Ú Libri File Modifica Vista Vai Store Finestra Aiuto (Š# ^ ^ # ^ 4) 77% Mb qabc-esteso Mar 11:32 Q, © ~ 9 ^1 ;— [S] Fatti diversi di sto...letteraria e civile aA Q Ü I LUOGHI DEL «GATTOPARDO» «Principe dell'isola di Lampedusa, duca di Palma, barone di Montechiaro, signore e padrone della terra della Torretta, barone dei Falconieri... etc... signore delle feudi di Montecuccio, Bellolampo... etc... delli tre territori di Donna Ventura... etc. etc.». Gli etc., come nel primo capitolo dei Promessi sposi: giä nel docu-mento, a ridondare e moltiplicare una indefinita grandezza, o messi da noi per abbreviarla: abbreviatissima com'era quando Giuseppe Tomasi, nella Repubblica Italiana che ha abolito i titoli nobiliari e soppressa la Consulta Araldica, scrive // gattopardo. Ma proprio nel momento in cui quei titoli, quei nomi, si dissolvevano con la Consulta Araldica, col Regno d'Italia, ecco che entravano in quella che possiamo chiamare la Consulta Letteraria, nella Repubblica della Letteratura. E Lampedusa sarä presente soltanto nel frontespizio del libro, secondo le leggi della Repubblica Italiana facendo parte del cognome dell'autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa (ne sarä stata anche prima, per Giuseppe Tomasi, piü di un nome: isola tanto irreale quanto quella della Tempesta di Shakespeare); ma Palma di Montechiaro sarä - ricreata nella memoria genealogica e nella memoria personale - l'essenza del libro, il luogo in cui realtä e fantasia convergono e convengono alia rappresen-tazione dell'ultima, estrema, estenuata feudalitä siciliana. Palma di Montechiaro si chiamerä, nel romanzo, Donnafugata: forse per sugge-stione di quella terra di Donna Ventura che era stata tra i possessi e i titoli della famiglia. E anche se esiste - sobborgo di Ragusa e forse oggi comune autonomo -un paese che ha nome Donnafugata, poiche l'onomastica ha nel Gattopardo un ruolo di segrete allusioni storiche o private, non e gratuito andare al di la di quel che letteralmente questo nome contiene - e cioe una donna in fuga - e scorgervi, magari inconscia, una simbolizzazione del possesso (la terra come donna) ormai perduto, della proprietä come in fuga e dissolta: dalla donna-ventura, e cioé awe-nire e fortuna insieme, alla donna-fugata, e cioé passato, sfortuna, sconfitta. Nulla a che fare, la vera Donnafugata in provincia di Ragusa, con la storia dei Tomasi. Mentre Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, la Donnafugata dei romanzo, é tutta, o quasi, nella storia della famiglia. In quello che si puô con-siderare il piü attendibile Dizionario topografico della Sicília (di Vito Amico, aggior-nato nel 1859 da Gioacchino Di Marzo), la storia di Palma é cosi compendiata: «Paese recente, Alba Villa dal Pirri, altrimenti Montechiaro, che occupando il giogo di un colle presso il lido australe sin dal secolo XIV sotto gli aragonesi, rico-nosce a fondatori i Chiaramonte e reca il loro vocabolo; attestano alcuni essere stata dove sorgeva un tempo ľantichissima cittä di Camico... «Amenissimo é il sito di Palma, su un poggio, che guarda mezzogiorno, distante circa 600 passi dalla spiaggia marittima. E diviso il paese da rette ed ampie vie, presenta dei bastioni contro le incursioni dei barbari [e cioé dei piráti algerini] ed una torre d'ispezione che appellano Castellaccio. Elegante é il palazzo baronale in luogo precipuo. La magnifica chiesa maggiore parrocchiale, in cui si venerano le spoglie di sant'Alipio martire, con dieci minori suffraganee, sotto la cura di un arciprete e sotto un vicario dei vescovo di Girgenti, é sacra alla Beáta Vergine e nel giorno della sua nascita [1'8 settembre] celebrano gli abitanti la festivitä con solenne pompa ed aprono un mercato. L'eremo di Monte Calvario siede pei chie-rici nella vetta. II reclusorio in custodia delle donzelle povere gode di una con-gruente dote, come anche lo spedale dei poverí infermi, ed il monte di pietä istituito dal duca Giulio. «Sorse il collegio delle scuole pie nel 1712. Ma ľinsigne monastero di donne delľordine di san Benedetto sotto il titolo di santa Maria dei Rosario é a descri-versi non solo per gli edifizii, ma altresi per l'opinione della singolar santitä...». Carlo, fondatore di Palma e primo duca, avrebbe dovuto sposare Rosalia Traina, nipote dei vescovo di Girgenti. Ma non se la sente, rinuncia al matrimonio e al ducato in favore dei suo gemello Giulio. Dal matrimonio di Giulio con la nipote dei vescovo nascono Otto figli: ma non bastano a distogliere il duca dalla voca-zione alla vita religiosa. Ad un certo punto, anche Giulio rinuncia al mondo, si Ú Libri File Modifica Vista Vai Store Finestra Aiuto (Š# ^ ^ # ^ 4) 77% Mb qabc-esteso Mar 11:32 Q, © ~ 9 ^1 ;— [S] Fatti diversi di sto...letteraria e civile aA Q Ü perduto, delia proprietä come in fúga e dissolta: dalla donna-ventura, e cioé awe-nire e fortuna insieme, alla donna-fugata, e cioé passato, sfortuna, sconŕitta. Nulla a ehe fare, la vera Donnafugata in provincia di Ragusa, con la storia dei Tomasi. Mentre Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, la Donnafugata del romanzo, é tutta, o quasi, nella storia delia famiglia. In quello ehe si puö con-siderare il piú attendibile Dizionario topografico delia Sicília (di Vito Amico, aggior-nato nel 1859 da Gioacchino Di Marzo), la storia di Palma é čosi compendiata: «Paese recente, Alba Villa dal Pirri, altrimenti Montechiaro, ehe oceupando il giogo di un colle presso il lido australe sin dal secolo XIV sotto gli aragonesi, rico-nosce a fondatori i Chiaramonte e reca il loro vocabolo; attestano aleuni essere stata dove sorgeva un tempo ľantichissima cittá di Camico... oAmenissimo é il sito di Palma, su un poggio, ehe guarda mezzogiorno, distante circa 600 passi dalla spiaggia marittima. E diviso il paese da rette ed ampie vie, presenta dei bastioni contro le ineursioni dei barbari [e cioé dei piráti algerini] ed una torre ďispezione che appellano Castellaccio. Elegante é il palazzo baronale in luogo precipuo. La magnifica chiesa maggiore parrocehiale, in cui si venerano le spoglie di sanťAlipio martire, con dieci minori suffraganee, sotto la eura di un arciprete e sotto un vicario del vescovo di Girgenti, é sacra alla Beáta Vergine e nel giorno delia sua nascita [1'8 settembre] celebrano gli abitanti la festivitä con solenne pompa ed aprono un mercato. Ľeremo di Monte Calvario siede pei chie-rici nella vetta. II reclusorio in custodia delle donzelle povere gode di una con-gruente dote, come anche lo spedale dei poveri infermi, ed il monte di pieta istituito dal duca Giulio. «Sorse il collegio delle scuole pie nel 1712. Ma ľinsigne monastero di donne delľordine di san Benedetto sotto il titolo di šanta Maria del Rosario é a deseri-versi non solo per gli edifizii, ma altresi per ľopinione delia singolar santita...». Carlo, fondatore di Palma e primo duca, avrebbe dovuto sposare Rosalia Traina, nipote del vescovo di Girgenti. Ma non se la sente, rinuncia al matrimonio e al ducato in favore del suo gemello Giulio. Dal matrimonio di Giulio con la nipote del vescovo nascono otto figli: ma non bastano a distogliere il duca dalla voca-zione alla vita religiosa. Ad un certo punto, anche Giulio rinuncia al mondo, si ritira nell'eremo di Monte Calvario. La moglie, fondato il monastero mariano, vi si chiude col nome di Maria Seppellita insieme alle figlie Francesca (suor Maria Sera-fica), Isabella (suor Maria Crocifissa), Antonia (suor Maria Maddalena), Alipia (suor Maria Lanceata): pagina crediamo unica di profondo e violento misticismo, nella storia siciliana. Ecco il Ragionamento storico della vita e virtu dell'Illustrissima Madre Suor Maria Seppellita scritto dal sacerdote don Artemio Talstosa e pubblicato a Palermo nel 1722; ecco la Scelta di lettere spirituali della venerabile serva di Dio Suor Maria Crocifissa pubbli-cate a Venezia nel 1711: sono documenti che raggiungono allucinate vette di masochismo, di algolagnia. E danno allucinazione. Ma bisogna riconoscere che dentro tanta follia correva anche una vena autentica di pieta, di carita, di rispetto per gli altri, di amore ai poveri; e ne resta quella cantilena popolare intitolata II testamento del duca di Palma che il Pitre un secolo fa trascrisse e pubblico. In essa il duca e celebrato come giusto, buono e devoto nella gestione del ducato; accorato, pietoso, generoso verso i sudditi nel momento di lasciarlo al figlio Ferdinando. In questa pagina di storia mistica, fa spicco suor Maria Crocifissa, quella delle Lettere spirituali, e che e poi, nel Gattopardo, la Beata Corbera. E qui, a spiegare la mutazione onomastica, bisogna dire che se indubitabilmente il luogo centrale del romanzo e Palma - quasi capitale della feudalita in dissoluzione - il palazzo non e quello di Palma, dove quasi mai la famiglia andava negli anni d'infanzia di Giuseppe Tomasi. II palazzo e quello di Santa Margherita Belice (distrutto nel terre-moto del 1968): e veniva ai Tomasi dai Filangeri, famiglia cui apparteneva la madre dello scrittore. E in questo palazzo, nello spostarlo a quel luogo della fantasia (Donnafugata) che e diventato Palma, awiene la fusione di due memorie: quella genealogica e quella personale; quella oggettiva, documentaria, con quella -per cosi dire - proustiana. E vi si consuma, attraverso una piccola metamorfosi onomastica, una specie di celebrazione stendhaliana. La metamorfosi e appunto quella della Beata Maria Crocifissa in Beata Corbera. Filtrate da un'appassionata, assidua e intelligente frequentazione stendhaliana, due figure femminili si fondono nella metamorfosi, due figure lontane nel tempo e Pagina 93 Pagina 94 5 pagine rimanenti nel capitolo • Libri File Modifica Vista Vai Store Finestra Aiuto qabc-esteso Mar 11:32 Q, © ~ 9 ^1 ;— [S] Fatti diversi di sto...letteraria e civile aA Q Ü dell'Isola, di cui nella parte centrale del romanzo e portavoce don Fabrizio, nel colloquio col piemontese Chevalley: «II sonno, caro Chevalley, il sonno e ciö che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi Ii vorrä svegliare... Ho detto i sici-liani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse piü che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non e mai meschino, terra terra, disten-sivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri raziona-li; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno intorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; Ii conti, Chevalley, Ii conti: maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quäle si lotta con minor successo; lei non lo sa ancora, ma da noi si puö dire che nevica fuoco, come sulle cittä maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'e o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia e pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le piogge, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio Ii dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltä del clima, questa tensione continua...». E tuttavia, dentro tanta violenza, tanta crudeltä, tanta febbre e tanta morte, ecco le oasi della dolcezza di vivere, ecco i verdi paradisi dell'infanzia, ecco la bellezza: il palazzo di Santa Margherita, il palazzo di Palermo. «Anzitutto la nostra casa. La amavo con abbandono assoluto e la amo ancora adesso quando essa da 12 anni non e piü che un ricordo... Sara quindi molto doloroso per me rievocare la Scom-parsa amata come essa fu fino al '29 nella sua integritä e nella sua bellezza, come essa continuö dopotutto ad essere sino al 5 aprile 1943, giorno in cui le bombe trascinate da oltre Atlantico la cercarono e la distrussero. «Ma la casa di Palermo aveva anche delle dipendenze che ne moltiplicavano il fascino. Esse erano quattro: Santa Margherita Bělice, la villa di Bagheria, il palazzo a Torretta e la casa di campagna a Reitano. Vi era anche la casa di Palma e il castello di Montechiaro, ma in quelli non andavamo mai. La preferita era Santa Margherita, nella quale si passavano lunghi mesi anche d'invemo...». Leggendo queste pagine, automaticamente la nostra memoria si apre su altra di Vitaliano Brancati: «Tu ed io siamo poveri; mio padre era pověro; il padre di mio padre era pověro; il padre di costui era pověro... Sempre la nostra casa ě stata al livello del fango della strada, e sempre abbiamo sentito, al termine del nostro pavimento, battere la pioggia sul selciato. Molti animali di fogna, come blatte, topi, scorpioni, ci conoscono e ci hanno visto dormire! Uno di noi, che possedeva un canarino, fu arrestato, perché dissero che egli non lo aveva tirato dal cielo, ma da una gabbia... E purtroppo era vero!». Giuseppe Tomasi dice ad un certo punto di non essere ďaccordo con Stendhal sulla «qualitá» dei ricordi dell'infanzia: «Lui interpreta la sua infanzia come un tempo in cui subi tirannia e prepotenza». Ma non sarebbe stato ďaccordo nemmeno con Brancati, nemmeno con noi. E non sol-tanto per quanto riguarda l'infanzia, ma per intera la vita. «Ho letto con ritardo / Lolita e il Gattopardo. / Cosi passai 1'estate / tra spe-ranze infondate». Questi versetti di Flaiano, nelPAimanacco del pesce ďoro per il 1960, celavano celiando un giudizio? Il gattopardo era stato pubblicato alla fine del 1958: a chi lo avesse letto un anno dopo, il libro sarebbe dawero apparso un caso letterario «infondato»? E possibile, dato il tanto clamore che gli era stato fatto intorno; ma tutťaltro che «infondato» appare oggi, dopo venťanni. Chi, come me, avanzó allora delle riserve sui contenuti del romanzo, sull'idea che lo informava, oggi ě portato a riconoscere che quello che allora parve inaccettabile e irritante nel libro, s'apparteneva a delle costanti della nostra storia che allora era legittimo ricusare o tentare di ricusare, come legittimo era per Lampedusa riconoscerle e rappresentarle. Certo, mancherebbe molto, alla letteratura italiana di questi anni, Pagina 97 Pagina 98 1 pagina rimanente nel capitolo É Libri File Modifica Vista Vai Store Finestra Aiuto g ® W ^ > > <5> 4 77% (■]' qabc-esteso Mar 11:32 © ~ • D ;= m Fatti diversi di sto...letteraria e civile se il libro non fosse stato pubblicato. E credo sia venuto il momento di rileggerlo; e per i giovani di conoscerlo. U«OMNIBUS» DI LONGANESI Tante di quelle teorie, modi e mode nella critica letteraria sono trascorse da noi in questo secolo - in atto approdando alia moda di quella che ě poi una sindrome che andrebbe denominata, per suggerimento di una famosa lettera di Flaubert, di Thompson: «Sindrome di Thompsons - che ě da meravigliarsi non vi si trovino, sincronicamente, apprezzabili tracce di quella teória «generazionale» che molto attendibilmente e fruttuosamente i critici spagnoli applicarono alia loro lettera-tura nel suo svolgersi, tra le due crisi storiche del 1898 e del 1936. E non che si voglia, qui ed ora, proporla a scandaglio della letteratura italiana di questo secolo: si vuole soltanto riconoscerle una čerta utilita muovendo dal fatto puramente anagrafico, ma non fermandoci ad esso, che tra il 1905 e il 1908 sono nati questi scrittori: Leo Longanesi (1905); Mario Soldáti, Dino Buzzati, Enrico Morovich (1906); Alberto Moravia, Vitaliano Brancati, Guido Piovene (1907); Elio Vittorini, Mario La Cava, Cesare Pavese (1908). Scrittori tra loro diversi, di diversa estrazione, di diversa valenza: e uso l'espres-sione «diversa valenza» nel senso della diversa vocazione di ciascuno a combinarsi con le «occasioni» esistenziali, storiche, culturali; e insomma con i sentimenti, le ragioni e gli errori del tempo. Ma li si puô raggruppare in una specie di pleiade generazionale per il fatto, che tutti li include, del guardare cdtrove: ad altri paesi, ad altre letterature; piú o meno awertitamente, piú o meno coscientemente, sen-tendo il disagio, ľangustia, la remora della condizione italiana; e cioé di quella provincialitä endemica (tanto endemica che ě di ieri ľesortazione di Arbasino, agli intellettuali italiani, a fare almeno un viaggio a Chiasso) che il fascismo poten-ziava ed esaltava. E qui bisogna intendersi, anche se siamo nelľowio: provincialismo non ě il vivere in provincia e il fare della provincia oggetto di rappresentazione, il vivere quella vita, il conoscerla e il rappresentarla: provincialismo ě il serrarsi neli Pagina 99 Pagina 100 7 pagine rimanenti nel capitolo