CANTO II I Car; í o sex ;>, ove tratta come Beatrice e l'auttore pervegno-no al cielo de la Luna, aprendo la veritade de l'ombra ch'appa-re in essa; e qui comincia questa terza parte de la Commedia quanto al proprio dire.] O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi ďascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, 3 1-18. L'attacco del canto ÍI ě come una seconda protasi alia can-rka, svolta in forma di ammonimento ai lettori. Da un altro punto di vista, ritorna il tema della sublimitä del Paradiso. Nel primo canto si indicava il nuovo alto argomento e s'invocava 1'aiuto di Apollo, ma ora quello che viene in primo piano e l'assoluta novitä e arditezza della grande impress del poeta. In questo viaggio non tutti, egli av-verte, potranno seguirlo. L'accento ě solenne e commosso, proprio delTuomo che, all'ultimo tempo della vita, si awentura neÜa sfida estrema di ra£figurare in parole poetiche - cíoě umane - 1'esperienza del mondo divino. ■ 1-3.0 voi che siete...: o voi che avete seguito fin qui, con la pic-cola barca della vostra umana sapienza, la nave della mía poesia... La tfietafora dell'opera poetica come viaggio per mare ě giä all'ini-zio del Vurgatorio. Dante qui la riprende con diverso accento: non piú la navicella del'irtgegno, ma un legno che cantando varca, una gloriosa nave che sí avvia a solcare l'aperto e profondo oceano (il peiago del v, 5, Yalto sale del v. 13). Chi l'ha seguito fin qui con una : piccola irnbarcazione non poträ ora proseguire. Come subito si díra, s'intende per piccioletta barca l'attitudine naturale delTintel-letto lion coltivata dalla sapienza divina. Quella bastava per le prime due cantiche, che si svolgono nei limid della natura e della ra- ' rgione umana. Non basta per Tultima, che riferisce di un'esperienza . dtraumana. -dete... seguiti: l'uso dell'ausiliare essere e del latino: secuti estis. '■■ -cantando: con il mezzo della poesia. Questo ultimo verso propone una grande e ardita immagine. E il lettore non puö non ricor-dare un'altra nave che tento ugualmente l'oceano, ma che fece ; :fliufragio: quella di Ulisse, nel canto XXVI deU'Iw/erao. Per il ri-mando, che incardína la storia di Dante su quella di Ulisse, o nie- 52 ParadňoII 4-10 Paradiso II 11-14 53 tomate a riveder li vosíri liti: non vi mettete in pelago, ché forse, | perdendo me, rimarreste smarriti. í| L'acqua ch'io prendo giä mai non si corse; Minerva spira, e conducemi Appollo, e nove Muse mi dřmostran 1'Orse. i Voialtri pochi che drizzaste il collo | 4. vostri liti: le sponde da cui siete partiti, . | 5. pelago: indica il maře aperto, 1'oceano; quasi fmora avessero veleggiato in un mare chíuso, in acque lirnitate. E anche qui to\-?.i _ il rícordo del viaggio infernale: ma misi me per I'alto mare ape>;it (Inf. XXVI 100). 6. perdendo me: perdendo di vista la rnia nave, non potendop:i teňerle dietro con le vostre piccole barche. 7. L'acqua ch'io prendo: nel grande verso, ehe dice infine ciö ňt i primi sei preannunciavano, quasi preparavano, ě racchiusa ia av.i; sapevolezza profonda del poeta e dell'uomo — le due realtä sóco| qui inseparabili - che affronta un'impresa mai tentata prima Ic. possiamo aggiungere oggi, non piu tentata dopo di lui). Sulla tin;-; citä di questa impress poetica si veda quanto si ě detto nella Intro ' duzione al canto, 8-9. Minerva spira..,: a questa navigazíone cosi eccezionale co::, corrono tutti gli aiuti, e al massimo livello, aiuti di cui Dante qui si fa jj certo (non piü richiesti, come a 113 sgg., ma dati come ormai acquiá-ti): Minerva, vale a dire la sapienza; Apollo, ťíspirazione poetica; t rutte e nove le Muse, che rappresentano 1'arte, la tecnica delTuojno; Sapienza poesia e arte sono dunque compresenti in quest'opera.. Dante ce lo dice in modo esplicito, e noi dobbiamo teneme conto questo ě il lavoro msieme di un sapiente, di un poeta ispirato e dm\ artefice che conosce tutti i segreti del mestiere. Tuttavia se Apoll;)! tiene il timone, e le Muse sndicano la strada, ě Minerva che gonfkx vele di questa nave: la poesia si fa cioě strumento della sapienzai !>.. quale sapienza si tratti, sarä detto nei versi che seguono. Tutta queítíj terzina ě dettata, scandita, con un'assoluta sicurezza. In essa ě wr-chiuso il senso della seconds protasi alia cantica: la novita estteir,*; dell'impresa, e l'alta coscienza dell'uomo che la compie di poter:!! realizzare. 10-1. Voialtripocbi...: non possono essere che pochi coloroi;^ si dedicano fin da giovani {per tempo), percbé ne sono attrattt.s quella sapienza celeste che ě il cibo degli angeli. Loro soltanto po- per tempo al pan de li angeli, del quale vivesi qui ma non sen vien satollo, 12 meiter potete ben per l'alto sale vostro navigio, servando mio solco sempře sono stati pocht quelli che ťhanno compreso e amato. E molti quelli che, non ascoltando if suo ammonimento, vi hanno fat-to naufragío. Ai moderní lettort, che non vogliano rimmciare a in-toidere questa grande opera, che siano cioě desiderosi d'ascoltar, rod si puö che chiedere di istruirsi in qualche mqdo su quella sapienza di cui essa si voile far voce. 11. pan de li angeli: l'espressione ě scritturale: «panem angeío-tum manducavit homo» {Ps. 77, 25; Sap. 16, 20 ecc.) e fu interpreta dalla tradizione eristiana come significante il Cristo, che «co-me Vcrbo ě pane degli angeli in cielo, e in quanto incarnato ě pane dégli uomini in terra» (cfr. Quaglio, Appendice, pp. 554-5). Dante lötende qui evidentemente la dívina sapienza, che era appunto idetitificata con il Verbo, e della quale gli angeli godono eterna-mente in cielo. All'inizio del Convivio Dante usa la stessa espres-üone per il cibo che egli vuole ímbandire nella sua opera, cibo di íuí pochi possono nutrirsí (I, I 6-7). Ma nel trattato la scienza ě an-coía la filosofia, nella quale non si distingue tra le due conoscenze, naturale e soprannaturale, umana e dívina (quelli che saranno poi i ťlue diversi moli dí Vírgilio e Beatrice nel poema). Qui nel Paradiso il pane degli angeli ě appunto la sapienza dívina, che solo gli angeli jjDssiedono perfettamente e che all'uomo ě concessa, finché vive iulla terra, in forma solo imperfetta. L'espressione drizzaste il collo , íadica ií levare alto il capo, verso un oggetto posto al di sopra, quale ě la sapienza celeste. .... 12. vivesi qui: qui, cioě nel mondo, Tuomo se ne nutre, ma non aniva mai a saziarsene. E questo il terna, centrale per Dante, delTim-spassifoilkä per la ragione di raggiungere la perfetta conoscenza delle supreme realtä, conoscenza che pur l'uomo desídera di avere. Giä posto nel Convivio^ e rísolto allora in modo insoddisfacente, con Faífermazíone cioě che in realtä l'uomo non ha tale desiderío (HI, XV 6-10, affermazione peraltro contraddetta a IV, XXH 13 -8), il pro-Ékma ě ripreso ben díversamente nel poema, dove solo la sapienza fävelata (Beatrice) puö esaudire quella domanda (cfr. Purg. XXI1-3 : efiDta),ma non in modo completo. Soltanto nelTakra vita infatti, ol-trelamorte, 1'uomo raggíunge quella perfetta visione delle realtä ul-time edivine che costituisce la sua beatitudine. Si confront! la stessa 'Jftetafora, del cibo e della sazietä, a XXIV 1-3. 54 ParadisoII 15-20 Paredisoll 21-24 55 dinanzi a l'acqua che ritorna equale. Que' gloriosi che passaro al Colco non s'ammiraron come voi farete, 1 quando Iasón vider fatto bifolco. :■ La concreata e perpetiia sete :| del deiforme regno cen portava | servando», cioě sempre seguendo, la scia della mia nave, prima che l'acqua si riunisca livellandosí e tornando piana. Per il significatfl| non consueto del verbo servare, si confront! il «servet vestigia» & Virgilio, Aen. II 711. 15. che ritorna equals: si confront! ancora Inf. XXVI142. 16-8. Que' gloriosi...: glí Argonauti, che per primi sokaronol mare verso la Colchide per impadronirsi del vello d'oro, non si stof pirono quanto accadrá a voi, nel vedere Giasone, il loro re, ararel' campo alia guida del due mitici buoi. II mito narrava che Giasone; giunto nella Colchide, dovette sostenere durissime prove per otit-nere il vello d'oro, tra le quali domare due buoí spiranti fiammej dai piedi di bronzo e dalle corna dí ferro, e arare con essi un cm' po dove poi avrebbe seminato denti di serpente (Ovidio, Met, VII 104 sgg.). Non ě chiaro su cosa precísametite verta la similitudint ■ Per Benvenuto e altri con lui il paragone ě tra It due imprese ecce-: zíonali, e il v. 18 vuol solo indicare, con un particolare per il tuttfl; l'awentura degli Argonauti in genere. Per il Buti s'intende invecr, la trasformazione del poeta laico in maestro di teologia. Ma seij viaggio che ora la nave di Dante intraprende ě simile a quellů i Argo (I'una e l'altra infatti sokano un'acqua mai percorsa), il pstt gone fra Dante e Giasone, i due naviganti alia conquista del veh; d'oro, sará nella difficoltá delle prove da ambedue superate peroi-' tenerlo: il domare i buoi, Parare il terreno, sará per il poeta la loti;; con le parole per narrare un cosi sublime oggetto. Lo stuporeťfe| lettori che lo seguiranno sará, come e piú che per i compagal <íi Giasone, nel vedere il supremo sforzo compiuto dalla mente;1 dall'arte per dominare una simile materia. 19. La concreata...: 1'ardente desiderio creato insieme all'aniflia, in lei connaturato, e perpetuo, doe. mai saziato, del regno divine, del paradiso. 20. deiforme: fatto a somiglianza di Dio: perché vi abitano anp-lí e beati, in tutto simili a Dio per grazia (cfr. S. T. I, q. 12 a. 5, dow ě ancbe il termine usato da Dante: «et secundum hoc lumen [gíí-tiae] beati efficiuntur deiformes, idest Deo similes»). S'intende : veloci quasi come '1 ciel vedete. Beatrice in suso, e io in lei guardava; e forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava, 21 24 A 1, 1', tm (1114 e 125). Ma nuova e potente e la definizione data nel pri-mo verso, dove i due aggettivi, pregnanti nel significato ed estesi nella durata sillabica, sostanziano fortemente quella sete che e il team conduttore di tutta la salita dantesca. -cmportava: l'imperfetto dice un'azione che sta gia accadendo: i duesono gia in volo da quando li abbiamo lasciati nel primo canto. . Per.l'uso pleonastico del ne, cfr. 1125 e nota. 21. came 7 ciel...: come voi vedete ruotare il cielo; s'intende del aelo:stellato, il cui movirnento e il piu veloce tra quelli misurati da-gli uomini. Il verbo vedere non pud owiamente riferirsi alia vista scnsibile (1'occhio non percepisce il ruotare dei cieli), ma a cio che la saenza umana riesce a «vedere» con la mente, cioe a compren- ■ dere. II paragone vuol dare Tidea di una velocita straordinaria, su-jjeriore a quella sperimentabile sulla terra; e muovendosi Dante e Beatrice verso il cielo, e ben conveniente, poeticamente, farli quasi simili a corpi celesti, 22. Beatrice in suso...: e l'atto gia descritto a I 64-6; l'azione ri-pjsnde; dopo la protasi posta come un intervallo, un «a parte» del narratore, la dove era rimasta interrotta. . 23-4. e forse in tanto...: e forse nello stesso tempo {in tanto) nel quale una freccia si stacca dall'arco, vola, e tocca il bersaglio... L'azione e descritta in senso inverso, a cominciare dalla sua fine; ps&{ cioe si ferma all'arrivo, vola, percorre lo spazio intermedio, si imhiava, cioe si spicca, si libera, dalla noce, «il dischetto posto sul ftisto dell'arco che serve a trattenere la corda quando h tesa» (cfr. kdntra, in EI V, p. 961). E un esempio di hysteron proteron, la fi-gura retorica per cui si presenta un'azione dicendo prima quello ehe nella realta awiene dopo. L'efferto ottenuto e di una fulminea rapidka; per cui gia si e giunti {giunto mi vidi: v. 25) prima ancora ■ direndersi conto di essere partiti (si veda un uso analogo di questa -figun a XXII109-11). «sidischiava: il verbo, meglio che genericamente «dischiodarsi», Wtsk in senso specifico, come derivato cioe dalla terminologia tec-fika delTarco, alia quale appartiene anche la noce: la «chiave» o .*manetta» era infatti nella balestra quel dispositivo (una specie di glMetto) tirando il quale si abbassava la noce allentando cosi d'un iwttola corda che lasciava partire la freccia (cfr. EI, loc. at). Que- IiUSn.jflf1!.ff^rmini tf*m'\r*\ r\mi^ri At ncn x J^l .—•-- - - - . ; i'í 1 £Ä'4 ■' CANTO XXIII ^íCs vi.s ,'ÍXIII, dove si tratta come ľauttore vide la Beáta Virei-"'■^Ät-V-ä'.ieli abitatori de la celestíale corte, de la quale mirabi- !j sifcneiiU'favella in questo canto; e qui si prende la nona parte di f^-siľ-erza cantica.] : l->: ■ ■ Come l'augello, intra l'amate fronde, if: pw'Q al nido de' suoi dolci nati iaiwtte che le cose ci nasconde, .■■die, per veder lí aspetti disíati fper trovar lo cibo onde li pasca, HL p-jp, :La-dolce e grande similitudine ehe apre ií canto segna il ÉÉbtotra i cieli delia storia e i cieli delľeterno che awiene in ipeiúogo delia cantica. Dopo lo sguardo verso il basso rivolto ÉÉšedelcanto precedente, questo ardente guardare verso ľalto, vť'| j^rspantiJ'aurora divina, indíca con siíenziosa evidenza il cam-^ádixnensione. Con profonda intuizione poetica e teologica, ^eaffida questo compito a una figura umile, senza appariscen-iecolo uccello tra i rami delľalbero, che con amoře materie il sole per poter sfamare i suoi piecoli. Ma quelľimma-re, affettuosa, racehiude nel suo alto lirismo un intenso mistíco che solo dä ragione di ogni suo tratto, come il sne con Beatrice apertamente dichiara. , Come l'augello...: come ľuccello, che durante la notte é sta-|||ÍÉäGtQ al nido dei suoi figlioletti racehiuso tra le fronde delľal--amate, perché ospítano il suo nido. Gialcuni spiegano: «avendo ríposato», ma il complemento Ifegue ú fa preferire pei questo verbo il senso di «stare», «star pÓ&(come a XXXII 130), che píú convíene aU'affettuosa pre-■ S Pämatema di questo uccello. ■\mtíe...: c compl. di tempo dipendente da posato: la determi-■: pxméit segue non ě esornativa, come in Vírgiiío («nox abstulit :mš^0ľtm»:Aen. VI272), ma éin funzione di quel che segue: di v pííiccello non puô vedere i suoi piecoli, e per questo sospira píhe gli scoprírä di nuovo i loro aspetti. Si noti ľassoluta sem-tea di questo terzo verso, il suo spoglio candore, che ritrova ppodelle originarie definizíoni omeriche, quali «il mare che ||o'rjsuona», o «l'aurora dalle dita rosate», e simili. 632 Paradiso XXIII 6-15 in che gravi labor li sono aggratí, previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; cosi la donna mi'a stava eretta e attenta, rivolta inver' la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: si che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual ě quei che dis'iando altro vorria, e sperando s'appaga. Paradiso XXIII 16-24 gíMápoco řu tra uno e altro quando, Míitíio attender, dico, e del vedere ^iÉlyenir piú e piú rischiarando; : čBeatrice disse: «Ecco le schiere IMiíaunfo di Cristo e tutto *1 frutto :o del girar di queste spere!». y Pariemi che '1 suo viso ardesse tutto, ! l-™iVč|ŠEchí avea di letizia si pieni, sarmen convien sanza costrutto. 633 ... 18 21 24 , diiaVerk. II vedere Beatrice in tale fervente attesa gli fa insie-' Jsiiferare l'evento che lei aspetta e rallegrarsi nella certezza di anticipa il tempo (del sorgere del giorno), recandosi sinm H'^:^jw:i:picssto esaudito. aperto {dot dove le foglie non impediscano la vista) ancor jiife jfft Ufcpoco fu...: ma poco tempo intercorse tra l'uno e 1'altro che albeggi, e aspetta il sole tutto ardente di amore, guardafofofe-; ^tttoiqmndo e awerbio sostantivato e sta per «tempo», come so, continuando a guardare (e il pur contkiuativo) che spuiiti&n^ *osi/pet «luogo» e come per «modo», secondo l'uso filosofi-mente l'alba... Tutti gli atti del piccolo uccello sono subito*^ ■sddJjßnoscolastico; cfr. XXI46; XXIX 12 ecc). portando in se l'intensitä affettiva propria deU'animo umw^H )::V\Mmo attender,,.: tra ilmomento in cui attendevo e il mo-aspetti disiati, Yardente affetto, il fiso guardando, sono:.ie»röwft^ ^ofeui vidi; appena si era messo in attesa, che giä vide... che evidentemente oltrepassano la realtä a cui sono■säfcrifei^Sl.**1 #$'i?JMa rischiarando: il cielo si rischiara progressivamente, quell'uccello in attesa e in realtä figurato Ü cuore deE!?üfim(t,^^.^)'bffie accade all'alba, quelTalba che l'uccello attendeva sul dalla notte del mondo guarda pieno di speranza alia lue« 7; Nulla di questo nella simile immagine di Lattanzio (Deatärtwk$ \:;3>$.:Ecco k schiere...: eeco stanno arrivando le schiere dei ce 39-41) qui comunemente citata. da Cristo. Tesercito del suo vittorioso trionfo. Cristo e pre- 6, gravi labor, il latinismo labor per «fatica» (anche a P«rg/XXjlH ^[ii^me-un generale vittorioso preceduto dalle sue milizie, se-8) sembra qui suggeritoda Virgilio: «gravis... labores» [Aen WS") i-itfi)leostume del trionfo romäno (cfr. VI 52; Purg. XXVI77). - aggrati: graditi; aggettivo derivato dalla locuzione awttbial^ Ädella guerra e della vittoria, racchiusa nell'espressione tradi-grato (cfr. XXI22). Si cfr. Agostino, De bono viduitatis, p. imif di «Chiesa trionfante» (si cfr. i w. 106-7 e 131 del canto eo quod arnatur, aut non laboratur, aut et labor amatur». ^"ftdiifK), si fa qui figura concreta. 10-2. cosila donna mia...: con lo stesso ardore di attesaBtatßCF:] .f§t\,e-iutto 'lfrutto...: ed eeco tutto il frutto che e stato raccol-stava eretta e attenta (il ptimo termine indica Tatto estetiörc, f&f.\ V^are dei cieli (che con le loro influenze hanno come semi-condo quello interiors), rivolta verso quella parte del:cielo d&tt^ ^Vlebuone disposizioni negli animi). Le influenze celesti sono sole sembra muoversi piü lentamente, cioe verso lo z^iit.^aiisaüpreindirizzate prowidenzialmente albene (cfr, VIII97-guarda dunque verso l'alto, con una concentrata tensions; ■ $bui&l libero arbitrio dell'uomo accogüerle o rifiutarle, e i bea- 13. sospesa e vaga: tutta assorta e desiderosa. La nuova:Ecip]iii|f;;] ^fäeUi che le hanno appunto sapute coltivare. E poiche il aggetüvi esprime il senso intimo dell'atteggiamento di Beatrice.^ jjjSKiyD.dove of a ci troviamo, e quello che distribuisce a tutti i giä pervadeva la figura iniziale dell'uccello in attesa. Cfcä^