J2 Dei Sepolcri correggere i barbarismi de' traduttori, i suoi bei parti fran. cesi nel bastardo italiano d'una gazzetta che senza stile giu dica dello stile. iMa cost va il mondo, monsieur Guill. '1> colpa h d'altri, pur troppo, e noi n'abbiam I'onta e la pena ella parlando di cio che non intende; io rispondendo ack non puo intendermi. Brescia, 26 giugno 1807. uc;o roscoLO. ESPERIMENTO DI TRADUZIONE DELLA ILIADE DI OMERO a vinc.knzo monti Quand'io \ i lcssi la mia versione dell'Iliade voi mi reci-taste hi vostra, contcssandomi di avere tradotto senza gramm.itica greca; ed in nell'udirla mi contermava nclla sentenza di Socrate che I'intelletto altamente spirato dalle Mum- c l'mtcrpretc migliore d'Omero. Ma la coscienza delle mic lorzc nun tu si modesta da scontortarmi, e voi donandomi il vostro manoscritto e I'arbitrio di valerme-ne, mi traete ad awenturarmi a disugualc confronto per trovar mezzo a ricambiarvi di questa prova di fiducia e di amore verso di me. Per6 non mi sono abbellito di veruno de' vostri pregi, come terro nel nostro secreto cid che mi sembrasse culpa, per non trarre a giudizio pubblico le accuse, che I'Autore ascolta liberalmente, ed e in tempo an-cor d'emendare. Ma stampo col mio il vostro primo Canto, onde se l'ltalia. come io credo, vi ascrivesse la palma. tocchi miglior poeta all'Iliade, ed io possa perdonare alia iatica che spendo piu per amore d'Omero che della tama. A chi non s'e ancora mostrato come voi degnamente au-tore, questo mestiere del tradurre frutta dovizia di erudi zioni e di trasi. ma yli mortifica nell'ingegno tutte le im-magina/ioni sue proprie: ogni servitu dimezza luomo ed il merito delle imprese'. Voi intanto leggete questo libric-ciuolo che se non altro vi sara caro per la nostra antica amicizia. e vivetevi lieto della vostra gloria. Brescia i Germain 1807. UGO FOSCOLO. INTENDIMENTO DEL TRADUTTORE Gli uomini nati alle belle arti cercano in Italia una ver-sione corrispondente alia fama di Omero. II Cesarotti, in-gegno sommo de' nostri tempi, che poteva egregiamente tradurlo, elesse d'imitarlo; e forse fa sospettare che il padre de poeti non risplenderebbe nelle sue bellezze natie. Risplende nondimeno in altre lingue, e credo che I'ltalia-na piú ch'altre possa assumere le virtu di Omero senza studio di ornarle, e i suoi difetti senza timor d'awilirsi. Pero imprendo a tradurre l'lliade. Le immagini, lo stile e la passione sono gli elementi d'o-gni poesia - L'esattezza delle immagini Omeriche non puó derivare a chi le copia se non se dalla teologia, dalle arti, e dagli usi di quelle etá eroicbe: ně io scrivo verso sehza prima imbevermi a mio potere delle dottrine di tanti scrittori intorno ad Omero. Chi mi trovasse in ambi-guitá l'ascriva in parte alle tenebre di rimotissime tradi-zioni. - L'arm oni a, il moto, ed il colorito delle parole fan-no risultare, parmi, Io stile: l'armonia si sconnette nelle versioni, e le minime idee concomitanti ďogni parola e che sole in tutte le lingue danno tinte e movimento al si-gnificato primitive, si sono smarrite per noi posteri con l'educazione e la metafisica di popoli quasi obbliati: i di-zionarj non ne mostrano che il vocabolo esanime*. Onde * Alia voce {ante la Crusca' spiega: servidore - ancella - soldato a pie ■ fan-ciullo - creatur'a umana ■ figura da giuoco. Ma nell'AUighieri ě derivata as. fan latino, ed ě animata dalle idee concomitant! di qualificare 1'animale umano ma- in-alii 58 Esperimento di traduxione della lliade io inerendo sempře al significato mi studio di dar vita alle mie parole con le idee accessorie1 e con Farmonia che mi verranno trasfuse nella mentě dalloriginale. Ma vane so-no le tempre intellettuali ďogni uomo; vario il valore di ciascuna parola, a chi troppo oscurata, a chi troppo gnificata dalFantichitá; incostante la pronunzia delle gue mořte; diversi gli organi di taňte orecchie nelle qu versi suonano; quindi opposte sempře le sentenze sulla corrispondenza dello stile ne' traduttori. Ně io mi lusin-go delFassenso comune; che anzi sospetto ďaver dato al poeta un andamento piú concitato, ed alla lingua Italiana čerta affettazione di antichitá e di sintassi greca. Ma se i disegni della mentě partecipano del divino, la materia e i sensi con che si ritraggo.no sono, pur troppo, sempře umani. — Per la passione, elemento piú necessario degli altri, e cosi universalmente diffuso nelTIliade, s'io lascie-ró treddi i lettori, non sará colpa delFincertezza del gusto ně delle storie, ma tutta mia e della nátura del mio cuore, del cuore che ně la fortuna ně il cielo ně i nostri medesimi interessi, e moko meno le lettere, possono correggere mai ne" mortali. E perchě i principi e gli autoři non odono la veritá nelle loro stanze, io pubblico questo saggio per valermi delle sentenze de' dotti, e del sentimento degFingegni educati. Ad agevolare il confronto stampo la traduzione letterale del Cesarotti postillando i passi ch'io per varieta di lezio-ne o di congetture spiego altramente: le interpretazioni latine sono assai volte inesatte, nojose alla lettura, ně faci-li a tutti; e i grecisti che volessero giovarmi abbondano di testi. L'esame ch'io fo de' traduttori, che soli fra tanti o per necessitá di versione o per favore di scuole evitarono 1'obblio, giustificherá, spero, Fimpresa: continuando, non li nomineró piú, che ad ogni modo le altrui colpe non mi sarebbero merito. Ma da quelle versioni, e da' retori e dalla loquela, distinguendolo da ogni alcra specie. Quando per volexe del O tempo la lingua italiana non risponderá che da' vocabolari, sMntendera mai per essi qucl verso di Dante, se oggi dobbiamo ribellarci da un'accademia di grammattc. c mvestigarne il senso dalla filosofia e dalle radiči dWaltra lingua? L1 dizionarj greci non compilati. come i nostri. tre secoli dopo la mořte del nosím přímo poeta, e nella sua patria, anzi incerti da quali etimologie de-nvasse la lingua d Omero, basteranno forse a' traduttori? Per tradurre quegli annchi poet. c. vnole molto greco, ma moko piú ďorecchioe moltissima Iopi-ca; e non per tamo andra spesso a chi meglio tndovina. Vedrai alťutóme papi-nc I applicazionc di questo parere. Intendimento del traduttore je, rimatori di quelle etä parmi, che senza l'Ossian del Cesarotti, il Giorno del Parini, I'Alfieri, e Vincenzo Monti la magnificenza della nostra poesia giacerebbe ancora se-polta con le ceneri di Torquato Tasso. Da indi in qua un secolola inorpellö, e ľaltro la immiserí: ně mancarono in-gegni; ma le corti, le cattedre de' regolari, e le aceademie preA-alevano: quindi molti i \alenti, rarissimi i grandi. Forse l'Ossian fara dar nello strano, il Parini nel leccato, I'Alfieri nel seceo, il Monti nelľornato; ma le umane virtú nonfruttano senza ľinnesto ďun vizio: i grandi ingegni emuleranno; i piecoli scimiotteranno; e i medioeri, am-maestrati dallo studio a giudicare delľarte, ma impotenti per natura a conseguiirla, si getteranno come corvi sulle piaghe de' generosi cavalli. Volgarizzamento letter ale di MELCHIOR CES AROTTI1 Versione del CANTO PRIMO Canta \ o Dea, lira ďAchillefiglio di Peleo (ira) pestife-ra, che reed infinite doglie agli Achei, e slancid all'Oreo molte valorose anime d'Eroi, lasciando low preda ai cam e agli augelli tutti: cost compievasi il voler di Giove dacche prima vennero altercando a discordia Atride il Re degli uo-mini, e 'I divino Achille. Chi degli Dei gli azzuffó a contrasto? II figlio di Giove e di Latona: perciocche egli sdegnato col Re suscitó per le-sercito un reo morho (ne perivano i popoli) e ció perché Atride disonoro Crise il Sacerdote. Era egli vennto alle ce-leri navi dei Greci" a riscattar la figlia, recando infiniti doni, e tenendo in mano ilserto del lungisaettante Apollo in-torno allaurato scettro, supplied gli Achei tutti, e spezial-mente i due Atridi condottieri de' popoli. O Atridi, e voial-tn Achei da'-begli-schinieri, cosi gli Dei che ahitano le case A. L'originale: L'ira canta - nel mio verso vedo vizioso U concorso di quat-tro a, c l'indolc italiana vorrebbe cantami, o Dea', ma vedo altresi che Ira ě la prima parola del Poema come n'el'elemento, e che la venerazioncdi tutti i se-coli per questo verso meritava che ad ogni patto non fosse spezzato come tutti fanno, c peggio ilCeruti': «Del figlio di Peleo lesu/aute o Diva I Canta e l'ira crudeU. b. L'originale, Achei - «II nome di greci dato da noi a questa nazione non si connobbc che in Italia, forse da qualche viaggiatore o capo di colonia poco noto. II nome piú comunc dato da Omero all'intero popolo ě quello di Achei che poi fu proprio soltanto d'una provmcia. All'incontro quello di Elleni che poi prevalse e divenne universale, non era a' tempi di Omero che il nome d'una parte della Tessaglia. I Greci neli'Iliade sono anche talora chiamati Argivi e Danai» Cesarotti. Io serberó i nomi de' tempi Omerici. L'ira. o Dea, canta del Pelide Achille Che orrenda in mille guai trasse gli Achei, E rnohc fořti a Pluto alme ďeroi Spinse anzi tempo, abbandonando i corpi Preda a shranarsi a' cani ed agli augelli: Cosi il consiglio s'adempia di Giove, Da che la rissa ardea che fe' discordi II Re ď uomini Atride e il divo Achille. '. Chi degli Dei concitö l'ire? II íiglio Di Latona e di Giove. Irato al Rege mandö una lue sterminatrice al campo Ele genti perían; che Agamemnone D'oltraggi affiisse il sacerdote Crise. Venne Crise alle Achee celeri navi A redimer la figlia, e assai tesoro Reco d'offene. Avea l'infula in mano D Apollo lungisaettante awolta SuU'aureo scettro, e orö supplice i Danai; a E piú gli Atridi, duci delie gentv. Atridi, e voi ben gambierati Achei, Se gl'immonali abitator ďOlimpo Appendice SU LA TRADUZIONE DEL CENNO Dl GIOVE1 CONSIDERAZIONI Dl UGO FOSCOLO Applicherô il mio parere intorno alia corrispondenza delta" stile a tre versi di Omero chc dipingono la maestä e ľon-nipotenza d'Iddio. La sintassi ě limpida, le frasi schiette di tropi, c tutto vi pare si evidente, ehe veruno de' commentator]' li tormento. Chi mai troverä in questo quadro difetti da emendarc, u nel proprio ingegno bellezze da aggiungervi? La figura ě una, ľattitudine riposata, i movimenti maestosi, J effetto istantaneo. Ma a ricopiarlo niuno ě riuscito, ně riu-scirä, temo. II. v.-jl: xuctvéy^iv £tz' óppúzi včJits Kpovicov AfJippoatůu i xpy. yal-v.: c—eppcúzxvro av d; e spesso sciolgo i dittonghi, e li protraggo sempřeA A- Vedi Xlnteniimenio del traduttore. B- Vedi vers. 628, e seg.J. ,o4 Espertmento di traduzione delia Wade questa varieta ďarmonia accidentale s'aggiunge ľaltra íne-renie alle voči ed al metro. Tutto il secondo verso e molie di vocali; la fine dell'ultimo ha in sě un tremito rapido e violen-to: la dignita dell'esametro ě appena adombraiu nell ende-casillabo'. I vocaboli corrispondemi nelle lingue moderne langm-ranno sempre per ľimpossibilitä di trasfondere in essi le minime idee accessorie ehe animano i greci. Kpwiuv, Saturnio. K?v#>t suona Tempo: e Saturnio 1 eccita nel pensiero ľignota origine de' secoli, la lor successione, e il loro termine, illimitato per ľumana immaginazione: quindi ľeternitä; quindi il religioso terrore delia mente per questo attributo delia divinitä, alla quak gli uomini per ľopimone delľimmortalitä dell'anima si eredono eternamente sogget-ti: e i popoli si sono sempre pasciuti di religione, di speran-zc, e di terrore. Aggiungi ehe a' tempi omerici il nome Saturnio era pregno di tradizioni teologiche, e delia genealógia de' Numi; favole che ad ogni modo rappresentavano imma-ž'Hiuutr'vano passioni, e conferivano allo stile poetko. Ma Saturnio nella poesia moderna sarä sempre parola esanime. NiOat. Tutti ripetono ehe Giove mosse le ciglia: ma Giove non dice egli stesso che il cenno solenne era fatto dal capo? Ogni moto del capo si propaga naturalmente alla fronte ed agli ocehi. H poeta dunque mostra ľeffetto, poichě dianzi ci ayeva awertiti delia causa. Pindaro ľimitô; ma liricamcnte tace la causa: Glimmortali con le sopracaglia annnirono al conúglio di Temide"; e chi si ricorda d'Omero vede ehe gli Dei di Pindaro assentirono accennando col capo. Or traduci chmáre le ciglia, piegarlejarle muovere, inarcarle, accennare. dar segno, non dipingerai mai il rapidissimo consenso degli ocehi e delle sopracciglia al moto delia tesra; ně ľespressio-pe delia fronte, da cui si emana tranquillamente, e s'eítettua istantaneamente la volonte dell'onnipossente. ^jj*)íl"w- U poeta dä questo aggiunto anche alľalto ma-re : Mosco chiama cerulea la notte senza luna D: niuno ch'io sappia usô fra' latini prima di Virgilio1 questo colore per ne-ro; nondimeno la coerulea Mors di AlbinovanoF ci trae di dubbio sul senso ehe allora assegnavano a questa parola. Ma Del cenno di Giove 105 C Iliad, lib. I, 89 Me^'= W**v iftwóWMv. t>. Idillio ad Ésperc E. Eneide lib. II, ;j. F. Ad Ltviam, cleg. 93'- noi traducendo nero, perdiamo ad ogni mode la grazia del traslato e le idee concomitanti. Ciglia cerulee e fosco-azzurre nella lingua italiana dissentono dalle immagini umane ab-bellite da' poeti nella divinita. Io vedo nella parola greca lo splendore che tramanda il velluto nero che gLi artefici imbe-vono prima di tinte azzurre onde non imprigioni tutti i raggi della luce; ma come tradurla? W'/fi^T.y.:. Voce piena di fragranza, di mollezza, e di dei-ta. Virgilio la dcrivo*; ma ne Servio. grammatico della lingua latina vivente, sa darne idea precisa. Negli antichi l'am-brosia e cibo degli Dei; spesso ne' greci bevanda: talvolta unguento che fa incorruttibili i eorpi'. Gl'interpreti tutti a quesio luogo si ostinano a tradurre chiome divine, immortali, AaWalja privativo e da £porij mortale. Ma questo signifi-catoprimitive e generale scconda gli accidenti delle cose alle quali si riferiscc. Ambrosia spesso si scambia con nettare, e nell'Iliade le vesti degli Eroi sono netlareec. La veste ambrosia in che tu involto il cadavere di Achille pare che ardesse colla pira": e Silio attribuisce capelli ambrosii a un fanciullo morenteE. L'olio amhrosio con che Giunone si fa bella per allettar Giove e soave e odorifero T. La fragranza era a' morta-li indizio d'un iddio presente0, e Ippolito conosce Diana al-l'odore celeste". Omero dunque mirava in questi versi a quell'idea religiosa quasi che tutti gli elementi circostanti s'accorgessero della volonra di Giove. II che sento nella voce ambrosia, la quale non per tanto sarebbe indistinta nella lingua italiana. e la perifrasi la stemprerebbe. "Apx. Particella ridondante che cospira all'armonia rap-presentativa del verso. Niun interprete la spiega, niun tra-duttorc saprebbe assumcrla con garbo. 'Aveacm;. Omero non da il titolo di Re che a Giove, a Febo ed a pochissimi altri Dei, per eccellenza. Noi lo confondia-mocon,33T.v.E^jperche non conosciamo la proprieta vera di questo attributo. Kfx-rK;. Certamente capo; ma la mia fantasia non pud scompagnare da questa voce I'idea della potenza e della sa-pienza dettatami dalla stessa voce Kpxrc; forza, impero as- a. Eneid. Lib. I, 650. - Servio, ivi. E Georp. nr., 450. c Lib. XVIII.. 25. b. Odissca. lib. XXIV, E- Lib. XII. 245: Amhrosme cecidere comae. »■ Hiadc, lib XIV. 272. c- Iliad, lib. XIV., i7o(-7i) - Odissea lib. VIII. 364<-6j). H. Euripide, Ippol. v, 1392 c seg.1. Esperimento di traduxione della Made questa varieta ďarmonia accidental s'aggiunge I'altta ine-rente alle voci ed al metro. Tutro il sccondo verso ě molie di vocali; la fine dell'ultimo ha in sě un trcmito rapido e violett-to: la dignita delľesametro ě appena adombraui nelľende-casillabo1. I vocaboli corrispondenti nelle lmgue moderně langui-ranno sempre per ľimpossibilitä di trasfondere in essi le minime idee accessorie ehe animano i greci. Kpävituv, Saturnio. Kpôvo; suona Tempo; e Sutu niio * eccita nel pensiero l'ignotaorigine de' secoli, la lor succession^eil loro termine, iflimitato per ľumana immaginazione: quind: l'etemita; quindi il religioso terrore della mente per questo attributo della divinita, alia quale gli uomini per l'opinione dell'immortalitä dell'anima si credono eternamente sogget-ti: eipopoli si sono sempre pasciuti di religione, di speran-ze, e di terrore. Aggiungi che a' tempi omerici il nome Saturnio era pregno di tradizioni teologiche, e della genealógia de' Numi; favole che ad ogni modo rappresentavano/wwd-g/w^nutrivano passioni, e conferivano alio stile poetico. Má Saturnio nella poesia moderna sarä sempre parola esanime. Afe&xe. Tuttiripetono che Giove mosse le ciglia: ma Giove non dice egli stesso che il cenno solenne era fatto dal capo3 Ogni moto del capo si propaga naturalmente alia fronte ed agliocchi. IIpoetadunque mostra ľeffetto, poiche dianziid 'aveva avvertiti della causa. Pindaro ľimito; ma liricamcnte tace la causa: Gl'immortali con le sopracciglia annitirono d consiglio di Temide*; e chi si ricorda d'Omero vede che gli Dei di Pindaro assentirono accennando col capo. Or traduci chinare le ciglia, piegarlejarle muovere, inarccuie, accennare, dar segno, non dipingerai mai il rapidissimo consensu degli °CC,4iľ c e s°Pracci§lia al moto della testa: ně ľespressio-ne della fronte, da cui si emana tranquillamente, e s'effettua istantaneamente la volontä delľonnipossente. Jt^^-T. poeta da. questo aggiunto anche alľalto ma- Del cenno di Giove 105 „c, JU ' 1 . L---- -i^SL\J UJJyiUJ lSclľ» ^SShla notte senza luna ■: niuno ch'io m nondTmfľ di Vifg^F questo colore peri* ľÄsXmo chTaUo" MOrS dl AlbÍnOVi . ano' ci trae di assegnavano a questa parola. Ma c. Iliad, lib. I, 89 ■ Vtuaav «ftwawwtv. e E'^d *ÄEsp*m. F- Ad Livianj, elég5i, 93J noi traducendo nero, perdiamo ad ogni modo la grazia del traslato e le idee concomitanti. Ciglia cerulee e fosco-azzurre nella lingua italiana dissentono dalle immagini umane ab-bellite da" poeti nella divinita. Io vedo nella parola greca lo splendore che tramanda il velluto nero che gh artefici imbe-vono prima di tinte azzurre onde non imprigioni tutti i raggi della luce; ma come tradurla? 'ApjUpojKze. Voce piena di fragranza, di mollezza, e di delta. Virgilio la derive*; ma ne Servio, grammatico della lingua latina vivente, sa darne idea precisa. Negli antichi 1'am-brosia e cibo degli Dei; spesso ne' greci bevanda: talvolta unguento che fa incorruttibili i corpiB. Gl'interpreti tutti a questo luogo si ostinano a tradurre ckiome divine, immorta-li, AaWalfti privativo e daBcozc>- morlale. Ma questo signifi-cato primitive e generale seconda gli accidenti delle cose aUe quali si riferisce. Ambrosia spesso si scambia con nettare, e nell'Iliade le vesti degli Eroi sono nettaree^. La veste ambrosia in che fu involto il cadavere di Achille pare che ardesse colla pira D; e Silio attribuisce capelli ambrosii a un fanciullo morenteF. L'olio ambrosio con che Giunone si fa bella per allettar Giove e soave e odorifero *. La fragranza era a' morta-li indizio dun iddio presented e Ippolito conosce Diana al-l'odore celeste". Omero dunque mirava in questi versi a quell'idea religiosa quasi che tutti gli elementi circostanti s'accorgessero della volonta di Giove. II che sento nella voce ambrosia, la quale non per tanto sarebbe indistinta nella lingua italiana, e la perifrasi la stemprerebbe. "Apx. Particella ridondante che cospira alTarmonia rap-presentativa del verso. Niun interprete la spiega, niun tra-duttore saprebbe assumerla con garbo. 'Avoxtoc. Omero non da il titolo di Re che a Giove, a Febo ed a pochissimi altri Dei, per eccellenza. Noi lo confondia-mo con-Sas-.'/.eia- perche non conosciamo la proprieta vera di questo attributo. Kpa.zo:. Certamente capo; ma la mia fantasia non pud scompagnare da questa voce l'idea della potenza e della sa-pienza dettatami dalla stessa voce Kpaxos forza, impero as- *■ Eneid. Lib. I. 650. - Servio, ivi. b. Georg. Iv., 450. C Üb. XVIII.. 25. t>- Odissea. lib. XXIV, 59-57. E- Lib. XII, 245: Ambrosiae cecidere comae. r. Iliade. lib. XIV. 272. c Uiad. lib. XIV., i7o(-7i> - Odissea lib. Vm, 364<-6?>-H- Euripidc, Ippol. v. 1392 c seg.1. io6 Esperimento di traáuzione della lliade soluto; idea forse derivata dalla superiorita della ragione umana. A/svav. Questo epiteto, che esattamente si traduce grande, ha qui ľidea delľimmensitä, della sublimitá, e della soli-ditä delľOlimpo: pero Virgilio tradusse totum. Ecco le traduzioni e le imitazioni di quesi tre versi. VIRGILIO Annuit et totum nutu tretnefecit Olimpum''. «Fidia effigiando Giove Olimpio interrogato da che mo-dello trarrebbe la divinitá, rispose: da Omero; poichě dalle sopracciglia e dalle chiome di Giove egli avea idoleggiata tutta l'effígie». Macrobio2. Qui e 1'onnipotenza senza la maestá. L'originale ta con-templáře, 1'imitazione immaginare. Virgilio, Orazio \ e l'Al-fieriB percotono il lettore e fanno ammirare il poeta. Ma in Omero 1'autore si nasconde e non si vede che il quadro. OVIDIO Terrificam capitis concussit terque qttaterque Caesariem cum qua terram, mare, sidera /novit , II lusso rettorico della chioma che a un tratto sanb» primo agente ci distoglie dalla sublimitä dell'idea. 11 jW£ quaterque appone troppa insistenza e troppo stento au' nipotenza divina. Del cenno di Giove CUNICH 107 mno di Davide a nin r ■; C Metamorf. lib. I lJ9{ goy caP° "ccenni, tréma l'miversO. Sic ait, et capite atque oculis pater annuit: ahn am Ambrosius fluxit per frontem et regia crinis Tempora; contremuere arces et culmina OlimpV. Sic ritarda. Capite atque oculis scema il potere divino, emanato dal solo moto del sopracciglio. Manca il Saturnio. Paterha nel latino I'idea della signoria, non dell'impero universale come il Re nel greco. Crinis in singolarc non dipinge le masse di ciocche; e crinis per frontem et tempora adombra troppo il volto del Dio. Contremuere, si potrae troppo, e non serba la violenza rapida dell'eAeAilev. Arces ě parola qui inopportunamente metaforica, e cuhnen voce in origine urnile, e presentano la stessa idea: ci arrestano sulle vette e ci distraggono dal centro e da' fondamenti del grande Olimpo. ALEGRE Sic ait, et quassat caput immortale; per ora Perque humeros fluxere comae, et tremit alius Olympus . Eccellente modello per uno scultore che volesse efligiare Giove con le spalle rivolte. SALVINI Disse, e la prole di Satumio fece Del suo cendeo sopracciglio cenno, Crolld Vim mortal testa, e le divine Chiome dell'alto Sir diero una scossa, Onde tutto tremonne il vasto Olimpo. Disse -fece - del suo - crollar - dar una scossa - alto Sir - la niokitudine e la brevita delle parole immiseriscono 1'imma-8uje, eprole assai piu; ceruleo e inesatto: crollar la testa, non e d Omero; vedi le osservazioni al Ceruti3. 6 io8 Esperimento di traduzione delta lliacle Del cenno di Giove 109 MAFFEI Disse, e co' neri cigli ilsegno diede, E le chiome si mossero immortali Del divin capo, e ne tremo I'Olimpo. Cigli, parola troppo tenue a tanta mole; dar il segno, roglie il mirabile emanato da un verbo. Mancano il Re, il Saturnio la vastita dell'Olimpo, e Vambrosia. I troppi sconnettono l'unita. RIDOLFI Disse, e col new sopracciglio Giove Fe' cenno; e nel crollar I'augnsto capo Le immortali sue chiome si a git am Onde tutto si scosse il grande Olwipo. Eccoti il more die freddamente ragiona: nel crollar if. capo s'agitarono le chiome onde si scosse I'Olimpo. U Poe^a invece per guidarci al mirabile del'effetto non ci arresta sule cause. Da che il nome ď'Augusto fu disonorato da Ouaviano e da' suoi successor!, questo attributo awilisce la divimra-Capo eccita anche nell'originale idee di mortalita, ma 1 ag-giunto immortale del testo correggendo questa idea, e posto dopo capo, ě sorgente di meravigha; onde a torto in questo luogo mold premettono l'attributo al sostantivo. CERUTI Disse, efe' cenno con le nere ághú, Crollô il capo immortal, scosse la fronte E le chiome divine; e ne tremaro Le sfére e i gioghi del sublime OlintpO ■ Tutti gli effetti del cenno divino nel testo derivano dajU zione unica di veSáss, verbo dissillabo e di tenue pronu che cospira al sublime: in Omero si vede 1'unico moto del ci-glio: qui Giove fa il cenno - crolla il capo - scuote lafronte -smote le chiome: qual maraviglia se a tanti sforzi segue tanto effetto? CESAROTTI Ei disse, E gia dechtna maestosamente Le imperiose ciglia; alto squassarsi Le stillanti d'ambrosia auguste chiome Sulla testa immortal; sen tí I'Olimpo 11 cenno onnipossente e traballô'. La maestň, Vimpero, e Vonnipotenza di Giove risultano dall'effetto; onde mi sembra che le troppe tinte al pensiero ne ritardino il moto. Ľ alto squassarsi ascrive troppa violenza alle chiome, che nell'originale si commovono mollemente col doppio rr e col doppio 00 delI'órepptýcravTO. II suono del traballô esagera forse la rappresentazione, e seme un po' troppo ľane. Preawertito del sentimento dell'Olimpo, la meraviglia del suo tremito mi riesce men improwisa; e il verso che non si chiude con la voce Olimpo cospira a sce-marla. La scelta di parole polisillabe seconda l'armonia imi-tativa delľoriginale. POPE He spoke, and awful bends his sable brows Shakes his ambrosial curls, and gives the nod; The stamp of fate, and sanction of the God: High Heav 'n with trembling the dread signal took, And all Olympus to the centre shook"2. K Giacitura delle parole: Ei disse, e trernendo ^^erecgl^ Oo la 'Cambrosic cioeche e dá il cenno \hnpronta de[{%°J^^Jal dh, \ Vaito cielo con tremito ilformidahle segno prese \ E tutto i Ohmpo dal Kttro crolló. 110 Esperimento di traduzione della lliade Del cenno di Giove in «In questi versi non si sente lo squassamento della capi-gliatura di Giove espresso cosi maestosamenre ne' versi Omerici. II verso intruso sopra il cenno del capo divide mal a proposito la causa dell'effetto e fa sparire 1'istantaneita del tremore che é forse la principale bellezza del cesto. Final-mente il verso sul cielo rende pressoché inutile ľaltro sull'O-limpo, e avrebbe piuttosto dovuto porsi in ultimo per non trarre di seggio ľOlimpo che chiude con un bel colpo». Cesarotti. Anche il Pope ha traveduto col Ceruti, e il suo Giove fa tre azioni dirette. Gli aggiunti tremettdo e formidabile confe-riscono piú al terrore che alia maestä: ma forse awful, e dread hanno nella poesia inglese idee accessoric che io non trovo ne' dizionarj. Nella teológia Omerica il Fato governai mortali e gľimmortali, e non so che i suoi decreti bisognas-sero della sanzione di Giove. Se non che la fantasia de' poeti troppo eleganti sentenzia piú che non dipinge. nel minuro; certo che Fidia avrä effigiato Giove con poche e grandi masse di ciocche, non co' ricci d'Antinoo: 3" che il capo del Giove francese ci svegli ľimmagine delľistrice, e ľattitudíne ďuna fúria anziché del Dio che posatamente puô ciô che vuole; se la nátura manifestô sempre gli affetti con le stesse apparenze, anche a' tempi d'Omero Yorrore e il raccapriccio soltanto facevano irrigidire e rizzare le chiome. Finalmente pármi che il fait trembler les Dieux accusi la ti-rannide di Giove, ed awilisca turti gli altri Dei. MADAMA DACIER En mime terns il fit un signe de ses noirs sourcilsJ.es sacres cheveux furent agitez sur la tete immortelle du Dieu, et il ebranla tout I'Olimpe1. ROCHEFORT II dit, et fait mouvoir ses sourcils rédoutables, Ses cheveux ondoyans en rcplis innombrables Se dressent lentement sur son front radieux, ^ U ébranle VOlympe et fait trembler les Dieux . «L'imitazione francese se non giunge all'armonia raPP?-sentativa del testo (e chi potrebbe giungervi) ha pero pregi singolari. II fait mouvoir ě un'espressione altarneru enfatica che rappresenta la mole di un sopraccigno cne stiene il destino del mondo. Le chiome poi che si r^za" con una lenta maestä sulla fronte raggiante di Giove tor » no una bellezza invidiabile ad Omero stesso. Io non so ess re egualmente contento del fait trembler les Dieux. anche in Omero fu ben mal accorto a far tanto s^rep/l„L. quando volea star occulto. E questa espressione del Roc fort fa sentir maggiormente ľinopportunitä di questo mov mento straordinario». Cesarotti- Parmi: i° che il rédoutable faccia come nelľinglese piú j ribile che maestosa la divinitä: 20 che ľinnombrables cac BITAUBE Ansidit le f lis de Saturne, et il baisse ses noirs sourcils. La divine chevelure s'agite sur la tete immortelle du Uonarque; le vaste Olimpe tremble2. ALESSANDRO VERRI Duse, e con le nere ciglia accennô disi. ^f^^T ti chiome ondeggiarono sulla testa tmmortale; e I Utimpo ne tremô'. Risperto alla mia traduzione di questt tre versi, e= dl.moltis-simi altri. nvaccorgo che si puó etimologizzare, siUo^e fantasticare sopra i grandi originali,_ ntrarh ah.vo W che le mie teorie condannano i miei esempj: pero e piu airo gante chi parla che chi fa. 544 D« Sepolcri nopoli, M. Hawkins, il dottor Sibthorpe, proiessore di botanica a Oxford, e il dottor Dallaway, in seguito a un lungo viaggio in tutte le parti della Troade, hanno comunicato il loro diart aldo:-tor Dalzel. Questi ha composto un quadro comparativo di quei viaggi e dei miei [...] e la piana di Troia ě del tutto eonforme alia descrizione che ne ho fatto]. Per questa descrizione vedi, sempře nel vol. II, i capp. xi-xix, pp. 253-331. La citazione foscoliana probabilmente non ě - come del resto molte altre - di prima mano, ma deriva dalla pili volte ricordata Imagination del Delille.e precisamente dalla nota al v. 6 del canto VII (gavazzeni). 6. Non si tratta per la precisione del v. 19 ma 72 delYAlessandra di LicoFRONE, e anche la citazione di apollodoro ě impre-cisa: III 12 i. 7. Ecco i versi virgiliani (134-37): «Dardanas, Iliacae primus pater urbis et auctor, I Electra, ut Grai prehibent, [...] cretus. I [...] Electram maximus Atlas I Edidit» [Dardano, primopadree fondatore della cittä ďllio, nacque, come affermano i Greci, da Elettra, figlia del grande Atlante]; e quelli ovidiani (31-32): «Dar-danon Electra nesciret Atlantidě natum I Scilicet, Electram con-cubuisse Iovi? », che confermano la nascita di Dardano da Elettra, figlia di Adante, e aggiungono che questa si giacque con Giove. Pagina 37. 1. Per 1'esattezza i versi virgiliani sono il 63 - giä menzionato dal Foscolo nella sua nota al v. 98 -eil 6y. «Eintorno, secondoil costume, le donne iliache con il crine sciolto». La citazione virgi-liana (II 246-47) nella successiva nota parla invece di Cassandra che disvela «i fati futuri, non mai creduta dai Teucri per ordine del Dio», vale a dire di Apollo. 2. « [.,.] la tomba di Ho, 1'antico Dardanide. in mezzo alia piana [...]» (w. 166-67). Pagina 38. i. Sulle due ultime fond classiche citáte dal Foscolo, cfr. k considerazioni in nota al v. 285 dei Sepolcri. Pagina jo. Appendice LETTERA A MONSIEUR GUILL(On) , Come gia chiarito nella Scheda introduttiva, tale letters «pol» 1 articolo polemistico del letterato francese, contrassegnato m punti a cui il Foscolo puntualmente risponde, dopo alcuneesau-nenn considerazioni di carattere generale. In questa sedenons rende dunque necessaria alcuna ulteriore nota di commento. Esperimento di traduzione della lliade 545 ESPERIMENTO DI TRADUZIONE DELLA ILIADE DI OMERO SCHEDA INTRODUTTIVA Le vicende ehe portarono nel 1807 alia pubblicazione dell'F-sperimento, sostanzialmente parallela all'edizione dei Sepolcri, sono state piú volte e in modo del tutto esaustivo ricostruite, sulle tracce di una doviziosissima documentazione di carattere episto-lare: basti qui citare gennaro barbarisi (nella prefazione alia sua edizione critica di tutti i tentativi di versione ááYliiade, usci-ra tra il 1961 e il 1967 a Firenze, per ľEdizione Nazionale delle opere foscoliane, ehe ha spianato definitivamente la strada a un rigoglioso ŕiorire delľinteresse critico intorno al Foscolo tradut-rore di Omero 1, e arnaldo bruni, euratore della riedizione ana-sytica dell'Esperimento (Zara, Parma 1989) corredata da un am-pio apparato di note critico- filologiche. In questa sede ci limiteremo a una breve esposizione di aleuni dati salienti: nelFepištola alia Albrizzi del 16-17 giugno 1806, giä citata alľinizio della Scheda introduttiva ai Sepolcri, il Foscolo dava notizia duna sua visita al Pindemonte, durante la quale «il Cavaliere [...J mi lesse VOdissea, bellissima fra le sue belle cose, e quella ehe a mio parerčTgli fara onore dawero; [■••] onde consi-gliatelo [...] di continuare questa traduzione di cui manca ľlta-lia». E poco piú tardi - il 27 giugno - al Pindemonte medesimo il Foscolo seriveva (Epistolario, II, p. 09) di aver parlato al Monti deíl'Odissea in termini tanto entusiastici« ehe se ľincontentabile Ľgo Zacimio la lodava, ella dev'essere la bella cosa - onde io vi prego di dare tutti i vostri minutí all'Omero vecchio». Piú ehe probabile ehe questo lavoro pindemontiano abbia « stimolato i ■ due amici a rispolverare progetti, forse giä accarezzati, anche per contrastare ľegemonia», come suggerisce il bruni, lliade (p. XXiv), di quella ehe lo stesso Foscolo appellava «la scuola vene-ta» (lettera alia Albrizzi del 15 novembre 1807 - Epistolario, II, p. 2?2); sul significato della traduzione, oltre alia succitata introdu-zione del barbarisi, cfr. Lo studio delľantichitä classica nell'Ot-tocento, a eura di P. Treves, Ricciardi, Milano-Napoli 1962, p. 156 cgavazzeni, pp. 341-42. Ľimpresaera consideratafondamenta- per allineare la letteratura nazionale alla dignitä della cultura europea, ormai definitivamente lontana dalľantiquato gusto dei «travestimenti» (si ricordi ehe ancora nel 1812 uscí a Pávia una "aduzione d i Eustachio Fiacchi e tra il 1813 e il 1824 a Firenze una ď Lorenzo Mancini, entrambe in ottava rima!) e tesa a non pie-gare Omero al gusto contemporaneo ma a misurarsi con le primi-"ve radici della poesia occidentale, «naturalizzandôla» nei vari 546 Esperimento di traduzione della Iltade idiomi nazionali; ció ě evidenziato nelle espressioni foscolianein-dirizzate^l Vincenzo Monti, alTinizio deU'Espert'mento (qui a p. 55), che trovano perfetto riscontro in una tesrimonianza, seppur tardiva e fra i veleni di una ormai esacerbata rivalita, dello stesso Monti (in Vincenzo Monti e Paride Zajotti [...] Document!inedilt pubblicati ed illustrati da ntcolo vidacovich. Athena, Milano 1928, pp. 85-86, citato dal bruni, Iliade): «Una mattina venue Foscolo da me, e senza preamboli mi disse: 1'Iliade non ě ancora tradotta, il Salvini ě un plebeo, il Cesarotti non tradusse: questa mi pare una grande vergogna, ed io voglio lavarne l'ltalia: send il primo canto fatto volgare da me. Qui egli mi lesse quel primo canto, ed io vidi rosto, che mancava la magnifica abbondanza, che ě il primo distintivo della poesia omerica [...]. Io gliene dissi una mezza parola, come si potea parlare con quell'uomo, e gli soggiunsi, che come io avea sentito il suo saggio, egli sentisse il mio. Infatti quando io ero ancora a Roma, ne avea tradotto per mio diporto alcuni pezzi, fra cui 1'intero primo canto. Ma tu non sai il greco, egli riprese. No certo. io replicai. ma pure ascolta. Foscolo ascoltó la mia lettura, e mostro dubitare, che io dicendo di non sapere il greco volessi gettare della polvere negli occhi: fi-nalmente lo persuasi ed allora egli mi venne pregando, ch'io gli volessi dare quel primo libro per istamparlo col suo, e lasciarpoi. che l'ltalia giudicasse, chi dovea proseguire [...]». II Monti conclude orgogliosamente: «E l'ltalia giudicó, come tu sai». Eviteremo qui di disquisire ulteriormente circa la priorita del-l'iniziativa: esiste un'indiscrezione del Foscolo al Pindemonte (lettera del 19 aprile 1807-Epistolario, II, p. 193j: « [...] prendero ad ogni modo la gratitudine di voi poeti, perchě senza di me chis-sá quando avreste veduta la traduzione del Monti! » E se lo stesso Monti scriveva al Foscolo nel giugno del 1806 i Epistolario, JÍ, p. 119): «Ho un canto quasi corretto deYYIliade da farti sentire. Lo vuoi?», tuttavia ancora nel gennaio del 1807 la versione mon-tiana non era del tutto portata a termine. Si veda il BRUMI, Hide, pp. xxix-xxx e xxxii: «Ho consegnato a Foscolo ció che mancava della mia traduzione [...]»; in realtá la traduzione presentava di certo una lacuna ai w. 396-401 (riempita solo un mese dopo);e il manoscritto montiano era incompleto, non cailigrafico e im-perfettamente rivisto; il poeta infatti raccomandava alio stamps-tore «Ia trasmissione degli stamponi che io stesso voglio correg-gere [...] >>. Dunque la versione romana del Monti o non esistew nella sua interezza, o dovette essere sostanzialmente rivista e nalij11? all° sPirito Esperimento. Infatti il poeta, ben conscio dell'importanza dell operazione, in una lettera a Gregorio O metti del 19 gennaio 1807 scrive: «[...] un saggio di traduzione d Omero, che il Foscolo vuol produrre (e sari opera assai PlC' ?nl.n-e .CUrÍOSra)' mi obb%a a ritoccare tutto il primo libro dell iiiade* (cfr. gavazzeni, p. 340). Le testimonianze epistolari ci dicono che sostanzialmente i due poeti dalla fine dell'estatedeJ Scheda introduttiva 547 igo6 lavorarono alacremente al progetto con tempi sincronizzati. Ma a prescindere da problemi di priorita, vale qui la pena piut-tosto tener presente la natura autenticamente sperimentale del progetto e le sopra menzionate finalitä intellettuali che l'anima-vano. In una citata epištola alia Albrizzi del 27 dicembre 1806, il Foscolo asseriva (Epistolario, II, p. 159) che mandando « da stam-pare un canto d'Omero [...] il Padrone de' torchi disse al Padrone de' versi ch'egli invece di un opuscoletto, avrebbe voluto farně un libro elegante [...]»; ma ľintenzione originaria era quella di tirare una ventina di copie per ľesame de' greetstí; tutto ciô trova rispondenza nel senso delľepigrafe di derivazione ovidiana, traseritta a penna sufľesemplare ora conservato alla biblioteca Marucelliana. [Fasti, I 178): «Principiis omen inesse solet» [II destino suol esser contenuto negli esordi]. Si tenga inoltre presente ľampia disponibilita foscoliana a confrontarsi (come si vedra anche in sede di commento; e cfr. brum, Made, p. xxxm, nota 76) con i suggerimenti e le critiche che da piú parti gli per-vennero e che anzi spesso egli stesso sollecitô sia durante il lavo-ro, sia dopo ľuscita del volume, la cui stampa fu eurata personal-mente e in modo quanto mai assiduo dalľautore, trasferitosi per ľoccorrenza a Brescia presso lo stampatore Bettoni. ĽEsperi-mento vide infine la luce appena dopo i Sepolcrt: cfr. una lettera alla Albrizzi del 7 aprile 1807, dove il Foscolo, annunciando ľin-vio dei primi esemplari del Čarme, soggiunge: «Avrete fra dieci giorni l'Omero »; e da Brescia, il 13 aprile {Epistolario, U, p. 189), il Monti viene informato che «Lode al Diavolo, ľedizione, se non ě pronta ě stampata »; e infine, sempre da Brescia, il 19 aprile la seguente missiva, giä sopra menzionata, viene indirizzata al Pindemonte: «A chi traduce YOdissea riescirä cara Ylliade ver-seggiata da Vincenzo Monti - pero consegno al signor Widman il nostro esperimento Omerico [...]. Mando il libro in fogli slegati; e ľultimo mezzo foglio non ě compaginato; ma le tre paginette segnate 117, 118, 119 [la conclusione delle Considerazioni fosco-liane sul« cenno di Giove »] contengono tutta la fine; pero potreté leggere: esaminare, e postillare senza che vi manchi parola - e senza timor di guastare ľedizione: io intanto sto preparandovi un esemplare nitido, candido, ed elegantissimo». V Esperimento infatti uscí in quattro tirature; in-8° in carta ordinaria, in carta veh-"a, in carta sotto-imperiale e infine in-40 grande in carta veltna. Esso constava del frontespizio e della dediča al Monti (in tre carte non numerate), dáYintendimento del traduttore (pp. vn-xii), della versione foscoliana con quella in prosa del Cesarotti a fronte, corredata da note dello stesso Foscolo (pp. 1-53); seguivano la traduzione montiana (pp. 55-85), le considerazioni del Monti Sul-«tifficoltä di ben tradurre la protast delľlliade (pp. 89-105), del Cesarotti sul v. 70 del primo canto deU'Iliade, del Foscolo Su la »«duzione del cenno di Giove (pp. 109-20) e un indice a p. 121. H těsto ě stato esemplato, con la correzione di qualche evidente 548 Esperimento di traduzione delta Wade refuso, suü'editio princeps; s'e in particolare tenuto conto delia copia conservata alia Marucelliana di Firenze (cfr. G. nicoletti, La biblioteca fiorentina delFoscolo, Spes, Firenze 1978, p. 78, nota 2) - d'ora in avanti citata con la sigla m - arricchita di correzioni, note, rifacimenti autografi, presenti nella loro totalita sull'Edizio-ne Nazionale, e di cui qui viene dato almeno un parziale saggioin nota. Si ě voluta rispettare ľimpaginazione originaria predisposta dall'autore, il cui testo compare a fronte delia versione lettetale del Cesarotti, «ad agevolare il confronto [...]: le interpretazioni latine sono assai volte inesatte, nojose alia lettura, ně facilí atutti; e i grecisti [...] abbondano di testi». Tale versione risulta inoltre corredata da annotazioni foscoliane, indicate con lettera alfabeti-ca, mentre le nostre - per la necessaria distinzione - sono segna-late con numero arabo esponenziale; quelle invece concernenti la traduzione del Foscolo si richiamano, come di norma, al numero del verso. Le parentesi uncinate sono state usate per resti-tuire le lettere mancanti nelle abbreviazioni usate dal Foscolo. Invece tra parentesi quadre si trovano tutti gli interventi del cu-ratore atti a chiarire il testo. Lo stampatore Bettoni scriveva al Monti il 13 marzo 1807 (err. EN, III, I, p. xxix): «L'edizione del Foscolo, e posso dir vostra. sarebbe giä compita, se il manoscritto lo fosse stato, e se il Foscolo non ritrattasse le correzioni, e non vi facesse continui cambia-menti». Ebbene tali correzioni non si arrestarono neppure durante le operazioni di stampa, cosieché esistono differenze tra 1 vari esemplari, come giä segnalava il barbarisi e come ě stato ul-teriormente comprovato da una piú estesa collazione a opera del BRUNi, Iliade, il quale pur non poté awalersi che parzialmenteci un esemplare di proprieta privata in-4n grande (si veda G. AC-CHiAPPATi, Foscolo a Mdano, Strenna delTistituto «GaetanoPi-ni», 1971), contenente notevoli variant! almeno nei versi iniziali; e si potrebbe aggiungere un altro esemplare, anch'esso di proprieta privata (si tratta della copia fatta avere verso fine giugno 1807 dal Foscolo a Giambattista Giovio - cfr. Epistolario, IL PP- 2 33" 234), di una «famiglia» ancora diversa da quelle individuate dal Bruni. Comunque le varianti di stampa, in complesso di modest* entita numerica, sono state riportate in nota, limitatamente al po-chi casi in cui il testo subisce rilevanti modifiche. Queste varianti, ma soprattutto i copiosi rifacimenti leggibili in m non sono che u preludio ďun inesausto lavoro intorno dell'l7/W apparve nei tomi XXXIV-VI della Raccolta dell'« Acadcrnie^ Inscriptions » di Parigi (gavazzeni). Cfr. inoltre il v. 99 ^ traduzione cerutiana: «Ma poiche Febo 1'alma luce asco , Gerusi- Note 567 Con Pamassi de' traduttori si intende censurare ľedizione vene-ziana del čeřití, uscita per i tipi dello Zatta nel 1793. Le ColLme ěinvece allusione all'edizione cerutiana del 1805. uscita a Livor-no, appunto nella «Collana de' poeti greci» (cfr, brlm, lliade, p. Liv). 2. 1 versi del monti ncWEsperimento sono invece 812. Per questo elenco si veda il bruni, lliade, p. liv. Significativa a questo proposito la No/17 finále alla parziale traduzione foscoliana del libro III del De rerum nátura (dalle citáte Letture dl Lucrezio, p. 92 ep. 97. nota 55): « L'originále latino ha versi 1107. La traduzione [del marchetti] 1645. Onde questo poema che anche in italiano mi pare bello, se avesse piú parsimonia di frasi, e imitasse la reverenda gravitä latina mi parrebbe bellissimo». Pagina 101. w. 705-6. e il... soccorso: mm h segnata la variante «Ahi l'a-mor mio I Non ti darebbe ně il mio pianto aita». v. 729. Varmonia del canto: si tratta di un intervento tipi-camente foscoliano sul těsto omerico: cfr., ex. gr., il v. 9 dei Sepoicri. v. 736. alla... sacra: cfr. il sonetto Alla Sera, 1, sonetto da ricor-dare anche per il gusto notturno dei versi finali del prescnte canto i bruni, Iliade). Pagina 103. Appendice su la traduzione del cenno di giove ■II ^?,Prcseme tiflessione si trova giä in uno stadio embrionalc nella\Chioma di Berenice, Consideration e quarta, Sacrifici di chio-we^bN, VI, p. 402): «Giove accennando col capo i fati delľuni- -verso empie tutto 1'Olimpo della ambrosia de' suoi capelhV II bruni, Iliade (p. lxxi) segnala che il Foscolo, tramite la Albrizzi ettera del 27 dicembre 1807 - Epistoiario, U, p. 159), volle con-. ,l?rc " Pindemonte circa i traduttori e imitátori dei versi ome-r.lci J? ^uestione. In questa missiva non ricorrono i nomi di Virgi-• Ovidio, Bitaubé e Alessandro Verri, menzionati piú avanti. er 1 rapponj con i Sepoicri cfr. il giä citato articolo del fischetti - ePjsodio di Elettra nei «Sepoicri» del Foscolo. Intorno a queste Pagtne il Foscolo manifesterá subito, in una epištola al Monti del '3 apríle 1807 (Epistoiario, II, p. 190), un sostanziale quanto signi-'C»tIVo Pcntimento: «Ti confesso che ľariditä della mia prosa . e mie Consideration! comincia a spaventarmi: troppa metafile e- tfoppo assolutamente annunciata; il lettore vuol essere Persuaso e non comandato; e chi gli comanda deve dimostrare 568 Espenmento di traduzione delia Iliade geometricamente: ma ně io ho l'ingegno geometrico, ně lano-str'arte lo soffre». 2. La traslittcrazione dal greco, come sottolinea il bruni,I& de (p. lxxii), ě artificio teorizzato e impiegato dal Cesarotti al fine di permettere alle «persone eolte, che gustano squisitamentc ľarmonia delľesametro Virgiliano, ma ignare della lingua Gre-ca», di «assaporare» quella del verso omerico. U che spiegale considerazioni foscoliane che immediatamente seguono quests trascrizione: cfr. anche il barbarisi, in EN, III, I, p. xxxv. 3. II Foscolo seguiva un sistema di pronuncia a mezzo trail greco moderno e quello della scuola di Erasmo da Rotterdam. 4. Si tratta dei w. 528-30 del libro I dAY Iliade. corrispondenu ai w. 627-31 («Disse ... Olimpo») della traduzione foscoliana. Vagina 104. 1. Cfr. quanto detto circa il metro dei Sepolcri nella Scheda in troduttiva ai medesimi. La teória foscoliana. piú volte ribadita. era eonforme a quella del Cesarotti e del Monti. 2. U capitolo vil del De mundo aristotelico ě dedicato agli epi teti di Zeus. 3. Riguardo a tutte queste citazioni in nota, quella pindarica corrisponde nelle moderně edizioni ai w. 47-348 ed ě basatasu un fraintendimento testuale, non cssendo attestato altrimentiil composto epíblefárois (sulla questione cfr. il FISCHETT1, pp. 347' 348 e il BRUNi, Iliade, p. lxxiii), come erroneo ě il rinvio ad Ome-ro, né si comprende quale passo il Foscolo avesse in mentě; perle edizioni dell'Iliade greca di cui il Foscolo si ser\-í. si veda g. bar-barisi, Le edizioni dei tentativi foscoliani di traduzione dell'llii-de, in « Studi di filológia italiana», 1955, p. 329. Quanto all'Idillio di mosco, oggi ritenuto di incerta attribuzione (cfr. il volumeii dell'edizione dei poeti bucolici greci del Legrand - Les Bales Lettres, Paris 1953, p. 214, fr. Vin), il Foscolo si riferisce al v. 2-citazione virgiliana - errata - va attribuita al fORCELLINI (dr. viRGiLio, Eneide, HI 194, dove si parla di «caeruleus imber»), cosi come quella di Albinovano Pedone, amico di Ovidio, forse identificabile con il «Praefectus aequitum» di cui parla tacito (Annali, I 60), autore epico, ma anche di epigrammi ed elegit Note 569 Vagina 105. 1. La citazione dAYEneide (e di conseguenza quella del con, mento di servio) e inesatta, riferendosi in realta al v. 4°3 ^_ pure quella dalle Georgiche: si tratta del v. 415. Anche q RGEt. ser\'azioni foscoliane relative all'ambrosia risentono'dejIrO ^ - lini (cfr. bruni, Iliade, p. lxxiii). Esatto il rinvio allllta nota c, mentre quello successivo AYOdissea contiene un te refuso, trattandosi dei w. 59-67. Esatta la citazione (J XII, v. 245) da SILIO ITALICO, vissuto circa tra il 25 e il 101 d. C, e autore di un poema epico in 17 canti dedicato appunto alia secon-daguerra punica. Nella nota G ľindicazione dei versi omerici va reitificata in 171-72. A fondo pagina il Foscolo aggiunse in m la se-guente citazione: « "Cost detto la Dea sembianze e forma I Ad un tratto cangiö: de la vecchiezza I Spogliossi; grazia e venustä spira-va I De la persona; e le sue vesti empiro I D'odor l'aura d'intor-no". Inno a Cerere attribuito ad Omero, vers. d'Ippol, Pinde-inonte». Si tratta della traduzione dei vv. 275 sgg. delľinno A Déme tra. Pagina 106. 1. Eneide, IX 106 e X 115 [Annul e col suo cenno tutto fece tre-rnare l'OIimpo]. In m il Foscolo aggiunge la citazione (pur tra-scritta, come irequeniemente accade in queste Considerazioni, con qualche imprecisione) di catullo, lxiv 204-6: « Annuit in-victo caelestum numine rector. i Quo motu tellus atque horrida contremuerunt i Aequora concussitque micantia sidera mun-dus» [Annul con invitto 'nume' il reggitore dei eclesti. Al qual moto la terra e le inorridite acque tremarono, e 1'univcrso scosse le rilucenti Stelle], 2. Si tratta di un sumo dei Saturnalia, V 13, 23. 3. La citazione oraziana si riferisce alia celeberrima prima Ode l«Odi prolanum vulgus et arceo») del libro III, v. 8 [Muovendo tutto colsopraect'glio]. Quella alfieriana proviene dal Saul, III 254 'cfr. piú sopra la nota al v. 628). La traduzione della citazione da Ovidio suona: « La terrificante chioma del capo scosse tre e quat-tro volte, con cui fa tremare terra, mare e stelle». A fondo pagina in m sono aggumte le seguenti citazioni autografe: «"Et al Signor ch'io adoro, e ch'i' ringrazio I Che pur col cilio il ciel governa e folce" Petr(arca) Part. 2, son. [cccliii]. E nuovamente il mag-giore de' nostri poeti Pg. XI 106 canto: "ch e piú corto I Spazio all'etterno, ch'un muover delle ciglia I Al cerchio che piú tardi in cielo ě torto" ». Vagina xoj. co r tTnu. vv- 638-40 del cunich: «Cosf disse, e col capo e gli occhi il padre annui: J'ambrosio crine fluiper l'alma fron-In f e jCS'c tcmpic>" tremarono le roccbe ele vettedeU'Olimpo». ondo alia pagina, in m, si legge questa citazione manoscritta: *l0rq- Tasso, Ger. Lib., XIII, 741,1-4]: "Cost dicendo, il capo ^osse; e gli ampi I Cieli tremaro, e i lumi erranti e [i] fissi; I E tre-' campi I DelTOceano, e i monti, e i ciechi mô ľaria riverente, e i ab isst 57° Dalle « Grazie » 2. Sono i w. 505 sgg. dell'alegre: «Cosf dice, e scuoteilca poimmortale; per il volto e per gli omeri fluirono le chiome.etrs ma l'ako OUmpo». 3. Cfr. la nota foscoliana d, qui a p. 96. Pagina 108. 1, Sono citati rispettivaraente i w. 639-41 del maffei, 684-87 del ridolfi e 866-69 della traduzione cerutiana. Pagina 109. 1. Si tratta dei w. 733-38 del cfsarotti. 2. Sono i w. 683-87 del pope. Pagina no. 1. Sono citati i w. 518-21 della traduzione del rochefort die vide la luce a Parigi nel 1766-70: «Dice, e fa muovere le suetemi bili sopracciglia, i suoi capelli ondeggianti in innumerevoli pie-ghe si dispongono lentamente sulla sua fronre radiosa, scuote l'Olimpo e fa tremare gli Dei». Pagina 111. 1. La traduzione di Madama dacier suona cosi: «Contempo-raneamente egli fa un segno con i neri sopraccigli, i sacri capelli s'agitarono sulla testa immortale del Dio ed egli scosse tutto l'01impo». 2. II volgarizzamento dell'Iliade di Paul-Jeremie BIBAUbE (1732-1808) aveva visto per la prima volta la luce nel 1762; eccone la traduzione: «Cosi dice il figlio di Saturno e abbassa le nereso pracciglia. La divina capigliatura s'agita sulla immortale testa del Monarca; il vasto Olimpo trema». 3. Cfr. alessandro verri, L'lliade di Omero tradotta in compendia ed in prosa, Roma 1789, p. 10. DALLE «GRAZIE» SCHEDA INTRODUTTIVA Si suole tradizionalmente far risalire l'inizio deU'incornpiu« itinerant) compositivo deUe Grazie at quattro frammenti d'un tantomauco «antico inno alle Grazie», inseriti nel lussuregg'^ Scheda introduttiva 57I ie corredo d'erudizione di cui il Foscolo dotö, nel 1803, il suo commento alia Chioma di Berenice; ipotesi tanto piü suggestiva in quanto la storia del poema si concluderä proprio con la ripresa del medesimo (also letterario - reso ancor piü sottile da ulteriori dementi atti a confermarne e nel contempo a revocarne in dub-bio l'autenticitä - nella Dissertation inglese del 1822. Qui infatti il discorso intorno alle Grazie riceverä finalmente una sua forma organica (ancorche riduttiva rispetto agli originari progetti) in un contesto antiquario, certo piü maturo ma formalmente non dissimile da quello catulliano-callimacheo, in cui risultano inglo-bati diversi frammenti del carme che, dalla secondapane del 1812 iiiTinizio del 1815, era andato continuamente evolvendosi, senza mai trovare una sua definitiva compiutezza. Certo - come segnalato in sede di commento - 1'autore non si dimentichera di quei frammenti, in parte travasati quasi alia let-tera in varie stesure del poema; e, su un piano generale, la conce-zione della poesia come «perenne trascendimento metaforico del significato » (gavazzeni, I, p. 398) e la conseguente interpre-tazione dell'antico patrimonio mitologico in cbiave simbolica, indubbiamente giä facevano parte del bagaglio intellettuale con cui il poeta - non senza un fondamentale apporto vichiano - an-dava confromandosi con l'impegnativo carme di Catullo. Tutta-via da qui ad assegnare al 1803 la genesi di un lucido progetto ri-guardante un poema sulle Grazie il passo e dawero troppo lun-go: i quattro frammenti sembrano rigorosamente subordinati ad un precise scopo esegetico relativo al testo catulliano. Certo non si puö negare una spinta a misurarsi con la raffinata tecnica com-positiva di Callimaco o di Fanocle - dai quali derivano piü o mc-no direttamente i suddetti frammenti - in un sofisticato gioco di sottile occultamento delle fonti di cui la poesia alessandrina e al tempo stesso ispiratrice e oggetto. E tuttavia non esiste indizio al-cuno che i versi in questione possano provenire da un contesto piü ampio e organico, con un suo autonomo filo conduttore: non mganni il fatto che le parole introduttive al primo e al quarto di tali frammenti (li si vedano raccoki in EN, I, pp. 611-14) parlino entrambi di un convito offerto in onore di tutti gli dei a Tempe -vallata tra l'Ossa e l'Olimpo - da Venere al ritorno dagli oracoli d'Amatunta: tale spunto narrativo infatti ci riconduce semmai al Sesto tomo (se ne vedano le pp. 45-47,54, con le relative note alle PP-149-51 e 165-66); da qui si risale al Tempio diCnido di Montesquieu, dove e presente anche il motivo dell'ambrosia, indizio della presenza d'un nume, edel «pudore che e la prima delle gra-z'e»: l'uno diverrä tema foscoliano fra i piü ricorrenti, raltro co-stituirä il terreno su cui si realizza quella sublimazione deU eros e al centra delle Grazie. Ma non si puö certo legare 1'insorge-* di un tanto vasto disegno compositivo nel suo complesso a single tematiche progressivamente depositatesi nella mente del P°«a: tanto per fare uno fra i molti possibili esempi, la percezio-