Si tratta cioè d’elaborare una linea linguistica quanto mai lontana dal lessico canonico della poesia lirica e tanto elastica da farsi carico dei neologismi e dei lessici specializzati, da inglobare tutte le voci d’un’enciclopedia («tentativo di dare diritto di cittadinanza poetica a tutti i vocaboli», così è stato definito questo poema da un critico, Paul Gayot), e nello stesso tempo pronta ad abbandonarsi ai ghiribizzi estemporanei, agli estri del gioco, alle coloriture dell’argot.54 Calvino insiste che la Cosmogonie non ha una funzione illustrativa di teorie scientifiche nel senso stretto. È piuttosto un tentativo di assimilazione nel linguaggio poetico delle nuove immagini dell’universo guadagnate dalla ricerca scientifica, oltreché più in generale del linguaggio scientifico stesso (fatto urtare, spesso brutalmente e con risvolti comici, con registri alto-lirici e anche bassoosceni). Nella Cosmogonie la luna ricorre due volte. La prima nel primo canto: alla formazione della terra, descritta come un parto, segue il distaccamento della luna.55 Ne riporto qui uno stralcio (con traduzione di Solmi), e a seguire il commento di Calvino: Un gros moellon s’en va salut lune oh jeunesse jeunesse oh jeunesse oh des lundis arrachée les champs du Pacifique écoutaient ta marée salut lune salut lunaire est cet abîme un grand trou dans la terre et voici les eaux noires salut lune salut commère des histoires des êtres qui cherchaient la déroute des monstres se jetaient dans la plaie et vivaient inconnus Una gran pietra tenera sen va. Oh Luna, gioventù! svèlta dai lunedì i campi del Pacifico ascoltavano le tue maree. Salve, ancor salve, o Luna: ed è lunare quest’abisso in terra e le acque nere. E salve, salve, Luna, comare delle storie! C’eran esseri che cercavan dei mostri la rovina saggistico è quasi pari all’interesse verbale. Propongo una traduzione con testo a fronte» (BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, 60, n. 50). 51 Si tenga conto che dal ’67 Calvino si era trasferito a Parigi, dove si era ulteriormente avvicinato a Queneau, stringendo con lui una solida amicizia. Nello stesso anno del trasferimento era uscita per Einaudi la traduzione di Calvino dei Fiori blu. 52 Nel ’77 Calvino avvia un lavoro di raccolta e selezione dell’opera di Queneau. Ne deriva il volume Segni, cifre e lettere e altri saggi, Torino, Einaudi, 1981, con un’articolata Introduzione di Calvino (ora con il titolo La filosofia di Raymond Queneau in S 1, 1410-1430). Tra i saggi raccolti nel volume spicca Charles Fourier (I nemici della luna), su cui cfr. infra, 11, n. 58. 53 Nel suo epitaffio per la morte di Solmi (edito con il titolo Solmi lunare ma non troppo su «la Repubblica» del 10 ottobre 1981, ora con il titolo In memoria di Sergio Solmi in S 1, 1253-1256), Calvino ricorda le difficoltà della traduzione e la decisione di scrivere «una specie di commento da pubblicare in appendice della traduzione di Solmi» (S 1, 1253). Calvino ricorda l’impresa anche in Sono nato in America…, 488-489. Sulla Guida (datata in calce al ’78-81), cfr. quanto scrive lo stesso Calvino: «Molte allusioni restano ancora oscure. In attesa di poter fare un commento del poema verso per verso (e non è detto che un giorno non ci si riesca), mi contento per ora di fornire una piccola guida alla lettura, canto per canto, a integrazione del sommario dell’autore» (cito da R. QUENEAU, Piccola cosmogonia portatile, trad. it. di S. Solmi, seguita da Piccola guida alla «Piccola cosmogonia» di I. Calvino, Torino, Einaudi, 2003, 145-192: 154). 54 Ivi, 148. 55 Così nel sommario d’autore che accompagna ogni canto sintetizzandone i temi e i corrispondenti versi: «La luna se détache d’elle (46-64)», trad. it. «La luna se ne distacca» (s’intende, naturalmente, dalla terra). Letteratura e scienze © Adi editore 2021 11 et toi caillou volait bourrelé de légendes face de lampadaire et visage de brie reine jaune ou blanchâtre et fusion de la nuit le jour baisse son froc et démontre son cul nella piaga gettati a capofitto vivendo sconosciuti. Grosso ciottolo volavi da leggende strazïato con una faccia tale un lampadario ed un aspetto molto simile a formaggio fermentato. Bianca e gialla Regina e fusione della notte, il giorno il saio abbassa e il deretano allo scoperto mette. Qui s’apre il passo più tipico del canto I perché vi si fondono la levitazione lirica e la prosaicità più greve: il distacco dalla terra della Luna «des lundis arrachée», che apre nella superficie terrestre l’abisso dell’Oceano Pacifico. La luna è vista come «moellon», pietra da costruzione non squadrata, e come faccia di formaggio di Brie; la notte è vista come culo del giorno, metafora che scatena una trasfigurazione coprocosmica generale.56 La seconda ricorrenza è nel quarto canto: Queneau rievoca il passaggio dai cristalli ai virus, celebra la prima cellula da cui avranno origine tutti gli esseri viventi, e si sofferma prima sulla riproduzione sessuata (con invocazione a Venere), poi su varie specie di insetti. La luna compare verso l’inizio del canto, accanto al «gros noyau» («nocciolo / grosso», v. 19) della terra, di cui è definita «son électron mort qui pousse les marées» («l’élettrone / suo, che morto sospinge le maree», v. 20). Queneau attribuisce poi tratti antropomorfi al satellite, ricordandone la «face glacée» («ghiacciato volto») e la «joue aigre et violette» («guancia agra e violetta»): mais la face glacée épouse encor les bords où surgiront plus tard les studios atomiques ma il ghiacciato volto sposa le rive dove sorgeran più tardi gli impianti per atomici la joue aigre et violette à cette jeune gée garde le flot la baisse et les marées en cage La guancia agra e violetta a questa giovane Gea consente tener basso il flutto e ingabbiar le maree.57 La distanza della Luna condivide con la Cosmogonie il ricorso al grottesco e l’effetto dissacrante di certe descrizioni: se in Queneau la luna assomiglia al «formaggio fermentato», in Calvino la luna – il cui latte è denso «come ricotta» – è simile per odore e per aspetto al «salmone affumicato».58 Come rileva Giuseppe Sandrini, la tonalità di fondo è certamente differente:59 mentre nella Distanza della 56 Ivi, 8-9 (vv. 46-57 della Cosmogonie con relativa traduzione) e 157 (commento di Calvino). 57 Ivi, 78-79 (vv. 27-28 e 31-32). 58 Come rilevato da SANDRINI, Le avventure della luna…, 144, Queneau si sofferma sull’immagine della lunaformaggio anche in un saggio del ’59 dedicato all’utopista Charles Fourier: R. QUENEAU, Charles Fourier (I nemici della luna), in ID., Segni, cifre e lettere…, 146-149. Queneau ricorda che Fourier paragonava la superficie lunare a un latticino («è simile all’interno d’un formaggio gruviera quando il suo riflettore è ardente, o a un formaggio d’Olanda quando la sua coloritura è sfumata», ivi, 148); un paragone simile è attribuito, ricorda Queneau, anche a Stéphane Mallarmé («la luna che egli chiama con gran disprezzo “quel formaggio”, gli sembra inutile», ivi, 149). Il saggio si conclude con un riferimento all’impatto lunare del ’59 da parte della sonda russa Lunik II (cfr. infra, 16) e con una riflessione amaro-ironica sulla possibilità che la luna venga in futuro distrutta dall’uomo (come auspicato da Fourier e Mallarmé). Il paragone luna-formaggio torna in Calvino nelle Figlie della Luna (per cui cfr. infra, 17-18), dove la luna sembra «una specie di crosta di formaggio mordicchiata» (RR 2, 1194). 59 Cfr. SANDRINI, Le avventure della luna…, 59: da Queneau «derivano sì alcune suggestioni, ma non certo il tono generale del racconto. Nella Petite cosmogonie portative la Luna “visage de brie” (canto I, v. 55) sembra Letteratura e scienze © Adi editore 2021 12 Luna prevale un registro comico in varie gradazioni, il primo canto della Petite cosmogonie è, nella definizione di Calvino, «drammatico e convulso»,60 animato anche da un respiro epico-solenne. Lo scenario del distaccamento del satellite evocato da Queneau sembra trovare però corrispondenza in una cosmicomica lunare scritta pochi mesi dopo La distanza della Luna: La Luna come un fungo. All’uscita del volume del ’65, Calvino era infatti ancora immerso nella scrittura cosmicomica: undici nuovi racconti compongono il “Supercorallo” einaudiano Ti con zero del ’67,61 otto nuovi racconti sono inclusi (insieme con sei racconti dalle Cosmicomiche e altri sei da Ti con zero) in un’edizione non commerciale per il Club degli Editori in La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche del ’68.62 La pubblicazione di quest’ultima raccolta consente a Calvino di volgere retrospettivamente uno sguardo al genere che lo aveva impegnato così intensamente fino ad allora, suddividendo i racconti in cinque serie tematiche, di cui la prima interamente dedicata alla luna. Alla Distanza della Luna (in prima posizione) seguono: La Luna come un fungo, La molle Luna e Le figlie della Luna.63 3. Prendendo le mosse dalla già citata teoria di Darwin, La Luna come un fungo è un racconto sul distaccamento lunare.64 L’emergere della parte di massa terrestre che formerà la luna dà il via in modo insieme spiazzante e divertente alla cosmicomica, con una situazione che per incisività visiva e tonalità del narrato ricorda le vignette di un fumetto: a bordo della sua barca, Qfwfq si ritrova «sollevato in cima a una specie di bernoccolo bianco», «con la lenza che pende all’asciutto, amo per aria».65 La scena era dunque questa: la bolla di granito che attraversava la distesa delle acque dilatandosi, circondata da una nuvola di sogliole guizzanti; io che acchiappavo i pesci al volo; affiancarsi al “cacio fresco” di Leopardi quale precedente della “specie di ricotta” di Calvino, ma se il fuoco del poema di Queneau è “la science envisagée comme thème poétique”, nella Distanza della Luna conta certo di più il sottostante schema narrativo-fiabesco». 60 Così nella Guida di Calvino a QUENEAU, Petite cosmogonie portative…, 154. 61 Cfr. Nota al testo in RR 2, 1345-1358. Anche Ti con zero si apre con un «omaggio lunare»: è il racconto La molle Luna, su cui a brevissimo. 62 Cfr. Nota a testo in RR 2, 1455-1468. In sovraccoperta della Memoria del mondo campeggia un’illustrazione di Bruno Binosi in cui un quarto di luna gialla è inscritto in circonferenze azzurre e viola su sfondo rosso, accanto a due sfere nere: cfr. RR 2, 1468. 63 Il raggruppamento delle storie lunari con il titolo Quattro storie sulla Luna e la loro collazione in apertura sono scelte ben ponderate: «Le varianti attestano quanto grande fosse la cura con cui l’autore allestì La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche. Fra le sue carte, del resto, sono conservati vari schemi alternativi per l’ordinamento delle cosmicomiche, alcuni dei quali seguono criteri tematici: risalgono all’agosto 1966 e già preannunciano il libro del 1968» (RR 2, 1457). La seriazione tematica attuata nella Memoria del mondo è drasticamente mutata nell’ultima raccolta cosmicomica: Le Cosmicomiche vecchie e nuove dell’84 uscite per Garzanti (con inclusione di due racconti non apparsi nei precedenti volumi e risalenti all’84: Il niente e il poco e L’implosione). Per quest’ultimo volume cfr. la Nota al testo sempre di Milanini in RR 2, 1469-1475. A seguito del riordinamento, le trentatré cosmicomiche (considerando racconti autonomi le tre parti di Priscilla) sono suddivise in quattro parti con i seguenti titoli: La memoria dei mondi (ulteriormente suddivisa in quattro sezioni, di cui Storie sulla Luna è la terza), Inseguendo le galassie, Le Biochimiche e Racconti deduttivi. La serie lunare non soltanto perde la posizione d’apertura, ma subisce anche un riordinamento interno, per cui abbiamo: La molle Luna, Le figlie della Luna, La distanza della Luna e La Luna come un fungo. 64 La stesura è datata al novembre-dicembre ’64 (dunque precede l’uscita delle Cosmicomiche ’65): cfr. RR 2, 1458-1459. Prima di essere incluso nella Memoria del mondo, il racconto è anticipato il 16 maggio ’65 su «Il Giorno» (X, 115, supplemento «Il Giorno Domenica») con il titolo La nascita della Luna. Si segnala in rivista un disegno di Tullio Pericoli in cui tre figure stilizzate (Qfwfq e la fanciulla Flw) tendono un fazzoletto in segno di addio a un quarto di luna che si allontana portando con sé altre due figure (il pirata Bm Bn e l’ispettore Oo). Il disegno è riportato in MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 388. 65 RR 2, 1183. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 13 dietro, l’inseguimento delle barche dei compagni invidiosi che tentavano di muovere all’assalto del mio fortilizio; e poi, sempre più ampio, il distacco che nessuno dei nuovi scaglioni di inseguitori riusciva a superare; e il crepuscolo che scendeva su di loro, e il buio della notte che li inghiottiva via via, mentre invece là dove ero io il Sole non cessava di battere in un perpetuo mezzogiorno.66 Anche nella Luna come un fungo il tema cosmico-primordiale dell’origine è declinato in chiave comica, con il solito ricorso a immagini incongrue: il mare è «un’acquetta bassa e dolce», la luna spunta «come un fungo» e il suo movimento è paragonato al rotolare di «una biglia».67 Il registro grottesco trova impiego nell’approssimarsi del distaccamento, descritto a tratti come un processo biologico-organico di espulsione: l’«escrescenza di granito» è «spinta fuori dalle viscere terrestri» e la parte più esterna si dilata al punto che quella inferiore sembra «restringersi in una specie di strozzatura o peduncolo».68 Qfwfq e la giovane vogatrice Flw abbandonano quella che ora pare «una mostruosa proliferazione del nostro pianeta»69 appena in tempo per assistere al suo distaccamento. Riporto qui un breve passaggio dalla sequenza in questione (si noti la punta di delicato lirismo quando la luna vola in cielo): E un macigno di grandezza smisurata – nella parte superiore dilavato e poroso, e sotto ancora intriso come del muco delle viscere terrestri, striato di fluidi minerali e lava, barbuto di colonie di lombrichi – si librò nel cielo, leggero come una foglia. Nel crepaccio lasciato aperto precipitavano a cascate le acque del globo, lasciando affiorare più in là isole e penisole e altopiani.70 Ai moti di ottimismo che associano l’emergere del fungo lunare a «infinite possibilità di ricchezza»71 si mescola la crescente consapevolezza che l’affermazione di un nuovo ordine va di pari passo alla «negazione» dell’ordine presente.72 Il tema diventa cruciale nel finale dal tono mestoriflessivo, in cui, come nella Distanza della Luna, sono portati in primo piano i temi della mancanza e della perdita: Alle volte alzo lo sguardo alla Luna e penso a tutto il deserto, il freddo, il vuoto che pesano sull’altro piatto della bilancia, e sostengono questo nostro povero sforzo. Se sono saltato in tempo da questa parte è stato un caso. So che sono debitore alla Luna di quanto ho sulla Terra, a quello che non c’è di quel che c’è.73 Flw sembra adattarsi subito alla nuova situazione: dopo aver assaporato la «polpa sugosa» di un ananas, scoppia in una risata forse di liberazione, forse di soddisfazione per come sono andate le cose. Qfwfq è immerso in uno stato di interrogazione, incerto se il mondo in cui si è ritrovato quasi per caso sia davvero il suo. La Luna come un fungo approfondisce un tema che era già sorto nella chiusa della Distanza della Luna: quello dell’identità e della possibilità di definizione delle cose. Siamo 66 Ivi, 1185. 67 Ivi, 1184, 1183 e 1185. 68 Ivi, 1190. 69 Ibidem. 70 Ivi, 1191. Il «macigno» che si alza in cielo aprendo una voragine riempita dai flutti non può non ricordare il «moellon» e «caillou» («pietra tenera», «ciottolo») di Queneau, che vola via lasciandosi dietro un abisso. 71 Ivi, 1184. 72 «Negazione» è una parola ricorrente nel testo: «il fragile strato di cose che copriva il mondo poteva essere negato, sostituito da un deserto mobile al cui passaggio ogni presenza vivente era travolta ed esclusa» (ivi, 1186); «l’onda di granito proseguiva la sua negazione del mondo ignara ed impassibile» (ivi, 1187). 73 Ivi, 1192. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 14 debitori di «quel che c’è» a «quello che non c’è», commenta Qfwfq, che non riesce a «distaccare lo sguardo da quel pezzo di mondo volato via che aveva preso a ruotare per il cielo allontanandosi».74 Se La distanza della Luna e La Luna come un fungo si rifanno alla teoria della recessione, La molle Luna muove da un’ipotesi alternativa, quella della cattura proposta dal tedesco Horst Gerstenkorn e sviluppata dallo svedese Hannes Alfvén: attratto dalla gravitazione terrestre, il pianeta luna deragliò dalla propria orbita e si avvicinò alla terra divenendone il satellite; durante l’avvicinamento parte della massa lunare cadde sulla superficie terrestre formando i continenti.75 Il passato prelunare rievocato da Qfwfq è in realtà il nostro presente, se non il futuro (l’accenno a Madison Avenue indica che siamo a New York). Con ribaltamento di ogni aspettativa, in questa fase remota la crosta terrestre è composta da materiali artificiali e sintetici, disposti, secondo uno stilema frequentissimo nelle cosmicomiche, in lunghi elenchi: acciaio, alluminio, amianto, asfalto, cemento, nylon, plastica, plexiglas, e così via. All’opposto, la luna è ricca di componenti biologico-organiche, trasferite sulla terra con la caduta di un frammento lunare in cui si trovano «proliferazioni verdi» e «organismi sguscianti», «clorofilla e succhi gastrici e rugiada e grassi azotati e panna e lacrime».76 Il capovolgimento anacronistico ha un risvolto satirico e stimola il lettore a riconsiderare il rapporto tra naturale e artificiale, primitivo e derivato.77 Potenzia inoltre il senso di straniamento nei confronti della «molle, molle Luna», descritta come «qualcosa d’inferiore e ripugnante» ma anche misteriosamente attraente:78 Solo potevo testimoniare l’effetto che questa vista provocava in me, un effetto d’affascinato disgusto. Per prima cosa potrei dire delle venature verdi che la percorrevano, più fitte in certe zone, come un reticolo, ma questo a dire il vero era il particolare più insignificante, meno vistoso, perché quelle che erano, diciamo, le sue proprietà generali sfuggivano a una presa dello sguardo, forse per il luccichio un po’ viscido che trasudava da una miriade di pori, si sarebbe detto, o opercoli, e anche in certi punti da estese tumefazioni della superficie, come bubboni oppure ventose. Ecco che sto tornando a fissarmi sui particolari, metodo di descrizione più suggestivo in apparenza, ma in realtà di efficacia limitata, perché è solo considerandoli in tutto l’insieme – come sarebbe il gonfiore della polpa sublunare che tendeva i pallidi tessuti esterni ma li faceva anche ripiegare su se stessi in anse o rientranze dall’aspetto di cicatrici (sicché poteva anche essere, questa Luna, composta di pezzi premuti insieme e male appiccicati), – è, dico, in tutto l’insieme, come di viscere ammalato, che vanno considerati i singoli particolari: per esempio una foresta fitta come di pelo nero che sporgeva da uno strappo.79 74 Ivi, 1191. 75 La molle Luna è stesa fra settembre-novembre ’65 e nel ’67 posta in apertura di Ti con zero (esce dunque in volume prima della Luna come un fungo, anche se scritta quasi un anno dopo): cfr. RR 2, 1348. Rosanna Maggiore segnala un’informazione non registrata nella Nota al testo dei “Meridiani”: prima di confluire in Ti con zero, La molle Luna esce sul settimanale «La Fiera letteraria» del 27 gennaio ’66. Significative le varianti del testo in rivista, per cui rimando a MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 384-386: «immaginando la caduta della luna», Calvino «critica le certezze assolute della scienza, la superbia e la presunzione umana. Critica a tratti più evidente nella versione pubblicata in rivista» (386). Sulla prima pagina della «Fiera letteraria» si rinviene un disegno di Bruno Caruso ispirato alla cosmicomica in cui un uomo con un berretto (alla sua sinistra la scritta Qfwfq) dà le spalle a un telescopio e a una luna piena: il disegno è riprodotto in MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 387. 76 RR 2, 234 e 235. 77 Cfr. ivi, 235: «Dopo centinaia di migliaia di secoli cerchiamo di ridare alla Terra il suo aspetto naturale d’una volta, ricostruiamo la primitiva crosta terrestre di plastica e cemento e lamiera e vetro e smalto e pegamoide. Ma quanto siamo lontani. Per chissà quanto tempo ancora saremo condannati ad affondare nella deiezione lunare». 78 RR 2, 229 e 231. 79 Ivi, 229-230. E ancora: «mi fece senso» (228), «sentii passare un brivido» (ibidem), «disgustosamente molle» (233), «certo fa schifo anche a me» (234). Letteratura e scienze © Adi editore 2021 15 L’incrocio grottesco tra dimensione lunare e corporalità patologica, deformata, porta alle estreme conseguenze l’operazione di dissacrazione e profanamento avviata nella Distanza della Luna e nella Luna come un fungo,80 in cui però si respirava un’atmosfera meno cupa e opprimente. La molle Luna è attraversata da un basso continuo di «apprensione», «angoscia» e «ansia» suscitate proprio dall’approssimarsi della luna.81 All’inquietudine di Qfwfq si contrappone la calma della sua compagna, l’astronoma Sibyl, che esibisce «un atteggiamento di superiorità, se non addirittura di cinismo, come chi non si meraviglia mai di niente».82 In un’immaginaria competizione il cui scopo sia affermare la supremazia della terra sulla luna facendo di quest’ultima un satellite, Sibyl prende le ragioni della terra e tratta la luna con sussiego e disdegno: «Dimmi tu se può disgregarsi così, un corpo celeste? – insisteva Sibyl. – Ora ti renderai conto della superiorità del nostro pianeta. Luna venga pure sotto, venga: arriverà il momento in cui si ferma […] Luna potrà ringraziare noi, se non si spappola!».83 Nondimeno, quando è ormai stabilita la subalternità della luna, Sibyl ne è affascinata: «Non ti piace? Eppure, a vederla lì, così diversa, così lontana da ogni forma conosciuta, sapendo che è nostra, che la Terra l’ha catturata e la tiene lì, non so, a me piace, mi pare bella».84 Nel momento dell’impatto la bocca di Sibyl si apre «in un sorriso che non le avevo mai visto: un sorriso umido, un po’ animale».85 Come nella Distanza della Luna, il femminile è il comun denominatore tra Sibyl e la luna (a cui sono qua e là riferiti attributi vagamente sessuali),86 e non stupisce che sia posto sotto il segno dell’ambiguità e del perturbante. Con riferimento ironico all’attualità, in chiusura Qfwfq si interroga sulla convenienza di una missione spaziale per recuperare i materiali terrestri finiti sulla luna nel momento di massimo avvicinamento: I veri materiali, quelli d’allora, dicono che ormai si trovino soltanto sulla Luna, inutilizzati e alla rinfusa, e che solo per questo metterebbe conto d’andarci: per recuperarli. Io non vorrei far la parte di chi viene sempre a dire cose spiacevoli, ma la Luna sappiamo tutti in che stato è, esposta alle tempeste cosmiche, bucherellata, corrosa, logora. A andarci, avremmo solo la delusione d’apprendere che anche il nostro materiale d’allora – la grande ragione e prova della 80 Lampanti le riprese lessicali dalla Luna come un fungo quando La molle Luna ripropone la dinamica del distaccamento, questa volta della massa lunare: «Adesso ho usato la parola escrescenza per designare la Luna, ma devo subito ricorrere alla stessa parola per indicare la novità che scopersi in quel momento: cioè che un’escrescenza stava spuntando da quella Luna-escrescenza, e si stava protendendo verso la Terra come uno smoccolamento di candela»; poco oltre: «quello smoccolamento s’era ancora allungato verso la Terra, arricciolandosi in punta come un baffo, e poi assottigliando l’attaccatura come in un peduncolo, dandogli quasi l’aspetto d’un fungo» (ivi, 231 e 231-232; corsivo mio per indicare le riprese). 81 RR 2, 230 e 232. Pressoché assenti nella Molle Luna certe movenze ludico-giocose che si riscontravano nella Distanza della Luna e l’andamento leggero e divertito che si avvertiva specie nelle sequenze iniziali della Luna come un fungo. Il che naturalmente non significa che manchi nella Molle Luna lo stile comico inteso come contaminazione ingegnosa dei registri: si pensi alla «sospensione di dense gocce d’una pappa cremosa nell’aria» (ivi, 233), dove l’attacco quasi tecnico-scientifico contrasta con l’immagine legata al mondo dell’infanzia e della cucina; oppure allo «smoccolamento di candela», dove l’immagine derivata da una realtà minuta è utilizzata quasi come un tecnicismo. MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 385, n. 4, segnala che «Leopardi usa il verbo “smoccolare” in relazione alle stelle nel Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo». 82 RR 2, 230. 83 Ivi, 232. 84 Ivi, 230. 85 Ivi, 234. 86 Tra i particolari della prima grottesca descrizione lunare spicca una «foresta fitta come di pelo nero che sporgeva da uno strappo» (ivi, 230). Inoltre, verso la conclusione del racconto l’immersione di Qfwfq nella massa lunare è accompagnata da uno «stordimento caldo e mieloso» (ivi, 234). Letteratura e scienze © Adi editore 2021 16 superiorità terrestre – era roba scadente, di breve durata, che non serve più neanche da rottame.87 Un riferimento come questo ci ricorda che le cosmicomiche sono scritte in piena era spaziale. Nel ’59 la sonda russa Lunik II impatta per la prima volta la superficie lunare; pochi mesi dopo Lunik III trasmette le immagini della faccia nascosta della luna. Nel ’61 Yuri Gagarin è il primo uomo nello spazio. Otto anni dopo, il 21 luglio ’69 Neil Armstrong e Buzz Aldrin sbarcano sulla luna. In contemporanea alla scrittura cosmicomica, Calvino conduce su giornali e in interviste una riflessione articolata sul ruolo della luna per l’uomo e per la letteratura. Nel dicembre ’67, in particolare, risponde sul «Corriere della Sera» a una lettera di Anna Maria Ortese, la quale scriveva che la contemplazione dello spazio in quanto dimensione altra da quella quotidiana consola l’uomo delle brutture terrestri: le missioni spaziali, secondo la Ortese, avvicinano pericolosamente al nostro mondo il cosmo, minacciandone il mistero. Calvino ha tutt’altra idea. Nella replica, piuttosto nota, sostiene che affidare allo spazio una funzione consolatrice è una strumentalizzazione. I lanci spaziali rientrano nella storia della lotta per la supremazia del pianeta in quanto tentativo di dominio da parte delle nazioni progredite, ma la vera appropriazione dello spazio è un’altra: quella della conoscenza intesa come «uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole», come tentativo di «definizione d’un rapporto tra noi e l’universo extraumano».88 Una maggiore conoscenza dello spazio è quel che interessa davvero a Calvino e alla letteratura: «la luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono? Forse non ancora; ma il fatto che siamo obbligati a ripensare la luna in un modo nuovo ci porterà a ripensare in un modo nuovo tante cose».89 La «devozione lunare dei poeti» si spiega proprio in questi termini. La luna rappresenta una tensione a qualcosa di più: infatti «chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più».90 Infine, Calvino cita Galileo e Leopardi, e istituisce fra di loro un collegamento ricordando che «la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare».91 Nella replica si intravede una prima traccia di quella “linea lunare” della letteratura italiana di cui Calvino torna a parlare, pochi mesi dopo, nelle Due interviste su scienza e letteratura del ’68.92 Nella prima delle due in particolare Calvino torna su Galileo, illustrando gli straordinari effetti che la comparsa della luna 87 Ivi, 235. 88 La Ortese aveva scritto a Calvino nella rubrica Filo diretto, in cui scrittori si scambiano lettere aperte. La risposta di Calvino arriva sul «Corriere» del 24 dicembre ’67 e s’intitola Occhi al cielo (forse con ripresa del titolo dal breve racconto dell’ottobre ’57 La tribù con gli occhi al cielo, inedito vivente l’autore, ora in RR 3, 226- 228). Calvino la include nell’80 in Una pietra sopra con il nuovo molto significativo titolo Il rapporto con la luna; ora in S 1, 226-228: 227. 89 Ibidem (corsivo nel testo originale). Si noti che l’aggettivo bucherellato era già stato usato nella Molle Luna e torna all’inizio delle Figlie delle Luna (su cui a brevissimo), cosmicomica scritta poche settimane dopo la replica alla Ortese: «La Luna è vecchia, – assentì Qfwfq, – bucherellata, consumata» (RR 2, 1193). 90 S 1, 227 e 227-228 (corsivo nel testo originale). 91 Ivi, 228. Suscitando notevole scalpore, Calvino afferma anche che Galileo è «il più grande scrittore della letteratura italiana d’ogni secolo». Sulle polemiche seguenti a questa dichiarazione e più in generale sul rapporto Calvino-Galileo, cfr. BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, capp. VI Nascita di un nuovo canone e VII Calvino e Galileo: dal libro della natura agli alfabeti del mondo, 107-127 e 129-145. 92 Le Due interviste sono rilasciate per «L’Approdo letterario» del gennaio-marzo ’68 e per la rivista «Kolo» di Zagabria dell’ottobre ’68; Calvino le unisce in Una pietra sopra, inserendole subito dopo Il rapporto con la luna; ora in S 1, 229-237. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 17 determina nella sua scrittura. Anche questo è un passaggio noto, ma vale la pena riportarlo perché è qui istituito il nesso tra la «vocazione profonda» che contraddistingue la letteratura italiana e la luna: Leggendo Galileo mi piace cercare i passi in cui parla della Luna: è la prima volta che la Luna diventa per gli uomini un oggetto reale, che viene descritta minutamente come cosa tangibile, eppure appena la Luna compare, nel linguaggio di Galileo si sente una specie di rarefazione, di levitazione: ci s’innalza in un’incantata sospensione. Non per niente Galileo ammirò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu Ariosto […] L’ideale di sguardo sul mondo che guida anche il Galileo scienziato è nutrito di cultura letteraria. Tanto che possiamo segnare una linea Ariosto-Galileo-Leopardi come una delle più importanti linee di forza della nostra letteratura.93 Continuando nell’intervista, Calvino allarga il discorso e si sofferma sulla «vocazione profonda della letteratura italiana che passa da Dante a Galileo» e che accomuna Galileo ad Ariosto e Leopardi: quella che intende «l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere mosso da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria».94 Si tratta di una riflessione cruciale: nel giro di pochissimi mesi Calvino connette una seconda volta la luna e la «devozione lunare dei poeti» alla spinta conoscitiva che dovrebbe caratterizzare, secondo lui, la letteratura. 4. Nello stesso ’68 in cui rilascia le Due interviste su scienza e letteratura, Calvino lavora al quarto racconto lunare: Le figlie della Luna. Da ravvisare subito la distanza che separa questo testo dalle tre cosmicomiche viste finora, dove la situazione-base del racconto era ricavata, pur fantasiosamente, dall’ipotesi scientifica.95 Nelle Figlie delle Luna gli studi dell’austriaco Thomas Gold e dell’olandese (naturalizzato statunitense) Gerard Kuiper, secondo cui la superficie lunare sarebbe «porosa e leggera», non hanno nulla a che vedere con quanto succede nel racconto, ma offrono solo uno spunto sull’aspetto del satellite. Siamo a New York (come nella Molle Luna), in una società consumistica analoga alla nostra in cui non c’è posto per una luna logorata dallo scorrere del tempo: In questo mondo in cui ogni oggetto, al minimo accenno di guasto o invecchiamento, alla prima ammaccatura o macchiolina, veniva immediatamente buttato via e sostituito con un altro nuovo e impeccabile, c’era solo una stonatura, solo un’ombra: la Luna. Vagava per il cielo, spoglia tarlata e grigia, sempre più estranea al mondo di quaggiù, residuo d’un modo d’essere ormai incongruo.96 La luna è un monito angosciante che «ogni cosa nuova, ogni prodotto appena comprato poteva guastarsi sbiadire andare a male»,97 un avvertimento non richiesto che la nostra esistenza è destinata a finire. Se ne decide dunque la rimozione: un’immensa gru la trascina giù dal cielo in una discarica e la deposita in una rete d’acciaio. Mentre New York si trasforma per magia in una città vecchia e sporca, un corteo di misteriose fanciulle nude e di straccioni libera la luna e la scorta al ponte di 93 Ivi, 232. Il passaggio dell’intervista è da confrontare con il noto brano delle Lezioni americane riportato supra, 2, n. 7. 94 Ivi, 233. 95 Come segnalato in RR 2, 1462, la distanza è pure cronologica: La distanza della Luna, La Luna come un fungo e La molle Luna sono scritte a non più di un anno di distanza l’una dall’altra tra ’63-64 e ’65; Le figlie della Luna è steso a Parigi nel febbraio ’68, quasi tre anni dopo La molle Luna. Prima di comparire nella Memoria del mondo, il testo è anticipato sul numero di «Playmen» del maggio ’68 (II, 5, 21-25). 96 RR 2, 1194. 97 Ivi, 1195. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 18 Brooklyn.98 La luna si immerge nelle acque, da cui esce rigenerata: si allontana nel cielo portando con sé le fanciulle che l’avevano scortata al ponte. Il mare cominciò a vibrare d’onde che s’allargavano a cerchio. Al centro di questo cerchio apparve un’isola, crebbe come una montagna, come un emisfero, come un globo posato sull’acqua, anzi: sollevato sull’acqua, no: come una nuova Luna che sale in cielo. Dico una Luna sebbene non assomigliasse a una Luna più di quella che avevamo visto sprofondare poco prima: però questa nuova Luna aveva un modo tutto diverso d’essere diversa. Usciva dal mare sollevando uno strascico d’alghe verdi e scintillanti; zampilli d’acqua le sgorgavano da fontane incastonate tra i prati che le davano una lucentezza di smeraldo; una vegetazione vaporosa la ricopriva, ma più che di piante sembrava fatta di penne di pavone occhieggianti e cangianti.99 Giuseppe Sandrini definisce Le figlie della Luna «non un racconto cosmogonico ma un apologo surreale che anticipa il clima di certe Città invisibili, lasciando affiorare, nel contempo, trasparenti allusioni a una vicenda mitica».100 Da focalizzare è anche lo sguardo aspramente critico che Calvino riserva al presente. Come rimarca Rosanna Maggiore, «non manca un bersaglio satirico»: «Calvino prende infatti di mira la società del consumo; in particolare sembra riflettere sul rapporto che l’uomo stabilisce con le cose, sul nesso che lega coazione al nuovo e morte».101 Piuttosto trasparentemente la luna rimanda agli ultimi, agli esclusi, ai dimenticati. La palingenesi lunare suona allora come un riscatto: la luna che sta per essere buttata via perché ricorda agli uomini l’inevitabilità della morte sfugge con capovolgimento ironico alla propria fine. Se all’inizio del racconto la luna è un’immagine di alterità rispetto alla società capitalistica in cui «esseri pressappoco umani» cambiano automobili più frequentemente delle scarpe, in chiusura la luna rimarca la sua alterità rispetto alla provvisorietà temporale caratterizzante la condizione umana. Accede a questa alterità anche il femminile, che nel finale si sovrappone ancora una volta al lunare: come nella Distanza della Luna il satellite si allontana portando con sé la signora Vhd Vhd, così ora sulla «nuova Luna che sale in cielo» Qfwfq riconosce «Diana, finalmente tranquilla».102 Termina pertanto nel segno della perdita anche questa cosmicomica così anomala, in cui l’istanza satirica di Calvino informa una vicenda mitico-fantastica immersa in un’atmosfera di mistero surreale, metafisico, arricchendo di nuove valenze la già variegata stratificazione del simbolo lunare. Dopo gli anni Sessanta si registrano numerose altre ricorrenze lunari in testi di carattere narrativo, saggistico e vario (articoli, interviste, dichiarazioni). Rimandando al futuro i necessari approfondimenti e commenti, ne ricordo molto velocemente alcune in nota.103 Prima di concludere, 98 È questo il passaggio colto nell’illustrazione di Giuseppina Antonini che accompagna il racconto su «Playmen»: «Subito, come un aerostato liberato dagli ormeggi, la Luna si librò sopra le teste delle fanciulle, sopra la tribuna degli straccioni e rimase sospesa, trattenuta dalla rete d’acciaio di cui Diana e le compagne manovravano i fili, ora tirandoli, ora lasciandoli andare, e quando esse presero tutte insieme la corsa reggendo i capi dei fili, la Luna le seguì» (RR 2, 1201-1202). L’illustrazione è riprodotta in MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 390. 99 RR 2, 1204. 100 SANDRINI, Le avventure della luna…, 66-73: 66, cui rimando per un’analisi puntuale e attenta a possibili fonti. 101 MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 389. 102 RR 2, 1205. 103 Nel ’70 esce l’ampliamento dell’«Orlando furioso» raccontato da Italo Calvino (già uscito per le Edizioni Rai nel ’67), in cui spicca la narrazione in prosa della spedizione di Astolfo: vedi «Orlando Furioso» di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino. Con una scelta del poema, Torino, Einaudi, 1970, 169-171. Il passo può accostarsi alla più nota Storia di Astolfo sulla Luna (dal Castello dei destini incrociati), in cui la luna è definita un «deserto», un «orizzonte vuoto»: vedi RR 2, 533-537: 536 e 537 (la carta della Luna compare già in Storia dell’Orlando pazzo per amore: vedi RR 2, 527-532: 530-531). Nel ’70 Calvino riprende le Fiabe del focolare dei fratelli Grimm (già uscite per Einaudi nel ’51), riducendone il numero e accompagnando alla raccolta un’interessante Prefazione, in cui Letteratura e scienze © Adi editore 2021 19 mi soffermo su un brano da Palomar (’83): Luna di pomeriggio. Realizzata appositamente per il volume nel dicembre ’82,104 questa prosa è il resoconto di un’osservazione della luna, colta nella trasformazione da «ombra biancastra» appena visibile di pomeriggio a «lago di lucentezza che sprizza raggi tutt’intorno» di notte. Questo l’attacco: La luna di pomeriggio nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. È un’ombra biancastra che affiora dall’azzurro intenso del cielo, carico di luce solare; chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza? È così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste. È come un’ostia trasparente, o una pastiglia mezzo dissolta; solo che qui il cerchio bianco non si sta disfacendo ma condensando, aggregandosi a spese delle macchie e ombre grigiazzurre che non si capisce se appartengano alla geografia lunare o siano sbavature del cielo che ancora intridono il satellite poroso come una spugna.105 Condotta con rigore e algida eleganza, la descrizione risponde a un’istanza di precisione microanalitica, facendosi come sempre in Palomar pensosa e meditativa.106 Il pomeriggio è una fase liminale per la luna, il cui graduale manifestarsi è accompagnato da una martellante interrogazione: «chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza?». Si rimarca così l’evanescenza, la delicatezza-fragilità della luna pomeridiana, cui si guarda, specie in apertura, con tenera malinconia. La metamorfosi lunare è un processo insieme inafferrabile e ineffabile, in cui la luna è per gran parte un’assenza-presenza. Come già nella Luna come un fungo e in altre cosmicomiche, la luna pone il problema dell’identità e della possibilità di definizione del reale, rimandando più in generale a una tensione tra caos e ordine, se non tra non-essere ed essere. Il mistero dell’apparizione lunare richiama dunque il mistero della realtà in cui siamo calati. Con il procedere del brano, il registro si alza ulteriormente fino al picco lirico raggiunto nella metafora della luna-lago, subito smorzato da un brevissimo congedo di sapore ironico in cui si riprende l’attacco con ringkomposition:107 conclude che «la storia più bella del libro […] è La Luna» (S 2, 1566-1577: 1577; La Luna si legge in J. e W. Grimm, Fiabe. Scelte e presentate da Italo Calvino, trad. it. di C. Bovero, Torino, Einaudi, 1970: 399-400). La fiaba, che racconta di quattro fratelli che rubano il satellite e si spartiscono un quarto di luna a testa da portare nella tomba, è tradotta dal tedesco anche da Tommaso Landolfi per l’antologia Germanica curata da Leone Traverso (Bompiani 1942). Si tenga conto che nell’82 Calvino cura per Rizzoli Le più belle pagine di Tommaso Landolfi, collocando al primo posto l’apologo fantastico Racconto del lupo mannaro, dove due licantropi cercano senza successo di catturare la luna responsabile della loro trasformazione. Per Landolfi scrittore lunare (anche in relazione a Calvino) cfr. SANDRINI, Le avventure della luna…, 159-195. Tornando alla luna in Calvino, merita una menzione particolare la poco nota fiaba teatrale L’ussaro e la luna del ’77 scritta per i bozzetti di Toti Scialoja, in cui la luna ha un ruolo di primo piano nel condurre la vicenda d’amore di Casimiro e della cameriera-principessa Consuelo a un lieto fine. Per il progetto di collaborazione con Toti Scialoja cfr. N. ROSSO, «Il teatro dei ventagli» come rappresentazione dell’immaginario orientale di Calvino, «Between», I (novembre 2011), 2, https://doi.org/10.13125/2039-6597/294. 104 Luna di pomeriggio è inserita in prima posizione in un trittico dedicato all’astronomia comprendente anche L’occhio e i pianeti e La contemplazione delle stelle e complessivamente intitolato Palomar guarda il cielo: vedi RR 2, 901-913: 901-903. 105 Ivi, 901. 106 Risponde alla necessità di registrare la realtà in modo esatto anche lo stilema della correctio – «vera e propria sphraghìs dello stile calviniano» (MENGALDO, Aspetti della lingua…, 279) – attestata nel campione testuale qui trascritto in una vasta gamme di forme: alternative («è come un’ostia trasparente, o una pastiglia mezzo dissolta»), attenuative («solo che qui il cerchio bianco non si sta disfacendo ma condensando») e dubitative («macchie e ombre grigiazzurre che non si capisce se appartengano alla geografia lunare»). 107 Non si trascuri però che nel resto del brano l’inserzione di immagini prelevate da una realtà prosaica e persino triviale determina frequenti abbassamenti tonali: sono tratti da una realtà minuta, per esempio, il Letteratura e scienze © Adi editore 2021 20 Corre la nuvola, da grigia si fa lattiginosa e lucida, il cielo dietro è diventato nero, è notte, le stelle si sono accese, la luna è un grande specchio abbagliante che vola. Chi riconoscerebbe in lei quella di qualche ora fa? Ora è un lago di lucentezza che sprizza raggi tutt’intorno e trabocca nel buio un alone di freddo argento e inonda di luce bianca le strade dei nottambuli. Non c’è dubbio che quella che ora comincia è una splendida notte di plenilunio d’inverno. A questo punto, assicuratosi che la luna non ha più bisogno di lui, il signor Palomar torna a casa.108 L’osservazione-descrizione iniziata nel pomeriggio quando la luna «avrebbe più bisogno del nostro interessamento» termina solo quando, «assicuratosi che la luna non ha più bisogno di lui, il signor Palomar torna a casa». Quindici anni dopo Le figlie della Luna, in Palomar la luna torna a essere protagonista. Grande è però la differenza dalle lune cosmicomiche, colte, sotto il segno del grottesco, mentre si allontanano (o si avvicinano, per poi nuovamente allontanarsi) dalla terra. Anche se in Palomar la luna è descritta il più minuziosamente possibile e senza cadere in generiche astrazioni, Calvino non rinuncia affatto ad aperture liriche in cui se ne afferri la bellezza, prima ritrosa e delicata, poi nel finale accecante. La contaminazione tra registri è probabilmente anche in linea con questa doppia esigenza: da un lato rappresentare la luna in termini forse più tradizionali, come una dimensione altra, distinta da quella terrena; dall’altro dare della luna una descrizione che tenga il più possibile conto della materialità-fisicità del satellite. Come rimarca Rosanna Maggiore, la luna diventa così il luogo privilegiato per la ricerca di «una sintesi tra vaghezza e precisione».109 È da questa sintesi, di cui il brano di Palomar rappresenta un eccellente esempio, che deriva un’immagine di ambigua magnificenza, sospesa tra volontà di comprensione e desiderio di abbandono al mistero. 5. Mi avvio verso la fine di questo intervento cercando di tirare le somme. Un primo punto riguarda l’ampia diffusione del tema lunare che mi ero proposto di esplorare in Calvino. Pur attestate anche nei testi giovanili, le ricorrenze del tema si addensano e caricano di nuovi significati durante e dopo la svolta degli anni Sessanta. La luna non è più soltanto una presenza silenziosa alla cui luce si svolgono le avventure notturne dei protagonisti dei libri di Calvino, ma nelle cosmicomiche è portata al centro del racconto e dell’attenzione dei lettori. La sua immagine – guardata di volta in volta con stupore e ammirazione, disgusto e preoccupazione, amore e desiderio, ma soprattutto malinconia – rimanda ad alcuni temi-chiave come il rapporto con il femminile, la distanza come prospettiva privilegiata di osservazione, la possibilità o meno di definizione delle cose, il mistero della realtà. È negli anni Sessanta che alla luna si associa inoltre un discorso sulla conoscenza come la forma di acquisizione più autentica. riferimento alle «figurine delle lune sui calendari» e l’assimilazione del processo di assorbimento della luce solare da parte della luna a un risucchio «nella tonda bocca» di un imbuto (RR 2, 901 e 902). Questo tipo di accostamenti contrastivi deriva naturalmente dalle cosmicomiche, dove l’apertura linguistica è massima. L’immagine del «satellite poroso come una spugna» è direttamente prelevata dalla cosmicomica Senza colori: «quel giorno correvo per un anfiteatro di rocce porose come spugne» (RR 2, 124-134: 125). In quella stessa sede il grigiore della crosta terrestre in fase pre-atmosferica rimanda al suolo lunare: «Prima di formarsi la sua atmosfera e i suoi oceani, la Terra doveva avere l’aspetto d’una palla grigia roteante nello spazio. Come ora è la Luna: là dove i raggi ultravioletti irradiati dal Sole arrivano senza schermi, i colori sono distrutti; per questo le rocce della superficie lunare, anziché colorate come quelle terrestri, sono d’un grigio morto e uniforme» (ivi, 124). Calvino riprende così un paragone che era già nel Sentiero dei nidi di ragno e in Ultimo viene il corvo: cfr. supra, 2-3, n. 11. 108 RR 2, 903. 109 MAGGIORE, Calvino, Leopardi e la luna…, 395. Letteratura e scienze © Adi editore 2021 21 La conquista della luna, come esplicitamente affermato nella replica all’Ortese, apre nuove dimensioni da acquisire all’immaginazione umana. Questo compito di assimilazione e rielaborazione spetta proprio alla letteratura, secondo la particolare concezione che ne ha Calvino. L’idea della letteratura come conoscenza e «filosofia naturale», il ménage à trois tra letteratura, filosofia e scienza, il progetto, infine, di una «letteratura cosmica» poggiano tutti su quello che Calvino va definendo in più occasioni come un «nuovo canone»,110 la cui massima rappresentanza trova compimento nella triade Ariosto-Galileo-Leopardi. Questi tre autori – richiamati da Calvino in una rete di rimandi complessa e ricchissima a cui ho solo accennato nei testi presi in esame – sono tenuti insieme, tra le altre cose, dalla comune «devozione lunare» e dagli straordinari effetti che la comparsa della luna provoca nelle loro opere: la luna «ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo», scrive Calvino nelle Lezioni americane, e «il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare».111 Massimo Rizzante ha messo in rilievo che la nozione di «leggerezza» cui è dedicata una delle Lezioni risponde a «una necessità non solo artistica» ma anche «antropologica». La luna, metafora di questa leggerezza, rimanda a un atteggiamento esistenziale improntato a un’accettazione consapevole della difficoltà della vita.112 Non si può però tralasciare che da questo punto di vista è una metafora controversa e pericolosa poiché alla leggerezza del satellite che si libra in cielo, come nella Luna come un fungo, fa da contraltare la gravità del corpo fisico, del «macigno di grandezza smisurata», per la prima volta calpestato dall’uomo proprio negli anni Sessanta. Non bisogna dimenticare che in piena era spaziale la luna è agli occhi di Calvino e di ogni altro osservatore un oggetto di riflessione e contesa molto presente e attuale. Non a caso, l’interesse per il satellite e le sue sorti tiene insieme non soltanto gli scrittori del «canone» caro a Calvino di cui si è detto prima, ma anche gli ispiratori della svolta degli anni Sessanta e del progetto della «letteratura cosmica»: de Santillana e Queneau, entrambi a loro modo autori lunari. Ricordando che lo sguardo quotidiano che l’uomo getta sul sole e sulla luna è «la più elementare forma di osservazione astrale», il modo più facile per entrare in contatto, cioè, con l’universo, Fabio Rota commenta che «la luna è stata con ogni evidenza il primo oggetto dell’osservazione astrale umana, archetipo di ogni rotondità siderea».113 Nel periodo così complesso per Calvino degli anni Sessanta – periodo aperto a nuove suggestioni e fluido in termini di letture, riflessioni e ricerca di coordinate e significati, periodo di riconsiderazioni e riassestamenti – Calvino ha forse bisogno non soltanto di maestri da seguire e direzioni verso cui orientare il proprio lavoro, ma anche di immagini-guida, di nuove immaginisimbolo. In questo contesto la luna può diventare un emblema della nuova fase verso cui Calvino muove con le Cosmicomiche del ’65 e di un nuovo modo di vedere la letteratura, la vita e il ruolo della letteratura nella vita: un’immagine magnifica ed enigmatica a cui viene dato il compito di rappresentare con luminosa vividezza il pensiero dello scrittore e in ultima analisi lo scrittore stesso. Torno, in conclusione, alle parole della Ginzburg con cui si è aperto questo intervento: «Si è alzata nel suo scrivere una luce diversa, una luce non più radiosa ma bianca, non fredda ma totalmente deserta». Sembra naturale concordare con la Ginzburg che questa è la luce della luna. 110 Per cui rimando ancora una volta a BUCCIANTINI, Italo Calvino e la scienza…, 107-127. 111 S 1, 651-652. Cfr. anche supra, 2, n. 7 e 16, n. 92. 112 RIZZANTE, Calvino e la luna…, 302. 113 ROTA, La sfera e la luna…, 132 e 157.