Guido Cavalcanti, testi (1, 2, 3) 1) “Perch’io no spero” (vv. 1-6, 17-26) (è una ballata mezzana, perché vi sono settenari nella ripresa) RIPRESA Poiché io penso di non tornare mai, balletetta (piccola e cara ballata), in Toscana, vai tu, veloce e lieve, senza indugio (senza aspettare, direttamente) alla mia donna, che attraverso la sua gentilezza, ti darà una molto buona accoglienza. […] SECONDA STANZA Tu senti, ballatetta, che la morte mi imprigiona (stringe) tanto che la vita sembra abbandonarmi; (sto per morire) e senti il cuore come batte così fortemente che ciascuno spirito ne parla. Tanto è distrutto il mio corpo, che io non posso resistere: se tu, ballatetta, mi vuoi servire, porta con te l’anima mia (di ciò molto ti prego) quando uscirà dal cuore. Perch’i’ no spero di tornar giammai (testo originale) Perch’i’ no spero di tornar giammai, W (RITORNELLO, RIPRESA) ballatetta, in Toscana, y (SETTENARI) va’ tu, leggera e piana, y dritt’a la donna mia, z che per sua cortesia z ti farà molto onore. x Tu porterai novelle di sospiri A piene di dogli’ e di molta paura; B ma guarda che persona non ti miri A che sia nemica di gentil natura: B ché certo per la mia disaventura B tu saresti contesa, c tanto da lei ripresa c che mi sarebbe angoscia; d dopo la morte, poscia, d pianto e novel dolore. x Tu senti, ballatetta, che la morte mi stringe sì, che vita m’abbandona; e senti come ’l cor si sbatte forte per quel che ciascun spirito ragiona. Tanto è distrutta già la mia persona, ch’i’ non posso soffrire: se tu mi vuoi servire, mena l’anima teco (molto di ciò ti preco) quando uscirà del core. Deh, ballatetta, a la tu’ amistate quest’anima che trema raccomando: menala teco, nella sua pietate, a quella bella donna a cu’ ti mando. Deh, ballatetta, dille sospirando, quando le se’ presente: «Questa vostra servente vien per istar con voi, partita da colui che fu servo d’Amore». Tu, voce sbigottita e deboletta ch’esci piangendo de lo cor dolente, coll’anima e con questa ballatetta va’ ragionando della strutta mente. Voi troverete una donna piacente, di sì dolce intelletto che vi sarà diletto starle davanti ognora. Anim’, e tu l’adora sempre, nel su’ valore. Noi sìan le triste penne isbigottite Noi siamo le triste penne sbigottite (stupite), le forbicette e il coltellino addolorato, che abbiamo scritto dolorosamente quelle parole che avete ascoltato. Ora vi diciamo perché ce ne siamo andate e siamo venute qui adesso: la mano che ci muoveva dice che sente che sono apparse cose paurose nel cuore; le quali cose paurose hanno così distrutto costui CAVALCANTI e lo hanno quasi ucciso (lo hanno posto così vicino alla morte) che altro non gli è rimasto che i sospiri. Ora vi preghiamo, quanto più possiamo, che non sdegnate di tenerci (noi) tanto che non vi coglie un po’ di pietà. Noi sìan le triste penne isbigottite (testo originale) Noi siàn le triste penne isbigotite, le cesoiuzze e ’l coltellin dolente, ch’avemo scritte dolorosamente quelle parole che vo’ avete udite. Or vi diciàn perché noi siàn partite e siàn venute a voi qui di presente: la man che ci movea dice che sente cose dubbiose nel core apparite; le quali hanno distrutto sì costui ed hannol posto sì presso a la morte, ch’altro non n’è rimaso che sospiri. Or vi preghiàn quanto possiàn più forte Che non sdegn[i]ate di tenerci noi, tanto ch’un poco di pietà vi miri. 2) Voi che per li occhi mi passaste ‘l core Voi che attraverso gli occhi (la vista) mi avete trapassato il cuore e svegliato la mia mente che dormiva guardate all’angosciosa vita mia che Amore (soggetto) distrugge sospirando. Egli (Amore) viene colpendo di taglio (taglia) con così gran forza che i miei deboli spiriti (gli spiriti vitali) se ne vanno via: rimane soltanto il corpo (privo degli spiriti vitali) in potere di Amore e la voce fioca (debole), che parla dolorosamente. Questa forza di amore che mi ha distrutto si è mossa velocemente dalla vostra vista gentile (dall’avervi visto, gli occhi): mi ha gettato una freccia nel fianco. Così il colpo è giunto dritto al primo lancio, che l’anima tremando si è riscossa vedendo ucciso il cuore nel lato sinistro. 3) Voi che per li occhi mi passaste ’l core (testo originale) parole della guerra Voi che per li occhi mi passaste ’l core e destaste la mente che dormia, guardate a l’angosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore. E’ vèn tagliando di sì gran valore, che’ deboletti spiriti van via: riman figura sol en segnoria e voce alquanta, che parla dolore. Questa vertù d’amor che m’ha disfatto da’ vostr’ occhi gentil’ presta si mosse: un dardo mi gittò dentro dal fianco. Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto, che l’anima tremando si riscosse veggendo morto ’l cor nel lato manco. 4) Guido Cavalcanti, “Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira” Chi è colei che viene (si fa avanti, avanza), che chiunque (tutti) la guarda e che fa tremare l’aria dello splendore della luce e conduce con sé Amore, cosicché nessuno può parlare, ma sospira? O mio Dio, cosa sembra ella quando si gira! lo dice Amore, che io non lo so raccontare: tanto umile (benigna) mi appare (presentarsi, compare) questa donna, che qualunque altra donna al suo confronto la chiamo superba. SUPERBO/UMILE (tutte le donne sono superbe al suo confronto) Non si può raccontare la sua bellezza, che a lei si inchina ogni nobile virtù, e la bellezza la indica (mostra) come sua signora. (la bellezza è serva, ancella di questa donna) La nostra mente non è in grado (non è mai così alta) né in noi è posta tanta grazia («salute») da fare in modo che noi abbiamo una propria (adeguata) conoscenza di lei. POESIA CORALE attonito, stupito, pieno di meraviglia (testo originale) Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, che fa tremar di chiaritate l’âre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira! dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare: cotanto d’umiltà donna mi pare, ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose ‘n noi tanta salute, che propiamente n’aviàn canoscenza.