• Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto o M a ? C > > 4>) 8% DD 0ABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria PI != Jj /219 4 • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os £ <5> 4>) 8% DD 0ABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria II sacrilegio Domenico Molo, di dodici anni, figlio del ricco industriale, sedeva nella chiesa, di fianco a un confessionale, preparandosi a dire i suoi peccati. Era un tepido pomeriggio di primavera e il tempio appariva quasi deserto. L'indomani, per Domenico, sarebbe stato un grande giorno: la prima Comunione. Oltre alla poetica letizia del rito che lui, cosi piccolo, solo confusamente awertiva, ci sarebbero stati molti regali, una piccola festa in casa. Una giornata di pura felicitá, senza pensieri di scuola e di compiti. Anche la confessione, a cui si accingeva, non gli dava, come le prime volte, la tormentosa sensazione di affrontare un difficile esame. I suoi peccati, dall'epoca della Cresima, due anni prima, erano sempre gli stessi e don Paolo oramai li conosceva a memoria. Cosi Domenico pregustava in un certo modo quel senso di misteriosa leggerezza che seguiva ogni volta l'assoluzione dei peccati e intanto sfogliava distrattamente il suo nuovo libro da messa, dono di un parente. Don Paolo stava ancora ascoltando, dietro la grata, le colpe della signora Rop, la governante di Domenico, donna alta, severa e religiosissima. La confessione della signora Rop durava solitamente a lungo e aspettarne la fine, le altre volte, metteva il bimbo in uno stato di progressiva inquietudine, come se proprio in quegli ultimi minuti le tentazioni del male si accanissero improwisamente contro di lui, per rendergli piú difficile e mortifi-cante l'accusa dei peccati. Ma stavolta Domenico si sentiva calmissimo, le pie frasi del suo libriccino gli rivelavano una insospettata dolcezza, un raggio di sole batteva su uno dei grandi sportelli dellbrgano, facendo risplendere il volto di un vecchio santo. Buono era il vago odore di incenso diffuso fra le navate. A un tratto gli occhi del bimbo, scorrendo il libro da messa, caddero su una specie di questionario, nuovo a lui, attinente proprio alla confessione. Comandamento per comandamento, venivano citati tutti i possibili peccati di un giovanetto. "Hai mai mentito?" chiedeva per esempio il libretto. "A chi? Ai tuoi genitori? Ai tuoi insegnanti? Per nascondere un altro peccato? Per procurarti un premio non meritato?" eccetera. Questa requisitoria, cosi serrata e minuziosa, diede al bimbo una impressione sgradevole. Ebbe il timore, leggendola tutta, di poter scoprire in sé colpe insospettate. Meglio non leggere, si disse, lo farö se mai la prossima volta. Ma subito intui come questo ragionamento fosse poco cristiano. Sarebbe stata una viltä tale da compromettere l'efficacia della confessione. Percio, vincendo l'istintiva riluttanza, prese a leggere fin da principio il questionario. Le prime domande lo tranquillizzarono. Erano tutti peccati ch'egli aveva giá passato in rassegna nell'esame di coscienza, alcuni non li aveva mai commessi, altri si apprestava appunto a rivelarli. Riprese con piú coraggio la lettura fino a che incontrö la fräse: "Sei superstizioso? Dai importanza o credi ai sogni?". Superstizioso? pensö, e un sottile brivido lo fece trasalire. Domenico in veritä non era piú superstizioso di qualsiasi altro ragazzo; ma naturalmente anche lui aveva le sue particolari manie. Diceva per esempio: se da qui al fondo del marciapiede incontro un numero di persone pari mi andrä bene, se dispari mi andrä male. Oppure: se riesco a camminare senza mai pestare le giunture fra pietra e pietra del selciato, buon segno; in caso contrario, cattivo. Restava pure profondamente impressionato dai sogni, specialmente di sciagure riguardanti le persone di casa e gli amici. Mai aveva pensato che simili debolezze potessero costituire peccato. Ora la secca e precisa domanda del questionario gli faceva capire che quella doveva essere anche una colpa grave, specialmente in un ragazzetto. Cerco invano di persuadersi che le sue non erano superstizioni, che non aveva mai creduto ai sogni; quanto piú si sforzava, sempre maggiore gli appariva il proprio peccato. Non fece perö in tempo a risolvere il dubbio. La signora Rop si era scostata dalla grata con le mani giunte e veniva a inginocchiarsi al suo fianco, facendogli un piccolo cenno col capo, come per dirgli che toccava a lui. Meccanicamente, Domenico si accostö al confessionale, appoggiö le ginocchia nude al gradino, giunse le mani. II cuore gli batteva affannosamente. La sua bocca pronunciö le solite frasi, elencö i soliti peccati, ma Domenico aveva l'impressione che fosse la voce di un altro, tutto il suo pensiero era concentrate sulle colpe di superstizione, che gli parevano vergognosissime e non trovava il coraggio di confessare. Don Paolo per fortuna non pareva affatto notare il suo turbamento; assentiva col capo austeramente ad ogni frase di Domenico, come immagazzinando materia per il monito conclusivo. • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os > 4>) 8% CO 0ABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria In breve Domenico ebbe esaurito lelenco dei propri peccati. Allora senti chera venuto il momento decisivo. Si irrigidi tutto per dominare la cocente vergogna, cercó di profferire la terribile frase: "Sono superstizioso". Ma non riusci a emettere parola. Don Paolo giá cominciava le sue pie raccomandazioni. Le parole del sacerdote gli giunsero allbrecchio lontane, senza senso, monotone. II volto del bimbo si era fatto pallido, gli occhi luccicavano intensamente, ma nel confessionale la penombra era densa. Finalmente egli udi la penitenza stabilitagli dal sacerdote: tre Pater, tre Ave, tre Gloria. Insieme pronunciarono a bassa voce latto di contrizione. Don Paolo lo salutó con un sorriso e accennó a togliersi la štola. Appena Domenico fu di nuovo a fianco della signora Rop, la coscienza della colpa commessa gli incupi lamino di sgomento: egli aveva taciuto un peccato per vergogna. Si guardó attorno, quasi cercando un aiuto, una consolazione. Le statue dei santi, le alte colonne, il Cristo sospeso in mezzo allarco del presbiterio non erano piú immagini amiche, parevano essersi chiusi in un impenetrabile sdegno. Senti la voce sottile della signora Rop che discorreva con don Paolo. Un desiderio di liberazione 10 colse, quel peso lo soffocava. Toccó un braccio alla governante. «Senta, signora» le disse «mi sono dimenticato di dire una cosa.» «Di dire una cosa a chi?» chiese la signora Rop lievemente seccata. «Alla confessione, mi sono dimenticato* fece il bimbo. «Bisogna che la dica a don Paolo.» Suo malgrado, la signora Rop ebbe un sorriso, si rivolse al sacerdote, gli disse qualcosa sottovoce. Anche don Paolo sorrise benignamente. «Vieni, vieni allora» fece al bimbo. «Siamo qui per questo.» Come a fonte che gli avrebbe spento la sete, Domenico ritornó al confessionale, si inginocchió, fece 11 segno della croce. «Reverendo» disse senza misurare esattamente il significato delle parole nella furia di sfogarsi «prima non avevo detto una cosa: credo di essere superstizioso.* «Superstizioso?» domandó il sacerdote leggermente stupito di tanto scrupolo. Lanimo del bimbo si era giá istantaneamente sollevato. Oramai il piú era fatto. La tentazione peccaminosa era vinta. Che importava adesso specificare le minuté circostanze? «Credo qualche volta ai sogni» disse. «Qualche volta penso che le cose mi andranno male se non faccio una cosa, oppure se si rovescia il sale.» «Ho capito» fece il sacerdote, severo. «Guai a essere superstiziosi. Ě segno di ignoranza, perché equivale a credere in potenze occulte al di fuori di Dio. Lasciamola ai popoli selvaggi la superstizione.» E spiegó al bimbo i danni di quel peccato. Sul sagrato della chiesa risplendeva il sole, gli alberi avevano messo fuori bellissime foglie verdi, la gente che passava sembrava molto piú lieta del solito. II bimbo chiacchierava sereno con la governante, lanimo assolutamente sgombero. "Che sciocco" pensava perfino fra sé e sé "non doveva essere poi questo grande peccato, la mia superstizione. Don Paolo non ci ha dato nessuna importanza!" Solo adesso capiva come tutti, probabilmente anche la signora Rop, fossero piú o meno superstiziosi. Persino il papá, sempře cosi ottimista, diceva sempře che di venerdi non viaggiava mai, sebbene quel giorno i třeni fossero quasi vuoti e le stradě molto meno battute dalle auto. Quante volte del resto anche i suoi compagni di scuola, interpretando čerti piccoli fatti casuali, prevedevano di essere interrogati o no e si regolavano in conseguenza. Che stupido era stato a spaventarsi cosi. Pure, avanzando la sera, la serenitá ďanimo andó inesplicabilmente offuscandosi. II bimbo aveva come 1'impressione che nella duplice confessione di quel giorno qualcosa fosse rimasto ancora insoluto, ma non riusciva a capire il motivo. Alle nove, dopo aver lietamente cenato con il padre, i fratelli e un vecchio amico di casa, Domenico, quando fece per andare a letto, ebbe 1'idea di rileggersi il questionario dei peccati nel nuovo libro da messa. "Tanto" pensó "tutto quello che sapevo l'ho confessato; se esistono altri peccati a me sconosciuti, e oggi non li ho detti a don Paolo, questo non costituisce colpa." Aveva appena tratto dal comó il libretto, che la veritá gli si riveló improwisamente in tutto il suo gravissimo peso. Egli aveva si confessato di essere superstizioso, aveva dominato la vergogna di rivelare questa sua colpa, ma non aveva detto al sacerdote la colpa maggiore: quella di aver taciuto per vergogna, nella prima confessione, il peccato di superstizione. Ora rievocava nella memoria, parola per parola, ció che aveva detto a don Paolo. Si, adesso ricordava: aveva detto esattamente cosi: "Reverendo, prima non avevo detto una cosa: credo di essere superstizioso". Prima non aveva detto una cosa. Perché non aveva detto invece: "Reverendo: prima non ho avuto il coraggio di confessare.." questo si sarebbe bastato a scaricarlo. Invece era ricorso a una frase sibillina: "Non avevo detto una cosa", senza spiegare il perché. Don Paolo aveva certo creduto in una semplice dimenticanza e come dimenticanza 1'aveva assolta in nome di Dio. La superstizione, la paura del sale rovesciato, la credenza nei sogni, risultavano adesso a Domenico mancanze assolutamente trascurabili, quasi ridicole. Di ben altro delitto egli si era macchiato. Assediato dal panico, il bimbo provó, per giustificarsi, il seguente ragionamento: "Se la mia superstizione, come ě risultato evidente dalle parole di don Paolo, era solo un peccato veniale, anche il tacerlo per vergogna dovrebbe essere colpa trascurabile". • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os > 4>) 8% DD 0ABC-esteso Mer 19:21 C\ Q IE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria PI != Niente. II ragionamento non serviva: Domenico si ricordava benissimo che, al momento della seconda confessione, la superstizione gli sembrava colpa gravissima, prova ne era che aveva sentito il bisogno di liberarsene. Non c'era stata insomma la buona fede. Tento allora una seconda scusa: quando era tomato al confessionale - penso, o meglio cerco di persuadersi - egli era convinto che bastasse accusare la propria superstizione, senza bisogno di aggiungere che prima l'aveva taciuta per vergogna; tanto era vero che sul momento si era sentito liberato completamente. II difficile era di vincere la vergogna e questo l'aveva fatto. "La frase: prima non avevo detto una cosa" si disse il bimbo "non era frutto di malizia." Forse era stata un'espressione infelice - poteva ammettere - ma maligna no. Se gli fossero venute alia mente parole piu precise ed esaurienti, senza dubbio le avrebbe pronunciate con uguale facilita. Qui pero cominciava il dubbio: era proprio sicuro Domenico che sarebbe stato proprio lo stesso? Non era stato il demonio, anche senza che lui se ne rendesse ben conto, a suggerirgli quella confessione abilmente elusiva? Da nessuna parte il bimbo trovava uno scampo. Un orribile peccato mortale contaminava la sua anima e il mattino dopo egli avrebbe dovuto accostarsi alia prima Comunione. Ma come poter liberarsi? Awertire la signora Rop che egli doveva confessarsi ancora? E in che modo giustificarle questa strana necessita? A don Paolo certe cose poteva dirle. Ma a lui solo, mai alia governante. Apri affannosamente il libro da messa nella estrema speranza di trovarvi qualche motivo di sollievo. Lesse avidamente il capitolo della confessione, cercando il caso che lo riguardava. Ecco, aveva trovato: "Chi nella confessione tace per pura dimenticanza qualche peccato mortale e qualche circostanza necessaria, ha fatto una buona confessione. Chi per vergogna o per altro motivo non giusto tace colpevolmente un peccato mortale, non fa buona confessione, ma profana il Sacramento e si fa reo di un grave sacrilegio". Sacrilegio. La parola tuono nel cuore del bambino. Fino allora sacrilegio era stata per lui una nozione vaga e teorica, senza alcun addentellato con la sua vita: delitto assurdo e terribile, da medioevo, piu grave di un assassinio, che doveva ricorrere ben raramente nella vita degli uomini e nei tempi moderni forse mai si verificava. Una colpa spaventosa che Dio non aveva l'abitudine di perdonare. Rilesse la frase e gli parve di trovare la salvezza. "Chi tace colpevolmente un peccato mortale..!' diceva il libro. La sua superstizione certo non era di questa categoria. Dunque anche laverla taciuta non era sacrilegio. La consolazione fu breve. Ripensandoci, si accorse che questo era un ragionamento falso. Nel libro l'ipotesi di un peccato veniale taciuto per vergogna non veniva neppure considerata; evidentemente non si riteneva possibile che uno si vergognasse di un peccato veniale. II fatto stesso della vergogna implicava dunque la gravita del peccato, vera o presunta che fosse; che poi il peccato fosse veramente mortale o invece soltanto creduto mortale, questo al giudizio di Dio non aveva importanza. Era il fatto di tacere per vergogna e non la gravita intrinseca del peccato taciuto che profanava la Confessione. Egli era poi riuscito a confessarlo, il peccato, era vero; ma in fondo rimanevano due confessioni distinte; era lo stesso che, due anni dopo per esempio, egli si fosse accusato di superstizione dinanzi al sacerdote, senza pero far cenno del peccato commesso nella confessione precedente tacendo per vergogna. Aveva saputo insomma vincersi, ma parzialmente, non in modo da poter sanare la prima colpa. Moltiplicata dalla notte, l'idea del sacrilegio si trasformava lentamente in condanna senza rimedio. L'anima del fanciullo, per la prima volta, urtava contro la squallida muraglia della vita. Invano Domenico si diceva che tanta vergogna era troppa per un ragazzo; si e no la avrebbe potuta sopportare un uomo adulto; e gli pareva che ci fosse sotto una profonda ingiustizia. Invano si domandava: per un attimo di smarrimento, per un istante di paura, la maledizione di Dio? II ragazzo si sentiva perduto. Mai e poi mai, gli pareva, sarebbe riuscito a confessare il sacrilegio. Dure punizioni ne sarebbero seguite; don Paolo certo non rivelava ad altri cio che gli si confessava, ma in un caso cosi grave avrebbe sentito il dovere di awertire suo padre. Cosi immaginava il ragazzo. II disprezzo di tutti sarebbe caduto su di lui. Fra laltro sarebbe stato mandato a un collegio. E non pensarci nemmeno alia meravigliosa nave a motore che il papa gli aveva promesso se avesse passato bene l'anno scolastico. Ma che gli importava piu della meravigliosa nave in quella notte di tormento? "Bisogna che riesca a confessarmi prima di far la Comunione, se no il peccato si raddoppia" penso il fanciullo, ma era un progetto teorico, senza profonda convinzione. Capiva benissimo, Domenico, che sarebbe occorso confessare tutto anche ai suoi e ne sarebbe nato uno scandalo. Solo nel mondo, il bambino smaniava nel letto; nessuno, assolutamente nessuno, all'infuori di Dio, sapeva del suo delitto. II giorno dopo tutti gli avrebbero parlato con il solito affetto, il papa gli avrebbe consegnato il famoso orologio dbro a polso, molti altri regali sarebbero giunti dai parenti. Tutto inutile tutto inutile, per lui la vita non poteva offrire piu nulla di buono. Fino a che giunse il pietoso sonno e, vinto dalla stanchezza, il ragazzo giacque immobile sul letto, dimenticando ogni cosa. • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os l <5> 4>) 8% DD 0ABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria PI != Oh non fosse mai andato a svegliarlo il servitore Pasquale, il mattino dopo. Vecchio di casa, Pasquale adorava Domenico e quel giorno ci tenne a portargli il primo saluto. «Svelto svelto, signorino» gridö gioiosamente aprendo le imposte «e giä tardi, avete appena il tempo di vestirvi. La signora Rop e giä pronta.» Domenico balzö a sedere sul letto, sentiva che una cosa importantissima era cambiata per lui in male. Per qualche istante non riusci a rintracciarla. Poi la coscienza del sacrilegio gli affiorö neU'animo con potenza maligna, se pur alquanto spogliata degli orrori notturni. Si sedette sul letto, vide, piegato con cura sullo schienale di una sedia, il suo vestito nuovo, con attaccata alia manica sinistra una fascia Candida di seta e la frangia dbro, simbolo della sua presunta purezza. Rispetto alia sera prima, la freschezza del mattino gli aveva dato nuove forze contro la sciagura. E con gioiosa sorpresa egli si trovö fermamente deciso a chiedere una confessione supplementäre. Due o tre minuti sarebbero bastati, prima della cerimonia collettiva. Sarebbe andato lui direttamente da don Paolo, senza neppure awertire la governante. Si, avrebbe affrontato l'eroico rimedio, costasse quel che costasse; adesso, ripensandoci, capiva che don Paolo probabilmente non avrebbe rivelato il segreto a nessuno; forse non avrebbe preso la cosa neppure sul serio. Perche allora Domenico, in quell'improvviso slancio di coraggio, volle confidarsi a Pasquale? Quale insidioso desiderio lo fece parlare? «Pasquale» disse improwisamente il ragazzo, tentando un tono quasi scherzoso «tu vai mai a confessarti?» «Ogni settimana, signorino.» «E dimmi una cosa. Hai mai taciuto un peccato per vergogna?» «Oh, non saprei, signorino. Spero di no.» «Ma, dico, allora» fece Domenico con un ritorno di apprensione «e molto grave tacere un peccato per vergogna?» «Certo, signorino, e peccato mortale.» «Pasquale!» esclamö il bimbo (mortagli la mamma nei primi giorni di vita, il servitore era Tunica persona al mondo con cui egli avesse vera confidenza). «Ieri ho taciuto un peccato per vergogna!» «Oh, signorino, non sarä stato un gran peccato.» «Si, ma dopo son tornato da don Paolo e l'ho confessato.» «Ma allora non c'e niente di male. Allora tutto e a posto.» «Gli ho detto il peccato» specificö il ragazzo «ma non gli ho detto che prima l'avevo taciuto per vergogna.» «Quante complicazioni!» rispose Pasquale ridendo, poiche cominciava a non capirci piü niente. «Quante complicazioni inutili. Se l'avete confessato, non ci pensate piü, signorino. Cosa andate a mettervi in mente? Su su, presto, a lavarsi.» «Ma dici sul serio che non puö essere un peccato mortale?» «Macche peccato mortale!» fece Pasquale, inconsapevole di cosa potesse essere unanima umana. «Non ci pensate nemmeno. Guai a sofisticare in queste cose. E allora che si finisce per far peccato!» Oh quanto volentieri Domenico si lasciö persuadere da cosi semplice ottimismo. Certo Pasquale non immaginava neppure che il suo padroncino potesse macchiarsi di una colpa grave; a quell'etä, pensava, tutti i bambini sono di per se stessi innocenti; qualsiasi cosa facciano, in fondo la colpa non e loro, Dio non puö che perdonarli. Cosi il proponimento di confessarsi prima della Comunione svani in pochi istanti dalla mente di Domenico. II ragazzo benedi in cuor suo Pasquale che aveva risolto con tanta bontä e saggezza il problema. Si vesti con esagerata animazione. Corse a salutare la signora Rop, la baciö sulle guance come da parecchie settimane non faceva. «Ci voleva la prima Comunione perche tu ritornassi gentile» gli disse la governante, severa ma compiaciuta. II rito in chiesa si svolse rapidamente fra raggi compatti di sole che penetravano dalle vetrate, fumate di incenso, solenni boati dbrgano. Domenico segui la messa col massimo scrupolo, osö ringraziare il Signore che lo aveva liberato dall'affanno della sera prima, si awicinö con la massima compunzione all'altare per ricevere il Sacramento, fu un ragazzo modello. Ma, sebbene cercasse di agire in modo da guadagnarsi il favore di Dio e degli uomini, egli attendeva invano la sperata letizia. Guardando i compagni, non riusciva piü a considerarli uguali a se; capi finalmente che Ii invidiava. Invidiava la loro spensieratezza, il loro sorriso sincero, i loro regali, la loro giornata di festa. I doni, il rinfresco organizzato in suo onore, il pomeriggio di giochi con i compagni, tutto era ormai per lui awelenato. Mentre usciva dalla chiesa dando la mano alla signora Rop, cominciava a dubitare che Pasquale avesse avuto ragione. Che ne poteva sapere lui, cosi ignorante? E poi la questione non gli era stata spiegata con esattezza. Era probabile che il servitore avesse non capito. Si, si, era certo: Pasquale aveva parlato leggermente, tanto per fargli un piacere, e lui ci aveva creduto troppo volentieri. Nelle parole di Pasquale aveva creduto di trovare una scusa che in veritä non valeva niente. Giunse a casa che il mondo attorno gli appariva immerso in una nebbia. Lbrrendo segreto! Aveva fatto la Comunione con un peccato gravissimo sulla coscienza; il sacrilegio si era moltiplicato. Rispose meccanicamente ai complimenti dei familiari, meccanicamente sorrise, meccanicamente trangugiö le • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os £ <5> 4>) 8% DD 0ABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria paste e i gelati, che gli parvero nauseabondi. Ricordó un libro, una storia poliziesca, in cui 1'assassino recitava fino in fondo la parte del poliziotto. Gli pareva di essere come lui, anzi peggio. Rispondendo ai saluti, mangiando le paste, ricevendo i regali, non faceva che ingannare il padre, la signora Rop, gli amici che lo credevano un ottimo figliolo. Oh, se avessero saputo! Visse quella giornata come in un torbido sogno. Arrivó alia sera estenuato dalla pena e dalla continua finzione. «Non sta bene questo ragazzo» disse la signora Rop all'ing. Molo, mentre il bimbo andava a dormire. «Deve avere mangiato troppo.» «No, no, sto benissimo* fece il bimbo, che pure si faceva di ora in ora piú pallido. Passando i giorni, alternandosi le lezioni a scuola e i giochi con i compagni nelle ore di liberta, il tormento non accennó a calmarsi. Domenico non aveva neppure il coraggio di interpellare il libro da messa, certo avrebbe trovato nuove parole che lo condannavano alia pena eterna. Gli esperimenti in classe, i giocattoli, i libri ďawenture, gli incontri con gli amici al Parco, i giri in auto con suo padre, non avevano oramai per lui il minimo interesse. Domenico si lasciava trascinare dal ritmo giornaliero della vita, unicamente preoccupato di non tradirsi. E infatti nessuno sembró accorgersi della sua angoscia. Un giorno, entrato per caso nella camera della signora Rop, scorse sul tavolino da notte un libro. Breve trattato di religione era il titolo. II primo impulso fu di awersione come se fra quei fogli lo attendesse un agguato. Nello stesso tempo il libro lo attraeva potentemente. Senza rendersene conto, egli 1'aveva giá preso in mano, giá lo sfogliava, giá cercava lo spaventoso argomento. Misterioso influsso guidó i suoi occhi, li arrestó sulla pagina 190, li condusse al punto fatale. "Chi sa di essere in peccato mortale" era scritto "deve fare una buona confessione prima di comunicarsi. E se si accostasse a ricevere la S. Comunione sapendo di non essere in grazia di Dio, riceverebbe Gesú Cristo, ma non la sua grazia, e commetterebbe un orribile sacrilegio rendendosi cosi meritevole di dannazione" Scosso da un tremito mai prima provato, Domenico lasció cadere a terra il libro, usci dalla stanza, giro senza requie per la grande casa a quellbra deserta. Le cose piú care, gli oggetti piú desiderati, i progetti piú audaci di viaggi e di successi gli erano diventati odiosi. II suo animo chiedeva soltanto un po' di riposo. Ma come? Alia sola idea di confessare lbrrendo peccato, l'animo di Domenico si ribellava. A costo di affrontare duri castighi egli avrebbe evitato, con qualsiasi pretesto, alia prossima scadenza mensile, di andare a confessarsi. E il mese dopo lo stesso; mai piú avrebbe potuto farlo. Cominció allora a pensare: rimanderó di mese in mese, di stagione in stagione, non andró piú in chiesa (come del resto fa anche mio padre), passeranno interi anni, pure verrá bene un giorno in cui mi dovró confessare. Altrimenti l'inferno, la dannazione eterna. Pensó a una caldaia di pece bollente, lui Domenico completamente immerso, un dolore spaventoso da fare impazzire, eppure non svenire mai, giorno e notte quell'atroce supplizio, e domani ancora, e ancora il giorno dopo, sempre avanti cosi, mai, neppure per un istante una diminuzione di sofferenza, questo per interi anni, per centinaia di anni, per milioni, inutilmente aspettare la morte, sempre cosi, sempre cosi, per l'eternita dei secoli. Gocce di sudore scendevano dalla fronte del ragazzetto, gli occhi si erano accesi di febbre. "Ecco, quando saró in punto di morte" concluse "allora finalmente avró il coraggio di confessare." E fece una specie di giuramento con se stesso, un impegno solenne, Tunica superstite via di salvezza. Questo progetto, meditato con ferrea determinazione, servi un poco a tranquillizzarlo. Con l'andar del tempo anzi divenne l'idea fissa, l'appiglio a cui Domenico si aggrappava nei momenti di maggiore pena, il motivo piú profondo e vivo dellanima sua. La morte, pensiero cosi inadatto ai bambini, si trasformava cosi in una specie di rimedio, pur non assumendo nessuna particolare consistenza. Domenico, come tutti alia sua etá, la considerava un fatto strano e lontanissimo, che per decine d'anni non lo avrebbe potuto riguardare personalmente. Si era cosi procurato una lunga tregua, che almeno gli permetteva di vivere. Neppure quando si ammaló, circa un mese dopo la prima Comunione, Domenico pensó seriamente alia morte. Si mise in letto con forti dolori di ventre e alta febbre, il medico dichiaró che era una semplice colica, consiglió un purgante e il riposo. II giorno dopo pero la febbre sali ancora fin dal mattino. I dolori erano cessati, ma uno strano sfinimento si diffondeva in tutte le membra. «Signora Rop» chiese a un tratto il bimbo alia governante che sedeva ai piedi del letto, nella camera in penombra, con le mani incrociate sul grembo, immobile e silenziosa «signora Rop, credete che io possa morire?» «Morire?» fece la signora Rop. «Sono discorsi da fare alia tua etá? E poi, dimmi, avresti paura di morire?* «No, paura no» oso dire il bambino. «Ma vorrei allora confessarmi.» E aggiunse con qualche ipocrisia: «Mi hanno detto alia dottrina che si va in paradiso solo se si muore in grazia di Dio». «Basta, adesso, con questi sciocchi discorsi* fece la signora; «cerca piuttosto di dormire.» Nel pomeriggio la febbre continue a salire. Domenico sentiva nella testa un fondo ronzio, gli oggetti attorno tremolavano, come d'estate le case sotto il sole. Udi senza invidia, attraverso la porta della stanza, il rumore delle stoviglie dei suoi che mangiavano. Si lasció passivamente esaminare dal dottore, • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os £ <5> 4 9% DD OABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria venuto a sera inoltrata, si accorse che suo padre, invece di uscire, come faceva di solito dopo pranzo, si era seduto in un angolo della stanza, come aspettando qualcuno. Si accorse pure che i medici erano due, senti che parlavano, udi ad un certo punto una strana parola: peritonite. «Papá» chiese allora con un grandissimo sforzo, perché la bocca gli si era tutta impastata «papá, credi che io possa morire?» «Macché morire!» anche lui rispose. «Che cosa ti salta in mentě? Domani starai meglio.» Le ultime parole il bimbo non le udi neppure, perché era entrato in delirio. Verso le undici - i due medici stáváno discutendo con un terzo in un salottino, a bassa voce - verso le undici 1'ing. Molo, che fino allora si era mostrato ottimista, disse: «Signora Rop, non sentite un rumore?* «Un rumore? Che rumore?* «Un rumore come di un uccello che sbatte le ali.» La signora Rop credette ch'egli facesse allusione alia mořte. «No, signor ingegnere» rispose urtata «non sento proprio niente.» "Tutta letteratura!" mormoró poi fra sé. "Possibile che con il figlio in quelle condizioni lui abbia ancora voglia di dire čerte cose?" «Come avete detto, signora?» chiese 1'ing. Molo. «Niente, non dicevo niente» menti la governante. Allora 1'ingegnere Molo disse al servitore, pure in attesa in un angolo della stanza: «Pasquale, mentre i dottori decidono se portarlo in clinica o no, va' un momento a vedere sul balcone. Continuo a sentire quel rumore, ci deve essere qualche bestia. Qualche rondone, puó darsi; ma dá fastidio.» Pasquale usci sul balcone, vide la notte, i lampioni nella strada, qualche passante, tutto come al solito. Tese le orecchie, non c'era che il consueto silenzio della cittá, con quel continuo brontolio in fondo. Torno dentro, disse: «Non ce niente, signor ingegnere, neanche io sento niente». «Possibile?» fece 1'ingegnere allarmato. «Adesso poi ě ancora piú forte. Ě proprio come un battere ďali. Ci deve essere pur qualche cosa.» Oh, se cera qualche cosa. Mentre nel salotto addobbato in stile Luigi XV i tre medici stáváno discutendo se convenisse tentare o no lbperazione, mentre la signora Rop guardava severamente le boccette di medicinali e le scatole di iniezioni allineate sul comó giudicandole inutile spreco, mentre il padre, alio strano rumore ďali, finalmente ne capiva lo spaventoso significato, la testolina di Domenico, che era ritta contro un cumulo di cuscini, si piegó leggermente da una parte, si abbandonó a se stessa, rimase ferma. Ecco adesso una immensa cittá sulla riva del mare, cosi immensa che sembra non finire mai: case, viali e ordinati giardini distesi sulla scalinata dei monti attorno, fin dove arriva la vista. Domenico, cosa strana, si trovó improwisamente a metá di una scala e ignorando dove fosse, non sapeva se andare in su o in giú. Pure trovava naturale la cosa, perché si rendeva conto di essere morto, e qualsiasi awentura non l'avrebbe gran che stupito. Si guardó prima di tutto le mani, cercó poi la propria immagine riflessa in una porta a vetři, riconobbe se stesso, identico, vestito come il giorno della prima Comunione, solo che al braccio sinistro non aveva la fascia di Candida seta. Una giovane e bella donna, dalla faccia dipinta, gli si fece vicina, scendendo dalla scala: «Sei appena arrivato?» gli chiese. «Oh pověro bambino, cosi presto?» «Si» fece Domenico che solo lentamente prendeva coscienza del nuovo stato «e qui dove siamo?» «Non ha nome questa cittá» disse la ragazza cordialmente. «Si viene qui per il giudizio. Poi saremo spediti dove ci tocca.» Alia parola "giudizio" si ridestó impetuoso in Domenico il ricordo del sacrilegio, delle pene trascorse, della malattia, della inaspettata mořte, cosi repentina che non aveva fatto in tempo a confessarsi. E il ragazzo si senti ancora una volta perduto. «Anch'io sono arrivata oggi» disse ancora la giovane, vedendo che il bimbo non rispondeva. «Ma ě inutile che tu faccia il muso. II peggio ě passato. Che paura vuoi avere tu, cosi piccolo? Tu certo sarai perdonato.» «Oh, mio Dio!» esclamó, sopraffatto dall'angoscia, Domenico, scoppiando in singhiozzi e si aggrappó alia sconosciuta, cercando da lei un aiuto. La giovane si sedette su uno scalino, prese il bimbo sulle ginocchia, cercó di consolarlo, si fece spiegare - e fu lungo perché i singhiozzi lo scuotevano tutto - il motivo di tanto dolore, infine tacque, meditabonda, non sapendo che dire. «Usciamo, intanto» propose dopo qualche minuto e, preso Domenico per una mano, lo condusse giú per le scale. Uscirono in un viale larghissimo, pieno di gente e inondato di sole. Nella maggioranza erano uomini e donne anziani, molti pure i vecchi, rarissimi i bambini. Domenico si accorse che parecchi lo fissavano con curiositá e si scambiavano pure commenti, qualcuno scuotendo il capo in atto di commiserazione. • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os £ <5> 4 9% DD OABC-esteso Mer 19:21 C\ Q iE • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria La giovane, di nome Maria, benché fosse giunta da poche ore, si era giá perfettamente ambientata e si mise a spiegare al ragazzo che razza di cittá fosse quella. Gli abitanti erano tutti uomini morti - le loro anime s'intende - in attesa di essere giudicati. Innumerevoli tribunali, disseminati per la sterminata cittá - le loro moli si distinguevano subito campeggianti sopra ogni altro edificio - funzionavano in permanenza dallalba alla sera. Fino al momento di iniziare la vita eterna, dannazione o salvezza, i morti conservavano ancora la loro umana parvenza, e come uomini ancora vivevano, in case simili a quelle lasciate sulla terra, con 1'unica differenza che tutto era sempře in ordine, non si formava sporco, niente si logorava per 1'uso. Alcuni venivano giudicati quasi subito dopo il loro arrivo, altri invece dovevano aspettare. Moltissimi erano in attesa ancora da migliaia di anni - cosi almeno raccontava Maria, e a questo punto la sua voce si era fatta come misteriosa. - Si diceva che fossero i cattivi, gli uomini destinati alla pena eterna, a cui si concedeva una specie di rinvio senza fisso termine. Non che molti non venissero giornalmente mandati alla dannazione; ma era certo che la precedenza toccava alle anime sante; poi ai meritevoli di salvezza con pene temporanee; infine ai casi dubbi, i malvagi, era fama, passavano in coda a tutti. Non vi era comunque una netta discriminazione, tanto piú che il giudizio non poteva essere anticipato: le eccezioni a questa specie di regola erano di tutti i giorni. Le anime in attesa restavano cosi sospese a un continuo dubbio, si logoravano nelFincertezza, non sapevano se fosse meglio affrontare o rimandare la fatale sentenza. Meravigliosa era la vista della cittá, quale mai nessun uomo, sulla pověra terra, avrebbe potuto immaginare. Meravigliosa per architetture, alberi immensi, fiori iníiniti, il mare di un azzurro scono-sciuto, il cielo limpido, con nuvole bianche di pittoresca forma che non toglievano mai il sole. Pure Domenico, awelenato dal rimorso, non ne traeva alcun piacere e come lui, visibilmente, restavano aífatto freddi moltissimi altri, seduti sulle panchine, o sdraiati sui prati, o affacciati pensosamente alla finestra, tutti esprimenti infinita noia e nessuna speranza: forse i malvagi, il cui giudizio non si faceva mai. Erano giunti in un bellissimo giardino, pieno di fontáne e di uccelli. «Sediamoci qui» disse Maria accennando a una lunga panchina allbmbra «tanto, se ě il nostro turno, ci verranno a chiamare.» Sedettero, e un signore sulla cinquantina vestito molto distintamente, vedendosi accanto Maria, dopo averla lungamente squadrata, lasció il suo posto con aria sdegnosa, trasferendosi a unaltra panchina piú in lá, vicino a due pacifiche vecchie. «Perché?» chiese Domenico alla sua protettrice. «Lo conosci?» «Mai visto* risposela ragazza, oscuratasi in volto. «Ha fatto cosi perché io...» "Dovrebbe vergognarsi" mormoró poi fra sé e sé "come se anche lui non fosse morto!" Domenico non capi perché il distinto signore se ne fosse andato, ma tacque, nuovamente assorbito dalla propria sciagura. Maria adesso lo guardava con grande pieta, né sapeva come consolarlo perché la colpa di Domenico, cosi come lui gliel'aveva spiegata, le sembrava realmente di una gravitá estrema. «Quando ero viva» disse Maria, tanto per provare un argomento «quando ero viva mi chiamavano Měri. Ma adesso sarebbe poco serio...» e aggiunse un timido sorriso. Ma Domenico pareva non la sentisse. Sedeva immobile, lasciando penzolare le gambe, gli sguardi fissi dinanzi a sé, privi di vita. «Mi sarei levato anche questo rosso» continuo Maria, pur di non lasciare dominare il silenzio, e cosi dicendo si passava le dita sulle labbra, cariche di carminio. «Me lo sarei levato, ma, non so come, da che sono morta, non riesco piú a mandarlo via, ho un bel fregare, sembra entrato nella pelle.» Ancora rise la ragazza, questa volta piú vivamente, ma Domenico non mosse ciglio. Tristissimo egli teneva gli sguardi fissi dinanzi a sé, senza la minima espressione di vita. Fu lieta quindi Maria quando due uomini, due tipi grossolani di operai, si sedettero accanto a loro, chiacchierando animatamente. Forse i due sarebbero riusciti a distrarre il ragazzo. «E come dico io» sosteneva uno dei nuovi venuti. «E questa la pena. Restare ad aspettare in eterno, sempře col dubbio di poter essere chiamati.» «Magari!» esclamó 1'altro, che evidentemente doveva avere grossi pesi sulla coscienza. «Magari! ma sarebbe troppo comodo. La chiami punizione questa?» «Parli cosi perché sei qui da poco» ribatté Faltro con uríespressione indefinibile nella voce. «Cosa vuoi di peggio? Questa maledetta vita, non avere mai unbra tranquilla, sempře la paura che ti chiamino. Vorrei vedere te, dopo quaranťanni, come io adesso. Ogni giorno gli altri che se ne vanno al paradiso, ogni giorno a migliaia, e dover restare inchiodati qui, a fare niente, senza poter neanche lavorare, e di minuto in minuto aver paura che ti chiamino, lo capisci?» E pareva agitato da infrenabile smania. «E sapere che se ti chiamano sei perduto e invece nessuno viene, nessuno si ricorda di noi, nessuno in tutto 1'universo, neppure Dio piú ci ricorda. Soli come cani, capisci?» «Basta adesso!» lo interruppe il compagno con ira. «Basta, adesso! Ho capito. Che bisogno cě di tormentarsi ancora?» «Che bisogno cé... che bisogno cě... che bisogno cě...» fece laltro, rinchiudendosi a poco a poco in un cupo mutismo. 197 /219 Ú Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os l <5> 4 9% DD OABC-esteso Mer 19:21 Q, © iE€ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria H 1= Tacquero čosi i due uomini, taceva Domenico, sempre immobile, taceva pure Maria ehe guardava pietosamente il bambino, senza preoceuparsi dei propri peceati; pura incoscienza o sfrenata fiducia nella misericordia di Dio? Stettero in tal modo fermi e silenziosi per parecehi minuti senza speciale fatica, perché il tempo pareva sospeso; mancava stranamente, come prima laggiú sulla terra, il senso delle ore ehe fuggono, fuggono e non si riesce a star dietro. Finalmente uno dei due uomini parlô, quello ehe aspettava da quaranťanni. «Di'» fece alľaltro improwisamente «non ce ľavresti mica ancora una sigaretta?* Ľaltro, senza muovere il volto torvo e brutale, trasse fuori da una tasca un pacehetto di "popolari", lo allungô al compagno. Entrambi accesero e cominciarono a fumare. Quello delle sigarette parve pero esser preso da un improwiso sospetto: «Ehi» chiese con risentimento «mi avevi chiesto se avevo ancora delle sigarette?» «Si, e con questo?» fece ľaltro. «Se avevo ancora delle sigarette? Perché "ancora"?* «Oh bella!» disse ľaltro «perché qui non se ne trovano. Pensavo ehe le avessi giä finite.» Ľuomo dal viso torvo si rivoltô, imbestialito: «Come? Non se ne tro...» Non poté ŕinire la frase. II compagno gli diede un seceo colpo di gomito in un fianco, facendogli un segno col capo, come a dire ehe stesse attento, ehe non era il momento di sbraitare. Attraverso il viale avanzavano infatti verso la loro panchina, a celere passo, due giovani in uniforme, due specie di valletti. «Vengono a chiamare uno di noi» awerti a bassa voce quello che aspettava da quaranťanni. «Vengono per il giudizio.» Entrambi impallidirono orribilmente. Per uno diloro era dunque giunta ľora fatale. Non pensarono che potesse trattarsi della giovane donna o del bambino seduti al loro fianco. Ed era invece proprio cosi: «Maria Ferri! Domenico Molo!» chiamarono quasi contemporaneamente i due strani valletti. «Presto, presto! Tocca a voi!» E lo dicevano con voce cordiale, come se recassero una lieta notizia. Maria e Domenico si alzarono e si fecero incontro. «Siamo insieme?» domandô subito la donna a uno dei valletti con stupefacente disinvoltura, quasi parlasse a un cameriere. «No, mi dispiace* disse il messaggero. «In due tribunáli differenti.» Dovettero separarsi. II bimbo si abbrancó al collo di Maria, scoppió in un lungo pianto, non voleva abbandonarla. «Ci rivedremo subito dopo» diceva la donna amorosamente. «Partiremo insieme, vedrai. Ti aspetteró qui. Non aver paura.» Sempre singhiozzando, ma sempre piú debolmente, il bimbo a poco a poco si accorse di camminare tenuto per mano da uno dei valletti. Erano usciti dal parco e si dirigevano verso uno degli immensi tribunali, una specie di torre mozza, di incalcolabile ampiezza, priva di tetto. Nelle vicinanze delTedificio era raccolta una stragrande folia, che urgeva agli ingressi, ansiosa di poter entrare. Non si udivano pero urli incomposti, imprecazioni e proteste, come awiene nella solita vita; soltanto un brusio si levava, un diffuso stormire di gente che parli, fitto e sottovoce. II messaggero condusse Domenico a una porticina chiusa, a cui la folia non badava, la apri con una chiave, entró con il bambino, richiuse la porta, cominciarono a salire una stretta scala illuminata da lampadine elettriche. Domenico giá ansimava dalla fatica quando sbucarono allaperto, nella cavea delTimmenso tribunále. II bimbo si ricordó čerte fotografie di stadi americani dove si facevano i grandi incontri di pugilato; ma questo era infinitamente piú grande; a milioni dovevano essere gli uomini che gremivano le scalinate, erigentisi ripide verso il cielo. Pure vi era un grande silenzio. Domenico vide, nel centro, una specie di palco dove sedeva, isolatissimo, un signore anziano vestito di scuro. Di fronte al palco si ergeva il trono - non si poteva dire altrimenti per la sua regále solennitá - il trono del giudice. Era una persona giovane, dal volto bellissimo, vestito di un manto rosso; di un colore meraviglioso, quale sulla terra non si conosce, che risplendeva nello smisurato circo e pareva illuminarlo piú del sole. Due altri personaggi, con un mantello nero e uno bianco rispettivamente, sedevano a fianco del giudice, a un livello alquanto piú basso. Era strano come, nonostante le proporzioni vastissime del tribunále, le voci giungessero distintamente anche agli estremi punti perimetrali. In quel momento il signore sul palco si era alzato in piedi e parlava. Domenico e il giovane in uniformě erano intanto scesi verso la platea, awicinandosi al centro. II bimbo con stupore riconobbe nelluomo sul palco, probabilmente in procinto di essere giudicato, il signore che si era alzato sdegnoso dalla panchina quando lui e Maria gli si erano seduti vicini. Ora Domenico sentiva benissimo le sue parole. «Io davo da lavorare a 2300 operai» diceva in orgoglioso tono cattedratico, tornendo le frasi, come se tenesse una conferenza. «In fondo ho faticato tutta la vita per loro. Senza di me avrebbero fatto la • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Oí ? C > l <5> ^ 9% DD OABC-esteso Mer 19:22 Q, © iE€ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - I sette messaggeri Libreria fame; le loro donne si sarebbero date al peccato, i figli avrebbero popolato le prigioni. Con la mia paga potevano invece vivere bene. Temo anzi che fosse eccessiva...» qui fece un risetto significativo «be', del resto non avevo niente in contrario che anche loro, di tanto in tanto, andassero a divertirsi!» Disse questo con un compiaciuto sorriso e si guardó attorno, prima verso il giudice, poi verso l'immensa folia, persuaso evidentemente di aver guadagnato il generále favore. Ma il giudice lo fissava senza batter ciglio e il pubblico non gli si mostrava certo amico. Invano si sarebbe cercato un solo sorriso di simpatia. II distinto signore sembró non accorgersene; la certezza in un giudizio favorevole continue a trasparire dalla sua soddisfatta espressione. «Ho poi sempře fatto anche beneficenza extra» disse a un certo punto sottolineando la parola extra. «Sorvolando le cariche piú onerose che onorifiche» anche qui fece un piccolo riso che pareva meccanico «in molte societa filantropiche, solevo da molti anni elargire lire 20.000. Certo il vizio non 1'ho mai voluto finanziare!» disse ancora, quasi fosse uno specifico motivo di benemerenza. Si guardó nuova-mente attorno. II giudice non batteva ciglio, la gente lo fissava con sguardi vitrei. L'uomo parló ancora per qualche minuto finché, ad una sua breve pausa, si udi una voce di timbro sovrumano, voce ferma e pacata, al cui confronto quella baritonale del distinto signore era abbietto suono. «Basta» disse la voce. Due specie di inservienti, come quello che era andato a prendere Domenico, comparvero allora sul palco a fianco dell'industriale e lo trassero giú per una scaletta, benché lui si dimenasse, facendo segno che aveva ancora molto da dire. Dalla bocca che si apriva e chiudeva rapidamente non usciva piú alcuna voce umana. Sbigottito, Domenico si volse al messaggero, chiedendo: «E allora? Va all'inferno?». «Credo di si» rispose 1'altro. «Di solito ě brutto segno quando finisce cosi. Ma andiamo: tocca a te, adesso.» Al paragone del corpulento signore che lo aveva preceduto, Domenico, in cima al palco, circondato dalla sterminata folia, sembró piccolo piccolo, debolissimo, indifeso, un cosino da niente. Avrebbe voluto stare in piedi in segno di rispetto, ma le forze non lo sostenevano piú e dovette abbandonarsi sulla sedia. II sole brillava fra i suoi capelli. La gente, alia sua vista, si era visibilmente rianimata; molti sorridevano bonariamente, qualcuno agitó le mani in segno di saluto. Era un tenero bambino -pensavano - una piccola anima pura, e sarebbe stata certamente salva. Anche il giudice - cosi almeno parve a Domenico - gli fece un dolce sorriso, mentre prendeva in mano un grosso libro, portatogli da un inserviente. Poi cominció a sfogliare il volume, lo richiuse di scatto, disse con voce grave: «Non ě il suo, questo libro. Avete sbagliato. Non puö essere di un bambino, questo.» «E proprio il suo» disse l'inserviente. «Domenico Molo, di dodici anni; non ce ne sono altri.» Vi fu un lungo silenzio. Domenico capiva il perché di quel dubbio, anche l'ultima speranza abbandonava il suo cuore. Poi il giudice alzö il capo e fissando il bambino disse: «Qui ě segnato un sacrilegio». «Si, un sacrilegio» confermö il personaggio ammantato di nero, l'accusatore, alzandosi in piedi. «Un duplice sacrilegio; egli ha profanato il Sacramento tacendo per vergogna alia confessione il fatto di aver taciuto, pure per vergogna, a una precedente confessione, un peccato creduto mortale; una seconda volta ha sfidato la collera di Dio, ricevendo la Santa Comunione mentre sapeva di essere colpevole di sacrilegio.» «Non era sacrilegio» ribatté dignitosamente l'altro personaggio, vestito di bianco. «II peccato da lui taciuto non aveva alcuna importanza.» «Forse non aveva importanza» fece l'accusatore «ma ě un fatto che lui lo credeva gravissimo, tanto che nella prima confessione non ha avuto il coraggio di rivelarlo. Egli aveva dunque coscienza di tacere un peccato mortale e in ciö sussiste la grave colpa iniziale.» «Anche ammettendo questo» disse il personaggio in bianco, il difensore «il male ě stato sanato, perché subito dopo egli ha saputo vincere la vergogna, confessando il peccato.» «Non bastava» replicö l'altro «non bastava: egli ha confessato il peccato ma si ě guardato bene dal dire che prima l'aveva taciuto per vergogna.» «In quel momento» disse il difensore «lui non si rendeva conto della necessitá di specificare. In buona fede credeva che bastasse ciö che ha fatto.» «Non ě vero! Prova ne sia che subito dopo egli ě stato assalito dal rimorso.» Domenico ascoltava il dibattito senza riuscire a seguirlo. I suoi occhi spaventati giravano sulla folla e non piü incontravano sorrisi e cenni affettuosi, bensi sguardi colmi di esecrazione e stupore. Mostruoso appariva quell'esile bambino che aveva saputo offendere cosi gravemente Iddio. Doveva essere - pensava la gente - un ragazzo orribilmente precoce, contaminato oramai fino in fondo. Nessuno osava parlare, ma in tutti covava una sorda agitazione, un desiderio di fuga, come se fosse troppo crudele assistere fino in fondo. E il cielo, per lawicinarsi del tramonto, si faceva sempre piü azzurro. • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os l <5> 4 9% CO OABC-esteso Mer 19:22 Q, © ;=£ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria PI 1= Parlö ancora il difensore: «Egli avrebbe confessato tutto il giorno dopo, prima della Comunione. Era oramai deciso» diceva «ma fu mal consigliato. A quell'etä manca una completa consapevolezza». «Troppo volentieri ha obbedito a quel consiglio» replicava laccusatore. «Nel fondo dell'animo egli sapeva benissimo che la scusa era insufficiente. Ha creduto di poter scherzare con Dio.» «Ma poi si e pentito» esclamö il difensore. «La voce della coscienza lo ha tormentato giorno e notte. E aveva fatto proponimento fermissimo di rimediare, aveva scritto questo suo giuramento anche in un quadernetto, confessando tutto quanto.» «Un proponimento troppo vago. Aveva rimandato la confessione a quando fosse stato in punto di morte, perche era sicuro che sarebbe morto solo a tarda etä. Troppo comodo! Sapeva bene che dopo tanti anni non gli sarebbe costata alcuna fatica confessare anche un sacrilegio.» «Ma come puö pensare un bambino a queste cose?» domandö il difensore. «Un'astuzia da Lucifero in un bambino? Aveva rimandato la confessione perche il peso del peccato, di ciö ch'egli riteneva gravissimo peccato, gli aveva tolto ogni forza. Giä egli aveva espiato abbastanza nelle notti di dispera-zione.» «Soffriva soltanto per paura» disse laccusatore «non per il rimorso di aver offeso Dio. Temeva l'inferno e questo solo gli toglieva la pace. Troppo poco per la remissione dei peccati; non basta l'attrizione, come dicono gli uomini. II dolore perfetto, la contrizione, il dispiacere di aver insultato Dio non lo ha affannato neppure un istante. II fatto che sia...» Sospese la fräse notando qualcosa di strano che stava succedendo. Da un punto dell'estremo culmine dell'arena, proprio di fronte a lui, un uomo scendeva a precipizio, facendosi violentemente strada fra la densa folla; e gridava parole incomprensibili, agitando in una mano dei fogli bianchi. La sua marcia impetuosa lasciava nella moltitudine una visibile scia a zig zag, come canotto in acqua stagnante. Taciutosi laccusatore, le grida dello sconosciuto si fecero piü distinte: «Adagio! Adagio!» gridava. «Aspettate, aspettate un minuto!» E scavalcando persone sedute, scostando gli indifferenti a colpi di gomito, agitandosi come un pazzo, scendeva sempre piü verso il centro del tribunale. Anche Domenico fini per voltarsi. E quando riconobbe chi era quell'uomo, quando lo vide awicinarsi ai piedi del suo palco e arrampicarsi su per la scaletta, allora il bimbo mandö un altissimo grido. Era Pasquale, il vecchio Pasquale in persona. E aveva come al solito la sua simpatica e buona faccia, il suo aperto sorriso, come al solito, sollevö da terra il bambino e se lo prese in braccio, assolutamente incurante della maestä del luogo. Solo dopo qualche istante Domenico si domandö come mai Pasquale potesse averlo raggiunto. Anche lui morto? Stava per chiederglielo quando notö sul suo collo, tutt'attorno, un segno regolare fra il paonazzo e il nero, che non gli aveva mai visto. «O Pasquale» gli domandö spaventato Domenico, con un terribile sospetto. «Pasquale, che cosa hai fatto?» «Niente, signorino, e stato un accidente.» E rideva felice. «Sono caduto malamente in cantina e una corda mi ha preso qui al collo. Uno stupido accidente.» «Perche, perche Pasquale? Che cosa e successo?» «Niente, signorino. Lo sapevo, l'avevo sempre detto, con quelle corde lasciate lä in cantina, un giorno o l'altro succede un accidente. Lo dicevo sempre...» A questo punto si guardö attorno, ebbe un attimo di vergogna vedendosi addosso gli occhi della moltitudine, depose a terra il bambino, si rimise un po' in ordine la giacca, alzö i fogli, rivolgendosi istintivamente al giudice e disse: «Sono venuto apposta, signore. E garantito che se non vado finiscono per condannarlo, mi son detto; loro non sanno. Ma io ci ho qui la confessione.» «Che confessione?» domandö laccusatore. II giudice ascoltava impassibile. «Non ha potuto confessarsi al prete, il signorino» esclamö vivamente Pasquale. «Ma aveva confessato tutto in questo quaderno. E io l'ho trovato in un cassetto. L'ho portato qui perche serva da prova. Volete che legga?» II personaggio col mantello nero accartocciö le labbra in segno di sprezzo: «Lo sapevamo giä, e tutto inutile» disse «non ha nessuna importanza. E una confessione senza nessun valore». «Ma la colpa era stata mia!» gridö Pasquale. «Ero stato io a dirgli ch'era una sciocchezza! Non l'avevo preso sul serio. Soltanto quando il signorino e morto ho capito.» «Tu hai la tua parte di colpa» disse laccusatore «ma non e sufficiente a scusarlo. Due sacrilegi ha commesso. A lui il fuoco della Geenna!» «No, no, signore!» protestö Pasquale «e impossibile! Un bambino di dodici anni! Non avete cuore voialtri? Un bambino di dodici anni! La pena eterna a un bambino di dodici anni!» Cosi esclamava fuori di se e la smise soltanto quando si accorse che il giudice si era alzato in piedi. «Giä viene la sera» disse con la sua voce sovrumana. «Rimando la sentenza a domani.» Scendeva infatti la sera. II sole non illuminava piü che le ultimissime file del favoloso Circo, nuvole sottili e bianche si erano irraggiate nel cielo, annunciando le prossime tenebre. Una grande dolcezza era neü'aria, ma Domenico non la poteva sentire. • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os £ <5> 4 9% DD OABC-esteso Mer 19:22 Q, © iE€ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria Pasquale, prendendolo per mano, lo accompagno giú per la scaletta. In silenzio entrambi si incamminarono verso una delle uscite, indifferenti al fatto che la gente si scostasse al loro passaggio come fossero lebbrosi. Pasquale scuoteva il capo. Tutto era stato dunque inutile? La notte stessa in cui il padroncino era morto, oppresso dal dolore, egli si era rintanato nello studiolo di Domenico, si era messo a rimestare fra i libri e i quaderni che non sarebbero mai piú serviti. Si era ricordato allora che un giorno, un giorno lontano, almeno due anni prima, il bambino gli aveva parlato di una specie di cassetto segreto, che aveva scoperto nello scrittoio antico: segreto per modo di dire perché bastava far scorrere uno sportello di legno, apparentemente unito al resto del piano. Chissá che cosa teneva la dentro il signorino. Chissá quali innocenti segreti. E Pasquale aveva cosi trovato il quaderno con la confessione. Ora Pasquale era religiosissimo, tutte le domeniche andava a messa e due volte al mese si comunicava, non aveva il minimo dubbio sulla infinita potenza e sapienza di Dio. La sua fede era ingenua e profonda, ma non gli sembrö assolutamente possibile che Dio potesse conoscere l'esistenza di quel piccolo quaderno, rintanato nel nascondiglio dello scrittoio. Non che Dio non ne avesse la possibilitá - pensava - certamente Dio puö penetrare dappertutto, leggere i pensieri di qualsiasi uomo e probabilmente anche bestia, se le bestie riescono a pensare. Non era proprio questione di fede. Pasquale pero non capiva perché mai il Signore potesse aver voglia di gettare uno sguardo anche in quel minuscolo ripostiglio. E se Domenico, timido com'era, non avesse parlato? Se la sua anima fosse arrivata nell aldilá con la macchia di quel brutto peccato? Bisognava salvarlo, bisognava raggiungerlo senza perdere tempo. E perció si era tolto la vita. Ora soltanto capiva come tutto fosse stato vano e cominciava ad agitarsi al pensiero che il suicidio é condannato da Dio, che la sua bella trovata non era servita a salvare il padroncino, ma piuttosto aveva rovinato lui stesso. Turbato da questi tristi pensieri, Pasquale non parlava piů e se n'andava a testa bassa, trascinando per mano il bambino. Giunto alia soglia di uno dei cunicoli di uscita del tribunále, si voltó indietro a guardare le immense scalinate circolari, il trono del giudice, il palco su cui aveva trovato Domenico; tutto oramai era completamente deserto. Soltanto loro due erano ancora rimasti, e non c'era un cane che li consolasse, tutti evitavano persino di accostarsi a Domenico, il bambino sacrilege Non c'era bisogno di aspettare il giorno dopo - pensavano - per sapere quale sarebbe stata la sentenza. Ciondolarono raminghi per le vie, mentre il rosso splendore del tramonto si spegneva lentamente. Fino a che si trovarono sulla riva del mare e a sentire quel profumo di liberta e di salsedine entrambi furono colti da un confuso rimpianto della prima vita. Seduti su di un parapetto, se ne rimasero a guardare. E videro un bastimento bellissimo, molto piú grande di quelli fatti daH'uomo, ma quasi uguale di forma. Era bianchissimo con solo una striscia azzurra lungo i fianchi, non portava nome, e gli ultimi raggi del sole lo facevano risplendere contro il fondo scuro del mare, immagine viva della felicitá umana. Carica di anime, la nave Candida salpava verso il misterioso regno di Dio, al di la dello sterminato oceano. Dai ponti si udivano liete canzoni intonate in coro, creature felici salutavano per sempre la vita. L'acqua sui fianchi cominció a ribollire. II bastimento lentamente si mosse senza alcun rumore. Aveva quattro grandiosi comignoli, ma si capiva cherano stati messi solo per bellezza. Dalla riva, proprio sullestremo molo, un gruppo di gente faceva segni di saluto. «Arrivederci!» molti osavano gridare. Altri soltanto: «Addio!» esclamavano, con voce rotta dal pianto. II bastimento passó loro dinanzi; maestoso si allontanó sui flutti azzurri, divenne rapidamente piú piccolo, dirigendosi verso l'ultimo confine dellbrizzonte. Intanto Pasquale e Domenico vedevano, lungo tutta la riva, seduti sui gradini, i parapetti, o distesi anche per terra, silenziosi e tristi come loro, centinaia e centinaia di uomini e donne. Essi non avevano salutato i partenti, non avevano agitato fazzoletti né gridato "Addio!". Sconsolatamente fissavano il bastimento che se n'andava verso il regno della beatitudine eterna, ogni sera tornavano al porto per vederlo, molti oramai da molti anni, si sedevano silenziosi e di minuto in minuto, quanto piú si approssimava la partenza, l'animo loro traboccava di amarezza e di invidia: poi, quando la nave era scomparsa nellbceano awolta dalle ombre notturne, se ne ritornavano a lenti passi nella cittá, rassegnati a un'altra notte di solitudine e di dolore. Come il bastimento non fu piú visibile, Pasquale e Domenico si riscossero, si guardarono a vicenda nella penombra. «Che peccato!* disse Pasquale e prese per mano il bambino, rimettendosi in cammino. Costeggiarono la riva del mare lungo un largo viale alberato, capitarono in uno dei tanti giardini della cittá, sentirono musiche uscire da una specie di rotonda di carpini. Si affacciarono fra i cespugli. Sparse su di un prato, alia luce di grandi lampade elettriche e di graziosi lampioni colorati, centinaia di persone celebravano una festa. Nel mezzo, gruppi di giovani donne stáváno danzando, sul ritmo di chitarre e violini. Musica e danza tuttavia risultavano profondamente diverse da quelle usate sulla terra, c'era un'estrema leggerezza, una soavitá, e un candore sconosciuti generalmente agli uomini. 206 /219 • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os > <5> 4 9% CO OABC-esteso Mer 19:22 Q, © ;=£ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria PI 1= E Domenico, fra le donne che danzavano, riconobbe ad un tratto la Maria e capi ch'era stata perdonata, tanto risplendeva di contentezza il suo volto. Con tutta la sua esile voce chiamö: «Maria, Maria!», della qual cosa si penti subito amaramente, riconoscendosi indegno. Maria lasciö le compagne, si guardö attorno, vide Domenico, corse da lui festante. «Domani partiamo, allora! Oh, pensa, felici per sempre!» Ma si tacque agli sguardi disperati del giovanetto. «Sono contento per te» trovö la forza di dirle Domenico. «Per me decideranno domani.» Maria sapeva, da quanta aveva sentito dire, che solitamente quello era un brutto segno; ma si guardö bene dal dirlo. Anzi, cercö di interpretarlo favorevolmente, per rianimare il bambino. Anche Pasquale intervenne per consolarlo, ma senza successo. Oramai Domenico era sprofondato in una tetra semi-incoscienza, nellattesa del supplizio eterno. Povera Maria, cercava di condividere il suo dolore, di assumersi un po' del suo tremendo peso, ma oramai non poteva piü, oramai la sua anima era per sempre costretta a una perenne letizia. Solo si meravigliö come dinanzi a quel bimbo, che pareva contaminato dal sacrilegio, lei non provasse la minima avversione, come sarebbe stato logico e giusto in un'anima entrata nella grazia di Dio. Danzarono ancora per circa uriora le donne, altrettanto continuarono i suoni di violini e chitarra. Strano, pareva - se pur pensarlo non era profanazione - che in quella gente, destinata senza piü dubbi al paradiso, restasse ancora un vago rimpianto delle cose umane, e fino all'ultimo essi volessero virtuosamente goderne. E altrettanto strano fu che quasi tutti se ne andarono a dormire subito dopo, quasi che potessero aver bisogno di riposare. No, non e che avessero sonno, che fossero stanchi, che si sentissero poco bene; queste miserie non erano piü di loro. Pure era l'ultima volta che potevano dormire su un letto, addormentarsi umanamente, dimenticare tutto, sognare. Quello sarebbe stato l'ultimo loro sonno, poi basta per l'eternitä infinita. II letto non era il loro, su cui avevano in vita dormito, amato, patito, od erano morti, non era il letto familiäre ed amico, lentamente allenato a ricevere il loro corpo; ma era pure un letto, con materasso, elastico, coperte di lana e lenzuoli bianchi, un letto come quello degli uomini vivi: poi non ne avrebbero veduti mai piü, mai piü avrebbero chiuso per stanchezza gli occhi, mai piü sarebbero entrati nel misterioso e qualche volta soavissimo mondo dei sogni. Ed era perciö dolce distendervisi sopra e addormentarsi serenamente, sapendo che era l'ultima volta. A tarda notte Maria e Domenico ritornarono alia loro casa prowisoria, accompagnati dal vecchio Pasquale. Nessuno per tutta la sera aveva piü parlato del buon servitore. Pure Pasquale si era sacrificato per il padroncino, per lui ora rischiava la dannazione eterna. Ma, come era suo costume d'umiltä, anche questa volta portava chiusa in se la sua pena, senza disturbare gli altri, come se non fosse successo niente di strano, come se si trovasse sempre nella casa dell'ingegnere Molo, rincalzö le coperte del letto di Domenico, lo aiutö a spogliarsi, gli fece fare il segno della croce, gli spense la luce; poi si ritirö nella sua stanzetta, un piccolo andito all'ultimo piano. Si distese nel lettuccio, Pasquale, senza neppure svestirsi e poco dopo era addormentato profondamente. Solo al risveglio, all'ora sua solita, prima dell'alba, ebbe come il pentimento di aver dormito cosi bene, minacciato com'era di pena eterna; gli parve una mancanza di riguardo a Dio, quasi una sfida alle sue punizioni e per la prima volta ebbe vera paura. Inginocchiatosi sul pavimento, dopo aver cercato invano sui muri un'immagine sacra a cui rivolgersi, si mise a pregare. Aveva appena giunte le mani che la porta si apri ed entrö con agitazione Maria: «E inutile che tu preghi» gli disse «oramai non serve piü a niente. Dovevi pensarci, se mai, prima di morire». Pasquale si volse meravigliato. «Vieni giü, piuttosto» fece la donna. «Domenico e scomparso.» Scesero alia stanza del bimbo e trovarono infatti il letto vuoto. Sulla sedia erano deposti il vestito, le calze, la biancheria, sul pavimento bene allineate le scarpe, cosi come le aveva messe Pasquale la sera prima. «Domenico! Domenico!» chiamarono i due nei corridoi e giü per la tromba delle scale, ma non rispondeva nessuno. «Dimmi» chiedeva Pasquale a Maria «credi che sia un brutto segno? scomparire cosi e un brutto segno?» «Non so, non so» faceva la giovane donna. «Qui in genere dicono che e un brutto segno. Ma io non ci credo. Non puö essere condannato. E poi non c'era nessunbmbra sul suo faccino.» «Ombra, che ombra?» «E proprio cosi» disse la donna. «Tutti quelli che finiranno all'inferno, hanno tutti una specie di ombra sulla faccia, chi piü chi meno. Prima credevo che fosse una superstizione, ma poi mi sono dovuta persuadere.» «E lui no, dici?» «No, lui proprio non ce l'aveva.» Uscirono intanto dalla casa e si misero a perlustrare le strade e i giardini attorno, a quell'ora completamente deserti. «Domenico! Domenico!» ogni tanto chiamava Pasquale. • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os IW1 > <5> 4 9% DD OABC-esteso Mer 19:22 Q, © iE€ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria H 1= «Domenico! Domenico!» La voce risuonava con stráni echi nelle stradě, sembrava che non si estinguesse mai. Mentre la notte mořiva e le case, proprio come sulla lontana terra, si facevano livide, i due giravano con affanno alla ricerca del bimbo. A un certo punto Maria si fermó: «Aspetta» disse «mi pare di udire una voce». Da molto lontano infatti si udiva un fievole richiamo che si awicinava. Col cuore in gola attesero fermi. «Pasquale! Pasquale!» a un tratto si udi distintamente, perché chi chiamava doveva esser sbucato da un angolo. Ahimě, non era Domenico. Entrambi se ne resero subito conto. Era una voce maschia e squillante, piena di mattutina allegrezza. Finalmente comparve. Era un giovane in uniformě, un messaggero del tribunále. Annunció: «Pasquale, vieni, ě il tuo turno!». «Vengo, vengo» fece Pasquale «ma prima devo trovare il padroncino. Ě scappato dalla sua stanza!» II messaggero sorrise. «Pasquale, ě il tuo turno, devi venire per forza.» Lo disse con cortesia, ma dal tono, Pasquale comprese che non c'era da fare niente. «Maria» non gli restava altro da dire «pensaci tu a cercarlo. Trovalo, per caritá, anche se devi partire.» «Va e sta' tranquillo» gli disse la donna. E il servitore si allontanó a fianco del messaggero per le stradě deserte. II tribunále era lo stesso del giorno prima, solo che per la prestissima ora era quasi deserto. Pochi uomini insonnoliti punteggiavano le bianche scalinate a imbuto. Nellazzurro crepuscolo pero il mantello rosso del giudice ancora piú fiammeggiava di propria luce, cosi da incutere reverenza sovrumana. «Questo ě il tuo libro, Pasquale» disse il giudice quando il servitore fu salito sulla cima del palco. «Non ci sarebbe gran che di male se tu non ti fossi tolta la vita.» «Si, un suicidio!» esclamó, rizzandosi in piedi, avidamente, 1'accusatore, ammantato di nero. «Si ě suicidato e avrá...» II giudice fece un cenno severo, quasi di stizza, troncandogli la parola in bocca. Laltro si sedette, facendo finta di niente, e simulava piccoli colpi di tosse. «Lasciatemi dire, signor giudice» supplicó Pasquale con la sua solita voce. «Ditemi, ché voi certo lo saprete, ditemi dove ě andato Domenico, il mio padroncino, quello che era qui ieri sera...» «Tu ti sei tolto la vita» disse il giudice con accento alto e bellissimo, come se non avesse sentito «ma...» «Signor giudice* insisté Pasquale «abbiate pazienza, fate di me quello che volete, ma aspettate un minuto, mandate a cercare...» «Tu ti sei tolto la vita» ripeté il giudice con tale solennitá da ammutolire Pasquale «ma che tu sia benedetto per leternitá, anima semplice, amica di Dio.» Smarrito, Pasquale si guardó attorno, perché sentiva che succedeva qualcosa di strano. I pochi spettatori si erano alzati in piedi e lo guardavano fisso. Nella penombra antelucana, sopra la testa del servitore si era improwisamente accesa una sottile corona di luce. Pasquale cadde in ginocchio, le mani giunte, la testa china, e sent! nell'aria un meraviglioso suono di tromba che attraversava sopra di lui il cielo della cittá addormentata. Stette cosi qualche istante, vergognoso di tanta grazia, fino a che, rialzati gli sguardi al giudice, oso ripetere ancora: «Signor giudice, per la misericordia di Dio: dove andato Domenico?* «C'ě stato uno sbaglio» rispose il giudice. «Domenico ha dovuto ritornare.* «Ritornare?» «Ritornare alla vita di prima.* Capi allora Pasquale che Domenico lo aveva lasciato, e probabilmente giaceva nel suo solito letto, in via di guarigione, con la signora Rop al fianco. Avrebbe fatto in tempo a confessarsi - pensó - a cancellare la macchia del sacrilegio, un giorno o laltro sarebbe anche lui giunto nel regno della felicitá eterna, a bordo della nave meravigliosa. Nello stesso tempo Pasquale pensó che non lo avrebbe piú visto, per molti anni, per molti secoli, forse, se il padroncino da grande avesse accumulato su di sé molti peccati, lunghi da espiare. E benché riconoscesse che questo dovesse essere per lui motivo di dispiacere, non riusciva assolutamente a patirne; anche lui oramai era salvo, per sempre straniero al dolore. II bambino sacrilego intanto si svegliava in un letto non suo, in una camera bianca, un fortissimo dolore lo trapassava al ventre se appena tentava di muoversi. Non capiva che cosa fosse successo, solo ricordava vagamente che la sera prima, mentre smaniava di terrore sul letto, nella arcana cittá delle anime, era entrata una singolare persona; e che era un uomo, dal volto fiero e nobile, assomigliante moltissimo al giudice del tribunále; che l'uomo gli aveva detto qualcosa, accennando come a uno sbaglio, e che allora lui, Domenico, non aveva capito piú niente. 47 • Adobe Digital Editions File Modifica Libreria Lettura Finestra Aiuto Os > <5> 4 9% DD OABC-esteso Mer 19:22 Q, © iE€ • O • Adobe Digital Editions -1 sette messaggeri Adobe Digital Editions - 1 sette messaggeri Libreria Ora si guardava attorno, un acuto dolore gli trapassava il ventre se appena provava a piegare una gamba, ma, se stava fermo, niente. Seduta ai piedi del letto vide la signora Rop, sempře con la sua espressione di sentinella in agguato, che lo scrutava intensamente. «Apre gli occhi» disse qualcuno da un'altra parte della stanza. Voltando le pupille, perché la testa era come inchiodata al guanciale, Domenico scorse una ragazza vestita di azzurro e bianco, con una cuffia Candida in testa; doveva essere un'infermiera. «Apre gli occhi» confermó la signora Rop. «Ma ce n'ha fatto passar di paura!» aggiunse come se non volesse lasciarsi sfuggire la minima occasione per fare un rimprovero, di qualsiasi genere fosse. Domenico, semi-intontito, ebbe per un istante l'idea che quello fosse l'inferno. Ma fu un breve pensiero. Capi invece di essere ancora vivo. Intui di essere stato operate e che quello era un ospedale. Non aveva né la voglia né la forza di parlare con alcuno. Alia fine, dopo grandi sforzi, riusci a piegare lentamente la testa da una parte, fino a raggiungere con gli sguardi la finestra. Vide fuori il cielo azzurro, gli alberi verdi, il sole allegro che li faceva scintillare. Con la coscienza della vita, entrava in Domenico un sentimente nuovo e profondo. Ricordando ciö che aveva visto nella cittä del giudizio, si meravigliö di non provare speciale sollievo. La dannazione eterna era, almeno per ora, evitata; forse quello della cittä poteva essere stato soltanto un brutto sogno, il peggio della malattia era evidentemente passato, adesso egli avrebbe cominciato lentamente a guarire, la morte ritornava ad essere un'eventualitä remota e assurda. Pensö a questo, ma ciononostante sentiva come un insistente peso, simile a quando gli avevano dato a scuola lunghi e difficili compiti. E Pasquale? - il pensiero si fece vivo in lui come una trafittura - Che si fosse ucciso veramente? II bimbo apri a fatica la bocca impastata di febbre e di cloroformio, riusci a pronunciare: «Signora Rop, dove Pasquale?» «Non pensare a Pasquale adesso, pensa piuttosto a guarire. Taci, non devi stancarti» fu la risposta. Ma Domenico senti l'infermiera che sussurrava alla governante, credendo di non essere da lui udita: «Ha sentito? Par fino impossibile. Si direbbe che abbia sentito tutto!». "Si direbbe che abbia sentito tutto!" Dunque era vero: Pasquale non esisteva piü, si era tolto la vita per venire in soccorso di lui all altro mondo. Per niente, per niente. Lui aveva fatto ritorno e Pasquale invece era morto davvero, non si sarebbe visto mai piü, non sarebbe piů venuto a svegliarlo al mattino. Relegato nella cittä dei morti, solo nella moltitudine delle anime, ora attendeva il giudizio di Dio. Pověro Pasquale, quanto era stato buono e balordo! Allora, sebbene fosse un bambino, Domenico intui vagamente per la prima volta che cosa fosse lesistenza degli uomini. Diverso ormai in confronto ai compagni, diverso in confronto a se stesso di ieri, giá cominciava dunque a conoscere le scadenze terribili della vita. Adesso era partito Pasquale, poi sarebbe stata la signora Rop (e benché fosse una creatura cosi noiosa sarebbe pur stato un triste giorno), poi sarebbe toccato al padre, ad uno ad uno tutti i buoni compagni lo avrebbero lasciato sempře piu solo. II terrore del sacrilegio era nel ragazzo del tutto scomparso: gli restava invece quellarido gusto della vita che ricominciava, come presentimento di lunga fatica.