oro, co\ quale ccm-tava \a vktirna -Vi un braccio. «I^ una secca vivacita iza che la sua voce dondolare il capo, e dita. Poi scattö. ;ia, con un rugghio .vincolandomi, dissi lo posso piü far ni, » e si prese il andai indurito e av-di gran compagnia. fati sul lungo tron-insieme. anche sotto la piog-i sporco, sconvolto, "ano come impiccio-lque luogo e me ne piu. Ogni colore era mtagne erano scorn-ie lo sfondo, che in lie camminate. H'albergo, nella piog-ancosporchi in cirna: i occhi, una mattm* er il mio destino- Jettatura Sentii un giorno la cassiera che diceva: « Ecco, sembra un malato: com'e odioso », e mi voltai tutto stupito. Parlava-no proprio del mio collega, che sbucava lentamente dalla scala con una bracciata di libri. Nel momento che mi volsi, emergeva dal pavimento solo il suo capo calvo; poi, usciro no le spalle curve, la lunga sopravveste grigia, e Berto Venne a posare i libri, che teneva a catasta contro il petto, sul banco. Aveva in faccia un'immobile tensione d'angoscia, co-me di chi faccia sforzi per non piangere, e stranamente i suoi occhi apparivano sprofondati sotto le palpebre, lucci-canti come l'acqua d'un pozzo. « Eppure non e sposato, » sussurrö il primo commesso alla cassiera, che aveva ancor la bocca increspata dalla smorfia. Guardö me che ascoltavo, e mi fece segno. Avvicinai il capo alle loro teste chine e mi parve certe sere quando si esce dal negozio in un tepore primaverile. Non ero mai stato cosl vicino a quella donna, per me, garzone, irraggiungibi-fe. « Gigi ci sta a ascoltare, » disse sorridendo. « Ha sempre una faccia simile in magazzino? » mi chiese scuro il commesso. « Ma, signore, una faccia bisogna averla, » risposi <{ Tu sei un ragazzo sveglio, » riprese, « non ti dice che c°s'ha, non si lamenta con te? Non e permesso guardar sen- 2a motivo la gente in quel modo. » * lo un bei giorno redamo, » disse la cassiera. « Se fosse preso un incendio in negozio o licenziassero qual- ^uno, direi che b uno iettatore; ma non sono superstizioso, » tece preoccupato l'altro. « Tu, Gigi, cosa dici? » A me quando pass* Am<Ll°lentieri anche fumato, nel ma-*a dargli ,or,P0. uttd^A Caniat° chiaro <= non si po- sfr^rr* -a coiict1:e gli spiegai che z scolo, forse? » conclusi gastrica, intestini. « O 52 f .to malanno. bff adesso che "nnendosi alia t ga ccrto sincer f picchiano? » ^iiimazione di mi picchia. Avrc h0 brutta cera. Quel modo seri< pedi di continue fatica e poca st resto, a studiar. tia. Ci sarebbe contrargli la bo a fondo. E poi, un'occasione d: quella di Berto viziato che sta cattivo in sua r_ II giorno dopo. mento che due so che pasticci guardava lividc « Pare non ab della confidenz « Che cosa? C « Berto, » diss « Al diavolo! J**oni. A gu e cosa fate salvai comi am6 gentii se non ^ ' e Poi se 6 Si Pu° cLscuoten^' 0tne ^ fan Mi Chi; di S\ C se. o lo nt ° moito iy lo a disfar QSe ^ gridavo f/viva subito una volta che sorriso, stiran- un malato. Ma nobile e stam-o malsano del-:anco riverbero eno di questa ler la fronte a n con la muta iempirsi di la-un libro in un Berto accorse che c'era peri- dei commessi. po pelato; & le tutta arru-nelle ossa o pancia, tu- non si Pfev; n: e non si F piegai ctie ^ intestini- un < L'ho avuto alia tua etá, » disse Berto esitando. « Ě brutto malanno. Sono guarito bene, pero. » « E adesso che male hai? » I Adesso? » Lo stupore gli sbiancó ancora la faccia sovrap-ponendosi alia tensione consueta. Dibatté gli occhi. « Non ho nulla: perché? Sto male? » Era certo sincere « Sembri un mor to: ecco cos'hai. A casa ti piechiano? » L'animazione di Berto sváni. « Ragazzo, » disse poi parlan-do adagio, « io vivo solo. Ě da moko tempo che nessuno mi piechia. Avró preso del freddo: sono vecehio, per questo ho brutta cera. » Quel modo serio e stupefatto di ricevere le domande mi im-pedi di continuare. Era come camminare sulla sabbia: molta fatica e poca strada. Certo pero non aveva mentito. E del resto, a studiarlo un po', la sua faccia non mostrava malat-tia. Ci sarebbe voluto un dolore lancinante, continuo, per contrargli la bocca in quel modo e rifugiargli gli occhi cosi a fondo. E poi, qual ě il malato che non coglie avidamente un'occasione di lagnarsi? Era piuttosto una desolazione, quella di Berto, quale appare sulla faccia di un marmoechio viziato che sta per piangere. Cominciavo anch'io a sentirmi cattivo in sua presenza. Come non me n'ero mai accorto? II giorno dopo, salito su in attesa di un pacco, colsi un momenta che due clienti seccatrici voliéro il padrone per non so che pasticcio, e mi avvicinai al primo commesso che le guardava livido e compito. « Pare non abbia malattie, » gli mormorai, un poco fiero della confidenza. « Che cosa? Chi? » tempestó quelle « Berto, » dissi intimidito. «A1 diavolo! Ě colpa vostra se non si spediscono le ordi-nazioni. A guardarvi in faccia uno si dimentica dei libn. phe cosa fate sempře qui tra i piedi? » 7 salvai come potei. La cassiera invece, a mezzogiorno, mi chiamó gentile nel corridoio e, mettendosi il cappello, mi dlsse se non potevo portar su io i libri. « Tu, Gigi, sei pm ^to; e poi nel negozio ci vogliono persone di presenza. Coí»e si puó sopportare quel vecehio imbecille? » e aggiun-e> scuotendosi tutta, « me lo vedo anche di notte nel bu o un fantasma. » Le risposi che volentien avrei servito 53 io ma quand'ero in commissioni toccava pure a Berto t bella Luisa se ne andö sorridendo ^ Per vari giorni, dopo la sera del cerino, vidi poco [\ mj compagno. Ci salutavamo ora all'uscita e, anzi, sovente m° sentivo addosso quegli occhi e, incontrandoli, ne avevo UlJ penoso sorriso. Questa sua smorfia mi allarmava e mi get. tava in un disagio quasi fisico. Restava sempre sottintesa quell'angoscia vigliacca, quella spietata solitudine degü occhi. Come doveva colorarsi /il mondo attraverso quegli occhi? Una sera uscimmo insieme; era giä buio, ed io, esaltato da una brezza che sapeva odor di neve, offrii a Berto di sederci e bere una volta all'osteria. Ricordo che voltando Pangolo Berto levö il capo al gran palazzo della Centrale, che a notte allinea fino al cielo innumerevoli finestre illuminate, e disse sofTermandosi: « Quanta gente che lavora. Quelli ci staran-no tutta la sera ». « E tu che fai la sera? » « Vado in letto a leggere. Non mi prendo altre soddisfazio-ni. » Che cosa leggesse giä sapevo. Quasi ogni sera, me n'ero ac-corto giorni prima, si ficcava all'uscita nella tasca interna del soprabito qualche libro, che riponeva delicatamente fur-tivo il mattino dopo. Talvolta era un manuale di storia, piü sovente un romanzo. Sospettavo del resto che lo stesso fa-cesse la cassiera. All'osteria bevvi un quarto e Berto prese il caffe. Ciö mi scaldö un po' il sangue e dimenticai il disagio della sua pre-senza. Gli esposi invece i miei progetti, come intendevo diventar primo commesso e che in attesa di ciö mi sarei accontentato di portare in collina la cassiera. Berto ascoltava con Pabituale smorfia di sofferenza. « Tu sei giovane, » mi disse, « hai molto tempo: puoi anche di-ventare proprietario. Lascia stare la cassiera: per bene che yaoa, una donna non ti puö dare che dei figli. Hai molto tempo davanti. Pensa a guadagnare ora. » Benn Al COS'hanno dato le donne? » gli chiesi. ridere ? M-8raVeme^te' e Serrava ^ occhi volesse sor- *df ta a™' ^ dd ^ Pensa che «na donna sola latta a ciascun uomo, e non sempre la una? » feci preocci «Solo perö siamo mgiusti, » c donne e come per noi. C yiold le maltrattano. » « Io no, » dissi. Insomma, per quella sera nebbia, e lo hsciai dando$. notte, sonnecchiando, proi di esser stato cosi aperto cordai verso il mattino co angosciosa me l'ero giä v una vetrina, una volta, ci mi caccib di casa urlando lavoro ed ero stato ripre me la ricordavo ancora tr( to allora - e tra questi V nel fiume - mi tornaron* punto la iaccia di chi ci sopra. Sempre, dal mattii II giorno dopo c'erano ni; zio e noi due si saliva e i bn, sorvegliati dal primc nata questi si montö i ne Passava una. Io filavc comparsa del poveretto, lagb neIIra taSCa dei « eilt 3 LulSa- ^Uesta c^ta nsentita su rfent°ne °gni VerltraVa sodd^fatto. fa si trova ». ---o—~" messo mi chiamö per « Berto e un buon uoi glie, » dissi con disinvoi t>ia piantato chi vuole, p« « Se H legge da tagliare, * Quando legge? » morsi la lingua. « N< ne'i momenti liberi. Legg « Come? Leggiamo forse 54 «ic a Berto, i, ^a i, ne avevo un iava e mi get_ lpre sottintesa idine degli oc-rso quegli oc- vo, esaltato da -rto di sederci ando Vangolo, e, che a notte unate, e disse ielli ci staran- soddisfazio- e n'ero ac-tasca interna itamente fur-di storia, piü lo stesso fa- afle. Ciö mi SeJla sua pre-e intendevo ö mi sarei cio renza. « Tu □i anche di-er bene che Hai molto volesse sor-cäpiti a te, onna sola Solo una? » feci preoccupato. ;> « Pero non compra libri, » concluse scuro. Quel pomeriggio lo passai tutto per la cittá a consegna chi. Saltavo in bicicletta e via. Era un lavoro seLi.Pac' nire, come il garzone macellaio, e qualche volta umiliam' ma vorrei adesso ritornare a quelle lughe a rompicollo Pe; le vie piú disparate, sempre allegro e irresponsabile. QUai. che volta capitavo in corsi lontani, tranquilli, dove non ero stato mai, e pigliavo čerte volate sull'asfalto, che non mi pareva nemmeno di'lavorare. Poi ritornavo spensierato, ser-peggiando a passo d'uomo, e mi guardavo le ragazze e fini-vo la sigaretta. Ero pagato per quelle La sera ritornai che imbruniva. Cera stato un po' di sole, sul pantano raggelato delle stradě, e le dita sul manubrio non le sentivo quasi piu. Rientrai nel negozio, che stavano chiudendo. Trovai il primo commesso, asciuttissimo, che passeggiava con aria offesa davanti alia cassa, dove la bella Luisa era intenta a studiarsi le unghie. Dalla tramezza della direzione giunse una voce incollerita: « Lo sa che il suo ě quasi un fur to? ». Scambiammo occhiate con gli altri due commessi, che mi tecero con le mani il segno di chi se ne va. Credetti dices-T°l me 6 VaClUai sulle §ambe- Guardai ancora in giro chb Z° S\T°VtV*- Allora traversai, sollevando la mac- Laib^^ítto k 6 SCeSÍ gÍÚ magaZZin°' ^fffk^ buio,^do, sulPultimo gradino idii E la Ll Ora che, a suon sia stolto rifiutar. dere di ricevere Cilia ě morta. Pi all'umilta come quel tempo, se to fantasie: ho mai doveva inasprirn disagio della tri ancora chiarito bene. Ora certa. miei piu raccolti ghi dolorosamente disprezzo di averh solitudine che sull - le ho voluto dx sereno e cosciente !n veritá, le dove\ che con un cieco s< la mia innata legg n° in quest'acquac t\va diffidenza e rif fldl> che, accolti ii iSata del tuťto. ( Jr Perché Cilia m ^Jne, a propo