■,03 II sonetto autoritratto ě collocato non a oaso al centro della raccolta (c il settimo di dodici), rappresentandone quasi il punto di forza e il centro vitale. Gli dementi autobiografici spar-si nel canzoniere raggiungono qui !a loro sintesi unitaria: qui sembra trovare sbocco l'assil- 10 di proiezione autobiografica che agiva nelVOrlis espriraendosi ancbe nello scrupolo dei ritratti premessi alle varie edizioni, e ogni volta mutati. Non stupisce che il sonetto, sola eccezione nelle Poesie, abbia avuto diffusione autonoma, separata dalla raccolta, e sia stato ritoccato piú volte, a distanza di anni. Un discorso a parte merita il sonetto di Alfieri (dir. 11 seguente RTFliRIMENTIECONFROOTl), che si era per primo awalso della forma del sonetto autoritratto per esprimere l'ansia preromantica di una definizione di sé: nel comporre il suo těsto Foscolo lo ebbe puntigliosamente davanti a sé per confrontarsi, o phi ancora per distinguersi da quello (ma anche il giovane Manzoni ne restó affascinato e si cimento a sua volta). Solcata ho fronte, occhi incavati intend, crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, labbro tuniido acceso, e tersi denti, 4 capo chino, bel collo, e largo petto; giuste membra; vestir semplice eletto; ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; 8 avverso al mondo, awersi a me gli eventi: talor di lingua, e spesso di man prode; město i piú giorni e solo, ognor pensoso, pronto, iracondo, inquieto, tenace: di vizi ricco e di virtu, do lode alia ragion, ma corro ove al cor piace: mořte sol mi dará fama e riposo. ne aurnnpnlogelica; emunte guance: colore pallido del viso (ma emunte rispeno a smunte ě voce di ascendenza lalina). 3. labbru... acceso: "labbra grosse e di colc-riLo vivo". 5. giusle: "proporzionate"; veetir... eletto: inodo di vesti-re semplice ma scelto. accurato. 7. sobrio... schietto: semplice, uniano, leale, generoso, sincere. 8. avverso... eventi: avverso a] mondo, in perpetua lite con il mondo, e, vicendevolmente, sempře awersi a me gli evenli del mondo. 9. talor... prode: valoroso nell'uso della parola come anche nelTazione. It. pronto... tenace: tiota come gli aflribuu di qnesto verso inslaurijio un sottile contrappunro con quclli del v. 7, tutd di segno positivo, mentre qui ogni aggettivo sembra designate un lormento inceriore 0 un eecesso. La série ě desunla dal-VJut poetica di Orazio, v. 121, dove defuiiscc Achille "impiger, iracundus, inexorabilis, arem (segnalato da (>omi, op. Ci't). 11 14 1. Sulcata ho fronte: il primo verso contierie il nome di Foscolo, secondo la tecnica dciranagramma, che c figura gia tipieamente pctiarchesea: celebri gli anagrammi di "Laura" (Fosservazione ě di Comi, R poeta e la sua immagine. SugU auloritratti fieWAlfkri c del Foscolo, '"Giornalo storieo della Letteratura italiana", 1983, 1); occhi incavati intenti: gli aggetuvi vogiiono sottolineare tintensita dello sguardo (iruenti provicne aenz'altro da Virgilio, F.neuk, 11, 1 ripreso da PeLrarca: «e gli occhi porto per fuggire intenti*. Canzoniere XXXV, 3). 2. crin fulvo: "capelli biondi,vj ma *questa capigliatura fulua era la leonina», precisa nel commenlo alia Cliioma di Berenice- eosi anche questo dettaglio ubbidiscc a un^intenzio- L'auloritratto di Alfieri Ecco il sonetto di Alfieri che Foscolo assume a modello: Sublime specchio di veraci detti, mosuami in corpo e in anima qual sono: capelli or radi in fronte e rossi pretti; 4 lunga statura, e capo a terra prono; sottil persona in su due stinchi schictti; bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; giusto naso, bel labbro, e denti eletti; 8 pallido in volto, piu die un re sul trono: or duro, acerbo, ora pieghcvol, mite; irato sempře, e non maligno mai; la mentě e il cor meco in perpetua lite: per lo piú mesto, e talor lieto assai, oř stimandomi Achille ed or Tersite: uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai. i 1 14 □ Giá in Alfieri era presente un'eroica concezione di sé a con-fronto con una realtá nemica (v. 10: «irato sempre»), ma insie-me un desíderio di adesione alla veritá. Si noti infatti 1'abbon-danza dei dettagli tninori, quasi informativi: «sottil persona», «bianca pelle», «occhi azzurri», «capelli or radi in fronte*. Anche il ritratto morale e dominate dall'ansia di fornire un'identi-tá ferma, univoca (vedi il gioco di opposizioni all'interno di ogni coppia della prima terzina: «or duro, acerbo, ora pieghe-vol, mite...»). Ma le contraddizioni interiori sono tali che riesce impossibile formuláře un chiaro giudizio morale di sé («or stimandomi Achille ed or Tersite») e del proprio destíno («uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai»). L'intenzione foscoliana e hen diversa: scompare !o specchio, ainbiguo, mutevole suumento di osservazione (anche se Alfieri lo elevava a metafora: "Sublime specchio di veraci detti») e vi si sostituisce la finzione di un ritratto in piedi. La príma quartina del sonetto foscoliano si bipartisce infatti idealmente in due distici, di cui il primo ě concentrate sulla parte superiore del viso (dagli occhi e dalla fronte giá emerge il carattere indomito dell'anirno), I'altro discende sui tratti inferiori del volto sino al «largo petto» quasi raffigurando un busto, come i ritratti che accompagnavano le edizioni dell'Oriis. 11 v. 5 completa con un unico tratto la figura, superando i molli dettagli forniti da Alfieri. Entrambi i poeti seguono un "ordine" deserittivo che va dal-resteriorita verso rinterioritá. Ma nel sonetto foscoliano Pade-renza realistica é superata senz'altro dalla volonta di una rap-presentazione eroica di sé: si veda in particolare la calibratissi-ma scelta aggettivale, ricavata dalla piú illustre tradizione latina e volgare e tesa a un'efficace resa espressiva, fonica e figu-rativa, come nel bellissimo esordio: Solcaia ho fronte.... Quasi punto per punto le riprese alfieriane sono corrette in questa direzione: «capefli or radi in fronte e rossi pretti» (quel-1'or radi suona perfino involontariamente ironico) divengono 204 La letteraťiira delľetä napoleonica in Itália Ugo FobcöIö 205 crin juluo: una chioma leonina. Un altro caso: «bianea pelle» (v. 6), dettaglio insignificante, diviene emunte guance, che, preziose sul piano lessicale, lasciano trasparire, come Sulcata ho fronte, occhi incavati intenti, un'indole battagliera. Ogni dettaglio descrittivo in Foscolo coopera a raffigurare ľa-nimo. Passando poi ai rilievi interiori, non stupisce ehe i chia-roscuri alfieriani («or duro, acerbo, ora pieghevol, mite») siano soppiantati da serie univoche di segno positívo (vedi i w. 7 e 11). Soprawive un'unica contraddizione tra mente e cuore ehe si pone non tanto in termini di contrasto (la mente e il cor meco in perpetua lite) ma di opposizione insolubile (do lode / alia ragion, ma corro ove al cor place): doe da segno di debo-lezza diventa ľemblema di una ribellione consapevole. Ecco che il giudizio morale su di sé si affranca da tutte le incertezze presenti in Alfieri: e Foscolo si identifica senz'altro con Achille, attribuendosi gh aggettivi che Orazio applicava alľeroe greco (pronto, iracondo, inquieto, tenace, e cfr nota al v. 11). u dubbio circa il proprio destino, ehe si affacciava irrisolto in chiusura del sonetto alfieriano, é cosi soppiantato da una chia-ra premonizione di gloria futura (morte sol mi darä fama e ri-poso). H modello alfieriano e si proclamato a chiare lettere, ma ě poi di fatto profondamente modificato. In altre parole non troviamo in Foscolo il concetto di omaggio e di ripresa del modello cosi tipico della nostra tradizione letteraria, ma quello di superamento (a hvello critico questa posizione foscoliana trovera espressione nel Saggio sulla letteratura italiana con-temporanea). Sulla consapevolezza di aver contratto un debito letterario prevale la coscienza di un'appropriazione originale e autonoma. [A Zacinto] Dalle Poesie, sonetto IX D sonetto a Zacinto rappresenta, insieme a quello alla sera, resperimento forse pm laborio-so, a livello metrico-sintattico, del canzoniere: le due quarrine e la prima terzina sono infat-ti assorbite in un unico lungo periodo che presenta giä la complessitä dei Sepolcri. Zacinto si specchia nelle onde del mare che vide nascere Venere, e la dea iüuminö quelle isole con il suo sorriso, cosi che Omero fu indotto a cantarne la bellezza e il viaggio awenturoso tdi Ulisse, che approdö inline alTisola natale di Itaca. La trama delle analogie si espande cosi dalla geografia al mito e Zacinto si rivela, piü che un luogo della memoria, un luogo o "il luogo" della poesia, segno della mistenosa predestinazione del poeta: essa non e vista infatti con gli occhi o attraverso le sbiadite tracce del ricordo, ma attraverso la parola dei poeti, in particolare Teocrito e Omero. Nel mito di Ulisse Foscolo puö anzi riflettere per un attimo il proprio destino di esulc: ma un destino capovolto, poiche Ulisse, al contrario de] poeta, potra inline lare ritorno alla natia Itaca. Neirultima terzina, bruscamente, la realtä si sostituisce al mito: per Foscolo non ci sarä ritorno, ma esilio perpetuo e morte in terra straniera. Nella constatazione non c'e enfasi drammatica ma quasi orgogliosa accettazione («Tu non altro che il canto avrai del figlio...»): al mito del ritorno felice si contrappone il mito delTesilio volontario, che rivendica il marchio eroico di una consapevole accettazione. 11 14 Ne piu mai toccherd le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nelTonde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo prirno sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde Finclito verso di colui che Tacque canto fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura bacio la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. Schema metrico Sonetto (ABAß, ABABr CDF,, OED) Le rime delle. quartinc sono tutte assonanti in e._ 1-6. Ne... sorriso: non mi sara mai piü concesso di loccare le sacre sponde dove to vidi la luce, o mia Zacinto. ch© ti äpecchi nel mare greco da cui nacque Vettere, che rese fe-eonde quelle isole con il suo primo sorriso. 1. tuccherö... sponde; vdore figuralo e concretezza espressiva si fondono in questa splendida loeuzione, che Foscolo ricava traducendo alia leliera il tetigit litom di Propcr-zio, TT, XIV, 3-4: «nee sic errore exacto laetalus Ulixes, / cum terigh carae litora Dulichiae», "ne fu cosi lieto [Hisse, alla line del suo lungo errare, allorche tOCCO il iido deU'amata Ita-ea" (errore exacto inlluisec anche 3ul diverso esiglio del v. 9). 2. giacque: giä in Petrarca designa la oondizionc dei f«n-ciuXi che non camminuno ancora. 5-6. fea... sorriso: il sorriso e tra gli allributi piü tipici di Venere, che Omero dice ^iXo^ies&rjS, "amartte del sorriso"; e il riflesso di quella letizia semhra spandersi nella natura cir-costante, come in Poliziano (Stanze, 100, 4: *e 1 ciel ridergli intomo e gli eleincntio) e soprattutto in Lucrezin (De rerum natura, I, 2-9: «.Alma Venus [...] / per le quomam genus omne animantium / concipitur, visitque exortum lumina solis / [.'..] tibi siiavis lumina tellus / submitrit (lores, tibi ridet ae-quora ponti / placatumque nitet difruao luinine caelum*, "Venere nutrice,.. solo per te ogni specie di creatura vivonle puö essere coneepita e, appena uscila dalle tcnebre, vedere la luce del sole..."). 6-11. onde... Ulisse: ragione per cui fu sptnto a cantare le tue limpide nubi e i tuoi boschi il poeta [Omero] che cantô i viaggi per mare di Ulisše vulun dal Fato (fatal!) e le sue pere-grinazjoni in virtu, delle quali [per cut), eelebrc per la fama delle sventure sopportate, alla fine giunse a baciare la sua petrosa Itaca. 11. bacio... Ulisse: h ripreso Omero. Qdissea, XTH, 353-54: «Allora gioi OifiasoO costante, glorioso I salulando la patria, baciô le zolle dono di biade» (fonte segnalata da Ga-vazzeni); ancbe petrosa é tiggettivo riferito piu volte da Omero a Itaca. 12. Tu... figlio: tu (Zacinto) avrai (al contrario di Itaca) soltanto la poesia del tuo figlio (noo le spoglie cioě, deslinale a essere sepolte in terra straniera.). 13-14, a noi... sepoltura: il fato ci diede in sorte una se-poltuTiL sopra la quale i parenti non potranno versare lacrimr. (perché appunto lontana): illacrimata é calco sul latino iüa-crímalax e sul greco uůáxQVTQS. ANALISI □ II sonetto si fonda su una serie di elemenli apparentementc obiettivi, concatenati in tmo stringente ordine sequenziale (si osservi la complessa ipotassi, tesa a definire e razionalizzare i rapporti: ove... che... da cui... onde... eke... per cui...). In reáltá, se ben si considera, i coUegamenti sono del tutto sog-gettivi: e Foscolo che riconosce e ricostruisce una "sua" storia, una "sua" veritá, legando fatti e personaggi largamente indi-pendenti. □ La suggestione del sonetto risiede nel fatto che Zacinto ě elevata molto al di sopra del dato geografico diventando quasi segno della predestinazione poetiea di Foscolo, mito comple-mentare e opposto a quello dell'esilio (dunque estremamente funzionale alľautoritratto eroico che Foscolo mira a costruire nelle Poesie). II ritorno felice, promesso dai fati, come giä a 206 La letleratura delľetä napoleonica in Italia Ugo Foscolo 207 (Jlisse, ě negato daIJa malvagita degli uomini e daD'iniquitä della storia; e la pacata conclusione finale (a noi prescrisse il fato Ulacrimata sepottura) mostra che Peroe moderno non e meno grande delTantico, per la dignita e fermezza con cui sa accettare il proprio destíno. Si noti l'efficace opposizione tra rimmagine della prima infanzia (pve il mio corpo fanciulletto giacque, v. 2) e quella della sepoltura (vv. 13-14), che certo contribuiscono a racchiudere nell'evocazione dell'isola natale il paradigma di un'esistenza inteia. La circolaritä del sonetto ě sottolineata dall'apostrofe a Zacinto collocata sia in apertura che in chiusura, nei toni del ricordo felice e dell'amara cer-tezza. □ Zacinto subito "si specchia", con effetto di dissolvenza, nel mare (w. 3-4), e svanisce in un gioco di riflessi e di suggestion! (Venere che sorge dalle onde, Omero, Ulisse). La serie delle rime in -ONDE e -ACQUE contribuisce a questo effetto di ri-frazione, complicata dalla rima interna del v. 6 ("onde non tacque") e moltiplicato dalla rete di assonanza in O ed E (tOc-chErÖ, OvE, cOrpO, fanciullEttO, grEcO ecc.) e in A ed E (sAcrE, fAnciullEtto, ZAcinto miA chE tE spEcchi ecc). Notiamo ancora il rilievo ritmico dell'attacco (Né pik mai toc-cherö le sacre sponek) che richiama, per la serie di accenti ford che lo scandiscono, il modello alfieriano (e altri ineipit di Foscolo potremmo aecostare a questo, per la stessa ragione). Sempře sul piano ritmico, b singolare per altro aspetto T'ultimo verso, che ha gli accenti sulla 2a, 6a e 10a sillaba, senza accenti secondari che lo "addolciscano": ne riesce un verso senza cesura, dal ritmo molto "prosastico". Non ě un fatto casua-le, anzi la scelta appare ben calcolata, poiché risponde al tema della tomba non visitata dai parenti. [In morte Dalle Poesie, sonetto X del fratello Giovanni] II sonetto in morte del fratello Giovanni fu composto per ultimo e usci solo nell'edizione definitiva delle Poesie (1803). L'ispirazione fu probabilmente occasionale, scaturendo dalla rilettura del Carme CI di Catullo. Giovanni Foscolo, fratello minore di Ugo, mori a Venezia 1'8 dicembre 1801 in circostanze misteriose. Temperamente impetuoso, fu certo contagia-to dalle idee del maggiore e piú illustre fratello: come lui era stato profugo a Venezia, aspirante ufGciale a Modena, poi volontario nelle milizie cisalpine sul fronte ligure e final-mente a Milano con la legione italica vittoriosa a Marengo (14 giugno 1800). E probabile l'ipotesi del suicidio dovuto a debiti di gioco e al clima di sospetto generate dalla sparizio-ne di denaro dalla cassa di guerra. Cosi scriveva a caldo Foscolo stesso a Monti: «La morte delľinfelicissimo mio fratello ha esulcerato tutte le mie piaghe: tanto piu ch'ei mori d'una malinconia lenta, ostinata, ehe non lo lasciö né mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io figuro i martirj di quel giovinetto e lo stato doloroso della nostra povera madre fra le cui braccia spirô. Ma io temo che egli stanco della vita siasi awelenato, e mia sorefla mi conferma in quesťopinione. La morte sola fmalmente poté decidere la battaglia che le sue grandi virtu, e i suoi grandi vizj manteneano da gran tempo in quel cuore di fuoco. Addio». Un di, s'io non andró sempře fuggendo di gente in gente, me vedrat seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo 4 il fior de' tuoi gentíli anni caduto. La Madre oř sol suo di tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo 8 e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli awersi mimi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, 11 e prego anch'io nel tuo porto quiete. Questo di tanta spěme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete 14 allora al petto della madre města. Schema, metrico__._ Sonetto (ABAB, ABAB, CDC, PCD) 1-4. Un... cadulo: un giurno, se pure non sarö per sempre esule dalla mia patria, mi vedrai seduto, fratello miß, sul tuo sepolcro, piangendo il fiorc spezzato della tua giovinezza. Da segnalare, oltre alla punluale ripresa det carme Cl di Catullo (per cui crr. il seguente nrraöMENTl ECONTROrVTI), la memoria di Tibullo: «Ulius ad tumulum fugiam supplexque sedebo» ("mi rifugerö al suo tumulo e vi siederö supphee'), fönte che ritrovererno anche nei Scpokri, w. 126-28. 3. pietru: per "tomba'' e ffequcnte nella poesia sepolcralc. 4. il Gor... eaduto: ricorda la famosa similiuidine catullia-na (Carmina, XI, 22-24): «velut prati / cllimi Hos, praetc-Teunte postquam ! Lactus aratro est» ("corae liore sul ciglio del piato, reciso dopu che sopra e passatn l'aratro"), ripre&a in gli allri da Virgilio {Emilie, IX, 435-6): .veluti cum flos succisus aralro / languescit rnorienfl» ("cosi il fiore, che l'ara-Iro ha taghau», languisoe morendo"). 5-8. La Maure... sululo: ora solo la madre. trascinarido la sua tarda vecchiaia, parla di me. enn le tue spoglie mute, rria io non posso che Icndere a voi inutilmente le mani e salulare solo dl lomano la mia casa (i miei fern). 6. cenere muto: c sintngma corneae nella poesia sepolcra-le (senza neoessario riferirnento alla cremazione). 7. dcluse... palme: {Muse ě qui predicativo di teitdo e vale dunque "invano", secondo un uso classico («invalidas libi tendens heu non ma, palmas», "tendendo invano 1c tue máni, ahi, io che non sono piú tua", aveva detlo Virgilio nelle Genrgiclifi, IV, 498; e Parini, nel Messaggio, v. 78: «con la delusa man cercando vo»). 9- 11. Sento... quiete: samo gli dei osuli e gli affanni interio-ri che hanno sconvoltu la mia vita, per cui aspiro anch'io alla pace della mořte, Sento gli awersi mimi: traduce, con rigorosa fedellá, sino a toecare la sintassi della lingua italiana, il virguiano «... conversaque numina sends* ("senu che i minu sono awersi", fneá-fe, V, 466, fonte segnalata da CerieUo). E questo uno dei rísiikati piú arditi conseguiti da Foscolo nel ten-tativo di modeflare la sua lingua su quella degli antichi. 10- 11. tempesta... porto: nella tradizione/jorío ě metafora ťrequente della niorte come ultimo approdo deH'csistenza; eft. in Pelrarca I'identica opposizione tenipesta-porto: «si che s'io vissi in guerra, el in tempesta, / mora in pace, el in porlo» (Canzniwm, CCCLXV, 9-10, fonte segnalala da Guvazzeni). 12. Questo... resta: ripresa da Pelrarca, CanZiiniere CCXVTT1, 32: "Questo m'avanza di colanla speme" (Ferrari). 13-14. almen...mesla: r,6. Tibullo, I, 3, 5-6: «non hiu mini mater / quae legal in moestos ossa perusta sinu», "non k qui mia madre che accolga le mie arse spoglie nel inanlo funebre" (fonte segnalata da Ceriello). u RJFEŘJMEiNTI R CONFRONTI_ D carme Cl II sonetto si modula sul celebre carme CI di Catullo per la visi- di Catullo ta ^ temba del fratello, giä tradotto da Parini («non con ľu- sata felicitä», osserva pero giustarnente Foscolo). Foscolo ebbe probabilmente occasione dl rileggere il testo catulliano quando era impegnato nella Iraduzione della versione latina della Chioma di Berenke: dal confronto tra il suo stato ďanimo e quello del poeta antico scaturi ľispirazionc del sonetto. Cosi era aceaduto per il sonetto alla sera (debitore a Lucrezio): ed era segno ehe la poesia foscoliana si awiava su una stradu nuova, in cui ľapporto dei classici sarebbe divenuto decisivo. Trascnviamo qui di seguito il carme catulliano: «Multas per gentes et multa per aequora vectus / advenio has miseras, fráter, ad inferias, / ut te postremo donarem munere mortis / et mutam nequitpiam alloquerer cinerem, / quando- 208 La letteratura dell'eta napoleonica in Italia Ugo Foscolo quiquem fortuna mihi tete abstulit ipsum, / heu miser indigne frater adempte mihi. / Nunc tarnen interea haec prisco quae more parentuum / tradita sunt tristi munere ad inferias, / acci-pe fraterno multa manantia fletu, / atque in perpetuum, frater, ave atque vale» ("Di gerne in gente, di mare in maTe ho viag-giato, / o fratello, e giungo a qnesta squalüda tomba / per coii-segnarti il dono supremo di morte / e per parlare invano con le tue ceneri mute, / perché la sorte ha rapito te, proprio te, / o mfelice fratello precocemente strappato al mio affetto. / Ed ora queste offene che ti porgo, come comanda l'antico rito degli avi, / dono dolente alla tomba, gradisci; / sono madide di molto pianto fraterno; / e ti saluto per sempře, o fratello, addjo", trad. di F. Deila Corte). Si nou subito come il carme di Catullo offra quasi soltanto l'at-lacco al sonetto foscoliano. Le pacate e solenni immagini del poeta antico sono assunte in un contesto reso drammatico dal brusco impiego del periodo ipotetico iniziale («s'io non an-drí>...») che respinge il desiderio della visita al defirnto in un futuTO lontano, subito improbabile, e che la conclusione del sonetto mostrerä del tutto irrealizzabile. Come giá il mito di Ulisse nel sonetto a Zacinto, cui era concesso di rivedere la patria, cosi qui il dolente omaggio tributato da Catullo al fratello sotto-linea drammaticamente la perdita di luoghi e affetti cari, la soli-tudine umana e le ferite del destino. L'animo sofferente di Catullo puö trovare conforto e quasi pace nei riti, nelle funebri Offerte, su cui tanto si insiste nel carme, mentre in Foscolo il sotlievo di una visita ě descritto e sospirato per essere subito negato e aecrescere il dolore della perdita e della lontananza. Dunque Foscolo si richiama a Catullo, ma piü per disünguere che per aecordare la sua voce su quella del poeta antico. [Aua Musa] Dalle Poesie, sonetto XI Ě il sonetto di commiato da una stagione poetica definitivamente trascorsa: stagione di delusioni e di dolori allietata perö dal dono inestimabile della poesia, Ecco perché i toni piü drammatici cedono qui a quelli patetici ed elegiaci A sonetto ha un'eloquenza serrata, awincente, che si sniorza gradalamerUe nella prima Lerzina e si spegne del tutto nella seconda. A un passato quasi mitico si opporie un presente diviso e quasi paralizzato Lra passato (le «pensose / membranze», w. 10-11) e il futuro (il «tirrior cieco», v. 11), dove anche Foraziana fiducia nella poesia, nella paziente operosi-tá del poeta, é ridoUa al silenzio. Pur tu copia versavi alma di canto su le mie labbra tin tempo, Aonia Diva, quando de: miei horenti anni fuggiva 4 la stagion prima, e dietro erale intanto Schema meÉrico Sofletr-p (ABBA, ABAB, CDE, CDE). 1-6. Pur... riva: eppure, o Musa, tu solevi uii teitipo versa-re sulle mie labbra un'abboiidaiiza di ispirazione t:lic ora aii-mcnf.o [alma deriva daJ latino alo, "nutro") di poesia, iruan- 1: questa, che meco per la via del pianto scende di Lete ver la muta riva; non udito or ťinvoco; ohimě! soltanto una favilla del tuo spirto ě viva. E tu ruggisti in compagnia dell'ore, o Dea! tu pur mi lasci alle pensose membranze, e del futuro al timor cieco. K- Peró mi accorgo, e mel ridice amore, che mal ponno sfogar řade, operose rime il dolor che deve albergar meco. do la mia adolescenza volgeva al termine, c dietro di lei so-praggiungeva questa preserrte eta che mi aecompagna versO la sponiia del Lete (il fiume infernale deltoblio), cioe verso la morte. Si osservi nei primi sei versi una sotiile allusione al sonetto CCCXV di Petrarca, che ha analoga funzionc di commiato dalFetä giovanile evocata con eommozione e rim-pianto: «Tutta la mia fiorita e veTdc etade / passava, e 1ntie-pidir sentia giä 1 foco / ch'arse il mio core, et era ghmto al loco / ove scendc la vita ch'al fin cade» (vedi anche la coincidenza con scende al v. 6). 2. Aonia Diva: la Musa (detta Aonia dai monti Aonii, in Beonia). 7-Ä. non... viva: ora ti invoco inuälmente {non udito): ohi-me! soltanlo una scintilla di queU'antica ispirazdone e ancora viva in me. 9-11. E... cieco: e tu invece sei fuggita con il passare del tempo e mi hai abbandonato ai ricordi del passato e al cieco tiniore del futuro. Per la personifieazione delle Ore, vedi Tode Atta amica risanata, v. 19 e nota. 12-14. Perö... meco: mi accorgo pertanto, e amore me lo ripete* che poche (rade) poesie, frutlo di studio faticoso (ope-ro.se), non possono bastare a sfogare il dolore che e ormai il solo compagno della mia vita. II carattere letierario della poesia foscoliana, frutto di lungo labor kmae, e esaltato attra-verso d ricorso a una celebre dichiarazione di poetica orazia-na (Odi, IV, 2, 31-32): «operosa parvus / cairnina fingo» ("io, piccolo, compongo operosi carmi"). Che stai? giá il seeol Forma ultima lascia.. Dalle Poesie, sonetto XII La fatidica fine del secolo impone il bilancio di un'esperienza esistenziale e delFattivitä poetica che ne ě stata fedele espressione, mentre si apre davanti un futuro incerto e oscuro, dove non piü la Musa, ma le «fauche dotte» potranno aecompagnare il poeta e forse assi-curargli la gloria. II distaeco contemplativo che domina il sonetto alia sera trova forse qui la sua opposizione piu forte e drammatica: quel distaeco superiore si spezza alia fine del canzoniere, producendo un tumulto di interrogazioni e di esclamazioni, in un vero e proprio monologo drammatico. Che stai? giä il seeol Forma ultima lascia; dove del tempo son le leggi rotte precipita, portando entro la notte 4 quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia. Schema metrico Sonetto (ABBA, ABBA, CDC, EPE). 1-4. Che... fascia: perche indugi? il secolo imprime Pnlti-ma orma del suo cammino e poi precipita nelFetemita, dove le leggi del tempo cessano di esistere (cioc dove il tempo si anmdta), portando con se vent'anni dclla tua vita in cui non hai fatto nulla degno di essere ricordato. Sono presenti a Foscolo sia Petrarca, Canzoniere CCLXXIII, 1-2: «Che fai? che pensi? che pur dietro guardi ! nel tempo, che torriar nou pote omai?», sia I'ode pariniana Per Vinciita Nice, vv. 97-102: «il secolo / [...] arde giá gli assi, ['ultimo / iostro giá tocca, e scende I ad incontrar le tenebre / onde una volta pargoletto usci». Ma Foscolo aveva visto manoscritto, poiché non eTa stato ancora stampato, anche il sonetto XXXV di Alfieri (fitme, parte H): «Del mio decimo lustro, ecco, giá s'er-ge / rantipenultim'arino, e a caldo passo / spinge la ruota mia piú semprc al basso, / dove il fral nostro in alto obblio s'im merge*.