Giorgio Agamben Stanze La parola e il fantasma nella cultura occidentale Biblioteca Einaudi Giorgio Agamben Stanze La parola e il fantasma nella cul tura occídentale Einaudi Capitolo primo II démone meridiano Per tutto il medioevo, un flagello peggiore delia peste ehe miesta, i castelli, le ville e i palazzi delle cittá del mondo si abbatte sulle dimore della vita spirituále, penetra nelle celie e nei chiostri dei monasteri, nelle tebaidi degli eremiti, nelle trappe dei reclusi. Acedia, tmtitiOiJaedijMLvitge, desidia sono i nomi ehe i padri delia Chiesa dänno alia morte ehe esso induce nelľanima; e, ben-ché negli elenchi delle Summae virtutum et vitiorum, nelle miniature dei manoseritti e nelle rappresentazioni popolari dei sette peceati capitali', la sua desolata effigie figuri al quinto posto, un'antica tradizione ermeneutica ne f a il prú letale dei vizi, ľuni-co per il quale non vi sia alcun perdono póssibile. I padri si scagliano con particolare fervore contro i pericoli di questo «demone meridiano»2, che sceglie le sue vittime fra gli 1 Nella piú antica tradizione patristica i peceati capitali non sono sette, ma otto. Nelľelencazione di Cassiano, essi sono: Gastrimargia 'gola', Fornicatio 'Iussuria', Phi-largyria 'avarizia', Ira, Tristitia, Acedia, Cenodoxia 'vanagloria', Superbia. Nella tradizione occidental, a partire da san Gregorio, la tristitia si fonde con ľacedia, e i sette peceati assumono ľordine ehe si ritrova nelle illustrazioni popolari e nelle rappresentazioni allegoriche delia fine del medioevo e ehe ci ě diventato familiäre attraverso gli affreschi di Giotto a Padova, il tondo di Bosch al museo del Prado o le incisioni di Brueghel. Quando nel testo si paria di acedia, ci si riferisce sempre al complesso risul-tante da questa fusione, ehe piú precisamente dovrebbe designarsi (cTnstitia-Acedia*^ 2 «Maximě"círcaTioram sextám monachum inquietans... Denique norinüTirsenüm hune esse pronuntiant meridianum daemonem, qui in psalmo nonagesimo nuneupatur» (joannis cassiani De institutis coenobiorum, 1. X, cap. i, in Patrologia latina, 49). Analogamente Giovanni Climaco (Scala Paradisi, gr. xiii, in Patrologia graeca, 88): « mane primům languentes medicus visitat, acedia vero monachos circa meridiem ». Non ě quindi casuale che, nell'incisione di Brueghel che rappresenta ľacedia, nella parte in alto, a sinistra, appaia un enorme quadrante, sul quale, in luogo di lancette, una mano indka «circa meridiem ». Suldemone meridiano^ivedaauanto scrive Leopardi nel suo unto mezzogiorno (cfr. e. »ohde, Psyche, Freiburg im Breisgau, i»9°-9«' w»d.it. Ban ,97„, app. u) U demone meridiano 7 non potrá star bene finché non avrä abbandonato la sua cella e che, se vi restasse, vi troverebbe la morte. Poi, verso ľora quinta 0 sesta, gli prende un Ianguore del corpo e una rabbiosa fame di cibo, come fosse stremato da un lungo viaggio o da un duro lavoro, o avesse digiunato per due 0 tre giorni. Allora comincia a guardarsi intorno qua e la, entra ed esce piú volte dalla cella e fissa gli occhi sul sole come se potesse ral-lentarne l'occaso; e, alia fine, gli cala sulla mente una dissennata «infusione, simile alia caligine che avvolge la terra, e lo lascia inerte e come svuotato'. Ma é nelľevocazione del corteggio infernale delle ßiae ace-diae' ehe la mentalita allegorizzante dei padri della Chiesa ha fis-sato magistralmente ľallucinata costellazione psicologica dell'a-cedia. Essa genera innanzitutto malitia, ľambiguo e infrenabile odio-amore per il bene in quanto tale, e rancor, la rivolta della cattiva coscienza verso coloro che esortano al bene; pusillanimi- 1 joannis cassiani De instttutis coenobiorum cit., 1. X, cap. il La descrizione pa-tristica dell'accidioso non ha perduto, a tanti secoli di distanza, nulla della sua esempla-ritá e della sua attualitä e sembra anzi aver fornito il modello alia letteratura moderna alle prese col suo md du siede. Cosí il cavaliere d'Albert, protagonista di quella bibbia ante Utieram del decadentismo ehe é Mademoiselle de Maupin, é presentato da Gau tier in termini che ricordano da vicino la fenomenologia medioevale dell'acedia. Ancora piú prossima al modello patristico é la descrizione degü stati d'animo di Des Esseintes (il quale non nasconde del resto la sua predilezione per le opere dei padri della Chiesa) nell'/l rebours huysmansiano. Tratti simili ma, owiamente, di seconda mano, nel Giorgio Aurispa del Trtonfo delia morte. Per molti aspetti, anche le annotazioni baudele-riane in Mon coeur mis anu e neue Fusées rivelano una singulare prossimitä con la fenomenologia accidiosa. Del resto, nella poesia che apre Les ßeurs du mal, Baudelaire pone sotto il segno dell'acedia (che qui figúra come ennui) la sua opera poetica. Tutta la poesia di Baudelaire puô essere intesa, in questa prospettiva, come una lotta mortale con l'acedia e, insieme, come un tentativo di rovesciarla in qualcosa di positivo. É da notare che il dandy, che rapprescnta, secondo Baudelaire, il tipo perfetto del poeta, si puö considerare, in un certo senso, come una reincarnazione dell'accidioso. Se é vera che l'essenza del dandismo consiste in una religione del trascurabile o in un'arte del-l'incuria (cioe in un prendersi cura dell'incuria stessa), esso si presenta allora come una paradossale rivalutazione dell'acedia, il cui significato etimologico (da 4-XT)5onai) i, appunto, in-curia. 1 Secondo Gregorio, le figlie dell'acedia sono sei (mditut, rancor, pusillanmitas, desperatio, torpor circa praecepta, evagatto mentis). Isidora ne elenca sette (otiositas, somnolentia, mportunitas mentis, inquietudo corporis, instabilitas, verbositas, cunosi-tas), ma, come osserva san Tommaso, esse si possono ridurre a quelle enumerate da Gregorio; infatti, «otiositas et somnolentia reďucuntur ad torporem circa praecepta... omnia autem alia quinque, quae possint oriri ex acedia, pertinent ad evagationem mentis circa illiciu». In Aurora, il primo romanzo di uno dei piú acuti e «accidiosi» «crit-tori francesi viventi, Michel Leiris, e possibile trovare un elenco di fdiae acedtae ben altrimenti corpulento (sessantotto); ma é facile constatare che esse si possono quasi tutte sussumere sotto le categoric patristiche. ----*y/'j, ayy. uj. »ANCTI NiLi De octo spmtibus mdtttae, cap. XIV. H I fantasmi di Eros tas, ľ«animo piccolo» e lo scrupolo ehe si ritrae scomem i fronte alla difficoltä e alľimpegno delľesistenza spirituále- dĹ! ratio, 1 oseura e presuntuosa certezza di essere giä condaňnati in anticipo e íl compiaciuto sprofondare nella propria rovina, quasi che nulla, nemmeno la grazia divina, possa salvarci; torpôr, ľ0t-tuso e sonnolento stupore ehe paralizza qualsiasi gesto ehe po-trebbe guarirci; e, infine, evagatio mentis, la fuga delľanimo da-vanti a sé e ľinquieto discorrere di fantasia in fantasia' ehe si manifesta nella verbositas, lo sproloquio vanamente proliferante su se stesso, nella euriositas, ľinsaziabile sete di vedere per vedere ehe si disperde in sempre nuove possibilitä, ndľinstabilitas loci vel propositi e neW'importunitas mentis, la petulante incapa-citä di fissare un ordine e un ritmo al proprio pensiero. La psicologia moderna ha talmente svuotato il termine acedia dal suo significato originale, facendone un peccato contro l'etica capitalistica del lavoro. che ě difficile ravvisare nella spettacola- ' L'incapacita di controllare l'incessante discorso (la co-agitatio) dei fantasmi inte-tiori ě fra i tratti essenziali delia caratterizzazione patristica delľacedia. Tutte le Vitae patrům (Palrologia latina, 73) risuonano del grido dei monaci e degli anacoreti ehe la solitudine confronta al mostruoso e proliferante discorrere della fantasia: «Domine, salvari desidero, sed cogitationes variae non permittunt»; «Quid faciam, pater, quo-niam nulla opera facio monachi, sed in negligentia constitutus comedo et bibo et dor-mio, et de hora in horam transgredior de cogitatione in cogitationem...» E bene preci-sare che cogitatto, nel linguaggio medioevale, si riferisce sempre alia fantasia e al suo discorso fantasmatico; solo col tramonto della concezione greca e medioevale dell íntei-letto separato, cogitatio comincia a designate ľattivitá intellettuale. he Vedremo oltre che questa ipertrofia dell'immaginazione é uno dei caratterl ™e .~J comuna ľacedia dei padri alla sindrome malinconica e all'amore-malattia della medicína umorale; come queste, ľacedia potrebbe essere definita un Vitium corruptae < c í-e reve eveillé (1926) ě, in quesu prospettiva, di grande Interesse. II démone meridiano 9 re personificazione medioevale del démone meridiano e delle sue ßiae ľinnocente miseuglio di pigrizia e di svogliatezza che siamo abituati ad associare alľimmagine delľaccidioso'. Tuttavia, come spesso avviene, il fraintendimento e la minimizzazione di un fe-nomeno, lungi dal significare che esso ci ě remoto ed estraneo, sono invece indizio di una prossimitá cosi intollerabile da dover essere camuff ata e repressa. Ciö ě tanto vero, che ben pochi avran-no riconosciuto nelľevocazione patristica delle ßiae acediae le Stesse categorie di cui si serve Heidegger nella sua celebre analisi della banalita quotidiana e della caduta nella dimensione anoni-ma e inautentica del «si», che ha fornito lo spunto (in veritä non sempre a proposito) a innumerevoli caratterizzazioni sociologiche della nostra esistenza nelle cosiddette societa di massa. Eppure la concordanza ě perfino terminologica. Evagatio mentis diventa la fuga e il di-vertimento dalle possibilitä piú autentiche delľes-serci; verbositas ě la «chiacchiera», che dovunque e incessante-mente dissimula ciö che dovrebbe svelare e mantiene cosi ľes-serci nelľequivoco; euriositas ě la «curiositä», che «cerca quel che ě nuovo solo per saltare ancora una volta verso ciö che ě an-cora piú nuovo» e, incapace di prendersi veramente cura di ciö che ad essa si offre, si procura, attraverso questa «impossibilitä di soffermarsi» (Yinstabilitas dei padri), la costante disponibilita della distrazione. 1 Per un'interpretazione dell'accidia che la riconduce al suo significato originale, cfr. Pieper, Sulla speranza (trad. it. Brescia 1953). Non ě ceno una puta coincidenza se, paralíelamente al travestimento borghese delľacedia come pigrizia, la pigrizia (insieme alla sterilita, ehe si cristallizza nelľideale della donna lesbica) diventa a poco a poco l'emblema che gli artisti oppongono alľetica capitalistica della produttivitä e deU'utile. La poesia di Baudelaire i dominata da cima a fondo dalľidea della paresse come cifra della bellezza. Uno degli effetti fondamentali che Moreau cercava di realizzare nella sua pittura era «la belle inertie». Ľossessivo ri-torno, nella sua opera, di un'emblematica figura femminile (quale si ě fissata, in parti-colare, nel gesto ieratíco della sua Salome) non puö essere inteso se si prescinde dalla sua concezione della femminilitá come erittografia del tedio improduttivo e delľiner-zia: «Cette femme ennuyee, fantasque», egü scrive, «ä nature animale, se donnant le plaisir, trěs peu vif pour eile, de voir son ennemi ä terre, tant eile est degoutée de toute satisfaction de ses désirs. Cette femme se promenant nonchalamment d'une facon vegetale...» Ě da notare che, nella grande tela incompiuta Les ebimires, in cui Moreau voleva rappresentare tutti i peccati e tutte le tentazioni delľuomo, si puö scorgere una figura che corrisponde singolarmente alla rappresentazione tradizionale dell'acedia-ma-linconia. 10 I fantasmi di Eros La resurrezione della saggezza psicologica che il medioevo aveva cristallizzato nella tipologia dell'accidioso rischia quindi di essere qualcosa di piú di un'esercitazione accademica e, fissata da vicino, la maschera ripugnante del demone meridiano rivela dei tratti che ci sono forse piú familiari di quanto si poteva dere. preve- Se esaminiamo infatti l'interpretazione che dell'essenza dell'a-cedia dänno i dottori della Chiesa, vediamo che essa non ě posta sotto il segno della pigrizia, ma sotto quello dell'angosciosa tri-stezza e della disperazione. Secondo san Tommaso, che nella Sum-ma theologica ha raccolto le osservazioni dei padri in una sintesi rigorosa ed esaustiva, essa ě, appunto, una species tristitiae, e, piú esattamente, la tristezza riguardo ai beni spirituali essenziali dell'uomo, cioě alia particolare dignita spirituále che gli ě stata conferita da Dio. Ciö che affligge l'accidioso non ě, quindi, la con-sapevolezza di un male, ma, al contrario, la considerazione del piú grande dei beni: acedia ě precisamente il vertiginoso e spau-rito ritrarsi {recessus) di fronte alPimpegno della stazione dell'uo-mo davanti a Dio'. Per questo, in quanto, cioě, essa ě la fuga inor-ridita di fronte a ciö che non puö essere eluso in alcun modo, l'a-cedia ě un male mortale: essa ě, anzi, la malattia mortale per ec-cellenza, la cui immagine stravolta Kierkegaard ha fissato nella descrizione della piú temibile delle sue figlie: «la disperazione che ě consapevole di essere disperazione, consapevole dunque di avere un io nel quale ě qualcosa di eterno, e ora disperatamen-te non vuole essere se stessa, o disperatamente vuole essere se stessa». II senso di questo recessus a bono divino, di questa fuga del-l'uomo davanti alla7icchezza delle proprie possibilitä spirituali, ' « Acedia non est recessus mentalis a quocumque spirituali bono, sed a bono divino, cut oportet mentem inhaerere ex necessitate* (Summa theologica II l.J))-descrizione di Guglielmo d'Auvergne, si dice che l'accidioso ha nausea di Dio stesso: «ueum igitur ipsum fontem omnium suavitatem in primis fastidit acidiosus...» (Gl»-Umn PAMsiENSis Opera omnia, Venetiis i59,, p. 168). L'immagine del recessus. «H nam indietro, costante nella caratterizzazione patristica dell'acedia, compare an-fino a Preud °' dcscrizione m«K« della malinconia, dalla medicína umorale II demone meridiano n contiene tuttavia in sé una fondamentale ambiguita, la cui indivi-duazione ě tra i piú sorprendenti risultati della scienza psicologica medioevale. Che l'accidioso si ritragga dal suo fine divino, non significa, infatti, che egli riesca a dimenticarlo o che cessi, in realtá, di desiderarlo. Se, in termini teologici, quel che a lui viene meno non ě la salvezza, ma la via che vi conduce, in termini psico-logici, il recesso dell'accidioso non tradisce un'eclissi del deside-rio, ma, piuttosto, il diventare inattingibile del suo oggetto: la sua e la perversione di una volonta che vuole Voggetto, ma non la via che vi conduce e insieme desidera e sbarra la strada al proprio desiderio. San Tommaso coglie perfettamente l'ambiguo rapporto della disperazione col proprio desiderio: «ciö che non bramiamo», egli scrive, «non puö essere oggetto né della nostra speranza né della nostra disperazione»; ed ě alia sua equivoca costellazione erotica che si deve se, nella Summa theologica, l'acedia non ě opposta alia sollicitudo, cioě al desiderio e alia cura, ma al gaudium, cioě alFappagamento dello spirito in Dio'. ě questo persistere ed esaltarsi del desiderio di fronte a un oggetto che esso stesso si ě reso inattingibile che l'ingenua caratte-rizzazione popolare dell'acedia di Jacopone da Benevento espri-me dicendo che «l'acedia ogni cosa vuole avere, ma non si vuole affaticare» e che Pascasio Radberto adombra in una di quelle eti-mologie fantastiche! cui i pensatori medioevali affidavano le loro 1 «Ergo acedia nihil aliud est quam pigritia, quod videtur esse falsum; nam pigri-tia sollicitudini opponitur, acediae autem gaudium» (Summa theologica II 2.35). An-che Alcuino insiste sull'esacerbazione del desiderio come carattere essenziale dell'acedia: l'accidioso «torpescit in desideriis carnalibus, nec in opere gaudet spirituali, nec in desiderio animae suae laetatur, nec in adjutorio fraterni laborts hilarescit: sed tan-turn concupiscit et desiderat, et otiosa mens per omnia discurrit». II legame fra acedia e desiderio, e, quindi, fra acedia e amore, é fra le piú geniali intuizioni della psicologia medioevale ed ě essenziale per comprendere la natura di questo peccato; ciö spiega per-ché Dante (Purgatorio XVII) intenda l'acedia come una forma di amore e, precisamente, come quell'amore « che corre al ben con ordine corrotto». ! II modello insuperato di questa scienza fantastica degli etimi ě nel Cranio di Platone, la cui ricchezza in materia di scienza del linguaggio ě lungi dall'essere completa-mente esplorata. Fra le molte etimologie giocose (che non sono perö da prendere solo per scherzo) che Platone vi propone, meritano almeno di essere ricordate qui quelle di 8vo[wt 'nome', da ov ou \xá.u\ía éaiiv Tesserc di cui vi é ricerca bramosa', di taTopia Ii I íaniasini di K|<)S pin audaci intuizioni loecuWiw». i dcsit Uli pes in via, quae Q&^BS^ est, eo quod é cosi detta, perché ad essa rWcTüÄä* ladi^2 via che é Cristo'. Fisso nclla scand2conľ T*»* ne» meta che gli si mostra nellatto steíóTľ * Una e le, come — o in cui viene preclusaecr! e per lui tanto pm ossessiva quanto piú gli diventa inattinl 1 accidioso si trova čosi in una situazione paradossale in cui con nelľafonsma dl Kafka, «esiste un punto di arrivo, ma néssuna via» e dalla quale non c'é scampo, perché non si puö fuggire da ciö che non si puö nemmeno raggiungere. É questo disperato sprofondare nelľabisso ehe si spalanca fra il desiderio e il suo inafferrabile oggetto ehe ľiconografia medioe-vale ha fissato nel tipo delľacedia, rappresentata come una donna che lascia desolatamente cadere a terra lo sguardo e abbandona il capo al sostegno delia mano, o come un borghese o un religioso ehe affida il proprio sconforto al cuscino ehe il diavolo gli porge'. Quel ehe ľintenzione mnemotecnica del medioevo ofíriva qui al-ľedificazione del contemplante, non era una raffigurazione natu-ralistica del «sonno colpevole» del pigro, ma il gesto esemplare del lasciar cadere il capo e lo sguardo come emblema delia dispe-rata paralisi delľanimo di fronte alla sua situazione senza uscita. Proprio tuttavia per questa sua fondamentale contraddizione, al- 'stotia', óxi foťrjffi t6v ŕoOv 'perché arresta il flusso del tempo', di áXif|9eia 'ventä' da íitía. äXt) 'corsa divina'. ,. ... „:._„ ' Panofsky e SaxI, nella loro indagine sulla genealógia delia Melencolia a"rer'a"a (Dürers „ Melencolia 1». Eine quellen- und typengeschichtliche Untersuchung, uipzm Berlin 1923) fraintendono la concezione medioevale delľacedia, ehe ínterpretanose plicemente come il sonno colpevole del pigro. La somnolenltaJcome aspetto ati1 ľ dere il caDo su nňTZTJ^" "6"' P°ss}^nit3 di resistere ai peccato. u gcsiu u. u»w. a questo Ssö emhl™" «8"'*«« *a disperazione e non il sonno. Ed ě proprio dia»S iTü 1C° Ť Í,UÍ ,,antico «quiwJente tedesco del termine «ace-a terra lo sguardo il r«v? t, 7- dV HauP' Sesenkt hdten 'lasciar sprofondare fondendosi con la oieriS.' P -^,dl cLhe ''essenza deI]'acedia va opacandosi e con-l'assimilazione del HPLn!m P°ss'bile che il tramite di questa conversione sia stata sanitatis salernitanď^rn g?d^"" fr11 "^'"-al samnus meridtanus che il Regimen nuUus tibi somnus meS I p ufÜK mme causa di molti mali: «Sit brevis aut tibi proveniunt ex somno meridiano» ' P'e"tIes' dolor at(3ue catarfhus I ^ II demone meridiano 13 l'acedia non appartiene soltanto una polarita negativa. Con Ia loro intuizione delia capacitä di rovesciamento dialettico propria delle categorie della vita spirituále, accanto alla tristitia mortifera (0 äiaboltca, 0 tristitia saeculi), i padri pongono una tristitia salu-tifera (o utilis, o secundum deum), che ě operatrice di salvezza e «aureo stimolo dell'anima» e, come tale, «non ě da considerare come vizio, ma come virtu»'. Nelľestatica ascensione della Scala Paradisi di Giovanni Climaco, il settimo gradino ě cosi oceupato dal «lutto che crea gioia», definito come «una tristezza dell'anima e un'afflizione del cuore che cerca sempre ciö di cui ě ardente-mente assetata; e, finché ne ě priva, ansiosamente lo insegue e con ululati e lamenti gli va dietro mentre esso le sfugge». Proprio ľambigua polarita negativa delľacedia diventa in questo modo il lievito dialettico capace di rovesciare la privazione in possesso. Poiché il suo desiderio rimane fisso in ciö che si ě reso inaccessibile, l'acedia non ě solo una fuga da..., ma anche una fuga per..., che comunica col suo oggetto nella forma della nega-zione e della carenza. Come in quelle figure illusorie che possono essere interpretate ora in un modo ora in un altro, cosi ogni suo tratto disegna nella sua coneavitä la pienezza di ciö da cui si storna e ogni gesto che essa compie nella sua fuga fa fede del perdu-rare del vincolo che la lega ad esso. In quanto la sua tortuosa intenzione apre uno spazio all'epifa-nia delľinafferrabile, l'accidioso testimonia dell'oscura saggezza secondo cui solo per chi non ha piú speranza ě stata data la spe-ranza, e solo per chi in ogni caso non poträ raggiungerle sono state 1 Giá in un'opera attribuita a sant'Agostino (Liber de conflictu vitiorum et virtu-tum, in Patrologia latina, 40) la tristitia ě definita gemina: «Geminam esse tristitiam novi, imo duo esse tristitias novi: unam scilicet quae salutem, alteram vero quae perni-cem operatur; unam quae ad poenitentiam trahit, alteram quae ad desperationem duck». Cosi anche Alcuino: «Tristitiae duo sunt genera: unum salutiferum, alterum pe-stiferum» (Liber de virtutis, c. 33) e Jonas di Orleans: «Tristitia autem cum duobus modis fiat, id est aliquando salubriter, aliquando lethaliter; quando salubriter fit, non est vitium computanda, sed virtus». Anche nella terminológia alchimica l'acedia compare in una duplice polarita: nella Clavis tottus philosophiae di Dorn (in Thealrum chemicum, Argentorati 1622, v. 1), il forno alchemico ě chiamato acedia per la sua len-tezza, che appare pero come una qualitä necessaria («Nunc furnum habemus comple-tum, quem acediam solemus appeLlare, tum quia tardus est in operando, propter len-tum ignem...») ''I lf»m»Mni «Ii |/ro, siv.