94 ĽGO J OSCOLO dara a' postěn storia piú orrenda; poiché la sterilita delia natura e le rapine delia guerra, congiurate col monopolio armato dietro al trono la cisalpina plebe affaniarono, e le vane strida degli agricoltorí, e io scon-solato coiiipíanto delle madri e de' figiiuoli morén ti, e la disperazione, e le pestilenze sorgeníi furon dí lucro; onde dalle traspadane rive aH'Appennino le raontagne e le valli gíä per lunga íecondita beate, di bestemmie suonano ancora e di gemíti, luttuose per esequie recenti e seminate di umane ossa. Gli astj provinciali ŕrattanto (armi giä di vecchia politíca) ora e per forza di destino e per arte straniera bo 11ivano; quindi repubblíca questa di nome, ma veramente acefalo corpo di volghi i quali opposti e n eile leggi e ne' dialetti e nelle monete e negli usi e neilo stesso servaggio, e dalle nuove sciagure piú concitati, infaíicabiknente per dismembrarsi si dibatteano. Né ie provincie soltanto. Micídiali awersarj i concittadini e í írateíli e gli sposi partivansi in due serte di norm stranamente usurpa-ti; aristocratici, patriota; e tutti mrenu ai proprio utile fondato su la tenacitä delle proprie opinioni, né patria, avendo veru n a (e chi patria nomerebbe la terra dove il rieco non ha giustizia, il misero non ha pane, e la nazione né i egg i, né gloria, né forza?) satellite ciascuno si fea de* confinanti stranieri ehe con i randi e con armi si contendeano ľítalia, premio sempře delia vittoria! E lorda cíascuna setta de' proprj suoi vizj, aizzata era una al furore, ľaitra alle tráme dalla ineauta perse-cuzione contro la religione de' nostri padri, onde i patrioti irnpudente-mente sŕrenati, gli aristocratici studios amen te superstiziosi, strascinava-no quasi la plebe agľinŕernak delitti delia licenza, o del fanatismo: la sciagurata plebe dal fato delle cose civili eternamente sentenziata alia ignoranza, al bisogno e alia fatica, e quindi alle colpe e a' tumulti, da niuno spavento ě illusa ehe delle folgori celesti, da n i u r. o conforto ehe dalla speranza di un inondo diverse da questo ove mangia il pane bagnato sempře di sudore e di lagrime!59 Derisi intanto e minacciati e s'~\ : 58. Marcata fu sempře in Foseolo k polemics contro le «sette», intendendo con questo termíne lo«stato perpetuo di scissura proeurata e mantenuta da un numero ďuomini, i quali, segregan-dosi da una civile comunitä, ptofessano, o pubblicamente o fra loro, opinioni religiose, o morali, o politiche per adonestare segreti interessi, e sosteiierli con azioní contrarie al bene delia comunitä». «A rifare ľítalia - aŕfermava - bisogna disfare le sette». Cfr. Delia semitu delľltalia, in EN, vili, pp. 181-1. Proprio in ragione di queste consideraziooi, nella pagina ehe segue, egli formula, come bene sottolinea R, Cakdini (A proposilo del commento foscoliano sila Chioma di Berenice, in "Lettere italiane", a. xxxiii, 1981, p. 344), un bilancie «fortetnente crítico, e taiora spietato ed ingiusto» del-ľesperienza giacobiiia, alia luce, anche, di aleuni dei piú rilevanti nodi politici e culturali apertisi dopo Marengo. Tra questi spicca soprattutto ľaccettazione - che anch'egii, tuttavia, confribui a delineare - delia nuova formulazione de! concetto di popolo, idenríŕicato Ota soprattutto con rl ceto dei proprietarí, con la conseguente esdusione delle plebi urbane e rurali. 59. «Gl'infelici harmo bisogno di un altro mondo diverso da questo ove mangiano un pane amaro, e bevono ľacqua mescolata alle Jagrime». Cfr. Uliime lettere [1798!, cit., p. 67. f i. Ritratto di Ugo Foseolo. Da Ultime lettere dijcicopo Orth. Londľa, MDCCCXIV IZO UGO FOSCOLO professata dalla Patria dell'Autore a tuttociô, ehe non ě piú, e se per samo dôvere del democratico d'ubbidire alle leggi, in quesťedizione si traiasclano le sue annotazioni su tal proposito). STANZA V: Questi versi son chiari per se medesimi. I Goti soltanto del!a Cispadana non vogliono, non. sanno, non possono intenderli. STANZA VI: E la tricolorata aha Bandiera: Chi non sa il fatto del ponte di Lodi? Chi non i n tese la voce de' Francesí sin da Parigi applaudire alľltaiia, a Bonaparte, e a se stessi? Chĺ non lesse su questo fatto í versi del Cittadino Savioli? Lo spirito di liberta fe' due prodigi. Nel Savioli si vecchio dimjnui gli anni; nel Foscolo si giovanetto gli accrebbe (se ě vero, come si dice per tutta ľEmilia, che questo poeta non abbia ancora venťanni). Stanza vii: Del vil Giove terren l'Augel battuto. E do, che segue. Bonaparte Italko fece líbere le principáli provincie Italiane, espugnô Mantova, disperse si poderosi eserciti. venduti agl'Inglesi da S. S. C. M, ľlmperatore, e Re. Astrinse Pio vi alia pace, e col moderantismo degno ďun Generále Filosoŕo. rinunziô alia gloria dí scrivere alia sua nazione dal Campidoglio: volô nel core delia Germania, né usô con quei popoli de' diritti del Conquistatore, mentre conquistatore batteva gli avanzi degli Alemanni. Ľinteresse di tutta ľEuropa, ľamore delľumanitä, richiedeano la pace: la sua gloria la ricusava: eí la pospose agľíníeressi comuni. Ecco la differenza tra Césare, e Bruto; ove Cesare non avesse il titolo di tiranno, che lo rende vile, e abborribile a tutti i secoli. Popoli dal suo ardir vinti e sconfitti: Tutti gli Storici antepongono Cesare a tutti i Generáli Romani, appunto perché sconfisse i Galii non mai sconfitti altre volte per tanti anni da Roma guerriera. STANZA VIII: Queste profezie le sanno tutti i caldí, e maturi Kepubblicani. Le sa ľ Autore: le faccio io stesso; Cittadini! Le vedrete compiute; le vedranno compiute piú assai i vostri figli, e i vostrí posteri. Essi benediranno le vostre memorie, e spargeranno lagrime di gratitudine su vostri sepolcri. STANZA IX: "I vostri costumi, o Italiani, son o nati, cresciuti, e ínvecchiati sotto governi Monarchici. Non v'ě liberta senza morale, e la morale delia tirannide non e quelk delia Democrazia. Fratellanza, uguaglianza, e buona fede sono state ígnorate sin a questo momento. Cangiate costumi, e sarete liberi, gloriosi, e felici". Ecco una lettera scrítta dali'Autore al Cittadino Faschi in Faenza. Ecco ciô, che ripete in quesťoda, ed ecco la vera Filosia [Filosofia] delia liberta. Cittadini! Rileggete, meditate, scrivete ne' vostri cuori i versi di questa stanza. Vi serváno d'insegnamento sublime, di esempio terri-bile, e di speranza ď una virtuosa rigenerazione degna delia nátura, delia Religione, e delia virtú: ď una rigenerazione, che fara nobilmente fastosa ľltalia: ďuna rigenerazione, che renderä la Francia la piú augusta delle nazio-ni. Le altre vinsero, si fecero grandi, e oppressero i popoli: questa vince, perde il sangue de' suoi prodi guerríeri per rendere liberi i popoli soggiogati dalľan-tíca e feroce tirannide.» Cfr. Annotazioni all'Oda del cittadino Niccolô U go Foscolo fall e dal cittadino Gio: Antonio Restini, edimpresse dielro l'Edixione Imolese [1797]. A Bonaparte [Dediča áelYOda] Io tí dedicava questa Octa quando tu, vinte clodici giornate e venticin-que combaltimenti, espugnate diecí fortezze, conquistate otto provincie, riportate centocinquanta insegne, quattrocento cannoni. e centomi-la prigionieri, anníentati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinande) IV, umiliato Pio VI, rovesciate due antiché repubbliche, e forzato ľŕmperatore alla tregua, davi pace a' nemici, costituzione alla Itália, e onnipotenza al popolo francese1. Ed or a pur te la dedico non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Itália che giusta-mente aspetta restaurata la liberta da chi prim o la fondô. Possa io intuonarc d i tniovo il canto delia vittoria quando tu torne-rai a passare le Alpi, a vedere, ed a vincere! Vero ě che, piú che delia tua lontananza, la nostra rovina č colpa degli uomini guasti dalľantico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poi-ché la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore, ed ě vero pur troppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota1, noi e per i tuoi beneficj, e pel tuo Genio che sovrasta tutti gli alt n delia etä nostra siamo in dôvere di invocarti, e tu in dôvere di soccorrerci non solo perché partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione ďltalia ě opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Tratia to che trafficô la mia patria, insospetti le nazioni, e scemô dignita al tuo nome3. F.' pare che la tua fortuna, la tua rania, e la tua virtú te ne abbiano in tempo aperto il campo. Tu stai sopra un seggio donde e col braccio 1. Vengono qui ripercorse, con una čerta enfast, tutte le imprese compiute da Bonaparte in Itália dalľinizio deĽa sua vittoriosa campagna (apriie 1796) fino aĽa pubblicazione delia prkna edizione deĽ'ode Bonaparte liberatore (maggio 1797). 2. «Sommi per altro ed estremi mezzi tichiedonsi [per rifondare una repubblica in Itália]; ma vi saratino lievi, se vi prevarrete dell'altissima massima di Solone: Ľ fondatore dí una repubblica dev'essere un despota*. Cosi seriveva Foscolo 9 Champiormet nelľottobre 1799. Cfr, Discono su la Itália, in EN, vi, p. 159, «A ordínare una repubblica ě necessario essere solo». Cfr. N. Machiavelli, Dňcotsi sopra la prima deca di Tito Livio, 1, ix. 3. Ennesima denuncia del Trattato di Campoformio.