Ú MlolEbookReader Modifica 1 0* S? i > <5> 4) 78% (■} OABC esteso Lun 07:11 Q. O • O • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ P 05 Mario Martone. II cinema e i film a cura di Pedro Armocida e Giona A. Nazzaro Ú MlolEbookReader Modifica S? & • MlolEbookReader Modifica & I segnarne la caduta e la perdita dell'innocenza: di fronte alle statue in marmo splen-didamente scolpite di una chiesa di Loreto, Giordani non solo parla di pareti tra-sformate dall'arte in «storie parlanti», di sentimenti che nascono dalla loro con-templazione, di opere che spingono le persone ad agire con determinazione e a combattere, ma invita Giacomo e il fratello Carlo a toccare il marmo, a sentirne la materia fra le dita. «In chiese come questa non ci si viene solo per pregare», dice. Sempre seguendo lo Schema didattico scelto da Martone e dalla co-sceneggiatri-ce Ippolita di Majo, nella scena successiva Giacomo osserva dalla propria finestra la giovane Teresa Fattorini - la figlia del cocchiere a cui anni dopo dedicherä A Silvia - tossire pesantemente, giä malata e prossima alla morte: il suo idillio e spezzato, l'aver annullato la distanza fra l'occhio e l'oggetto di contemplazione ha instillato la scintilla del desiderio, il principio di realtä. Non e un caso, tornando alla scena nella chiesa, che il dialogo fra Giordani e i fratelli Leopardi sia spiato da lontano da Mo-naldo, che fino a quel momento non ha mai perso d'occhio i figli ed e invece co-stretto ad assistere alla loro simbolica liberazione. E non lo e altrettanto che all'e-terna e incontaminata bellezza dei marmi scolpiti faccia seguito il deperimento del corpo umano, la bellezza naturale destinata a morire. C'e dunque da parte di Leopardi un ostinato aggrapparsi all'infanzia e alle sue illusioni quando, di fronte al cadavere di Teresa steso nella bara e giä livido, per un attimo vede la ragazza occhieggiarlo e sbattere le palpebre. Un'allucinazione, forse, o un atto di volontä di quell'immaginazione che ancora nelle Operette morali il filo-sofo (piü che il poeta) considerava un attributo positivo avuto dall'uomo in dono dalla natura per consolarsi dall'eterna infelicitä. Quello sguardo del cadavere dura un attimo, ma e un altro momento simbolico - la fine della giovinezza. L'educazione e la crescita di Leopardi - nel film raccontate come un'involuzione dal giovane favoloso che e stato all'uomo malato e compatito che diventerä - passa Q P 05 attraverso la realizzazione di un desiderio Qa fuga, la ricerca del sentimento, la ri-chiesta di attenzione e d'amore) e la continua ammissione di una frustrazione (la malinconia, la delusione, lo sconforto). A Firenze Giacomo ě ammirato, elogiato, a volte sopportato, mai riconosciuto per quel che vale veramente. E a Roma e Napoli il suo awilimento diventa allo stesso modo fisico e spirituále. La scissione del personaggio riprende del resto il dubbio principále dello stesso Leopardi rispetto alla sua identita di intellettuale nell'Italia del primo Ottocento: quello fra poeta e filosofo, fra poesia e filosofia. Come scrive nello Zibaldone: «E tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quäle cerca per sua natura e proprieta il bello, e la filosofia ch'essenzialmente ricerca il vero, cioě la cosa piú contraria al hello; sieno le facoltä piü affini tra loro, tanto che il vero poeta ě disposto ad esser gran filosofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta...»1. Lo scontro fra bello e vero, Martone lo declina dunque nel conflitto fra immaginazione ed esperienza, visione e delusione; tra il tocco con le mani di una realtä autentica e l'immateriale trasparenza del desiderio. Un'altra esperienza di visione da lontano, con un oggetto del desiderio impossi-bile e inarrivabile, segna la dipartita di Leopardi da Firenze, quando, attratto dalla nobildonna Fanny Targioni Tozzetti, ma gentilmente respinto da lei, scorge da di-stante, incorniciati da una finestra (come a suo tempo la pověra Teresa), la donna e il suo migliore amico Antonio Ranieri amoreggiare. Un'altra distanza incolmabile, un'altra frustrazione. In questo senso, nelle sue due ore e un quarto di durata II giovane favoloso, di-spiega in maniera letterale il rapporto tra Leopardi e la natura (anche quella uma-na). E se ě vero che nella sua poesia si scorge lo sforzo di tenere assieme la lirica, la protesta e la funzione civile, altrettanto fa Martone cercando la sintesi di una vita di riflessione e di sofferenza, di spinta a cercare nello studio e nell'isolamento la fonte < > piú informazioni Ú MlolEbookReader Modifica S? & I del piacere e, alľopposto, di tensione a uscire dal proprio mondo - dalla prigione di Recanati - per vivere appieno il proprio tempo, entrare nelle dispute letterarie e politiche, godere del cibo, dei dolci, anche delia carne. II Leopardi di Martone rivendica il diritto a diventare, da osservatore qual ě sempře stato e sempre sarä, un viaggiatore e un uomo di mondo. Per quanto piccolo, goffo, imbarazzante per chi lo ama e lo ammira, questo freak geniale e malinco-nico vuole entrare nei palazzi del potere, vincere premi letterari, godere del bel mondo. E owiamente, nel momento in cui sperimenta questa realtä desiderata, ne ě disgustato, sopraffatto, e preferisce esserne respinto e non cambiare di una virgo-la, ostinato e libera come sempre, ííaccato nel morale e nel fisico, lontano da Firen-ze e Roma e immerso nei bassifondi di una Napoli dispersiva e attraente, dove i luoghi ombrosi e nascosti - non diversamente da Ľamore molesto (Mario Martone, 1995) - celano ľincontro con ľindicibile e ľinconfessabile. La natura che si pre-senta al poeta nei sotterranei delia cittä ě confusa, beffarda, duplice anche nelľi-dentitä sessuale, e il poeta non puô ehe finirne vittima, sempre mantenendo quel senso di vergogna, di paura o di perdita del controllo ehe segna la sua sconfitta esistenziale. Inevitabilmente, forse scolasticamente, II giovane favoloso si chiude con i versi de La ginestra, letti ancora una volta dalla voce fuoricampo del poeta. Alle pendici del Vesuvio in piena eruzione, Leopardi non ě piú solamente osservatore o pensato-re, poeta o filosofo, ma ě finalmente entrambe le cose insieme, affiancate e sovrap-poste. A pochi chilometri dalla vetta inŕuocata, al fianco degli altri abitanti delia zona che guardano in alto terrorizzati e in preghiera, Leopardi semplicemente si av-vicina per guardare meglio, e non piú per misurare una distanza impossibile da tracciare. Non immagina ma guarda; e pensando a ciô ehe vede si fonde finalmente con il ereato, non piú separate dalla natura matrigna, ma di fronte a lei, capace di Q P 05 sfidarla e di giudicarla. Ne La ginestra il suo pensiero é assoluto, come lo sguardo delia macehina da preša, ehe filma dalľalto, in riprese aeree documentarie e impas-sibili, le pendici del Vesuvio, il vapore ehe sale dalle rocce, il cielo stellato e la «fu-nerea lava». II montaggio alternato tra la nátura e il volto pensieroso di Leopardí stabilisce infine un confronto alia pari, un dialogo messo in scéna con una modalita classica: da una parte la «nobil natura», dalľaltra la piú nobile e misera delle sue creature. ' G. Leopardi, Zibaldone dipensieri, Miláno, Feltrinelli, 2019, p. 69. piú informazioni 61 26 Š MlolEbookReader Modifica S? & (g» ^ $ ^4) 89% CO H Romai' Sab 09:10 (\ Q \= MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film ■ I Le relazioni tra individuo e comunitá sono sostanzialmente segnate (come era chiaro fin da Aristotele, riletto dal Frye di Anatomia della criticá) da un duplice movimento contrapposto, di inclusione o espulsione dell'individuo dalla societa di appartenenza. Nel caso dell'inclusione ci troviamo davanti alla forma commedia nella sua struttura piú pura: la crisi che ogni commedia racconta diventa passaggio necessario per Yhappy end finale. Nel caso dell'esclusione ci troviamo di fronte a un movimento di tipo tragico-melodrammatico, in cui il soggetto si isola (o si sente isolato), senza riuscire a uscire dal suo perimetro stretto di vita e ďazione, che si restringe sempře di piú togliendo al soggetto molte opportunitá: da Mořte di un matematico napoletano a Qui rido io. II senso di sconfitta che segna i personaggi martoniani contraddistingue un movimento di tipo tragico-melodrammatico accompagnato da un sentimento di fine inesorabile, a cui ě difficile sottrarsi. E che puó essere solo o redento come ne II giovanefavoloso tramite una condi-visione con il resto deh"umanitá; o superato da un atteggiamento che sappia pren-dere le distanze dalla propria esperienza, da ció che il soggetto sta vivendo, o me-glio da ció in cui la vita lo sta trascinando senza che il soggetto in fondo riesca a es-serne consapevole, aderendovi come a qualcosa in cui da sempře si trova e da cui staccandosi si smarrirebbe. Riuscire a prendere le distanze dalla propria esperienza significa riderne. Ě quello che obietta Croce a Scarpetta, quando gli dice che "lui sa ridere di tutto tranne che di se stesso". E ció di cui bisogna in primo luogo saper ri-dere ě del passare del tempo. Perché tutto ció che la vita ci dice ě che la realtá díi>íe-ne e questo divenire la commedia ce lo riconsegna con la sua leggerezza (che include la relativita) e la tragedia invece no (chiusa nell'assolutezza). La tragedia in fondo ě la condizione di una maschera non sfilabile. La commedia převede invece la sfilabilitá della maschera o, meglio ancora, una maschera disponibile a rinascere Q P 05 dalle proprie ceneri, garantendosi la perennitá di chi non fa veramente parte di nes-sun intreccio e dunque di nessuna fine. In un certo senso nel cinema di Martone in gioco ě sempře la questione del tempo. L'inaccettabilita del suo inesorabile passare, le ferite che lascia e che, nel melo-drammatico come sentimento di fondo del mondo martoniano, non riescono a suturarsi. E al fondo le rivoluzioni sono sempře il tentativo di superamento di questa condizione, un tentativo di accelerazione del tempo destinato inesorabilmente a fallire: sia per il troppo sangue che il processo costituente che le anima (e 1'afflato empati-co che le accompagna) richiede, sia per l'inevitabile, deludente assetto del costituito che ne segue. E allora, se questo ě vero, ció significa che quello che chiamiamo "ri-voluzione", il tentativo di modifica rapida e anche violenta delle cose, risponde in fondo alla necessitá di far emergere un tempo assolutamente nuovo che nasconda il sempře uguale del ciclo della vita. Ma questa necessitá assoluta maschera 1'attra-zione per la fine che l'accompagna, e la volontá di eludere il relativo che la vita richiede per essere affermata in quanto tale, e che la commedia riconosce meglio di altri generi. Per questo il senso della fine che attraversa un film come Noi credevamo non ě ancillare o effetto di una piega che prendono le cose, ma ě strutturale, tale fin dall'i-nizio, e deriva da questo sentimento2. Gli ambienti chiusi, il rapporto vincolante tra i tre amici, il senso del tradimento che segna il tragico, annichilendo ogni potenzia-le senso epico di lotta di una comunitá per l'indipendenza, sono il contrassegno che fin dall'inizio grava sul film e sui personaggi. Naturalmente, non ě un caso che tra i grandi cineasti che hanno raccontato la nostra storia moderna e i suoi momenti po-tenzialmente epici, il Risorgimento viscontiano di Senso (1954) o il secolo in Nove-cento (Bernardo Bertolucci, 1976), abbiano tutti sposato il melodrammatico. Se Š MlolEbookReader Modifica S? & (g» ^ $ ^4) 89% CO H Romai' Sab 09:10 (\ Q \= MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film © ■ I questo e accaduto e perche il melodramma - radicato profondamente nella tradi-zione italiana — e il genere che traduce in pathos il tratto elusivo, diffidente e scetti-co dell'umano. Nel melodramma il soggetto si ritira dal mondo - anche se apparen-temente continua ad abitarlo -, e rinchiuso nella sua nicchia rivendica la sua "asso-lutezza" facendo precipitare se stesso e il mondo in un processo dissolutivo; anche se questa dissoluzione si maschera nelle pieghe della Storia, prendendo molto spes-so la forma di un ideale. II melodrammatico assolutizzando il tempo, di fatto lo decronologizza, collocan-dolo sotto l'unitä di un sentire reattivo. In un certo senso questa reattivitä e abitata al suo interno da una dimensione totalizzante empatica che costruisce una zona simbiotica tra se e l'altro, che non prevede scarti o eccezioni. Se nel teatro comico popolare, con la maschera di Feiice Sciosciammocca, si ride di fame, povertä, figli adottivi, con ciö evidenziando come il comico eviti un'adesio-ne eccessivamente empatica a esperienza e relazioni (i poveri non sono "miserabili" da compatire ne da riscattare), nel teatro della vita di Eduardo Scarpetta tutto cambia. II corpo unico familiäre si appella a una unitä immaginaria che l'imponen-za del Capo deve rivendicare, pena il crollo di tutto. E quel "ridere" finale non atte-sta, come nella purezza della forma commedia, il sentimento di una non-coinciden-za con quello che si sta facendo, bensi la disperazione di chi nonostante tutto pensa di restare al centro della scena. Ma il mediatore piü potente del lavoro artistico di Mario Martone e Giacomo Leopardi. Nel testo recente, in cui viene pubblicata la riduzione teatrale delle Operette moralP, Martone parla esplicitamente del fatto che ha lavorato non su Leopardi ma con Leopardi. Cioe lo ha usato come intercessore per decostruire le radici storico-antropologi-che, culturali e politiche della vita italiana in cui lo scetticismo leopardiano costitui- Q P 05 sce una eccezione perché non si declina nel senso del melodrammatico. Se lo scetticismo viene da un lato riconosciuto come il sentimento fondamentale una volta ehe le illusioni sono tracollate (e diciamo ehe ľillusione per Leopardi diventa ľunica condizione ehe garantisce una sorta di felicitä infantile), dalľaltro diviene un prere-quisito per aprire una nuova eredenza nel mondo, come si manifesta nelľultima fase napoletana e ne La ginestra (su cui chiude // giovane favoloso). Le illusioni bloccano, la crisi ehe consegue alla loro dissoluzione ě dolorosa e rivela ehe quelle illusioni nascondevano la veritá. Che anche se causa di dolore ě la precondizione per riaprire un rapporto di fiducia con il mondo e la nostra stessa umanitä, ricono-scendo per esempio ľappartenenza di tutti a un comune destino. Ma c'e almeno un altro aspetto decisivo che riguarda le Operette morali e ľope-razione di riserittura commedica di temi tragici di cui era ben consapevole lo stesso Leopardi. Idea che viene ripresa da Ippolita di Majo in uno dei testi introduttivi al volume4, citando lo stesso poeta e la sua volontä di serivere «Scéne di Commedie [...] le quali potrebbero servirmi per provare a dare alľlta-lia un saggio del suo vero linguaggio comico che tuttavia bisogna assolutamente creare». E poi ancora, dallo Zibaldone: Ne' miei dialoghi, io cercherô di portare la commedia a quello che finora ě stato proprio della tragédia cioě i vizi dei grandi, i principi fondamentali della calamitä e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale e alla filosofia, ľandamento e lo spirito generále del seco-lo, la somma delle cose, della societä, della civiltä presente [...], e eredo che le armi del ridicolo, massime in questo ridicolissimo e freddissimo tempo, e anche per la loro natural forza, potranno giovare piú di quelle della passione, delľaffet-to, deľľimmaginazione, delľeloquenza; e anche piú di quelle del ragionamento. piú informazioni V MlolEbookReader Modifica ^ (g» & t ^4) 89% CO O Romaji Sab 09:10 0,0;=: MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ I II comico qui non diventa alternativa generica al tragico, ma il registro espressi-vo o meglio la creazione di un linguaggio attraverso cui i temi del tragico e l'insieme della vita umana, sia nella condizione ontologica segnata da mořte e sofferenza, sia nelle forme di vita sociali e politiche, possono trovare la forma che le libera dalla morsa deU'illusione e dello scetticismo. II comico permette in definitiva di sottrarsi al vicolo cieco della simbiosi passio-nale (illusoria) e del cinismo scettico (distruttivo) che ne consegue, attraverso un esercizio di liberta, dove nell'espressione prende forma un sentire abitato comun-que dalla distanza. «Le autentiche commedie non erano propriamente azioni» dice ancora Leopardi. Ed ě vero. E forse proprio per questo sono abitate da una interna felicitä che le allontana dalla imputabilitá tragica delle azioni. Per due ordini di ragioni: la prima ě che anche nella condivisione di un destino comune (approdo finale de La ginestra e de II giovanefavolosó), cioě nel sentirsi "umanitá" c'ě un riconoscimento di inte-grazione armonica con il mondo che sospende l'imputazione individuale dell'azione tragica in un abbraccio reale e ideale con l'altro da sé (ě il senso medioevale del commedico che culmina nella Commedia dantesca); la seconda ě che la disconnes-sione e l'esagerazione comica dell'azione - da qualsiasi punto di vista la si voglia intendere - mina il cuore dell'azione imputabile e dunque del soggetto colpevole, che tragedia e melodramma ci hanno restituito. E questa sembra essere la via italia-na alternativa a quel "démone del melodramma" che il critico André Bažin indivi-duava - riferendosi al neorealismo - come specifico del nostro cinema. Nel caso di Martone questo démone - anche per il tramite dell'opera Urica - ě in qualche modo congenito, e 1'occasione di superamento, la sede in cui la chiusura del melodramma si ribalta in apertura commedica, la ritroviamo nel lavoro della forma e nel caratte-re collettivo di questo lavoro (Teatro di guerrá). Insomma se 1'arte ě decisiva ě per- Q P OS ché ě un lavoro sul linguaggio che ne rinnova la potenza creativa disarticolando il suo legame simbiotico con la realtá. Questa potenza creativa ě rinnovante, riali-menta la fiducia nella ritessitura simbolica e innovativa del reále, dove quasi sempře la politica ě destinata a fallire (oggi piú di prima). E allora si capisce come questo rinnovamento emerga soprattutto ai confini dei linguaggi, tra un linguaggio e 1'altro, nella messa in questione di una forma centra-ta, chiusa, semanticamente e verosimilmente orientata alla costruzione di una fin-zione. La potenza espressiva si attuerá allora tra i linguaggi e in un uso anacronico delle formě: testimoniato esemplarmente dalle recenti sperimentazioni delle regie liriche e, per il cinema, daH'anacronismo della costruzione incompiuta di cemento di Noi credevamo, o dalle musiche di Apparat ne II giovanefavolosó ecc. Tutto puó prendere forza maggiore se la forma non si rapporta come dispositivo ingenuo di fronte a una realtá da trasfigurare in modo immaginario, ma lavora attraverso mediazioni di testi e di linguaggi. Ě solo attraverso tale procedura, e dunque attraverso una pratica moderna della intercessione, che l'arte scopre quella potenza generativa che le permette di essere al fondo ontologicamente commedica: cioě orientata a creare uno scarto tra il linguaggio e il mondo, gli oggetti e le situa-zioni, i personaggi e le loro maschere. E questo anche quando la vita ě per essenza tragica. Ě ció che in definitiva definisce il cuore di Qui rido io: la commedia come grande racconto della liberta della scéna che ě in primo luogo liberta da se stessi (molo, luogo, situazione) e la tragedia della vita segnata dalla necessitá, dalFimpos-sibilitá di fare e di essere altrimenti da quello che si ě. E quello che dice in un pas-saggio chiave del film il giovane Eduardo al fratello Peppino in fuga per rabbia, in-dicandogli il palco come il luogo verso cui deve andare se vuole la liberta. piú informazioni É MlolEbookReader Modifica S? i Sab 09:10 Q. O • O • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ Q □ 05 1 Ci permettiamo qui di rimandare alľomaggio ehe come Fata Morgana Web ab-biamo dedicato a Mario Martone per nel 2021, dedicandogli un focus nel volume che raecoglie quanto di meglio la rivista ha pubblicato nel corso dell'anno: Fata Morgana Web 2021. Le visioni, a eura di A. Canadě, R. De Gaetano, Miláno, Mimesis, 2021, pp. 297-322 (con contributi di F. Ceraolo, R. De Gaetano, B. Roberti). 2 Che Martone riconosce anche nelľispirazione avuta anche dalľOŕeZZo verdiano: «Lopera mi ha nutrito per anni ma non pensavo di utilizzarla nel film. Ě stata un'intuizione di poche settimane precedente ľinizio delle riprese, nel 2009, nata ascoltando una recita di Otello», in Mario Martone. La scéna e lo schermo, a cura di R. De Gaetano, B. Roberti, Roma, Donzelli, 2013, p. xxvi. 3 Cfr. M. Martone, Un drammaturgo segreto, in M. Martone, I. Di Majo, Le Operette morali in scéna. La teatralitá di Giacomo Leopardi, Miláno, Mimesis, 2022, p. 12. 4 Cfr. I. di Majo, Le Operette morali in scena, ivi, pp. 17-21. Š MlolEbookReader Modifica S? & (g» & t ^4) 90% CO HRomai' Sab 09:12 P Q \= MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ LA SCÉNA E LO SCHERMO: LA POROSITA DEI LUOGHI E ĽECCEDENZA DEL REALE Napoli, cittä porosa. Ľeco di questa affermazione, tratta dal famoso saggio su Napoli scritto nel 1925 da Walter Benjamin insieme ad Asja Lacis, continua a risuo-nare. II testo, folgorante, fotografa un movimento ehe caratterizza la cittä secondo i due autori, un movimento ehe rende costantemente comunicanti il dentro e il fuori, ľinterno e ľesterno, la casa e la strada: «La vita privata del napoletano ě lo sbocco bizzarro di una vita pubblica spinta alľeccesso. Infatti non ě tra le mura domesti-che, tra moglie e bambini, ehe essa si sviluppa, bensi nella devozione o nella dispe-razione. [...] La vita privata ě frammentaria, porosa e discontinua. [...] Le azioni e i comportamenti privati sono inondati da flussi di vita comunitaria. Ľesistere, ehe per ľeuropeo del nord rappresenta la piú privata delle faccende, ě qui [...], una que-stione collettiva. Cosi la casa non ě tanto il rifugio in cui gli uomini si ritirano, quanto ľinesauribile serbatoio da cui escono a fiotti*1. Uscire, muoversi, a fiotti, in massa, come flusso. Ě il movimento verso ľesterno ehe colpisce lo sguardo di Benjamin e Lacis, movimento come dinamica di vita («ľesistere ě una questione collettiva»). In una sorta di montaggio fulmineo, ehe connette appunto movimenti, lega dinamiche a immagini, a sequenze e quindi a sguardi, emergono gesti analoghi, eppure diversi, provenienti dal cinema di Mario Martone. Ľinterno e ľesterno, il movimento, la fuga, la fuoriuscita: in Teatro di Q P OS guerra, il film ehe il regista napoletano riprende a partire dai racconti di Miljenko Jergovic2, questi gesti diventano anche i segni conereti di un'idea, di una forma di cinema. II film lavóra infatti costantemente sullo scambio tra il dentro e il fuori: tra il gruppo teatrale ehe cerca di mettere a punto una versione dei Sette contro Tebe di Eschilo da mettere in scéna a Sarajevo, nel pieno del conflitto nei Balcani; tra lo spazio delle prove, ehe si trova alľinterno di una zóna popolare delia cittä e le stradě, i vicoli in cui gli attori si sparpagliano; tra il palcoscenico dove le prove si svol-gono tra serittura e improwisazione (Martone riprende ľesperienza delia vera mes-sa in scéna dello spettacolo nel 1996 al Teatro Nuovo di Napoli), e il luogo non visi-bile delia guerra lontana. Ogni spazio chiuso diventa barriera da oltrepassare, spazio generátore di una dinamica costante, aperta. Ě un set particolare, molteplice, quello ehe prende corpo nel film. Un set ehe anzitutto mette in gioco un modo pe-culiare di intendere la regia. Costruire non solo la narrazione, ma anche la struttura stessa del film, i suoi movimenti interni sul concetto e sulla pratica delľimprowisa-zione porta cioě Martone a sperimentare, cinematograficamente, uno sguardo al tempo stesso controllato e libero, aperto a diversi movimenti e diverse direzioni, pur alľinterno di una struttura narrativa riconoscibile. C'e un lavoro dietro tutto questo, un lavoro del film dopo il teatro: «Ho cominciato a lavorare alla sceneggia-tura a gennaio partendo dalla selezione del materiále filmato durante le prove, e ho alternato le scéne di prova con le scéne di vita degli attori. Volevo rendere stilistica-mente dolce il passaggio fra la parte documentaria e quella di finzione: anche la parte per cosi dire narrativa del film ě stata girata in i6mm»3. Il gruppo prova in uno spazio ehe si trova alľinterno di una Napoli popolare, apparentemente lontana dalla guerra, ma in realtä in essa immersa (anche se si tratta di un altro conflitto). Nelle immagini del film, quando gli attori sono fuori, in strada, dopo le prove, o < > piú informazioni V MlolEbookReader Modifica .gS (g» ^ $ ^4) 90% CO HRomai' Sab 09:12 Q ;=: MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ I perché le prove stesse li portano fuori, sembra aH'improwiso riprendere corpo lo sguardo di Benjamin e Lacis su Napoli. Teatro di guerra diventa in questo senso emblematico di un movimento, di una dinamica che attraversa costantemente il cinema di Martone: il dentro e il fuori si caratterizzano come vero e proprio lavoro di moltiplicazione del senso stesso del set, dello spazio teatrale e di quello cinematografico, che nell'itinerario del regista non cessano di prolungarsi e rimandare l'uno all'altro, costantemente4. II set, la scéna, ilflusso II fuoriuscire, l'errare all'esterno, il girovagare: Carlo Cecchi in Mořte di un ma-tematico napoletano, di Anna Bonaiuto ne L'amore molesto, o di Toni Servillo ne La salita - per citaře alcuni dei film che precedono Teatro di guerra - sono perso-naggi in movimento, in costante erranza, immersi nei suoni, negli spazi aperti e dispersi della cittá o della montagna. Sono personaggi-cinema, ogni volta diversi, immersi nel dolore senza nome, intimo e lacerante, o nello smarrimento, nella confu-sione. II movimento verso il fuori diventa allora una delle taňte tracce delFereditá rosselliniana di Martone, appunto la prima traccia di un cinema che fuoriesce dalle forme del set teatrale, del palcoscenico, dello spazio mobile e dinamico si, ma determinate, del teatro5. Parlare della presenza di Rossellini nell'opera di Martone (presenza su cui molti si sono soffermati in modo piú che efficace6), significa so-stanzialmente per il regista ripensare e riprendere l'eredita del cinema italiano tut-to; appunto significa ripensare la pratica teatrale attraverso la spinta verso il fuori che il cinema moderno porta con sé7. Qualcosa pero cambia nel film del 1998, qual-cosa che sempře piú mostra la specificitá del lavoro del regista napoletano. Teatro di guerra aggiunge un movimento in piú; spazio cinematografico e spazio teatrale Q P OS non si oppongono, non si fondono: si prolungano l'uno verso l'altro, si aprono costantemente a un flusso. Ecco che allora il cinema di Martone diventa sempře di piú uno spazio aperto a nuove possibilitá non tanto e non solo di contaminazione dei linguaggi, ma di movimento, dei corpi e della parola, della musica e dei gesti, degli spazi e dei tempi. In breve, appunto, di costante flusso. Ě come se le operazioni registiche di Martone fossero sempře piú fondate su un particolare respiro, da una specifica pulsazione in cui la scena e lo schermo - vale a dire le pratiche teatrali e operistiche e quelle cine-matografiche - si aprono l'una all'altra, si ripensano a partire dal loro confronto, si mostrano doe porose, come i luoghi della cittá. Non una contaminazione, non una fusione, ma una circolazione degli sguardi registici (tra teatro, opera e cinema). Bašta pensare ai set volutamente anacronistici di Noi credevamo, in cui il film in costume incontra lo sguardo documentario; lo spazio quasi completamente proiettato all'esterno di Capri-Revolution, dove ha luogo la circolazione degli sguardi, dei corpi e del desiderio. Ma cosa significa circolazione? Forse un esempio lampante di una pratica dello scambio e del flusso (piú che della fusione e della contaminazione) si ha in due operazioni straordinarie, che sono le due regie cine-teatrali realizzate negli anni della pandemia (2020-2021): la messa in scena de // barbiere diSiviglia nel dicembre del 2020 al Teatro dell'Opera di Roma e la regia de La traviata di Verdi (entrambe dirette da Daniele Gatti e tra-smesse dalla Rai). Due operazioni fuori norma, sospese tra interno ed esterno, tra spazio teatrale e spazio filmico. Nell'opera rossiniana, Martone mette in scena so-prattutto il teatro stesso come spazio unico, awolgente e isolato. II teatro come luogo fisico dove gli attori e la scena irrompono, tracimano, fuoriescono dai limiti del palcoscenico; ma di fatto, quello che emerge ě il vuoto del teatro, ě l'isolamento del mondo esterno che rimane fuori, immobilizzato, chiuso dentro le case nell'epoca < > piú informazioni V MlolEbookReader Modifica as (g» ^ $ ^4) 90% CO HRomai' Sab 09:12 Q ;=: MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ I del lockdown. Le corde che tessono una trama-ragnatela lungo la platea, il muover-si degli attori all'interno degli spazi del teatro alludono costantemente a un dentro che ha perso il suo esterno, che non puó piú attivare quello scambio vitale, quel «flusso di vita comunitaria» di cui parlavano Benjamin e Lacis. Eppure 1'esterno entra letteralmente all'interno, quando Andrzej Filoňczyk (Figaro) sfreccia in scooter per le vie della cittä accompagnato da Daniele Gatti, per poi arrivare trafelato in teatro, infilarsi il costume di scéna e letteralmente "entrare" nella parte. La vita entra in scéna? II cinema che mette in scéna il teatro ha spesso lavorato su questo: si pensi all'inizio di Vanja sulla 42esima strada di Louis Malle, in cui gli attori entra-no uno dopo 1'altro in un teatro Off Broadway e quasi impercettibilmente scivolano nei loro personaggi, diventano i personaggi di Čechov. O ancora si pensi a Looking for Richard di AI Pacino, dove tutto ě ricerca appunto, della traccia teatrale shake-speariana che imprime il disegno della cittä (sia essa Londra o New York). L'elenco potrebbe continuare e di fatto costruire un percorso che lega insieme cinema e teatro in opere spesso diverse ma accumunate dal confronto reciproco tra set e scéna teatrale. Ma nelle operazioni cinematografico-teatrali di Martone, lo scambio ě piú radi-cale ancora, capace cioě di annullare i confini tra le forme senza pero fonderle. Ancora di piú il movimento si consolida infatti nell'opera verdiana, in cui letteralmente tutto ě spazio del set e insieme spazio teatrale: dai corridoi alle scalinate, dalla soffitta ai palchi, dalla platea svuotata alle quinte che prolungano la scéna. II flusso vitale přeme, lascia le sue tracce, ridisegna ogni spazio del teatro che diventa dun-que al tempo stesso cinema. Ne La traviata di Martone, infatti, tutto ě teatro e tutto ě cinema al tempo stesso, e dunque, in un certo senso, nulla lo ě in modo assolu-to: quello che ě in gioco ě la possibilitá di uno scambio continuo, di un flusso che awiene anche in un momento estremo, di interruzione o rallentamento della vita Q P OS quotidiana (la pandemia): mostrando ancora una volta come la porosita dei luoghi e delle forme, del cinema e del teatro, del palcoscenico e del set sia la forma possibi-le di uno sguardo che assume su di sé entrambe le forme (cinematografica e teatrale) proprio perché possano vivere del loro continuo movimento reciproco. Ilproblema del reále Tornando allora all'inizio del nostro percorso, ě possibile compiere un'ulteriore torsione, evidenziando il filo rosso che lega un film come Teatro di guerra e le operazioni cinematografico-teatrali dell'epoca pandemica: lo spostamento dei confini, 1'impossibilitá per la forma cinema e per quella teatrale di essere confinate in spazi definiti ha come origine il problema stesso del reále, lo spazio vuoto, 1'irrappresen-tabile che le forme sono chiamate a mettere in gioco. Ogni operazione teatrale e ogni film di Martone in un certo senso mettono in questione il problema. L'origine, lo spunto di partenza del film Teatro di guerra lo testimonia: Ero stato pochi mesi prima a Belgrado, e li avevo provato una grande sensazione di vuoto. I miei stessi amici serbi, tutti contrari alia guerra e alia politica di Milosevic, non mi avevano trasmesso quel senso di indignazione e di ribellione che avrebbe dovuto comunque accomunarci contro un orrore come 1'assedio di Sarajevo, al di la di ideologie e appartenenze etniche. Mi riproposi, tornando in Italia, di lavorare a uno spettacolo teatrale che riguardasse la guerra. Speravo che il teatro, nel quale lavoro da quando ero ragazzo, fosse un possibile strumento, se non altro, di awicinamento: il teatro ě da sempře lo scandaglio che la cultura occi-dentale adopera per penetrare le tragedie in profonditá. Ma nel mettermi al lavoro provavo anche in questo caso un senso di vuoto8. piú informazioni V MlolEbookReader Modifica .gS (g» ^ $ ^4) 90% CO HRomai' Sab 09:12 Q ;=: MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ I II teatro come forma di comprensione e di reazione e, al tempo stesso, come strumento insufficiente per reagire e comprendere. Un senso di vuoto, ecco un altro punto di partenza. Come giá aveva fatto, per la prima volta, con Rasoi, Martone uti-lizza in Teatro di guerra il cinema come forma attraverso cui rivedere il teatro. Ma rispetto al film del 1993, questa volta il meccanismo cambia, il movimento si fa piú complesso. Al centro di tutto sta un vuoto, qualcosa che non puó essere visto. Ě da questo vuoto, da questo spazio vuoto che ha origine il complesso lavoro sul-lo spazio e sulle forme della regia di Martone. Né il teatro, né il cinema possono da soli affrontare la questione del vuoto di senso che il reále, ogni reále porta con sé e neanche il pericolo di uno spazio che si chiude in se stesso, che appunto soffoca la possibilitá di un flusso vitale. II vuoto di senso e di comprensione della guerra (nel film del 1998) si riflette nel vuoto di senso di una esperienza come quella pandemi-ca nelle operazioni rossiniane e verdiane, in cui 1'esterno, il movimento verso 1'esterno sembra essere bloccato, invisibile, impossibile. Nel cinema di Martone c'ě sempře un pericolo, un rischio che ě insito nello spazio chiuso in cui sono costretti i personaggi, cosi come nell'erranza senza fine e senza punti di riferimento di coloro il cui movimento si configura come un girovagare. La potenza espressiva di Eduardo Scarpetta in Qui rido io ě sempře contrastata, li-mitata, orientata dagli spazi interní - il caffě, 1'aula di tribunále, le case dell'attore, a partire daH'immensa Villa Santarella. La potenza immaginativa, di pensiero e di sguardo di Giacomo Leopardi ne II giovanefavoloso ě sempře condizionata dalle sale studio, dalle biblioteche, dalle camere dove il poeta passa gran parte delle sue giornate. Eppure per entrambi c'ě sempře la possibilitá di uno scarto, di un momenta in cui il luogo diventa altro, si apre, letteralmente. Ne II giovanefavoloso, Giacomo Leopardi passeggiando lungo la tenuta di fami-glia letteralmente travolge la giovane figlia di contadini che guarda dalla finestra, la Q P OS ragazza destinata a morire di li a poco che diventerá Silvia nelle sue poesie. Ě un breve momento, ma proprio qui il registro della rappresentazione cambia. Da una composizione studiata in ogni inquadratura, la regia passa a una macchina in spalla che sembra anch'essa partecipare all'urto dei corpi, alia caduta, aU'immagine che improwisamente perde il suo centro visivo. In Qui rido io, nell'arringa finale di Scarpetta nel processo per plagio intentatogli da Gabriele DAnnunzio, lo spazio del tribunále si trasforma, o meglio si rivela come spazio teatrale, dove il grande attore e autore ritrova la sua potenza, la sua capacitá di ridere e far ridere del mondo. Dalla prospettiva opposta, ecco allora emergere i momenti di chiusura, di can-cellazione dello spazio esterno che costantemente attraversano il cinema del regista napoletano. In Noi credevamo, ad esempio, gli spazi chiusi sono gli spazi del falli-mento dell'utopia, della fine della spinta rivoluzionaria: ě l'aula vuota dove Crispi pronuncia il suo discorso autoritario, ě il campo di battaglia immerso nella nebbia dove non ě piú possibile vedere il nemico, ě la stanza oscura dove si rifugia un an-ziano Giuseppe Mazzini a Londra, ormai impossibilitato a muoversi verso una nuo-va impresa rivoluzionaria. A mo' di conclusione, parziale e aperta: qual ě l'esito di questa riflessione? Che cosa porta una lettura (che abbiamo cercato di sviluppare in questo testo) dell'ope-ra di Martone come dinamica che mette in gioco e in movimento costantemente le forme del cinema e del teatro? Porta o puo portare - e si tratta di un percorso che owiamente deve essere affrontato oltre questo scritto - alia questione sempre aperta del rapporto tra l'immagine e il reále. Ě il reále dunque. II reale come proble-ma, come spazio aperto da interrogare; il reale, per riprendere il Lacan riletto da Alain Badiou, inteso come impasse della for malizzazione. Cosa significa questa formula? Che da una parte non puó esserci approccio al reale senza una formalizzazio-ne, dall'altra parte che «l'affermazione del reale come impasse della formalizzazio- Š MlolEbookReader Modifica S? & (g» ^ $ ^4) 90% CO HRomai' Sab 09:12 Q ;=: MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ I ne sarä in parte la distruzione di questa formalizzazione»9. Ripensando allora al percorso che abbiamo sviluppato sin qui, emerge, nel caso del lavoro particolare tra set e scéna, tra forma-cinema e forma-teatro in Martone una ulteriore chiave di let-tura: il flusso continuo di interscambio tra interno ed esterno, tra forma chiusa e aperta, tra teatro e cinema, tra erranza e isolamento, tra montaggio e parola che co-stituisce una delle dinamiche piú profonde e peculiari del cinema di Martone, come abbiamo cercato di mettere in evidenza: eeco, questa dinamica costituisce in fondo una potente "distruzione" di ogni formalizzazione, di ogni "linguaggio" predefinito, del cinema come del teatro. Di ogni forma che nella sua precisione e presunzione di "cattura" del reale, inevitabilmente fallisce, proprio perché il reale "eccede" ogni formalizzazione. Ě lungo questa linea allora che una riflessione sull'opera registica di Martone (tra cinema, teatro e opera) diventa un ulteriore tassello su una delle questioni piú urgenti deH'immagine contemporanea, quella appunto del reale e delle forme chiamate a impegnarsi in esso. 1W. Benjamin, A. Lacis, Neapel, in «Frankfurter Zeitung», 19 agosto 1925; trad, it. in W. Benjamin, Immagini di cittá, Torino, Einaudi, 2007, pp. 7-13. 2 M. Jergovič, Sarajevski Marlboro, Zagabria, Durieux, 1994; trad. it. Le Marlboro di Sarajevo, Milano, Schwiller, 2005. 3 M. Martone, Teátri di guerra. Un diario, Milano, Bompiani, 1998, p. 20. 4 B. Roberti, A distanza ravvicinata. L'arte di Mario Martone, Cosenza, Pellegrini, 2018, pp. 8-10. 5 Fin dagli inizi del suo lavoro registico con Falso Movimento, Martone ha insisti-to sulla contaminazione tra forme visivo-sonore e sceniche, in una costante ricerca piú informazioni Q P OS di ibridazione e di fusione di linguaggi; cfr. M. Fusillo, Spostamentiprogressivi dei linguaggi. Martone e l'opera d'arte totale, in Mario Martone. La scéna e lo scher-mo, a cura di R. De Gaetano, B. Roberti, Roma, Donzelli, 2013, pp. 23-37. 6 Cfr. Roberti, A distanza ravvicinata, cit., in part. pp. 149-153. 7 «In un certo senso ľereditä di Rossellini ě la questione centrale del cinema ita-liano: parlare di lui oggi deve significare anche parlare di noi», M. Martone, Le tracce di Rossellini, in «Filmcritica», 471-472,1997, p. 125. Come ribadisce Bruno Roberti, il contributo di Martone a un ripensamento delľereditä del cinema italia-no: «rifonda, sposta e prosegue, focalizza e riconduce (dentro una cifra insieme in-quieta e limpidamente, lucidamente, morale) una linea italiana dove si intersecano il tragico e il melodrammatico (Visconti), la trasfigurazione poetico-politica del reale (Pasolini), il lavoro nomadico sullo spazio (Antonioni), ma soprattutto la presa diretta tra storia e messinscena, tra urgenza del tempo e centralitä delľumano, dia-letticamente tenutá in tensione tra comunitä e individuo (Rossellini)». Roberti, A distanza ravvicinata, cit., p. 14. 8 Martone, Teatri di Guerra. Un diario, cit., p. 17. 9 A. Badiou, Ä la recherche du reel perdu, Paris, Fayard, 2015; trad. it. Alia ricerca del realeperduto, Milano, Mimesis, 2016, pp. 30-31. Ú MlolEbookReader Modifica # i l <3> 4)) 100% (g§> Q ABC esteso Sab 09:49 © ■= • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ Q p OS E SCARPETTA DIEDE RAGIONE A CACCIOPPOLI A cena con Renato (Carlo Cecchi) e altri amici, si parla di una rassegna cinema-tografica, probabilmente organizzata da una sezione del partito. La domanda di Pietro (Toni Servillo) ě subito provocatoria: «Come mai avete cominciato con un film di Buster Keaton?». «Perché?», ribatte uno. «Non ti piace Buster Keaton?». «No, che c'entra!», risponde lui piccato. «Era meglio cominciare con un film se-rio, che avesse potuto stimolare una discussione sui contenuti...». Renato borbotta, poi spára: «Pietro, il comico ě superiore al tragico». «Come no!», reagisce 1'altro. «Tanto, se avessi detto che abbiamo fatto bene a distrarci con uno dei soliti film con le torte in faccia, comunque avresti sostenuto il contrario». Dentro Mořte di un matematico napoletano, questo scambio di battute ě prelu-dio "leggero" a una scéna capitale, il momento in cui Renato Caccioppoli anticipa la sua mořte descrivendo il modo preferito di suicidarsi: la pistola alia nuca e un cu-scino per raccogliere il sangue, e stare piú comodo. Pero anche il piccolo battibecco sul film di Buster Keaton ě emblematico, perché sembra autodenunciare una delle caratteristiche dei film di Martone: il rifiuto deH'umorismo. Non dell'ironia, non dell'intelligenza, sia chiaro, ma di inclinazione al comico. D'altra parte, la scéna so-pra accennata si conclude riaffermando lo statement di Caccioppoli. Alia fine della macabra anticipazione del suicidio, Pietro interrompe Renato sfottendolo: «Ma il comico non era superiore al tragico?». E Caccioppoli, che ha ancora la mano chiusa a pistola, l'allontana dalla nuca ammettendo: «Mi hai disarmato». Cosi ribadisce, almeno a parole, la superiorita della risata sulla mořte. Eppure, appunto, il cinema di Martone ě alieno dalla comicitä, rinuncia all'umo-rismo pure nell'accezione pirandelliana di "awertimento del contrario". Ii che puö sembrare paradossale considerando che Martone ě un cineasta profondamente e orgogliosamente napoletano, e che nel burlesco la tradizione partenopea ha dato tantissimo. Ma il Martone teatrale viene da Falso Movimento e dai Teatri Uniti, ov-vero dall'avanguardia e dalla sperimentazione, dalla ricerca di una nuova modernita, agli antipodi rispetto a Pulcinella e Toto. Prima dell'incontro (dovremmo dire "ritrovamento") di Scarpetta, ě possibile rintracciare nei suoi film qualcosa della tradizione comica napoletana? In Morte di un matematico napoletano, chiaramente ben poco. Aparte lo statement che si di-ceva, enunciate, ribadito e comunque smentito dai fatti e dal tono, ci si puö al mas-simo attaccare a indizi prettamente professionali, come l'antico apprendistato del protagonista Carlo Cecchi nella compagnia di Eduardo De Filippo, oppure la pre-senza in un piccolo ruolo di Vincenzo Salemme, futura star del cinema partenopeo in chiave schiettamente pop, anche lui peraltro allevato in una delle ultime nidiate eduardiane. Nel cinema di Martone l'exploit "comico" piú dirompente ě il monologo di Servillo dentro il successivo Rasoi (1993), il macchiettone del guappo brechtianamente sguaiato («A' pucchiacca e' mammat'!»), uno strabiliante tour de force attoriale in cui tradizione "bassa" e avanguardia, umori popolari e ripensamenti moderni si mescolano meravigliosamente. Ma si tratta in realtä della regia di uno spettacolo di • MIolEbookReader Modifica & i I <3> 4)) 100% (g§> Q ABC esteso Sab 09:49 Q, © ;= • o • MIolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film © Q p OS Enzo Moscato, di cui lo stesso Servillo (e certamente in particolare per quel brano) era coautore. Con il terzo film, la questione si fa piü complessa e interessante, perche L'amore molesto (1995) e l'opera che piü di tutte mantiene qualche legame con l'universo del teatro di tradizione. Non per la forma e il tono ma per la presenza nel cast arti-stico, stavolta in ruoli chiave, di ben quattro attori provenienti dal teatro "leggero". Delia, la donna che suicidandosi all'inizio del film mette in moto il percorso di au-toanalisi della figlia Amalia, e interpretata da Angela Luce, cantante e attrice, trion-fatrice di Sanremi e Dischi per Testate, pure lei allevata a suo tempo nella compa-gnia di Eduardo De Filippo (e poi dal fratello Peppino, e da Nino Taranto), al cinema interprete per Pasolini e perfino per Visconti ma nota soprattutto per i film con Toto, Franchi & Ingrassia, Lando Buzzanca. Per il film, Angela Luce ha accettato di mostrarsi sflorita e di farsi perfino imbruttire ma il suo nome e la sua popolaritä, soprattutto in ambito napoletano, la lasciano comunque riconoscibile. Essendo meno noto di lei, Gianni Cajafa ha conosciuto con questo film una vera (ri)scoperta. Ne L'amore molesto interpreta lo zio Filippo, umiliato dagli antichi traumi familiari e da un braccio offeso: con il suo napoletano scattoso e antico, e la presenza piü singulare del film. Cajafa e uno di quegli attori, eminentemente comi-ci, che hanno saputo dimostrare una poliedricitä impressionante, lavorando con uguale passione nel teatro, nel cinema, alia radio, in televisione, nel cabaret, perfino al circo. In curriculum ha almeno due esperienze "mitologiche": la rivista «Quando meno te l'aspetti» (1940) con Toto e la Magnani e il «Carosello Napoletano» (1950) di Ettore Giannini (la commedia teatrale, non il film). L'amore molesto e stato il suo ultimo film, quello che gli ha dato premi e soddisfazioni dopo una vita di talento forse piü dissipato che amministrato (Tho conosciuto poco prima della sua scomparsa, a Milano, dove viveva in un piccolo appartamento con la moglie, una ex Bluebell che doveva essere stata uno schianto. L'esperienza professionale nel film di Martone lo aveva toccato profondamente, e continuava a cercare confer-me. Ogni tot tornava a chiedermi: «Dimmi la veritä, dimmi la veritä, ma dawero ti e piaciuto?»). II film, come si ricorderä, era inframezzato da flashback, e nel passato il ruolo dello zio Filippo era interpretato da un altro comico, Francesco Paolantoni, un ca-rattere comico spumeggiante che non e riuscito a consolidare la fama che all'epoca gli stava crescendo intorno (perche il nostra paese e cosi avaro nel riconoscere i veri talenti?): scelta felice, sia per una certa somiglianza fisiognomica con Cajafa, sia perche entrambi, in una corrispondenza perfetta, sono attori comici utilizzati in modo spiazzante per un ruolo drammatico (Paolantoni, poi, ha un'agghiacciante scena in cui tiene per le gambe un bambino minacciando di gettarlo a testa in ghi dalla tromba delle scale). Infine, sempre nelle scene in flashback, il ruolo del giova-ne Caserta, presunto dongiovanni sfasciafamiglie, e assegnato a Enzo Decaro, ex sodale di Massimo Troisi e Lello Arena nel trio La smorfia. Certo, ne la Luce ne Cajafa ne Paolantoni ne Decaro hanno nel film un pur mini-mo momenta di comicitä, il loro talento e tutto utilizzato per scavare nelle piaghe sanguinolente della vita. Ma quest'uso cosi massiccio di attori provenienti dal "leggero" e dal "comico" e comunque una mano tesa verso esperienze teatrali differenti da quelle predilette da Martone, e ricorda l'utilizzo che Pasolini fece di star lontane dal suo mondo come la Callas, Toto, la Magnani, Welles o la Mangano: un'appro-priazione "d'autore" ma anche una sorta di apertura di credito verso un pianeta diverso. Non e forse un caso che subito dopo L'amore molesto la filmografia di Martone elenchi un lavoro di esplicita derivazione pasoliniana, che nella camera del regista e il film non diciamo piü "umoristico" ma almeno piü "sardonico": il coTl"r"ot''g'T- Ú MlolEbookReader Modifica l <3> 4>) 100% (g§> Q ABC esteso Sab 09:49 O © ;=: • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O p OS gio La saZita ehe conclude il collettivo I vesuviani (1997). II protagonista ě Toni Servillo, nei panni di uno pseudo-Bassolino, il plot ě ľascesa sempre piú difficoltosa (un piccolo Golgota) del sindaco progressista sul vuleano partenopeo, ľispirazione viene da Uccellacci e uccellini, di cui riprende lo spunto on the road, la presenza del corvo (sempre doppiato da Francesco Leonetti), lo sviluppo narrativo basato su in-contri paradossali, e soprattutto il tono a metá tra favola e realismo, il suo razionale candore. Fra i totoisti, Uccellacci e uccellini é il piú awersato dei film di Toto, un'opera considerata quasi un affronto al principe de Curtis, perché la liberta anarchica del mimo sarebbe stata ingabbiata dentro una soffocante sovrastruttura ideologica (Paolo Isotta, napoletano verace come Martone ma per molti versi opposto, ě arri-vato a serivere: «Non ě Toto, ma non ě nemmeno un'altra cosa. Ě il puro nulla»). In realtä Uccellacci e uccellini ě un film ehe eresce col tempo, in cui Toto dimostrô di sapersi piegare a esigenze lontanissime dalla sua maschera rimanendo comunque se stesso; e la forza del film pasoliniano si vede anche dalľomaggio di Martone, ehe lo riprende e lo prosegue senza pedanteria, riuscendo a ripescare il tono astratto e insieme conereto di un apologo originalissimo, non ripetibile ma almeno citabile. Dopodiché il cinema di Martone cambia strada. Se in La salita siamo ancora nel territorio delia consonanza, del recupero intellettuale, in Teatro di guerra (1998) il riferimento ě alia tradizione classica, alta per non dire altissima, la tragédia J sette contro Tebe di Eschilo, per giunta dentro ľuniverso del teatro sperimentale, le sue speranze e le sue contraddizioni: meraviglioso, ma stavolta niente tradizione popo-lare, niente umorismo, niente Toto. Serissimo ě il successivo Ľodore del sangue (2004), film coerentemente martoniano, dentro i rovelli eroticoesistenziali dei per-sonaggi ma per una volta lontano dalla sua Napoli, figuriamoci dalla sua tradizione comica. Poi parte la trilógia storica, con progetti ancora piú ambiziosi ehe riguardano il Risorgimento, Leopardi e la "comune" caprese di Diefenbach. Qui Napoli torna, con molti suoi umori, ma senza includere nulla di spiritoso o di farsesco. Noi eredeva-mo (2010) canta esclusivamente il coraggio e la disillusione delia rivoluzione tradi-ta; II giovane favoloso (2014) si conclude sotto il Vesuvio ma non převede occasio-ni ďintrattenimento o anche solo ďincidente umoristico. In quanto a Capri-Revo-lution (2018), ľunico possibile richiamo buffonesco ě sintetizzabile nella battuta di un collega ehe, poco prima delia presentazione del film alia Mostra di Venezia, me lo anticipô scherzando come «una versione ďautore de Ľimperatore di Capri» (il film, s'intende, ě tutťaltro). Fra La salita e Capri-Revolution sono trascorsi oltre venťanni, e nel frattempo Martone ě cambiato. La scelta di soggetti ambientati fra ľOttocento e il primo No-vecento testimonia il desiderio di riseoprire la tradizione, di riaccoglierla fra le pro-prie possibilitä di allestimento. Ne sono spia anche gli allestimenti di opere liriche nei nostri migliori teátri ďopera, Scala inclusa, ehe sul fronte filmico lo porteranno a una trilógia televisiva battezzata dal Barbiere di Siviglia e proseguita con Travia-ta e Bohéme: anche questo pare un ritorno - consapevole perché maturo - a un'e-reditä culturale ehe inizialmente Martone sembrava avere allontanato come ingom-brante e usurata rispetto alla freschezza delia sperimentazione e delia modernita. La svolta arriva nel 2019, con II sindaco del ňone Sanita. Anche in questo film non c'ě nulla da ridere ma ľopera si basa sul confronto e sullo studio di una com-media tradizionale, in molti sensi "popolare", e con essa di un autore tradizionale e "popolare" come Eduardo De Filippo, parte di un bagaglio culturale che Martone ha accettato di esplorare e approfondire. I due si erano incontrati fisicamente nel 1982, durante una premiazione (Eduardo per la sua attivitä nel carcere minorile di Nisida, Martone per Tang™1"™"!"^ Ú MlolEbookReader Modifica l <3> 4>) 100% (g§> Q ABC - esteso Sab 09:50 °, o = • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O P OS ma dal punto di vista artistico le loro stradě erano sempře rimaste distanti. A Emilia Costantini del «Corriere della Sera» che gli chiedeva come mai avesse cosi poco frequentato un autore come Eduardo De Filippo, il regista ha risposto manifestan-do la sua difficoltá a fronteggiare un commediografo al quale faceva da ostacolo la stessa notorietá: «Eduardo non ě stato solo autore, ma grande attore, e affrontare il suo teatro ě complicato, in quanto occorre confrontarsi con un macrotesto: c'ě il těsto e la sua interpretazione che tutti conosciamo e di cui ci ricordiamo bene, essen-do stato portato anche al vasto pubblico televisivo. L'unica sua opera che ho rap-presentato, sia in palcoscenico sia sul grande schermo, ě II sindaco del none Sanitá». Il film ě infatti la trasposizione in cinema di un'esperienza teatrale allesti-ta per il Teatro Stabile di Torino con il NEST di San Giovanni a Teduccio, digerita e assimilata come se l'intero ciclo di recite fossero state prove in vista del set. L'awi-cinamento a Eduardo ě in realtá guardingo: la commedia originále, pur ripresa spesso letteralmente, ě adattata alia contemporaneitá, un'operazione che alcuni cri-tici hanno visto come una "gomorrizzazione" ma che dimostra soprattutto le sor-prendenti possibilitá che il teatro di Eduardo ha di essere riportato alia ribalta. La riscoperta di Eduardo porta inevitabilmente a recuperarne le origini, seguen-do a ritroso le radici di una grande tradizione comica. Lo stesso Martone ha spiega-to che l'idea di raccontare Scarpetta gli ě venuta in seguito al lavoro sul Sindaco, passando attraverso il progetto di una serie tv sui fratelli De Filippo poi non realiz-zata. Stavolta il legame ě diretto, senza la mediazione di un adattamento moderno: il film parla proprio di Eduardo Scarpetta, il superdivo del teatro napoletano, e dei suoi figli legittimi e illegittimi, figure storiche ricostruite con scrupolosa attenzione. Pur raccontando di un re della risata, Qui rido io rimane un film drammatico, dove le figure dei figli e delle donne di Scarpetta colorano l'opera di tonalitá tragi-che. E pero contiene la cosa piú divertente che Martone abbia girato per il cinema: Fallestimento teatrale della scena degli spaghetti da Miseria e nobiltä, popolarissi-ma anche per via della versione cinematografica di Mario Mattoli con Toto ed Enzo Turco (lo stesso Sciosciammocca di Servillo la cita esplicitamente, con quel gesto degli spaghetti messi in tasca, assente nel testo di Scarpetta, che fu una felicissima invenzione del principe de Curtis nata direttamente sul set). Qui rido io puô quindi essere visto come una sorta di riconciliazione con le radici piú tradizionali (piú popolari, piú divertenti, piú "basse") del teatro napoletano, proprio quelle da cui il giovane Martone aveva preso le distanze (al massimo met-tendole, come in Rasoi, sul tavolo del laboratorio sperimentale). E questa riconciliazione si vede fin dalla prima inquadratura: mentre in colonna sonora Sergio Bru-ni intona Indifferentemente, Servillo/Scarpetta addenta con soddisfazione un tran-cio di pizza, il simbolo piú famoso e vieto di Napoli, il luogo comune per eccellenza. Ě come se Martone dichiarasse di voler prendere la tradizione per le coma, assu-mendosi in pieno il rischio del déjä vu. Non si tratta pero solo di esporre cose o persone, Qui rido io espone anche concetti. La battaglia legale che impegna Scarpetta contro D'Annunzio, quella che sto-ricamente ammise la liceitä di prendere un testo drammatico e fame paródia, ě in fondo la drammatizzazione dello schema "comico vs. tragico". L'inventore di Sciosciammocca dimostra ciô che Caccioppoli aveva posto alľamico Pietro come un fragile assioma: il comico puô essere superiore al tragico. Sfidato sul campo proces-suale, Scarpetta rischia di perdere sul campo legale ma vince infine con le armi del teatro, confermando con la recitazione ciô che persino Benedetto Croce stentava a far passare davanti al giudice: se D'Annunzio puô scrivere Lafiglia dilorio, Scarpetta puô sbertucciarlo con IIfiglio di Iorio. Sulla sua vittoria in tribunále, nelľultima inquadratura del film, risuonano gli sghignazzi d'epoca di Berardo Cantalamessa, estratti dal suo primo su»yo°°" ^jf Ú MlolEbookReader Modifica g <šž W j| l <3> 4)) 100% (g§> Q ABC esteso Sab 09:50 © ■= • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O p OS grafico, La risata (conosciuto anche come A' risa, incisa nel 1902!) e sovrapposti in colonna sonora agli sghignazzi di Servillo. E il trionfo del "basso" smT'elevato", la torta in faccia al serio, la celebrazione del burlesco, il culto dell'esilarante. Vengono in mentě le parole con cui Scarpetta in persona, nella sua autobiografia Cinquan-ťanni dipalcoscenico, rievocava la sera in cui vide al San Carlino una recita con Antonio Petito, il Pulcinella piú famoso: «Non ho mai piú riso tanto in vita mia! Quel piccolo teatro sembrava trasformato in una gabbia di matti dove 1'ilaritá assu-meva forme straně e contagiose, ed il riso diventava spasimo, convulsione, sussulto. Si rideva fino alle lacrime. E si rideva e si piangeva in platea e nel loggione, nei pal-chi e nelle poltrone, invocando invano un istante di tregua, tenendosi i fianchi in-dolenziti, asciugandosi gli occhi lacrimosi, sussultando e gesticolando come ubria-cati e storditi dal torrente di comicitá, che straripava dal piccolo palcoscenico di le-gno facendo tremare dalle fondamenta il teatro decrepito e minuscolo». II successivo film di Martone, appena presentato al Festival di Cannes, non ě af-fatto umoristico. Nostalgia parla di un uomo che ritrova Napoli e se stesso tornan-do nel rione Sanita, natio borgo selvaggio. II quartiere ě quello del Sindaco, storica-mente anche quello in cui nacque Toto, ma si tratta di un elemento geografico che era giá nel romanzo di partenza, scritto da Ermanno Rea. Drammatico, comunque, drammaticissimo. Martone crede in Napoli ma, evidentemente, non nella sua allegria. Come ha detto a Venezia presentando alia stampa Qui rido io, Napoli ě «una cittá con un fondo dolente ma che fa, della recitazione e del canto, maschera per gettarsi nella vita, una cittá che sa che cos'ě la condizione umana ma che da sempře adotta queste maschere». Pure la comicitá, anzi soprattutto quella, ě una maschera che intervie-ne, corregge e riconverte, che resiste e lotta; e in questo ě senz'altro superiore al tragico, che tende invece a vedere il peggio, a prenderne atto; con coraggio, certo, ma senza l'eroismo del comico, la sua sublime reazione alla desolazione e alle mise-rie dell'esistenza. Un tema che in Qui rido io fa solo capolino, per concentrarsi sui drammi familiari del prolifico commediografo. Eppure, l'autore de II giovane favo-loso sarebbe in grado di realizzare un'opera esilarante e insieme straziante, in cui mettere compiutamente in scena la lotta paradossale, il teatro di guerra costituito dal ridicolo che assedia la vita, e viceversa. Chissä che un giorno non ce la regali. 820805 Ú MlolEbookReader Modifica # i g n w i l <3> 4>) 100% (g§> Q ABC esteso Sab 09:51 q. e ís • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ p OS INTERVISTA AIPPOLITA Dl MAJO Nella filmografia di Mario Martone esiste un punto di svolta preciso, ehe si iden-tifica con Noi eredevamo e con ľinizio di un percorso di riserittura delia storia ita-liana - e di aleune sue figure, o pagine, emblematiche - fertile e stratificato: ě un titolo chiave delia seconda parte delia sua camera, ehe segna anche, non inciden-talmente, ľinizio delia eruciale collaborazione con Ippolita di Majo, sua sodale e consorte. Come lui napoletana, storica delľarte del Rinascimento e delľEtä moderna, docente universitaria e ricercatrice, autrice di testi su Raffaello e Francesco Curia, Ippolita di Majo ě la sorella maggiore delia regista Nina (assistente di Martone per Ľamore molesto, La salita e Teatro diguerra). II contribute di Ippolita di Majo a Noi eredevamo mette in gioco le sue competenze per dare al film un'auten-ticitä maggiore proprio dal punto di vista delia ricostruzione storica, ehe la vede coinvolta come consulente per il comparto iconografico e per quello musicale. Due aspetti fondamentali nel rimettere in scéna un capitolo di storia ehe ě, per Martone, il primo di tanti lacerti del passato in cui far specehiare ľltalia del presente, per ra-gionare sulle radici - delľarte, delia lingua, delia societa italiana - e farne spunto di riflessione sulla contemporaneitá. Dopo quelľesperienza, in questa seconda parte delia camera di Martone Ippolita di Majo diventa la maggiore collaboratrice del regista, rivestendo a partire da II giovanefavoloso il ruolo di co-sceneggiatrice di ogni suo film: il corto Pastorale cilentana, poi Capri-Revolution, II sindaco del no- ne Sanitä, Qui rido io e Nostalgia (ma il sodalizio si estende anche ai lavori sul pal-coscenico), tutti seritti a quattro mani, tutti frammenti di un prismatico ritratto d'Italia ehe ruota intorno a personaggi, a loro modo, rivoluzionari. Come ě iniziata la sua collaborazione con Martone, a cominciare da Noi eredevamo? In quel periodo avevo appena terminato una borsa di ricerca presso il Centro di studi del Rinascimento delia Harvard University a Firenze, e mi sono oceupata del-ľiconografia e delia musica del film, in direzione delia verosimiglianza storica: quando si mette in scéna il passato con una volontä di ricostruzione precisa, biso-gna prestare attenzione non solo ai costumi e alla foggia degli accessori, ma, per esempio, a questioni come: ehe luce fanno le lampade a olio? Come esplode la pol-vere da spáro? II mio contributo ě state anche nel dare forma a questi aspetti, anche se il film rifletteva sul passato per capire il presente: la storia a noi paria sempre del presente. Per i film successivi avete lavorato insieme alla serittura: da chi nasce, tra voi due, ľideaper un nuovofilm? Solitamente i progetti di Mario partono da Mario: ě come una fiamma ehe si ac-cende dentro di lui, o, talvolta, dentro di noi. Ě il caso, per esempio, del nostro lavo-ro su Leopardi. II giovane favoloso, dunque, ehe segna il suo esordio nella serittura per il cine-ma, come co-sceneggiatrice. Una biografia di Leopardi vitale e anomala, non agiografica, ma profondamente legáta ai testi del poeta. Io e Mario avevamo giä lavorato insieme alla riduzione teatrale delle Operette morali, ehe mettemmo in scéna nel 2011: lo spettacolo ha avuto successo, ě rimasto < > piú informazioni Ú MlolEbookReader Modifica # i g & W i l <3> 4» 100% (g§> Q ABC esteso Sab 09:51 Q. © ;s • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ Q p OS in giro per due anni e ha anche vinto un premio Ubu. Siamo rimasti impigliati in quella meraviglia che e la lingua e il pensiero di Leopardi, e abbiamo deciso di pro-vare a portarlo al cinema. Io venivo dall'esperienza accademica e avevo una grande familiaritä con la lingua classica, inoltre partivo awantaggiata per tutto ciö che concerne il lavoro di ricerca e di scandaglio, perche sapevo giä dove mettere le mani, mentre per tutta la parte d'invenzione c'era Mario. Ci siamo detti, proviamo-ci, se non ci piace torniamo indietro. Lavorare insieme puö essere bellissimo quan-do c'e un rapporto d'amore, puö essere come benzina, ma puö anche essere difficile. Carlo degli Esposti, produttore con Palomar del film, ci ha dato la possibilitä di pro-vare a fare la prima stesura, eventualmente affiancando un terzo sceneggiatore, ma non e stato necessario, la prima stesura era giä quella buona! Quello del cinema per me era un mondo nuovo e sono molto grata a Mario per avermi dato questa fiducia. Scrivere insieme e una parte importante della nostra vita, il nostro gioco felice e preferito. Come approcciate la sceneggiatura, concretamente, a quattro mani? Di solito lavoriamo contemporaneamente, ma ciascuno su scene diverse del film, che in un secondo momento sottoponiamo l'uno all'altra; oppure, io faccio la prima stesura di una scena e lui la seconda, che poi rivediamo insieme. Ma la nostra scrit-tura di per se e un'attivitä molto solitaria. Siamo molto in armonia e abbiamo una sensibilitä molto vicina, poi certamente lo sguardo finale dei film e quello di Mario. Ci capita anche di discutere, owiamente, le litigate perö sono anche divertenti, e spesso capita che, a discussione finita, ognuno dei due si ritrovi a essere passato sulla posizione dell'altro. Proseguendo nel vostro percorso insieme si arriva a Capri-Revolution: un film che anticipa, per čerti versi, lo sguardo sull'arte teatrale che ne II sindaco del rione Sanita e in Qui rido io diventera centrale. II film dialoga strettamente con tutto il lavoro di sperimentazione teatrale degli anni sessanta e settanta che Mario ha vissuto da ragazzino, lo slancio utopico di Seybu e della sua comune rassomiglia a qualcosa che lui ha visto in prima persona in ambito teatrale. Per le coreografie di Capri-Revolution ha chiamato Raffaella Giordano, e nel film, nonostante si svolga all'inizio del Novecento, c'e una grande presa sull'oggi e un forte legame con la sperimentazione artistica. E non ě l'unico legame col presente: pensiamo a tutto l'aspetto del pacifismo praticato dalla comune, in relazione a quello che stiamo vivendo in questo momento in Europa; oppure al tentativo di Seybu di produrre energia in maniera sostenibile, o al vegetarianesi-mo e alio stile di alimentazione, sono tutte tematiche estremamente attuali che mi ha fatto impressione ritrovare in un'epoca cosi lontana da noi. Quella, d'altronde, era una generazione che reagiva alia rivoluzione industriale e ai suoi effetti in Euro-pa, alle conseguenze dell'inquinamento e del lavoro proletario. Seybu (che ě ispirato alpittore e utopista Karl Wilhelm Diefenbach) ě solo uno dei tantipersonaggi "fuori dal tempo" che lei e Martone avete sceneggiato: figure piu avanti della propria epoca, rivoluzionarie, spesso incomprese, proprio come gli eroi di Noi credevamo, o Leopardi, come il creatore di maschere Eduardo Scar-petta o, a suo modo, anche I'Antonio Barracano "oltre la legge" de II sindaco del rione Sanita. Si, che siano artisti o altro, sono personaggi che vedono oltre, che vivono con di-sagio il loro tempo e guardano a un orizzonte diverso. Ú MlolEbookReader Modifica l <3> 4)) 100% (g§> Q ABC - esteso Sab 09:51 q. O ís • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O P OS Appartiene a questa categoria anche Goliarda Sapienza, da leiportata a tea-tro, sempře con la regia di Martone, ne II filo di mezzogiorno, con Donatella Finocchiaro. Questa, per esempio, ě un'idea che ě nata da me direttamente, pensavo di farla per conto mio, poi Mario si ě offerto di dirigerlo lui. D'altra parte, a pensarci bene, giá il personaggio di Lucia in Capri-Revolution si era molto nutrito della mia lettu-ra de Vartě della gioia di Goliarda Sapienza: in lei c'ě la stessa volonte che ha Mo-desta di prendersi la vita a tutti i costi, lo stesso rapporto con la madre, un sentimente di amore che tuttavia non la frena, perché lei deve andare per forza, cercare un'espressione personale a ogni costo, vivere la sua liberta, una liberta mostruosa per quell'epoca. Restando sul teatro: dalpalcoscenico arrivano, per stradě diverse, sia II sinda-co del rione Sanitä (che Martone avevaportato in scéna prima di farně unfilm) sia Qui rido io. Come avete lavorato sulla messa in scéna dei testi di Eduardo De Filippo e di Scarpetta? II lavoro di Mario ě come un magma che prende diverse forme, siano esse cine-matografiche o teatrali, ma c'ě sempře continuitá tra le sue opere. Nel caso del Sin-daco la sfida era riuscire a far funzionare il těsto di Eduardo in una messa in scéna cinematografica, quindi inserendo gli esterni che, nell'opera originale, sono solo ci-tati nei dialoghi. L'idea era quella di provare a reinventare, a trasfigurare, un mon-do che altrimenti rimane inchiodato alle immagini - comunque bellissime - di Go-morra e di quel tipo di universo narrativo, che ha imposto con forza la sua icono-grafia. In Qui rido io, invece, abbiamo scritto uomo e teatrante come un tutt'uno, la vita e la scéna sono in continuitá, le persone diventano personaggi e mettono in scéna la propria esistenza. Finita lafase di scrittura, la sua partecipazione si estende anche all'aspetto vi-sivo dei film? Spesso facciamo i sopralluoghi insieme, avendo una sensibilitä molto vicina mi capita di contribuire anche all'aspetto visuale, magari di mostrare a Mario qualche mia suggestione. Poi, perö, la scelta e lo sguardo sono i suoi, perche se il teatro e il corpo degli attori, il film e l'occhio del regista, la macchina da presa e il corpo del regista in azione. Nostalgia, tratto dal romanzo postumo diErmanno Rea, e un ritorno alla con-temporaneitä dopo testi e personaggi del passato. Come lo avete scelto? Questo e stato un caso particolare. Io avevo letto il romanzo alla sua uscita, ma lo avevo messo da parte; invece, poi e stato il produttore Luciano Stella di Mad Entertainment a proporcelo. In quel momento, era il 2020, stavamo ancora lavorando a Qui rido io, ma Mario era interessato a Nostalgia proprio per la continuitä che presentava con // sindaco del rione Sanitä, era un altro affondo nei quartieri piü poveri e piü difficili, ma pieni di bellezza e di antica nobiltä. Quando mancavano pochi giorni per finire le riprese invernali di Qui rido io (poi ci sarebbero State quelle estive), e arrivato il lockdown: siamo rimasti chiusi in casa e, anche per fronteg-giare l'angoscia, ci siamo immersi a capofitto in Nostalgia. E stato un lavoro bellis-simo, perche fatto con una concentrazione straordinaria dovuta a quel momento particolare di «sospensione» del tempo. Per entrambi si tratta anche di un'occasione per ritrarre la vostra cittä, Napoli. Si, la proposta di Nostalgia risuonava per noi proprio perche ambientato tutto in un quartiere, alla Sanitä. La storia e quella del legame tra un uomo e l'anziana Ú MlolEbookReader Modifica l <3> 4)) 100% (g§> Q abc esteso Sab 09:51 q. O ís • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O p OS madre, ma anche con un'altra madre che ě, appunto, la sua cittá. Ě la storia di un giovane che fugge, a seguito di un evento molto traumatico, e non fa piú ritorno. II rione Sanita ě una sorta di enclave, ě un quartiere tagliato fuori dal resto di Napoli per ragioni storiche e architettoniche, un mondo a parte nel centro della cittá, e per me e Mario ě stato molto profondo trovarci a lavorare con questo gruppo di ragazzi della Sanita, far recitare ragazzini di strada. Quando Felice torna, dopo quaranťan-ni, ha quasi dimenticato la lingua ed ě come uno straniero. Per lui si tratta di un'in-cursione nel magma di quel quartiere, che lo costringe anche a guardare i lati oscuri della sua personalita: la nostalgia ě da intendersi come nostos, come ritorno, un percorso in cui sciogliere il nodo della propria identita. Ma ě anche un sentimento universale, che puó appartenere a tutti, perché ciascuno ha la sua radiče, la sua terra dimenticata. Contando che II sindaco del rione Sanita era, si, ambientato nelpresente, ma a partire da un testo di oltre mezzo secolofa, questa e la prima volta per lei e Mar-tone al lavoro su un testo realmente contemporaneo. C'e un approccio diverso, per lei, alia scrittura? Sinceramente mi rendo conto di non averci pensato, forse perche nella contemporaneity siamo immersi; quindi, e una scrittura che arriva spontaneamente. E stato bello pero poter affondare nel presente, nutrirsi dello sguardo di Rea sul nostro oggi. Venivamo da Qui rido io che era un film in costume, ma non ci ha richiesto di modificare il nostro lavoro sulla lingua da quella del passato a quella corrente, credo che ormai possiamo dire di essere bilingue! (Alcuni estratti di questa conversazione sono apparsi in «Film Tv», n. 20, 2022) piú informazioni 55441 Ú MlolEbookReader Modifica # i g n w i l <3> 4>) 100% (g§> Q Abc esteso Sab 09:52 q. e ís • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ p OS Noi credevamo regia: Mario Martone soggetto: dal romanzo omonimo di Anna Banti sceneggiatura: Mario Martone e Giancarlo De Cataldo fotografia: Renato Berta montaggio: Jacopo Quadri scenografia: Emita Frigato costumi: Ursula Patzak musiche: Hubert Westkemper (musiche originali), musiche di Giuseppe Verdi, Vin-cenzo Bellini e Gioacchino Rossini eseguite dall'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Roberto Abbado coordinatore effetti speciali: Gino De Rossi trucco: Vittorio Sodano acconciature: Aldo Signoretti musiche: "Amore che vieni, amore che vai" di Fabrizio De Andre, "Concerto per pianoforte op. 54" di Robert Schumann, "Notturno n° 3 in sol min. op. 15 di Frederic Chopin", "Pra dizer adeus" di Edu LoboTorquato Neto, "Romeo et Juliette" di Hector Berlioz interpreti: Luigi Lo Cascio (Domenico), Valerio Binasco (Angelo), Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane), Andrea Bosca (Angelo giovane), Edoardo Natoli (Domenico giovane), Luigi Pisani (Salvátore), Guido Caprino (Feiice Orsini), Renato Carpentieri (Carlo Poerio), Michele Riondino (Saverio), Peppino Mazzotta (Carmine), Franco Ravera (Antonio Gomez), Stefano Cassetti (Carlo Rudio), Andrea Renzi (Sigismondo di Castromediano), Ivan Franěk (Simon Bernard), Roberto De Francesco (Don Ludovico), Toni Servillo (Giuseppe Mazzini), Luca Barbareschi (Antonio Gallenga), Fiona Shaw (Emilie Ashurst Venturi), Luca Zingaretti (France- sco Crispi), Anna Bonaiuto (Cristina di Belgiojoso), Pino Calabrese (II maresciallo del Carretto), Enzo Salomone (II barone Pica), Alfonso Santagata (Saverio o' trap- pettaro), Giovanni Calcagno (Attore della Vicaria) produzione: Palomar, Rai Cinema, Les Films d'Ici, ARTE France produttore: Carlo Degli Esposti, Conchita Airoldi, Giorgio Magliulo, Serge Lalou (co-produttore), Carlo Cresto-Dina (produttore associato) produttore esecutivo: Patrizia Massa distribuzione: 01 Distribution durata: 170' formato: 35 mm anno di produzione: 2010 David di Donatello miglior film, migliore sceneggiatura, miglior direttore della fotografia, miglior scenografo, miglior costumista, miglior truccatore, miglior acconciatore II giovane Juvoloso regia: Mario Martone sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita di Majo fotografia: Renato Berta montaggio: Jacopo Quadri scenografia: Giancarlo Muselli costumi: Ursula Patzak suono: Alessandro Zanon musiche: Sascha Ring, Gioacchino Rossini interpreti: Elio Germano (Giacomo Leopardi), Michele Riondino (Antonio Ranieri), Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi), Valerio Binasco (Pietro Giorda- Ú MlolEbookReader Modifica # i l <3> 4>) 100% (g§> Q Abc esteso Sab 09:52 q. e ís • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ p QS ni), Anna Mouglalis (Fanny Targioni Tozzetti), Edoardo Natoli (Carlo Leopardí), Isabella Ragonese (Paolina Leopardí), Raffaella Giordano (Adelaide Antici Leopardí), Paolo Graziosi (Carlo Antici), Sandro Lombardi (Don Vincenzo), Iaia Forte (si-gnora Rosa), Federica De Cola (Paolina Ranieri), e con Roberto de Francesco, Renate Carpentieri, Veronica Lazar, Nello Mascia, Arturo Cirillo, Giovanni Ludeno, Angela Di Matteo, Enzo Moscato, Ginestra Paladino produzione: Palomar, Rai Cinema, con ľimpegno produttivo di un gruppo di im-prenditori delia Regióne Marche; con il contribute delia Regióne Marche e delia Fondazione Marche Multimedia Marche Film Commission; con il contributo del Ministero per i Beni e le Attivitä Culturali Direzione Generale Cinema produttore: Carlo Degli Esposti produttore esecuňvo: Patrizia Massa distribuzione: Ol Distribution durata: 145' formato: 35 anno di produzione: 2014 Nastro delľanno 2015, Nastri d'Argento migliore regia, attore e produzione, David di Donatello 2015 miglior attore, costumi, scénografia, trucco, acconciature. Globo ďoro miglior film 2015 Pastorale cilentana regia: Mario Martone sceneggiatura: Ippolita di Majo fotografia: Renato Berta montaggio: Jacopo Quadri scénografia: Carlo Rescigno location manager: Giuseppe Cucco costumi: Ursula Patzak suono: Gaetano Carito, Hubert Westkemper visual effects: Rodolfo Migliari interpreti: Mattia Oricchio, Aurora Maria Marrocco produzione: Palomar produttore: Carlo Degli Esposti produttore esecutivo: Patrizia Massa durata: 18' formato: Dcp anno di produzione: 2015 progetto realizzato per il Padiglione Zero di EXPO Milano 2015 a cura di Davide Rampello Capri-Revolution regia: Mario Martone sceneggiatura: Mario Martone e Ippolita di Majo fotografia: Michele D'Attanasio montaggio: Jacopo Quadri e Natalie Cristiani musiche: Sascha Ring e Philipp Timm coreografie: Raffaella Giordano scénografia: Giancarlo Muselli costumi: Ursula Patzak suono: Alessandro Zanon interpreti: Marianna Fontana (Lucia), Reinout Schölten van Aschat (Seybu), Antonio Folletto (Carlo, il dottore), Gianluca Di Gennaro (Antonio), Eduardo Scarpetta pit) informazioni »»fr Ú MlolEbookReader Modifica # i g & W i l <3> 4>) 100% (g§> Q Abc - esteso Sab 09:52 q. © ;s • o • MlolEbookReader - Mario Martone. II cinema e i film O ■ P OS Qui rido řo regia: Mario Martone sceneggiatura: Mario Martone e Ippolita di Májo fotografia: Renato Berta montaggio: Jacopo Quadri scenografia: Giancarlo Muselli, Carlo Rescigno costumi: Ursula Patzak suono: Alessandro Zanon interpreti: Toni Servillo (Eduardo Scarpetta), Maria Nazionale (Rosa De Filippo Scarpetta), Cristiana Dell'Anna (Luisa De Filippo), Antonia Truppo (Adelina De Renzis), Eduardo Scarpetta (Vincenzo Scarpetta), Roberto De Francesco (Salvátore Di Giacomo), Lino Musella (Benedetto Croce), Paolo Pierobon (Gabriele D'Annun-zio), Giovanni Mauriello (Mirone), Chiara Baffi (Anna De Filippo detta Nennella), Lucrezia Guidone (Irma Gramatica), Elena Ghiaurov (Lyda Borelli), Gigio Morra (presidente del Tribunale), con Gianfelice Imparato (Gennaro Pantalena) e con Iaia Forte (Rosa Gagliardi), per la prima volta sullo schermo Greta Esposito (Maria Scarpetta), Alessandro Manna (Eduardo De Filippo), Marzia Onorato (Titina De Filippo), Salvátore Battista (Peppino De Filippo), Aldo Minei (Eduardo De Filippo), con l'amichevole partecipazione di Tommaso Bianco (Zio Pasqualino), Benedetto Casillo (Luca), Francesco Di Leva (II fotografo), Giovanni Ludeno (Ferdinando Russo), Nello Mascia (Giudice Istruttore) produttore: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori coproduttore: Mariela Besuievsky produzione: Indigo Film, Rai Cinema coproduzione: italo-spagnola con Tornasol con il sostegno: Regione Lazio Fondo regionale per il cinema e l'audiovisivo con il contributo: Regione Campania e della Film Commission Regione Campania con il sostegno: Icaa distribuzione: 01 Distribution vendite estere: True Colours durata: 132' formato: Dep anno di produzione: 2021 David di Donatello miglior attore non protagonista, miglior costumista Nostalgia regia: Mario Martone soggetto: dal romanzo omonimo di Ermanno Rea sceneggiatura: Mario Martone e Ippolita di Májo fotografia: Paolo Camera montaggio: Jacopo Quadri scenografia: Carmine Guarino costumi: Ursula Patzak suono: Emanuele Cecere, Francesco Sabez montaggio del suono: Silvia Moraes interpreti: Pierfrancesco Favino (Felice Lasco), Francesco Di Leva (Don Luigi Rega), Tommaso Ragno (Oreste Spasiano), Aurora Quattrocchi (Teresa Lasco), Sofia Essaidi (Arlette), Nello Mascia (Raffaele), Emanuele Palumbo (Felice da giova-ne), Artem (Oreste da giovane), Salvátore Striano (Gegě), Virginia Apicella (Adéle), Daniela Ioia (Teresa da giovane), Luciana Zazzera (La commarella), Giuseppe DAmbrosio (Giuseppe)