462 Dei Sepolcri 13-14 del sonetto Alla Sera) sol Genio che «i tempi vietandogli d'operare», ripiega almeno sullo scrivere. Non sarä inutile ag-giungere che nella stessa lettera l'ideale d'una scrittura sostitu-tiva dell'azione sulla strada deU'impegno civile e della gloria, si accompagna all'insofferenza verso un'erudizione vacua, che si esprime con la senecana severita contro Didimo Calcentreo nella fräse: «Che ho io a fare di quattro migliaia e piu di volumi ch'io non so ne voglio leggere»: le «fatiche dotte» non vanno dunque intese come tendenza a una brillante erudizione di stampo « didi-meo». DEI SEPOLCRI scheda introduttiva II problema della genesi dei Sepolcri (se ne veda un esaustivo bilancio in gavazzeni, Appunti, pp. 356 sgg.) fin dall'inizio si ě intrecciato alia querelle circa il debito del Foscolo nei confronti dei pindemontiani Cimiteri. Verso la metä di marzo del 1806, come ě noto, il Foscolo rientra in licenza dalla Francia e in una lettera alia Albrizzi del 16-17 giugno da Verona (Epistolario, II, pp. no-iS), oltre a preoccuparsi delľínvio dell 'Imagination del Delil-le (ehe avrä — come vedremo — la sua parte nella eomposizione dei Sepolcri), egli informa di essere stato in quei giorni in visita dal Pindemonte, «il quale mi lesse YOdissea, bellissima fra le sue belle cose», senza fare menzione del poemetto in ottave di argo-mento cimiteriale che il poeta Veronese stava componendo. Go non significa che i due in quella occasione non ne parlassero del tutto: possediamo anzi testimonianza contraria, per quanto inse-guito parzialmente rettificata, di M. Pieri: «Un giorno in Verona ci trovavamo nelle stanze del Cavaliere il Foscolo ed io [...]. II nostra Pindemonte parlô del suo poema sui Cimiteri da lui giä co-minciato [...]» (gavazzeni, Appunti, pp. 368-69). Ma il 13 luglio 1806, in una missiva da Milano, il Foscolo informa il Pindemonte {Epistolario, IT, p. 125; e cfr. anche le pp. 128-29) di essere impe-gnato nel Commentario della battaglta di Marengo del generále Berthier. Dopo ulteriori scambi epistolari (privi di accenni a pro-getti di poemi d'argomento sepolcrale), che si concludono con una lettera del Foscolo del 26 luglio da Milano, non risulta alcun documento che certifichi qualsiasi rapporto diretto fra i due poeti fino al 15 aprile 1807, data della lettera in cui il Pindemonte rin-grazierä il Foscolo per ITnvio dei Sepolcri awenuto tramite la Albrizzi (Epistolario, II, pp. 191-92). Per altro illetterato Veronese in Scheda introduttiva 463 una missiva alla stessa nobildonna dei 6 novembre 1806 aveva detto: «Ciô che mi dite di un'Epistola di Foscolo a me diretta, e intitolata i Sepolcri, m'e affatto nuovo» (cfr. antona-traversi, p. 210). II19 novembre 1806 era poi lo stesso Foscolo a pregare il Pieri di informare il Pindemonte ďavergli approntato «una Epištola sui Sepolcri, lindamente stampata in caría velina, e contutte le murtdiliae bodoniane* (Epistolario, II, p. 146; la falsa notizia delia awenuta stampa veniva annunciata pure alla Albrizzi e a diversi destinatari in varie date per le quali cfr. gavazzeni, Appunti, pp. 364-65), cosicché il Pindemonte, E 9 dícembre significava al Pieri la sua ŕmpazienza di ricevere detta Epištola (antona-traversi, pp. 189-90). Ma ľannuncio della awenuta composizione dei čarme era giä stato dato dal Foscolo alla Albrizzi in lettera da Milano dei 6 set-tembre 1806 (Epistolario, IT, pp. 142-43): «[...] io aveva giä una Epištola sut sepolcri da stamparsi lindamente - non bella forse; non elegante, ma ch'io avrei certamente recitata con tutto ľardo-re delľanima mia, e che voi, donna gentile, avreste ascoltato la-grimando. Io la intitolo al^Cavaliere_[il Pindemonte] ricordando-mi de' suoi láínenti eUíT vostri; e per fare ammenda dei mio sde-gno un po' troppo politico ». Queste parole ci forniscono notizie di capitale irnportanza: príma di tutto il čarme, all'akezza dei pri-rai di settembre de) 1806 poteva dirsi, se non definitivamente ulti-matojlpiänto méňó^uútturato in maniera ragionevolmente solida. Hpoeta ebbe in seguito modo di tenere conto, nei w. 51 sgg., di alcuni arcicoli dell'editto Della Polizta Medica (con cui veniva esteso all'Italia analogo decreto francese dei 12 giugno 1804) pro-mulgato da Saint-Cloud il 5 settembre 1806 e pubblicato nel wGiomale Italiano» il successivo 3 ottobre; inoltre il čarme nel gennaio de! 1807 passava al vaglio dei Monti (Epistolario, TI, p. 164) che suggerí alcune correzioni (sulla cui consistenza non sus-sistono sufficienti dati per pronunciarsi) e si offrí di farsene editore (lettera dei 27 febbraio 1807 alla Albrizzi - Epistolario, II, p. 176). Ma la dedicatoria montiana risnltô troppo parziale ín favore dei Foscolo, che preferí non valersene, anche per una forma di delicatezza nei confronti dei Pindemonte (cfr. Epistolario, II, pp. 178-79 í íŕ Solo ai primi di aprile il čarme vide effettivamente la luce a Brescia, per i tipi dei Bettoni, quasi contemporaneamente all'E- speriměnlóiT± traduzione omerica (cfr. la missiva alla Albrizzi dei 7-aprile: Epistolario, II, p. 189). II Pindemonte in seguito, nelľav- vertimento Alcortese lettore preposto alľedizione dei versi in ri- sposta alľ« epištola» foscoliana (Gambaretti, Verona 1807) si- gnorilmente aŕfermerä: «Compiuto quasi io avea il primo canto dei Cimiteri, quando seppi che uno scrittore ďingegno non ordi- nario, Ugo Foscolo, stava per pubblicare alcuni suoi versi a me indirizzati sopra i Sepolcri. Ľargomento mio, che nuovo piú non pareami, cominciô allora a spiacermi; ed io abbandonai il mio la- 464 Dei Sepolcri Scheda introduttiva 465 voro. Ma leggendo la poesia a me indirizzata, sentii ridestarsi in me l'antico affetto per quell'argomento, e stesi alcuni versi in forma di risposta alTautor de' Sepolcri, benché pochissimo io abbia potuto giovarmi de' Cimiteri». Si veda in proposito g. biadego, L'origine Sei Sepolcri di Ugo Foscolo, in Da libri e manoscritti, Münster, Verona 1883, pp. 222-61, e soprattutto n. ebani, I «Sepolcri» dilppolito Pindemonte: storia dell'elaborazione e teslo cri-tico, in «Bollettino della Societa Letteraria di Verona», 1982, pp. 151-220: dal materiále autografo del poeta veronese ě stato possi-bÜe evincere, sulla scorta di precisi indizi, come il debito fosco-liano si limitasse al tema (per altro - come si vedrä - giä abbon-dantemente inflazionato) e forse a quakhe elemento contenuti-stico, mentre in realtä ben piú consistente appare l'influenza in-versa. Ma tornando alla sopra citata lettera del 6 settembre, essa ci in-forma di un incontro fra la Albrizzi e i due poeti che non puö coincidere con quello del 16-17 giugno, a cui — si fosse parlato dei Cimiteri o meno - la nobildonna, essendo la destinataria della missiva che ne dava notizia, era owiamente assente. L'incontro in quéstione sembra il medesimo di cui park il Foscolo alla Albrizzi in lettera da Milano del 24 novembre 1806 [Epistolario, II, p. 150): «Ricordate voi piiila questione nostra su' sepolcri domestici? Jo hofatto in quel giorno il filosof o indifferente; e me ne so-no pentito. Ho diretto una epištola al Cavaliere - un po' triste forse come soggetto [...] onde ho cantati 1sepolcri: e ho tentato di fare la carte all'opinione, al cuore ed allo stile d'Ippolito. Ve Ii mandero fra non molto stampati con tutte le lascivie bodoniane» (il 6 settembre aveva scritto - come si ricorderä - «Io la intitolo al Cavaliere, ricordandomi de' suoi lamenti e de' vostri; e per fare ammenda del mio sdegno un po' troppo politico ». Chiaro come il Foscolo si riferisca alla medesima situazione che lo vide contrap pore il suo «sdegno politico» ed il suo freddo scetticismo «filo-sofico » al taglio del problema dato dal Pindemonte e dalla Albrizzi, probabümente fideistico e troppo localistico (domestica risulta infatti la materia del primo canto dei Cimiteri). II gavaz-ZEmrAppunti, pp. 370 sgg., ha motivo di collocare tale discussio-ne in data precedente al 16-17 giugno 1806 e di ipotizzarví un coinvolgimento non solo dei Cimiteri pindemontiani, ma anche della fiorente letteratura sepolcrale che ne costituí i fondamenta li e difetti antecedens (in merito a ciö cfr. d. bianchi, Per la genesi de «ISepolcri» foscoltani'xn «Bollettino della Societa Pavese di Storia Patria», 1961, pp. 61-89, e sozzr). Fra questi, particolare risalto va, con ogni probabilita, dato ai Cimiterj' di_Giambattisia Giovio (Ostinelli, Como), 1804; dedicato a queu'Ercoje Süv.a che il~FüScölo citera nella sua nota ai w. 131-33 dei Sepolcri; cfr. cian). Esistono fondate ragioni per credere che l'opera del Giovio sia stata ben presente al Foscolo, che pur non ne condivideva la generale impostazione angusta e reazionaria: ricordiamo il ra- gionamento sulle fosse comuni (p. 229), il cospicuo excursus sul De legibus ciceroniano, sulle XII Tavole, sull'opportunitä di non seppellire né bruciare i morti nelle cittä per ragioni di salute pubblica, sulla caducitä delle statue e, per converso, sulla piú du-ratura santitä dei sepolcri (pp. 231 sgg.); e poi ancora la convin-zione (eco di illuministica matrice) circa ľinoppurtunitä di seppellire indistintamente tutti i cadaveri nelle chiese e ľelogio di se-polture anche estraneee all'area cattolica, come quelle campestri inglesi (pp. 245-53; e cfr. anchee. brambilla, Due comaschtpre-cursori del Foscolo nella materia dei Sepolcri, in Foscoliana, San-dron, Milano 1902, pp. 11-34). Ma lo sdegno politico e la fredda indifferenza filosofica di cui il Foscolo parla nel suo ricordo deľľincontro dovette discendere, oltre che da scetticismo di natura meccanicistico-materialista, da convinzioni indirizzate in prospettiva vichiana: a tal proposito il GAVAZZENr, Appunti, pp. 377 sgg., segnala una breve relazione dell'opera di Antonio della porta, pubblicata anonima sul «Giornale ItaIiano» del 5 giugno del 1805, e attribuita a Vincen-zo Cuoco (cfr. v. cuoco, Scritti vari, a cura di N. Cortese e F. Ni-colíni, Laterza, Bari 1924, I, p. 254): «La pieta per i defunti ě il primo passo che tutte le nazioni abbian fatto verso la civilta. Per quella filosofia distruttrice, la quale vi dice con un sangue freddo piú desolante della stessa ferocia; - La morte non ě che un sonno eterno. — Tutto ciô, che noi crediamo dopo la morte di coloro che vivendo ci furon cari, non saranno che opinioni; ma lasciatele pure queste opinioni; ci son troppo care, ci son troppo utili, e la piú bell'opra della filosofia sarebbe quella di conservarle, di raf-forzarle, di renderle comuni». Chiaro il fondamento delle idee vichiane che ispireranno i Sepolcri. Ma a parte il possibile contenuto della discussione con il Pindemonte e la Albrizzi, che poté fornire al Foscolo la primitiva idea di un carrne da contrapporre al taglio dato dal Pindemonte e. generalmente, da certa letteratura sepolcrale corrente, é palese come i Sepolcri affondino le loro radici e trovino il loro spessore sia linguistico cbe tematico in un contesto culturale assai compo-sito: vi hanno iniatti parte i notori influssi della poesia sepolcrale inglese, ma anche ľerudizione antiquaria sei-settecentesca, tor-nata d'attualita durante un periodo di grandi scoperte archeolo-giche come quello napoleonico (cfr. scotti, Erudizione e poesia; é~forse non andrebbero dimenticate opere anche cinquecente-sche, come - per fare un unico esempio — quella di tommaso porcacchi sui Funerali anticbi di diversi Popoli et Hationi, Gali-gnaníTVenezia t574; il Foscolo aveva dato del resto prova di una erudizione, disordinata ed intemperante ma tutťaltro che sterile, giä nel commento del 1803 al densissimo poemetto eziologico ca-tLilliano-callimacheo sulla Chioma di Berenice). E inoltre, al di la della circostanziata polemica relativa aU'editto di Saint-Cloud, va tenuto presente (come si vede fin dai primi versi, secondo 466 Dei Sepolcri Note 467 quanto ě stato messo in luce dal sozzi) il complesso dibattito pubblico che giä a partire del periodo stesso della Rivoluzione, ne condannava gli eccessi, soprattutto per quanto concerne le fosse comuni, auspicando un almeno parziale recupero della religion des tombeaux (e si vedano a talproposito anche gli studi, giä menzionati, che il Foscolo dedicô a Lucre2Ío tra la fine del 1802 e gli inizi dell'anno successivo). Ueditio princepS - dei I sepolcri I carme i di I ugo foscolo i Brescia I Per Nicolo Bettorti I mdcccvii - (a cui il nosrro testo, che riproduce quello approntato dal Folena per I'Edizione Na-zionale, sostanzialmente si attiene), fu seguita - come detto - da una Veronese, sempre del 1807, con la prima edizione dei Sepolcri pindemontiani, e da altrďduě", šernpre del Bettoni che, nelľanno süccessivo e neli8i3, raggruppava diversi componimenti del me-desimo argomento. Nello stesso 1813 i Sepolcri vedono di nuovo due volte la luce (dappríma unitamente & sei sonetti e a composi-zioni di altri autori, fra i quali il Pindemonte e il Monti, e quindi senza i sonetti) a Miláno per i tipi del Silvestri. Per ulteriori e piú esaustivi dettagli si ricorra alia EN, I, pp. 36-61. Ľuscita del čarme fu subito seguita da una ridda di recensioni, restimonianze di varia natura, lettere e libelli di estitnatori e de-trattori: lodi e critiche, accuse, difese, controaccuse (una nutrita raccolta di tali docurnenti si veda in EN, VI, pp. cxvi-cxxvii e 501-83). Di tutto questo materiále s'e ritenuto non inutile fornire almeno la semplice riproduzione — di seguito al čarme e alle note foscoliane ehe lo corredano - della sola lettera I a monsieur Guili— I su la sua incompetenza I a giudicare 11 poeti italiani brescia I per Nicolo Bettoni I mdcccvii. In essa il Foscolo, in-dotto a difendersi dalle critiche ehe ľabate Aimé Guillon aveva pubblicato sul «Giornale Italiano» del 22 giugno 1807, riporta per intero l'articolo di quella «bestia francese» (come lo defini il monti - vedi Epistolario di Vincenzo Monti, raccolto ordinato e annotate* da Alfonso Bertold:, Le Monnier, Firenze 1927-30, IH, p. 112); esso risulta contrassegnato in 19 p ami ai quali, dopo alcu-ne considerazioni complessive circa la concezione e il significato del carme, il poeta risponde con puntuali postille. Metro: endecasillabi sciolti. A questo proposito sembra non inutile riportare quanto il Foscolo medesimo^ scrive nelle sue Os-servazioni sul poema del «Bardo » montianon'eli8o6 (EN, VI, pp. cviii-cxu e 463-79; vedi in particolare le pp. 474-76): «Questo verso sciolto [...] ha due doti meravigliose non concedute alia ri-ma: primamente i pensieri riescono piú disegnati in se stessi e piú proporzionati fra di loro e stanno ne' termini convenienti al sog-getto; scorrono come fiume ricco delle proprie sue acqne e non aiutato da straniere sorgenti. L'ottava invece empie il concetto principále d'intarsiature, come notô Galileo nella Gerusalemme Liberata, e la terzina gli strozza: onde ľuna sebbene splendida e maestosa, l'altra sublime ed acuta, non colgono sempre il hello che sta solo nella esartezza delle proporzioni [...]. L'altra dote di questo genere di sciolti si ě che [...] dipinga alia mente ed al cuore piú che non suoni all'orecchio [...]. Altri sonoper awenturad'al-tro parere. Credono che lo sciolto spetti alle traduzioni, e lodano altamente il Caro. ed il Cesarotti [...] col che parmi che si voglia chiudere all'Italia un nuovo campo di gloria mal tentato dal Tris-sino, ma felicemente sgombratole ora dal Monti». NOTE Vagina 21. 1. II titolo, richiama uno dei classici della trattatistica antiqua-ria in merito alle sepolture, il De Sepulchris Hebraeorum di Johan Nícolaj (professore di archeológia a Tubinga) edito a Leida nel 1706 ed esplorato da scotti, Erudizione epoesia. Ma qui va sot-tolineata piuttosto la contrapposizione ai cattolici Cimiten del Pindemonte. 2. «I dirittí degli Dei Mani saranno inviolabili». La massima, citata da cicerone, De legibus, LI 9, 22 (ma anche altri capitoli -II22 sgg. - sono dedicati a un'ampia trattazione delle cerimonie funebri e dei sepolcri), viene attribuita alle leggi delle Dodici ta-vole (XII Tab. risulta infatti segnalato a partire dalla terza edizione dei Sepolcri, ehe uscí a Brescia nel 1808 sempre per i tipi del Bettoni) in modo quanto meno assai dubbio, cosa che il Foscolo nonpoteva owiamente sapere. Gli dei Mani, vale a dire le anime dei defunti, erano a Roma oggetto di culto non solo privato ma anche pubblico, i Parentalia. Vagina 23. w. 1-3. All'ombra ... duro?: il concetto sembra derivare dall'E-legy written in a country church-yard di Thomas gray, 41-44; se ne veda la classica rraduzione del Cesarotti citata dal gavazzeni (w. 65-70): « Ah ľanimato busto I O l'urna effigiata al prkno al-bergo I Puö richiamar lo spirito fugace? I Pub risvegliar la taci-turna polve I voced'onore? O adulatrice lode III freddo orecchio lusingar di morte? » g. zanella, Gray e Foscolo, nella «Nuova Antológia », 1881, p. 386, traduceva invece dal Canto notturno di t. parnell: «Dunque a che pro ľinanimata salma I Vestir di bruno ammanto, e al non suo tetto I Ombrar la porta di feral ci-pressor» Ma al di lä delle analogie esteriori, differente appare la cifra della presente domanda - come di quella culminante ai w. 13-15 — timbrata com'e da quel sarcasmo giacobino (il Di Benedetto, p. 144, ricorda per il tono caustico i w. 36-37 della prima