A archive.org [fill II gattopardo : Giuseppe Tomasi di Lampedusa : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archi\ FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literature (A) É Ifl LugUo 1S83 Don Fabrizio quella sensazione la conosceva da sempre. Erano decenni ehe sentiva come il fluido vitale, la facoltä di esistere, la vita insomma, e forse anche la volontä di continuare a vivere andassero uscendo da lui lentamente ma continuamen-te come i granellini ehe si affollano e sfilano ad uno ad uno, senza fretta e senza soste, dinanzi allo stretto orifizio di un orologio a sabbia. In aleuni momenti ďintensa attivitä, di grande attenzione questo sentimento di continuo abbandono scompariva per ripresentarsi impassibile alla piú breve occasio-ne di silenzio o ďintrospezione, come un ronzio continuo all'orecchio, come il battito di una pendola s'impongono quando tutto il resto tace; e ci rendono sieuri, allora, ehe essi sono sempre stati lí vigili anche quando non li udivamo. In tutti gli altri momenti gli bastava sempre un minimo di attenzione per awertire il fruscio dei granelli di sabbia ehe sgusciavano via lievi, degli attimi di tempo ehe evadevano dalla sua vita e lo lasciavano per sempre; la sensazione del reste non era, príma, legáta ad alcun malessere, anzi questa impercettibile perdita di vitalita era la prova, la condizione per cosí dire, delia sensazione di vita; e per lui, awezzo a serutare spazi esteriori illimitati, a indagare vastissirni abissi interiori essa non era per nulla sgradevole: era quella di un continuo, minutissimo sgretolamento delia personalita con-giunto pero al presagio vago del riedificarsi altrove di una iili 0 214 of 251 < > ED C iarchive.org Hjj II gattopardo : Giuseppe Tomasi di Lampedusa : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literature (A) individualita (grazie a Dici, měno cosciente ma piú larga: quei granellini di sabbia non andavano perduti, scomparivano sí ma si accumulavano chissá dove per cementare una mole piú duratura. Mole pero, aveva riflettuto, non era la parola esatta, pesante comera; e granelli di sabbia, ďaltronde, neppure: erano piú come delle particelle di vapor acqueo che esalassero da uno stagno costretto, per andar su nel cielo a formare le grandi nubi leggere e libere. Talvolta si sorprendeva che il serbatoio vitale potesse ancora contenere qualcosa dopo tanti anni di perdite. "Neppure se fosse grande come una pirami-de." Tal altra volta, piú spesso, si era inorgoglito di esser quasi solo ad awertíre questa fuga continua mentre attorno a lui nessuno sembrava sentire lo stesso; e ne aveva tratto motivo di disprezzo per gli altri, come il soldato anziano disprezza il coscritto che si illude che le pallottole ronzanti intorno siano dei mosconi innocui. Queste sono cose che, non si sa poi perché, non si confessano; si lascia che gli altri le intuiscano e nessuno intorno a lui le aveva intuite mai, nessuna delle figlie che sognavano un oltretomba identico a questa vita, completo di magistratura, cuochi, conventi e orologiai, di tutto; non Stella che divorata dalla cancrena dei diabete si era pure aggrappata meschinamente a questa esistenza di pene. Forse solo Tancredi per un attimo aveva compreso quando gli aveva detto con la sua ritrosa ironia: "Tu, zione, corteggi la mořte." Adesso il corteggiamento era finito: la bella aveva detto il suo sí, la fuga decisa, lo scompartimento nel třeno, riservato. Perché adesso la faccenda era differente, del tutto diversa. Seduto su una poltrona, le gambe lunghissime awolte in una coperta, sul balcone delTalbergo Trinacria, sentiva che la vita usciva da lui a larghe ondáte incalzanti, con un fragore spirituále paragonabile a quello della cascata del Reno. Era il mezzogiorno di un Lunedí di fine Luglio, ed il mare di Palermo compatto, oleoso, inerte, si stendeva di fronte a lui, inverosimilmente ímmobile ed appiattito come un cane che si sforzasse di rendersi invisibile alle minacce del padrone; ma il sole immoto e perpendicolare stava lí sopra piantato a gambe larghe e lo frustava senza pieta. II silenzio era assoluto. Sotto 1'altissima luce Don Fabrizio non udiva altro suono che quello interiore della vita che erompeva via da lui. 216 Era arrivato la mattina da Napoli, poche ore fa; vi si era recato per consultare il professore Semmola. Accompagnato dalla quarantenne figlia Concetta, dal nipote Fabrizietto, aveva compiuto un viaggio lugubre, lento come una cerimonia fune-bre. II tramestio del porto alia partenza e quello dell'arrivo a Napoli, l'odore acre della cabina, il vocfo incessante di quella cittä paranoica lo avevano esasperato, di quella esasperazione querula dei debolissimi che Ii stanca e Ii prostra, che suscita l'esasperazione opposta dei buoni cristiani che hanno molti anni di vita nelle bisacce. Aveva preteso di ritornare per via di terra: decisione improwida che il medico aveva cercato di combattere; ma lui aveva insistito e cosi imponente era ancora l'ombra del suo prestigio che la aveva spuntata; col risultato di dover poi rimanere trentasei ore rintanato in una scatola rovente, soffocato dal fumo delle gallerie che si ripetevano come sogni febbrili, accecato dal sole nei tratti scoperti, espliciti come tristi realtä, umiliato dai cento bassi servizi che aveva dovuto richiedere al nipote spaurito; si attraversavano paesaggi malefici, giogaie maledette, pianure malariche e torpide; quei paesaggi calabresi e basilischi che a lui sembravano barbarici mentre di fatto erano tali e quali quelli siciliani. La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso paesaggi lunari che per scherno portavano i nomi atletici e voluttuosi di Crotone e di Sibari. A Messina poi, dopo il mendace sorriso dello Stretto, sbugiardato subito dalle riarse colline peloritane, di nuovo una svolta, lunga come una crudele mora procedurale; si era discesi a Catania, ci si era arrampicati verso Castrogiovanni; la locomotiva che annaspa-va su per i pendii favolosi sembrava dovesse crepare come un cavallo sforzato; e, dopo una discesa fragorosa, si era giunti a Palermo. All'arrivo le solite maschere dei familiari con il dipinto sorriso di compiacimento per il buon esito del viaggio Fu anzi dal sorriso consolatorio delle persone che Io aspettava-no alia stazione, dal loro finto, e mal finto, aspetto rallegrato che gli si rivelö il vero senso della diagnosi di Semmola che a lui stesso aveva detto soltanto delle rassicuranti generalitä; e fu allora, dopo esser sceso dal treno, mentre abbracciava la nuora sepolta nelle gramaglie di vedova, i figli che mostravano MM 0 216 of 251 i lorb denti nei sorrisi, Tancredi con i suoi occhi timorosi, Angelica con la seta del corpetto ben tesa dai seni maturi, fu allora che si fece udire il fragore della cascata. Probabilmente svenne, perche non ricordava come fosse arrivato alia vettura; vi si trovo disteso con le gambe rattrappite, col solo Tancredi vicino. La carrozza non si era ancora mossa e da fuori gli giungeva all'orecchio il parlottare dei familiari. "Non e niente" "II viaggio e stato troppo lungo" "Con questo caldo sveniremmo tutti." "Arrivare sino alia villa lo stanchereb-be troppo." Era di nuovo perfettamente lucido: notava la conversazione seria che si svolgeva fra Concetta e Francesco Paolo, l'eleganza di Tancredi, il suo vestito a quadretti marrone e bigi, la bombetta bruna; e noto anche come il sorriso del nipote non fosse una volta tanto beffardo, anzi come fosse tinto di malinconico affetto; e da questo ricevette la sensazione agrodolce che il nipote gli volesse bene ed anche che sapesse che lui era spacciato, dato che la perpetua ironia si era adattata ad esser spazzata via dalla tenerezza. La carrozza si mosse e svolto sulla destra. "Ma dove andiamo, Tancredi?" La propria voce lo sorprese, vi awertiva l'eco del rombo interiore. "Zione, andiamo all'albergo Trinacria; sei stanco e la villa e lontana; ti riposerai una notte e domani tornerai a casa. Non ti sembra giusto?" "Ma allora andiamo alia nostra casa di mare; e ancora piii vicina." Questo pero non era possibile: la casa non era montata, come ben sapeva; serviva solo per occasionali cola-zioni in vista del mare; non vi era neppure un letto. "All'albergo starai meglio, zio; avrai tutte le comodita." Lo trattavano come un neonato; di un neonate del resto, aveva appunto il vigore. Un medico fu la prima comodita che trovo all'albergo; era stato fatto chiamare in fretta, forse durante la sua sincope. Ma non era il dottor Cataliotti, quello che sempre lo curava, incravattato di bianco sotto il volto sorridente e i ricchi occhiali d'oro; era un povero diavolo, il medico di quel quartiere angustiato, il testimonio impotente di mille agonie miserabili. Al di sopra della redingote sdrucita si allungava il povero volto emaciato irto di peli bianchi, un volto disilluso d'intellettuale famelico; quando estrasse dal taschino l'orolo-gio senza catena si videro le macchie di verderame che avevano trapassato la'doratura posticcia. Anche lui era una povera otre che lo sdrucio della mulattiera aveva liso e che spandeva senza saperlo le ultime goccie di olio. Misurö i battiti del polso, prescrisse delle goccie di canfora, moströ i denti cariati in un sorriso che voleva essere rassicurante e che invece chiedeva pietä; se ne andö a passi felpati. Presto dalla farmacia vicina giunsero le goccie; gli fecero bene; si senti un po' meno debole ma l'impeto del tempo che gli sfuggiva non diminui la propria foga. Don Fabrizio si guardd nello specchio dell'armadio: rico-nobbe piü ü proprio vestito che se stesso; altissimo, allampana-to, con le guancie infossate, la barba lunga di tre giorni; sembrava uno di quegli inglesi maniaci che deambulano nelle vignette dei libri di Verne che per Natale regalava a Fabrizietto, un Gattopardo in pessima forma. Perche mai Dio voleva che nessuno morisse con la propria faccia? Perche a tutti succede cosi: si muore con una maschera sul volto; anche i giovani; anche quel soldato col viso imbrattato; anche Paolo quando lo avevano rialzato dal marciapiede con la faccia contratta e spiegazzata mentre la gente rincorreva nella polvere il cavallo che lo aveva sbattuto giü. E se in lui, vecchio, il fragore della vita in fuga era tanto potente, quale mai doveva essere stato il tumulto di quei serbatoi ancora colmi che si svuotavano in un ammo da quei poveri corpi giovani? Avrebbe voluto contrawe-nire per quanto potesse a quest'assurda regola del camuffamen-to forzato; sentiva perö che non poteva, che sollevare il rasoio sarebbe stato come, un tempo, sollevare il proprio scrittoio. "Bisogna far chiamare un barbiere" disse a Francesco Paolo. Ma subito pensö: "No. E una regola del gioco, esosa ma formale. Mi raderanno dopo." E disse forte: "Lascia stare; ci penseremo poi." L'idea di questo estremo abbandono del cadavere con il barbiere accovacciato sopra non lo turbo. II cameriere entrö con una bacinella di acqua tiepida e una spugna, gli tolse la giacca e la camicia, gli lavö la faccia e le mani, come si lava un bimbo, come si lava un mono. La fuliggine di un giorno e mezzo di ferrovia rese funerea anche 1'acqua. Nella stanza bassa si soffocava: il caldo faceva lievitare gli odori, esaltava il tanfo delle peluches mal spolverate; le ombre delle diecine di scarafaggi che vi erano stati calpestati apparivano nel loro odore medicamentoso; fuori dal tavolino 218 219 < > OD C S archive.org C fl] , p] EU II gattopardo : Giuseppe Tomasi di Lampedusa : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive igi FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literature (A) di ndtte i ricordi tenaci delle orine vecchie e diverse incupiva-no la camera. Fece aprire le persiane: Talbergo era in ombra ma la luce riflessa dal mare metallico era accecante; meglio questo pero che quel fetore di prigione; disse di portare una poltrona sul balcone; appoggiato al braccio di qualcheduno si trascinó fuori e dopo quel paio di metri sedette con la sensazione di ristoro che provava un tempo riposandosi dopo sei ore di caccia in montagna. "Di' a tutti di lasciarmi in pace; mi sento meglio; voglio dormire." Aveva sonno dawero; ma trovó che cedere adesso al sopore era altrettanto assurdo quanto mangiare una fetta di torta subito prima di un desidera-to banchetto. Sorrise. "Sono sempře stato un goloso saggio." E se ne stava lí immerso nel grande silenzio esteriore, nello spaventevole rombo interno. Poté volgere la těsta a sinistra: a fianco di Monte Pellegrino si vedeva la spaccatura nella cerchia dei monti, e piú Iontano . i due colli ai piedi dei quali era la sua casa; irragiungibile Hf^conťera questa gli sembrava lontanissima; ripensó al proprio osservatorio, ai cannocchiali destinati ormai a decenni di polvere; al pověro Padre Pirrone che era polvere anche lui; ai quadri dei feudi, alle bertucce del parato, al grande letto di rame nel quale era morta la sua Stelluccia; a tutte queste cose che adesso gli sembravano umili anche se preziose, a questi intrecci di metallo, a queste tramě di fili, a queste tele ricoperte di terre e di succhi ďerba che erano tenute in vita da lui, che fra poco sarebbero piombate, incolpevoli, in un limbo fatto di iMpf^ / abbandono e di oblio; il cuore gli si strinse, dimenticó la ProPr'a agonia pensando all'imminente fine di queste pověře tá^ž' cose care. La fila inerte delle case dietro di lui, la diga dei monti, le distese flagellate dal sole, gli impedivano financo di pensare chíaramente a Donnařugata; gli sembrava una casa apparsa in sogno; non piú sua, gli sembrava: di suo non aveva adesso che questo corpo sfinito, queste lastre di lavagna sotto i piedi, questo precipizio di acque tenebrose verso 1'abisso. Era solo, un naufrago alla deriva su una zattera, in předa a correnti indomahili. Cerano i figli, certo. I figli. II solo che gli rassomigliasse, Giovanni, non era piú qui. Ogni paio di anni inviava saluti / da Londra;' non aveva piú nulla da fare con il carbone e táta víc i*! a etxTmvxvJFjJíA - [ commerciava in brillanti; dopo che Stella era morta era giunta . alTindirizzo di lei una letterina e poco dopo un pacchettino i con un braccialetto. Quello sí. Anche lui aveva "corteggiato . la mořte," anzi con labbandono di tutto aveva organizzato per sé quel tanto di mořte che ě possibile mctter su continuando . a vivere. Ma gli altri... Cerano anche i nipoti: Fabrizietto, il piú giovane dei Salina, cosi bello, cosi vivace, tanto caro. Tanto odioso. Con la sua doppia dose di sangue Málvica, con gl'istinti goderecci, con le sue tendenze verso un'eleganza , borghese. Era inutile sforzarsi a credere il contrario, 1'ultimo ErSalina era lui. il gigante sparuto che adesso agonizzava sul balcone di un albergo. Perché il significato di un casato nobile ě tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era 1'ultimo a ! possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre jfiamiglie. Fabrizietto avrebbe avuto dei ricordi banali, eguali a cjuelli dei suoi compagni di ginnasio, ricordi di merende conomiche, di scherzucci malvagetti agli insegnanti, di caval- ^ \, acquistati avendo locchio al loro prezzo piú che ai lóro,^. regíTed il senso del nome si sarebhe mutato in vuota pompa empre amareggiata dalPassillo che altri potessero pompeggia-Jre piú di lui. Si sarebbe svolta la caccia al matrimonio ricco . quando questa sarebbe divenuta una routine consueta e non fpiú un'awentura audace e predatoria come era stato quello di Tancredi. Gli arazzi di Donnařugata, i mandorleti di Ragattisi, magari, chissá, la fontána di Anfitrite avrebbero avuto la sortě i grottesca di esser metamorfizzati in terrine di foie-gras presto E digerite, in donnine da Ba-la-clan piú labili de! loro belletto, «J 3 i da quelle delicate e sfumate cose che erano. E di lui sarebbe Jfc i f rimastn snlranto il ricordo di un vecchio e coUerico nonno > di Lug 10 proprio a tempo che era schiattato in un pomenggi( d per impedire al ragazzo di andare a tare i bagni a Livorno. Lui t- stesso aveva detto che i Salina sarebbero sempře rimasti i t Salina. Aveva avuto torto. L'ultimo era lui. Quel Garibaldi, quel barbuto Vulcano aveva dopo tutto vinto. F Ualla camera vicina aperta sullo stesso balcone gli giungeva r la voce di Concetta: "Non se ne poteva fare a meno; bisognava 2 farlo venire; non mi sarei mai consolata se non lo si fosse U chiamato." Comprese subito: si trattava del přete. Un momento - ebbe 1'idea di rifiutare, di mentire, di mettersi a gridare che 221 1 - lili 0 < > ED C iarchive.org ffirj II gattopardo : Giuseppe Tomasi di Lampedusa : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literature (A) stava'benissimo, che non aveva bisogno di nulla. Presto si accorse del ridicolo delle proprie intenzioni: era il principe di Salina e come un principe di Salina doveva morire, con tanto di prete accanto. Concetta aveva ragione. Perche poi avrebbe dovuto sottrarsi a cio che era desiderato da migliaia di altri morenti? E tacque aspettando di udire il campanellino del Viatico. Quel ballo dai Ponteleone: Angelica aveva odorato come un fiore fra le sue braccia, Lo senti presto: la parrocchia della Pieta era quasi di tronte. II suono argentino e festoso si arrampicava sulle scale, irrompeva nel corridoio, si fece acuto quando la porta si apri: preceduto dal direttore dell'Albergo, svizzerotto seccatissimo di avere un moribondo nel proprio esercizio, padre Balsano, il parroco entro recando sotto la pisside il Santissimo custodito dall'astuccio di pelle. Tancredi e Fabrizietto sollevarono la poltrona, la riportarono nella stanza; gli altri erano inginocchiati. Piu col gesto che con la voce, disse: "Via! via!" Voleva confessarsi. Le cose si fanno o non si fanno. Tutti uscirono, ma quando dovette parlare si accorse che non aveva molto da dire: ricordava alcuni peccati precisi ma gli sembravano tanto meschini che dawero non valeva la pena di aver importunate un degno sacerdote in quella giornata di afa. Non che si sentisse innocente: ma era tutta la vita ad esser colpevole, non questo o quel singolo fatto; vi e un solo peccato vero, quello originate; e cio non aveva piu il tempo di dirlo. 1 suoi occhi dovettero esprimere un turbamento che il sacerdote pote scambiare per espressione di contrizione; come di fatto in un eerto senso era; fu assolto. 11 memo, a quanto sembrava, gli poggiava sul petto perche il prete dovette inginocchiarsi lui per insinuargli la particola fra le labbra. Poi furono mormorate le sillabe immemoriali che spianano la via e il sacerdote si ritiro. La poltrona non fu piu trascinata sul balcone. Fabrizietto e Tancredi gli sedettero vicino e gli tenevano ciascuno una mano; il ragazzo lo guardava fisso con la curiosita naturale in chi assista alia sua prima agonia, e niente di piu; chi moriva non era un uomo, era un nonno, il che e assai diverso. Tancredi gli stringeva forte la mano e parlava, parlava molto, parlava allegro: esponeva progetti cui lo associava, commentava i fatti politici; era deputato, gli era stata promessa la legazione di 222 Lisbona, conosceva mold fatterelli segreti e sapidi. La voce nasale, il vocabolario arguto delineavano un futile fregio sul sempře piu fragoroso erompere delle acque della vita. II Principe era grato delle chiacchiere, e gli stringeva la mano con grande sforzo ma con trascurabile risultato. Era grato, ma non lo stava a sentire. Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall'immenso mucchio di cenere delle passivitá le pagliuzze d'oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane prima del suo matrimonio, sei settimane dopo; mezz'ora in occasione della nascita di Paolo, quando senti l'orgoglio di aver prolungato di un rametto l'albero di casa Salina. (L'orgoglio era abusivo, lo sapeva adesso, ma la fierezza vi era stata dawero); alcune conversazioni con Giovanni prima che questi scomparisse, alcuni monologhi, per esser veritieri, durante i quali aveva creduto scoprire nel ragazzo un animo simile al suo; molte ore in osservatorio assorte nell'astrazione dei calcoli e nell'inseguimento dell'ir-raggiungibile; ma queste ore potevano dawero esser collocate nell'attivo della vita? Non erano forse un'elargizione anticipata delle beatitudini mortuarie? Non importava, c'erano state. Nella strada sotto, fra l'albergo e il mare, un organetto si fermó e suonava nell'avida speranza di commuovere i forestieri che in quella stagione non c'erano. Macinava "Tu che a Dio spiegasti l'ale"; quel che rimaneva di Don Fabrizio pensó a quanto fiele venisse in quel momento mescolato a taňte agonie in Italia da queste musiche meccaniche. Tancredi col suo intuito corse al balcone, buttó giú una moneta, fece segno di tacere. II silenzio fuori si richiuse, il fragore dentro ingiganti. Tancredi. Certo, molto dell'attivo proveniva da lui: la sua comprensione tanto piu preziosa in quanto ironica, il godimento estetico di veder come si destreggiasse fra le diffi-coltá della vita, I'affettuosita beffarda come si conviene che sia; dopo, i cani: Fufi, la grossa mops della sua infanzia, Tom, Pirruento barbone confidente ed amico, gli occhi mansueti di Svelto, la balordaggine deliziosa di Bendicó, le zampe carezzevoli di Pop, il pointer che in questo momento lo cercava sotto i cespugli e le poltrone della villa e che non lo avrebbe piu ritrovato; qualche cavallo, questi giá piu distanti ed estranei. Vi erano le prime ore dei suoi ritorni a Donnafugata, il MM 0 222 of 251 < > ED C iarchive.org Hjj II gattopardo : Giuseppe Tomasi di Lampedusa : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literature (A) □ senso di tradizione e di perennifa espresso in pietra ed in acqua, il tempo congelato; lo schioppettare allegro di alcune cacce, il massacro affettuoso dei conigli e delle pernici, alcune buone risate con Tumeo, alcuni minuti di compunzione al convento fra I'odore di muffa e di confetture. Vi era altro? Si, vi era altro: ma erano di gia pepite miste a terra: i momenti sodisfatti nei quali aveva dato risposte taglienti agli sciocchi, la contentezza provata quando si era accorto che nella bellezza e nel carattere di Concetta si perpetuava una vera Salina; qualche momento di foga amorosa; la sorpresa nel ricevere la lettera di Arago che spontaneamente si congratulava per l'esattezza dei difficili calcoli relativi alia cometa di Huxley. E perche no? L'esaltazione pubblica quando aveva ricevuto la medaglia in Sorbona, la sensazione delicata di alcune sete di cravatte, I'odore di alcuni cuoi macerati, l'aspetto ridente, l'aspetto voluttuoso di alcune donne incontrate, quella intravi-sta ancora ieri alia stazione di Catania, mescolata alia folia col suo vestito marrone da viaggio e i guanti di camoscio che era sembrata cercare il suo volto disfatto dal di fuori dello scompartimento insudiciato. Che gridio di folia. "Panini gravi-di!" "11 Corriere dell'Isola!" E poi quell'anfanare del treno stanco senza fiato... E quell'atroce sole all'arrivo, quei sorrisi bugiardi, l'eromper via delle cateratte... Nell'ombra che saliva si provo a contare per quanto tempo avesse in realta vissuto: il suo cervello non dipanava piii il semplice calcolo: tre mesi, venti giorni, un totale di sei mesi, sei per otto ottantaquattro... quarantottomila...^840.000•■• Si riprese. "Ho settantatre anni, all'ingrosso ne avro vissuto, veramente vissuto, un totale di due... tre al massimo." E i dolori, la noia, quanto erano stati? Inutile sforzarsi a contare: tutto il resto: settant'anni. Senti che la mano non stringeva piu quella dei nipoti. Tancredi si alzo in fretta ed usci... Non era piii un fiume che erompeva da lui, ma un oceano, tempestoso, irto di spume e di cavalloni sfrenati... Doveva aver avuto un'altra sincope perche si accorse a un tratto di esser disteso sul letto: qualcuno gli teneva il polso: dalla finestra il riflesso spietato del mare lo accecava; nella camera si udiva un sibilo: era il suo rantolo ma non lo sapeva; 224 attorno vi era una piccola folia, un gruppo di persone estranee che lo guardavano fisso con un'espressione impaurita: via via li riconobbe: Tancredi, Concetta, Angelica, Francesco-Paolo, Carolina, Fabrizietto; chi gli teneva il polso era il dottor Cataliotti; credette di sorridere a questo per dargli il benvenuto ma nessuno pote accorgersene: tutti, tranne Concetta, piange-vano; anche Tancredi che diceva: "Zio, zione caro!" Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora. snella, con un vestito marrone da viaggio ad ampia tournure, con un cappellino di paglia ornato da un velo a pallottoline che non riusciva a nascondere la maliosa awenen-za del volto. Insinuava una manina inguantata di camoscio fra un gomito e l'altro dei piangenti, si scusava, si awicinava. Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che cost giovane com'era si fosse arresa a lui; l'ora della partenza del treno doveva esser vicina. Giunta faccia a faccia con lui sollevö il velo e cost, pudica ma pronta ad esser posseduta, gli apparve piü bella di come mai l'avesse intravista negli spazi stellari. II fragore del mare si placö del tutto. MM 0 Safari Modifica DISSEF AA WhatsApi 2022-12... 1-3) at disegni. 24h Ú Safari File Modifica Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto (§S á> & t ^ 1Q0% WIĚf OABC-esteso Sab 16:56 <\ Q ~ WH II Gattopardo : Tomasi di Lampedusa,... FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu.. A archive.org C I I [Pj I gl I I Canti orfici di Dino Campana: poesie... [J] Libraries and publications | Masaryk... ] Risultati delia ricerca - poeti italiani + 1910 Chi andava a far visita alle vecchie signorine Salina trova-va quasi sempře almeno un cappello di přete sulle sedie del-I'anticamera. Le signorine erano tre, segrete lotte per I'ege-monia casalinga le avevano dilaniate, e ciascuna di esse, ca-ratteri fořti a proprio modo, desiderava avere un confessore particolare. Come in quell'anno 1910 si usava ancora le con-fessioni awenivano in casa e gli scrupoli delle penitenti esi-gevano che esse fossero frequenti. A quel plotoncino di con-fessort bisognava aggiungere il cappellano che ogni mattina veniva a celebrare la Messa nella cappella privata, il Gesuita che aveva assunto la direzione spirituále generále delia casa, i monaci e i preti che venivano a riscuotere elargizioni per quesUi o per quella parrocchia od opera pia; e si compren-derá subito come il viavai di sacerdoti fosse incessante e per-ché ľanticamera di vilk Salina rícordasse spesso uno di quei negozi románi intorno a piazza deila Minerva che espongo-no in vetrina tutti i coprícapo ecdesiastici immaginabili da queUi color di fiamma dei Cardinali a quclli color tizzone per curati di campagna. In quel tale pomeriggio di Maggio 1910 ľadunata di cap-pelli era addirittura senza precedenti. La presenza del Vica-rio Generále dell'Archidiocesi era attestata dal suo vasto cappello di fine castoro di un delizioso color "fuchsia" ada-giato su di una sedia appartata, con accanto un guanto solo, U destro, in seta intrecciata del medesimo delicato colore; 249 • Safari File Modifica Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto [íll 11 Gattopardo : Tomasi di Lampedusa,... FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu.. 4>) 100% P# QABC-esteso Sab 16:56 C\ 8 ^ A archive.org Canti orfici di Dino Campana: poesie.. PI Libraries and publications | Masaryk... □ PÍ Risultati della ricerca - poeti italiani quella de! suo segretario da una lucente peluche nera a peli lunghi, la calotta del quäle cra circondata da un sottile cor-doncino violetto; quella di due padri gesuiti dai loro cappel-li dimessi in řeltro tcnebroso, simboli di riserbo e modestia. II copricapo del cappellano giaceva su una sedia isolata co-me si conviene a queilo di persona sottoposta a inchiesta. La riunionc di quel giorno, infatti, non era roba da poco. In esecuzione di disposizioni pontificie il cardinale-arcive-scovo aveva iniziato una ispezione agli oratoři privati del-l'Archidioccsi allo scopo di assicurarsi dei meriti delle per-sone che avevano l'auiorizzazione di farvi officiare, dclla conformitä dell'arredamento e del culto ai canoni della Chie-sa, dell'autenticitä delle reliquie in esse venerate. La cappella privata delle signorine Salina era la piii nota della cittä e una delle prime che Sua Eminenza si proponeva di visitare; e proprio per predisporre questo awenimento, fissato per l'indomani mattina, Monsignor Vicario si era recato a villa Salina. Alla Curia Arcivescovile erano pervenute, sgocciola-K attraverso chissä quali filtri, voci tncresciose in relazione a quella cappella; non certo in rapporto ai meriti delle pro-prietarie ed al loro diritto di adempiere in casa propria ai loro doved religiosi; questi erano argomenti fuori discussione, e neppure si poneva in dubbio la regolaritä e la continuitä del culto, cose che erano quasi perfette se si volesse trascura-re una soverchia riluttanza, del resto comprensibile, delle signorine Salina a far parteeipare ai riti sacri persone estranee alla loro piii intima cerchia familiäre. L'attenzione del Cardinale era stata attratta su di una immagine venerata nella cappella e sulle reliquie, sulle diecine di reliquie, esposte: circa ('autenticita di esse erano corse le dicerie piii inquietanti e si desiderava che la loro genuinitä venisse comprovata. II cap-pellano, che pur era un ecclesiastico di buona cultura e di migliori speranze, era stato rimproverato con energia per non aver sufficientemente aperto gli occhi alle vecchie signorine: egli aveva avuto, se ě lecito esprimersi cosi, "una la-vata di tonsura". La riunione si svolgeva nel salone centrale della villa, 250 quello delle bertucce e dei pappagalli. Su di un divano rico-perto di panno bleu con filertature rosse acquisto di trent'an-ni prima che stonava malamente con le tinte evanescenti del prezioso parato, sedeva la signorina Concetta con Monsi-gnor Vicario alla destra; ai lati del divano due poltrone simi-li ad esso avevano aecolto la signorina Carolina ed uno dei Gesuitt, padre Corti, mentre la signorina Caterina, che aveva le gambe paralizzate, se ne stava su una seggiolina a rotelle e gli altri ecclesiastici si aecontentavano delle sedie ricoperte della medesima seta del parato che allora sembravano a tueti di minor pregio delle invidiate poltrone. Le tre sorelle erano tutte poco al di qua o poco al di lä della settantina, e Concetta non era la maggiore; ma la lotta egemonica alia quale si e fatto cenno all'inizio essendosi chiusa da tempo con la debelktio delle awersarie, nessuno avrebbe mai pensato a contestarle il rango di padrona di casa. Nella persona di lei emergevano ancora i relitti di una passata bellezza: grassa e imponente nei suoi rigidi abiti di moire nera, essa portava i capelli bianchissimi rialzati sulla testa in modo da scoprire la fronte quasi indenne; questo, in-sieme agli occhi sdegnosi e ad una contrazione astiosetta al di sopra del naso, le conferiva un aspetto autoritario e quasi imperiale; a tal punto che un suo nipote, avendo intravisto il ritratto di una zarina illustre in non sapeva piü qual libro, la chiamava in privato La Grande Catherine, appellativo scon-veniente che, del resto, la totale purezza di vita di Concetta e l'assoluta ignoranza del nipote in fatto di storia russa rende-vano, a conti fatti, innocente. La conversazione durava da un*ora, il caffe era stato pre-so, e si faceva tardi; Monsignor Vicario riassunse i propri argomenti: "Sua Eminenza paternamente desidera che il culto celebrato in privato sia conforme ai piü puri riti di Santa Madre Chiesa ed e proprio per questo che la sua cura pastorale si rivolge fra le prime alla vostra cappella perche egli sa come la vostra casa splenda, faro di luce, sul laicato palermi-tano, e desidera che dalla ineccepibilitä degli oggetti venera-ti scaturisca maggiore edifieazione per voi Stesse e per tutte 251 Ú Safari File Modifica Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto ) 100% H> QABC-esteso Sab 16:56 © ~ W archive.org pjjj II Gattopardo : Tomasi di Lampedusa,... FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu... Canti orfici di Dino Campana: poesie... ^ Libraries and publications | Masaryk... Q Risultati della ricerca - poeti italiani che anche Lei credeva che fosse una immagine sacra." "Monsignore, sono colpevole, lo so. Ma non ě facile affron-tare le signorine Salina, la signorina Carolina. Lei questo non puo saperlo." Monsignore rabbriviďi al ricordo. "Fi-gliolo, ii.ii toccato la piaga col dito; e questo sarä preso in considerazione." Carolina era andata a sfogare la propria ira in una lettera a Chiara, la sorella sposata a Napoli; Caterina, stancata dalla lunga conversazione penosa, era stata posta a letto; Concetta rientro nella sua camera solitaria. Era una di quelle stanze (sono numerose a tal punto che si potrebbe esser tentati di dire che lo sono tutte) che hanno due volti: uno, quello ma-scherato, che mostrano al visiiatore ignaro; l'altro, quello nudo, che si rivela soltanto a chi sia al corrente delle cose, al loro padrone anzitutto cut si palesano nella propria squalli-da essenza. Soleggiata era questa camera, e si arfacciava sul profondo giardino; in un angolo un alto letto con quattro guanciali (Concetta soffriva del cuore e doveva dormire quasi seduta); niente tappeti ma un bel pavimento bianco con intricate filettature gialle, un monetario prezioso con diecine di cassettini ricoperti di pietra dura e di scagliola; scrivania, tavolo centrále e tuno il mobilio di un brioso stile maggioli-no di esecuzione paesana, con figure di cacciatori, di cani, di selvaggina che si affaccendavano ambrate suJ fondo di palis-sandro; arredamento questo che Concetta stessa stimava an-tiquato e persino di pessimo gusto e che, venduto all'asta che segui la mone di lei, forma oggi l'orgoglio di uno spedi-zionierc dovizioso quando la "sua signora" offre un cocktail alle amiche invidiose. Sulle pareti ritratti, acquarelli, imma-gini sacre; tutto pulito, in ordine. Due cose soltanto poteva-no forse apparire inconsuete: nell'angolo opposto al letto un torreggiare di quattro enormi casse di legno dipinte in ver-de, ciascuna con un grosso lucchetto; e davanti ad esse, per terra, un mucchietto di pelliccia malandata. Al visiiatore in-genuo la cameretta avrebbe, se mai, strappato un sorriso. 256 tanto chiaramente vi si rivelava la bonarietá. la eura di una vecehia zitella. Per chi conoscesse i fatti, per Concetta, essa era un infer-no di memorie mummificate. Le quattro casse verdi conte-nevano dozzine di camicie da giorno e da notte, di vestaglie, di federe, di lenzuola aceuratamente suddivise in "buone" e "andanti": il corredo di Concetta invano confezionato cin-quanta anni fa; quei chiavistelli non si aprivano mai per ti-more che saltassero fuori démoni incongrui e sotto lubiqui-taria umiditá palermitana la roba ingialliva, si disfaceva, inu tile per sempře e per chiunque. I ritratti erano quelli di mor-ti non piů amati, ie fotografie quelle tli amici che in vita ave-vano inferto ferite e che per cio soltanto non erano dimenti-cati in mořte; gli acquarelli mostravano case e luoghi in mag-gior pane venduti, anzi malamente barattati, da nipoti sciu-poni; i santi al muro erano come fantasmi che si temono ma cui in fondo non si crede piú. Se si fosse ben guardato nel mucchietto di pelliccia tarlata si sarebbero viste due orec-chie erette, un muso di legno nero, due attoniti ocehi di ve-tro giallo: era Bendicö, da quarantacinque anni mono, da quarantacinque anni imbalsamato, nido di ragnatele e di tarnte, aborrito dalle persone di servizio che da decenni ne chiedevano l'abbandono all'immondezzaio: ma Concetta vi si opponeva sempre: essa teneva a non distaccarsi dal solo ricordo del suo passato che non le destasse sensazioni penose. Ma le sensazioni penose di oggi (a una certa etä ogni giorno presenta puntuale la propria pena) si riferivano tutte al presente. Assai meno infervorata di Carolina, assai piu sensi-bile di Caterina, Concetta aveva compreso il significato della visita di Monsignor Vicario e ne prevedeva le conseguenze; l'allontanamento ordinato per tutte, o quasi, le reliquie; la sostituzione del quadro sull'altare, l'eventuale necessitä di riconsacrare la cappella. AlTautenticitä di quelle reliquie essa aveva creduto assai poco ed aveva pagato con l'animo indifferente di un padre che salda il conto di giocattoli che a lui stesso non interessano ma che son serviti a tener buoni i ragazzi; la rimozione di quegli oggetti le era indifferente; ciö 257 che la pungeva, ciö che costituiva l'assillo di quel giorno era la brutta figura che casa Salina avrebbe latto adesso di fronte alle autorita ecclesiastiche e fra poco di fronte alla citta in-tera; la riservatozza della Chiesa era quanto di meglio potes-se im arsi in Sicilia ma ciö non voleva ancora significare motto; fra un mese, fra due, tutto sarebbe dilagato come tut-to dilagava in quest'isola che anziehe la Trinacria dovrebbe avere a proprio simbok) il siracusano Orecchio di Dionisio che fa rimbombare il piu lieve sospiro in un raggio di cin-quanta nietn. Ed essa alla stima della Chiesa aveva tenuto. II prestigio del nome in sc stesso era lentamente svanito. II pa-trimonio diviso e ridiviso nella migliore ipotesi equivaleva a quello di tanti altri casati inferiori, ed era enormemente inferiore a ciö che possedevano alcuni opulenti industriali; ma nella Chiesa, nei rapporti con essa, i Salina avevano mante-nuto la loro preminenza; bisognava vedere come Sua Emi-nenza riceveva le tre sorelle quando andas'ano a fargli visita per il Natale! Ma adessoi* Una cameriera entrö. "Eccellenza, sta arrivando la Prin-eipessa. L'automobile ě nel cortile." Concetta si alzö, si rav-viö i capelli, buttö sulle spalle uno scialle di merletto nero, riassunse lo sguardo imperiale; e giunse in anticamera men-tre Angelica saliva gli ultimi gradini della scalinata esterna. Soffriva di vene varicose, e le sue gambe, che sempře erano state un pochino troppo corte, la sostenevano male e veniva su appoggiata al braccio del proprio servitore U cui tungo pastrano nero spazzava, salendo, gli scalini. "Concetta cara! " "Angelica mia! da quanto tempo non ci vediamo!" Dal-l'ultima visita erano passati soltanto cinque giorni, tier esser precisi, ma l'intimitä fra le due eugine (intimita simile per vi-cinanza e per sentimenti a quella che pochissimi anni dopo avrebbe stretto italiani ed austriaci nelle contigue trincee), l'intimitä era tale che cinque giorni potevano veramente sembrar molti. In Angelica che era vicina ai settant'anni si scorgevano ancora molti ricordi di bellezza; la malattia che tre anni dopo la avrebbe trasformata in una larva miscranda era giä in atto ma se ne stava acquattata nelle profonditá del suo san-gue; gli occhi verdi erano ancora quelli di un tempo, gli anni u avevano soltanto lievemente appannati e le rughe del collo erano nascoste dai soffici nastri neri della capote che essa, vedova da tre «nni, portava con una civetteria che poteva sembrare nostalgica. "Hai ragione" diceva a Concetta men-tre si dirigevano allacciate verso un salotto "hai ragione, ma con queste feste imminenti per il cinquantenario dei Mille non c e piu pace. Tre giorni fa ftgurati che mi comunicano di avermi chiamato a far parte del Comitato di onore; un omag-gio alla memoria del nostro Tancredi, certo, ma quanto da tare per me! Pensare all'alloggio dei superstiti che verranno da ogni parte d'Italia, disporre gli inviti per le tribune senza offendere nessuno; premurarsi a far aderire tutti i sindaci dei comuni dell'isola. A proposito cara, il Sindaco di Salina ě un clerieale ed ha rifiutato di prender pane alla sfilata; cosi ho pensato subito a tuo nipote, a Fabrizio: era venuto a farmi visita e tac! lo ho acchiappato; non ha potuto dirmi di no e cosi alia fine del mese lo vedremo sfilare in palamidone per via Libertä davanti a un bei cartello con tanto di 'Salina' a lettere di scatola. Non ti sembra un bel colpo? Un Salina renders omaggio a Garibaldi, sarä una fusione della vecchia e della nuova Sicilia. Ho pensato anche a te, cara; eeco il tuo invito per la tribuna di onore, proprio alla destra di quella reale." E trasse fuori dalla borsetta parigina un cartoncino rosso-garibaldino, dell'identico colore della fascetta di seta che Tancredi per qualche tempo aveva portato al disopra del colletto. "Carolina e Caterina saranno scontente" continue a dire in modo del tuno arbitrario "ma potevo disporre di un solo posto: del resto tu ne hai piu diritto di loro, eri tu la cu-gina préterita del nostro Tancredi." Purlava moko e parlava bene; quaranta anni di vita in co-mune con Tancredi, coabitazione tempestosa e interrotta ma lunga a sufficienza, avevano cancellato da tempo fin le ulti-me tracce dell'accento e delle maniere di Donnafugata; essa 2» Safari File Modifies Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto ^ 4-- 100%®D> QABC-esteso Sab 16:56 Q, © ~ [í?l I' Gattopardo : Tomasi di Lampedusa,. FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu... A archive.org 2| Canti orfici di Dino Campana: poesie... n Libraries and publications | Masaryk.. □ ITl Risultati della ricerca - poeti italiani -+- si era mimetizzata al punto da faře, intrecciandole e storcen-dole, quel gioco leggiadro di mani che era una delle caratte-ristiche di Tancredi. Leggeva molto e sul tavolo del suo sa-lotto i piíi recenti libri di France e di Bourget si alternavano con quclli di D'Annunzio e della Serao; e nei salotti palermi-tani passava per una specialista dell'architettura dei castelli francesi della Loira dei quali parlava spesso con esaltazione imprecisa contrapponendo, forse inconsciamente, la loro se-renitá rinascimentale alTirrequietezza barocca del palazzo di Donnafugata contro il quale nutriva un'awersione inspiega-bile per chi non avesse conosciuto la di lei inřanzia sotto-messa e trascurata. "Ma che těsta ho, cara! Dimenticavo di dirti che fra poco verrá qui il senátore Tassom; ě mio ospite a villa Falconeri e desidera conoscerti: era un grande amico del pověro Tancre-di, un suo compagno ďarme, anche, e pare che abbia semito parlare di te da lui. Caro il nostro Tancredi!" II fazzoletto col sottile bordino nero usci dalla borsetta, asciugó una la erima dagli ocehi ancor belli. Concetta aveva sempře intercalato qualche frase nel ron-zio continuo della voce di Angelica; al nome di Tassoni pero tacque. Kivedeva la scéna, lontanissima ma chiara, come ció che si scorge attraverso un cannocchialc rovesciato: la grande tavola bianca circondata da tutti quei moru: Tancredi vidno a lei, scomparso adesso anch'egli come del resto essa stessa, di řatto, era moru, il racconto brutale, il ríso isterico di Angelica, le proprie non meno isteriche lagrime. Era suta la svolta della sua vita, quella; la strada imboccata allora la aveva condotta fin qui, fino a questo deserto che non era ncppure abitato dalTamore, estinto, e dal rancore, spento. "Ho saputo delle seccature che hai con la Curia. Quanto sono noiosi! Ma perché non me lo hai fatto sapere prima? Qualcosa avrei potuto fare: il Cardinale ha dei riguardi per me; ho paura che adesso sia troppo urdi. Ma lavoreró nelle quinte. Del resto non sará nulla." II senátore Tassoni, che giunse presto, era un vispo ele-gantissimo vecehietto. La sua riechezza, che era grande e 260 crescente, era stata conquistata attraverso competiziom e lotte; quindi anziche infiacchirlo lo aveva mamenuto in continuo suto energetico che adesso superava gli anni e li man-teneva focosi. Nei pochi suoi mesi di servizio nell'Esercito Meridionale di Garibaldi aveva contratto un piglio miliure-sco destinato a non cancellarsi mai, unito alia cortesia cio ave\'a formato un filtro che gli aveva procurato prima molti dolci successi e che adesso, mescolato al numero delle sue azioni, gli serviva egregiamente per terrorizzare i Consigli di Amministrazione bancari e cotonieri; mezza Italia e gran parte dei paesi balcanici cucivano i propri bottom con i fila-ti della ditta Tassoni & C. "Signorina," andava dicendo a Concetta mentre sedeva accanto a lei su di uno sgabellino basso adatto per un paggio e che appunto per questo aveva scelto "signorina, si realizza adesso un sogno della mia gioventii lontanissima. Quante volte nelle gelide notti di bivacco sul Volturno o attorno agli spalti di Gaeta assediata, quante volte il nostro indimentica-bile Tancredi mi ha parlato di Lei; mi sembrava di conosce-re la sua persona, di aver frequentato questa casa fra le cui mura la sua giovinezza indomita trascorse; sono felice di po-tere, benche con tanto ritardo, deporre il mio omaggio ai piedi di chi fu la consolatrice di uno dei piu puri eroi del nostro Riscatto!" Concetta era poco awezza alia conversazione con perso-ne che non conoscesse fin dall'infanzia; era anche poco amante di letture; quindi non aveva avuto modo d'immu-nizzarsi contro la retorica ed anzi ne subiva il fascino sino a diventarne succube. Si commosse alle parole del senatore: dimeniico il semi-centenario aneddoto guerresco, non vide piu in Tassoni il violatore di conventi, il beffeggiatore di povere religiose spaventate, ma un vecchio, un sincero amico di Tancredi che parlava di lui con affetto, che recava a lei, ombra, un messaggio del mono trasmesso attraverso quegli acquitrini del tempo che gli scomparsi possono tan-to di rado guadare. "E che cosa Le diceva di me il mio caro cugino?" chiese a mezza voce con una timidezza che faceva 261 rivivere la diciottenne in quell'ammasso di seta nera e di ca-pelli bianchi. "Ah! molte cose! parlava di lei quasi quanto parlasse di donna Angelica; questa era per lui l'amore, Lei invece era l'immagine dell'adolescenza soave, di quell'adolescenza che per noi soldati passa tanto in fretta." U gelo strinse di nuovo il vecchio cuore; e giä Tassoni ave-va alzato la voce, si rivolgeva ad Angelica: "Si ricorda, prin-cipessa, quanto egli ci disse a Vienna dieci anni fa?" Si rivol-se di nuovo a Concetta per spiegare. "Ero andato Ii con la delegazione italiana per il trattato di commercio; Tancredi mi ospitö all'ambasciata col suo grande cuore di amico e di camerata, con la sua affabilitä di gran signore. Forse il rive-dere un compagno d'armi in quella cittä ostile lo aveva com-mosso e quante cose del suo passato ci raccontö allora! In un retropalco dell'Opera, fra un atto e I'altro del 'Don Giovanni', ci confessö con la sua ironia impareggiabile, un pec-cato, un suo imperdonabile peccato, come diceva lui, com-messo comro di lei; si, contro di lei, signorina." S'interruppe un attimo per dare agio di prepararsi alia sorpresa. "Si figuri che ci raccontö come una sera, durante un pranzo a Donna-fugata, si fosse permesso d'inventare una frottola e di rac-contarla a Lei; una frottola guerresca in relazione ai combat-timenti di Palermo, nella quale figuravo anche io; e come Lei 10 avesse creduto e si fosse offesa perche il fatterello narrato era un po' audace, secondo I'opinione di cinquant'anni fa. Lei lo aveva rimproverato. 'Era tanto cara' diceva 'mentre mi fissava con i suoi occhi incolleriti e mentre le labbra si gonfiavano graziosamente per 1'ira come quelle di un cuc-ciolo; era tanto cara che se non mi fossi trattenuto la avrei abbracciata li davanti a venti persone ed al mio terribile zio-ne.' Lei, signorina, lo avrä dimenticato; ma Tancredi se ne ri-cordava bene, tanta delicatezza vi era nel suo cuore; se ne ri-cordava anche perche il misfatto lo aveva commesso proprio 11 giorno nel quale aveva incontrato donna Angelica per la prima volta." Ed accennö verso la principessa uno di quei gesti di omaggio con la destra abbassantesi nell'aria la cui tradizione goldoniana si conservava soltanto fra i Senatori del Regno. La conversazione continue per qualche tempo ma non pud dirsi che Concetta vi prendesse gran parte. L'improwi-sa rivelazione penetro nella sua mente con lentezza c dappri-ma non la fecc troppo soffrire. Ma quando congedatisi e an-dati via i visitatori essa rimase sola, comincio a veder piu chiaro e quindi a patire di piu. Gli spettri del passato erano esorcizzati da anni; si trovavano. naturalmente, nascosti in tutto ed erano essi che conferivano amarezza al cibo, tedio alle compagnie; ma il loro volto vero non si era gia da molto tempo mostrato; adesso saltava fuori awolto nella funebre comicita dei guai irreparabili. Certo sarebbe assurdo dire che Concetta amasse ancora Tancredi; la eternita amorosa dura pochi anni e non cinquanta; ma come una persona da cinquant'anni guarita dal vaiolo ne porta ancora le macchie sul volto benche possa aver dimenticato il tormento del male, essa recava nella propria oppressa vita attuale 1c cicatrici della propria delusione ormai quasi storica, storica a tal pun-to anzi che se ne celebrava ufficialmeme il cinquantenario. Ma fino ad oggi quando essa, raramente, ripensava a quanto era avvenuto a Donnafugata in quell 'estate lontana si sentiva sostenuta da un senso di martirio subito, di torto patito, dal-I'animosita contro il padre che la aveva sacriticata, da uno struggente sentimento riguardo a qucll'altro mono; questi sentimenti derivati che avevano costituito lo scheletro di tut-to il suo modo di pensare si disfacevano anch'essi; non vi erano stati nemici ma una sola awersaria, essa stcssa; il suo awenire era stato ucciso dalla propria imprudenza. dall'im-peto rabbioso dei Salina; le veniva meno adesso, proprio nel moniento in cui dopo decenni i ricordi ritornavano a farsi vi-vi, la consolazione di poter attribuire ad altri la propria inte-licita, consolazione che e l'ultimo inganncvole filtro dei di-sperati. , Se le cose erano come Tassoni aveva detto, le lungne ore passate in saporosa degustazione di odio dinanzi al ritratto del padre, l'aver celato qualsiasi fotografia di Tancredi per 263 26J É Safari File Modifica Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto [ill II Gattopardo : Tomasi di Lampedusa, 4)) 100% Hi QABC-esteso Sab 16:56 Q, Q \= FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu.. fi archive.org 1 Canti orfici di Dino Campana: poesie.. Fl Libraries and publications | Masaryk... □ 71 Risultati delia ricerca - poeti italiani non esser costretta a odiare anche lui, erano slate deile ba-lordaggini; peggio. delle ingiustizie crudeli; e soŕfrí quando le tornô in mente l'accento caloroso, l'accento supplichevole di Tancredi mentre pregava lo zio di lasciarlo entrare nel convento; erano state parole di amore verso di lei, quelle, parole non comprese, poste in fuga dall'orgoglio e che di fronte alia sua asprezza si erano ritirate con la coda fra le gambe come cuccioli percossi. Dal rondo atemporale del-l'essere un dolore nero sali a macchiarla tutta dinanzi a quel-la rivelazione delia verila. Ma era poi la veritä questa? In nessun luogo quanto in Si-cilia la verili ha vita breve: il fatto ě awenuto da cinque minuti e di giä il suo nocciolo genuino é scomparso, camuifato, abbellito, sfigurato, oppresso, annientato dalla fantasia e da-gli intcressi; il pudore, la paura, la generosita, il malanimo, l'opportunismo, la carita, tutte le passioni le buone quanto le cattive si precipitano sul fatto e lo fanno a brani; in breve ě scomparso. E ľinfelice Concetta voleva trovare la verita di sentimenti non espressi ma soltanto intravisti mezzo secolo fa! La veritä non c'era piú; la sua precarietä era stata sosti-tuita dalľirrefutabilitä delia pena. Intanto Angelica e il Senátore compivano il breve tragitto sino a villa Falconeri. Tassoni era preoccupato: "Angelica" disse (con lei aveva avuto una breve relazione galante trent'anni prima e conservava quella insostituibile intimita conferita da poche ore passate fra il medesimo paio di len-zuola) "temo di aver in qualche modo urtato vostra cugina; avete notato come era silenziosa alia fine della vLsita? mi di-spiacerebbe, ě una cara signora." "Credo bene che la avete urtata, Vittorio" disse Angelica esasperata da una duplice benché fantomatica gelosia "essa era pazzamente innamorata di Tancredi; ma lui non aveva mai badato a lei." E cost una nuova palata di terra venne a cadere sul tumulo della veritä. II Cardinale di Palermo era dawero un sanťuomo; e adesso che da molto tempo non c e piú rimangono vivi i ri- 2M cordi della sua caritä e della sua fede. Mentre viveva, pero, le cose stavano diversamente: non era siciliano, non era neppu-re meridionale o romano e quindi ľattivitá sua di settentrio-nale si era molti anni prima sforzata a far lievitare la pasta inerte e pesante delia spiritualita siciliana in generále e del clero in particolare. Coadiuvato da due o tre segretari del proprio paese si era illuso, nei primi anni, che fosse possibi-le rimuovere abusi, poter sgombrare il terreno dalle piú flagranti pietre d'inciampo. Presto si era dovuto accorgere che era come sparar fucilate nella bambagia: il piccolo foro pro-dotto sul momento veniva colmato dopo brevi istanti da mi-gliaia di fibrUle complici e tutto restava come prima, con in piú il costo della polvere, il deterioramento del materiále e il ridicolo dello sforzo inutile. Come per tutti coloro che, in quei tempi, volevano riformare checchcssia nel carattere siciliano si era presto formata su di lui la reputazione che fosse un fesso (il che nelle circostanzc ambientali era esatto) e doveva accontentarsi di compiere passive opere di miseri-cordia che del resto non facevano se non diminuire ancora la sua popolarita se esse esigevano dai beneficati la benché minima fatica come, per esempio, quella di recarsi al Palazzo Arcivescovile per ricevere gli aiuti. II prelaw anziano che la mattina del quattordici Maggio si recô a villa Salina era quindi un uomo buono ma disilluso che aveva finito con l'assumere verso i propri diocesani una attitudine di sprezzante misericordia (talvolta, dopo rutto, ingiusta) che lo spingeva ad adottare dei modi bruschi e ta-glienti che sempře piú lo trascinavano nella paiude della di-saffezione. Le tre sorelle Salina, come sappiamo, erano fondamental-mente offese dall'ispezione alia loro cappella. ma, anime in-fantili e, dopo tuno femminili com'erano, ne pregustavano anche le sodisfazioni marginali ma innegabili: quella di ricevere in casa loro un Principe della Chiesa, quella di poter mostrargli il fasto di casa Salina che esse in buona fede cre-devano ancora intatto, ed innanzi rutto quella di poter per mezz'ora vedere aggirarsi in casa loro una specie di sontuoso 265 • Safari File Modifica Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto 4>) 100% ©3' QABC-esteso Sab 16:56 Q, © ~ [fij] II Gattopardo : Tomasi di Lampedusa,. W archive.org FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu... Canti orfici di Dino Campana: poesie... 71 Libraries and publications | Masaryk... PI Risultati della ricerca - poeti italiani volatile rosso e di poter ammirare i toni van ed armonizzati delle sue diverse porpore e la marezzalura dclle pesantissime sete. Le poverette perö erano destinate a rimaner deluse an-che in questa ultima modesta speranza: quando esse, discese al basso della scala esterna videro uscire dalla vettura Sua Eminenza dovettero constatare che essa si era posta in pic-cola tenuta: sulla severa tonaca nera soltanto minuscoli bot-toncini purpurei stavano ad indicare il suo altissimo rango; ju.iii.-r.nl.> :l volto di oltraggiata bontä U cardinale non aveva maggiore imponenza dell'arciprete di Donnafugata. Fu cor-tese ma freddo e con troppa sapiente mistura seppe most rare 11 proprio rispetto per casa Salina e le virtu individuali delle signorine unito al proprio disprezzo per la loro inettitudi-nc e formalistica devozione; non rispose parola alle esclama-zioni di Monsignor Vicario sulla bellezza dell'arredamento dei salotti che traversarono, rifiutö di accettare checchessia del sontuoso rinfresco preparato ("grazie, signorina, soltanto un po' di acqua: oggi ě la vigilia deÚa festa del mio Santo Patrono"), non si sedette neppure. Andö in cappella, si genuflesse un attimo dinanzi alia Madonna di Pompei, ispezionö di sfuggita le reliquie. Pcro benedisse con pastorale mansuetudine le padrone di casa e la servitú inginoc-chiate in sala d'ingresso, e dopo: "Signorina" disse a Con-cetta che aveva sul volto i segni di una none insonne "per tře o quattro giorni non si potrá celebrare nella cappella il Servizio Divino; ma sará mia cura di far prowedere prestissimo alia riconsacrazione. A mio parere I'immagine della Madonna di Pompei occupera degnamente il posto del quadro che č al disopra deU'altare, il quale, del resto, poträ unirsi alle belle opere d'arte che ho ammirato traversando i vostri salotti. In quanto alle reliquie lascio qui don Pac-chiotti, mio segretario e sacerdote competentissimo; egli esaminerä i documenti e comunichera loro i risultati delle sue ricerche; e quanto deciderá sará come se lo avessi deci-so io stesso." Da tutti si lasciö benignamente baciare l'anello, e, pesan-te, sali in vettura insieme al piccolo seguito. 266 Le carrozze non erano ancora giume alio svolto di Falco-neri che Carolina con le mascelle serrate e gli occhi saettanti esclamava: "Per me questo Papa ě un turco," mentre si era costretti a far fiutare deU'etere solforieo a Caterina. Concet-ta s'intratteneva calma con don Pacchiotti che aveva finito con I'accettare una tazza di caffě e un babä. Poi il sacerdote chiese la chiave della cassa dei documenti, domandö permesso e si ritiro nella cappella non senza aver prima estratto da una sua borsa un martelletto, una se-ghetta, un cacciavite, una leňte d'ingrandimento e un paio di matite. Era stato allievo della Scuola di Paleografia Vati-cana, inoltre era Piemontese: il suo lavoro fu lungo e accu-rato; le persone di servizio che passavano davanti all'ingres-so della cappella udivano martellatine, stridorini di viti e so-spiri. Dopo tre ore ricomparve con la tonaca impolveratissi-ma e le mani nere ma lieto e con un'espressione di serenitä sul volto occhialuto: si scusava perché recava in mano un grande cestino di vimini: "Mi sono permesso di appropriar-mi di questo cestino per riporvi la roba scartata; posso po-sarlo qui?" E depose in un angolo il suo aggeggio che strari-pava di cane stracciate, di cartigli, di scatoline contenenti ossami e cartilagini. "Sono lieto di dire che ho trovato cinque reliquie perfettamente autentiche e degne di essere og-getto di devozione. Le altre sono li" disse mostrando il cestino. "Potrebbero dirmi, signorine, dove posso spazzolar-mi e ripulirmi le manii1" Ricomparve dopo cinque minuti e si asciugava le mani con un grande asciugamano sull'orlo del quale un Gattopardo in filo rosso danzava. "Dimenticavo di dire che le comici sono in ordine sul tavolo della cappella; alcune sono vera-mente belle." Si congedava. "Signorine, i miei rispetti." Ma Caterina si rifiutö di baciargli la mano. "E di quel che c e nel cestino cosa dobbiamo fare?" "Assolutamente quel che vo-gliono, signorine; conservarle, o buttarle nell'immondizia; non hanno valore alcuno." E poiché Concetta voleva far ordinäre una carrozza per riaccompagnarlo: "Non si dia pena, signorina; faro colazione dagli Oratoriani, qut a due passi: 267 non ho bisogno J i nulla." E rícollocati nella borsa i propri sirumentini, se ne andô con pié leggero. INDICE ANALITICO Concetta si ritiró nella sua stanza; non provava assoluta-mente alcuna sensazione: le sembrava di vivere in un mondo noto ma estraneo che giá avesse ceduto tutti gli impulsi che poteva dare e che consistesse ormai di pure formě. II rítratto del padre non era che alcuni centimetri quadrati di tela, le casse verdi alcuni metri cubi di legno. Dopo un po' le porta-rono una lettera. La busta era listata a nero con una grossa corona in rilievo: "Carissima Concetta, ho saputo della visita di Sua Eminenza e sono lieta che alcune reliquie si siano po- Pagina tute salvare. Spero di onenere che Monsignor Vicario venga a celebrare la prima messa nella cappella ria>nsacrata. II senátore Tassoni pane domani e si raccomanda al tuo bon sou-ventr. lo verró presto a vedeni e intanto ti abbraccio con af-fetto insieme a Carolina e Caterina. Tua Angelica." Conti-nuó a non scntir niente: il vuoto interiore era completo; sol-tanto dal mucchietto di pelliccia esalava una nebbia di ma-lessere. Questa era la pěna di oggi: financo il pověro Ben-dico insinuava ricordi amari. Suonó il campanello. "Annet-ta" disse "questo cane ě diventato veramente troppo tarlato e polveroso. PonateJo via, buttatelo." Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli occhi di vetro la fissarono con 1'umile rimprovero delle cosc che si scana-no, che si vogliono annullare. Pochi minuti dopo quel che ri-maneva di Bendico venne buttato in un angolo del conile che 1'immondezzaio visitava ogni gíorno: durante il volo giú dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell'aria un quadrupede dai lunghi baffi e I anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tut-to trovó pace in un mucchietto di polvere livida. Fine 29 PARTEI Rosario e presentazione del Principe, il-ll giar-dino e il soldalo mono, 34-Le udienze reali, 37 - La cena, 40 - In vettura per Palermo, 4} - An-dando da Mariannina, 46 - II rttomo a 5. Lorenzo, 47 - Conversazione con Tancredi, 48 - In Amministraztone: t feudi, e i ragionamenti poli-tici, 51 - In osservatono con padre Pirrone, 57 -Distensione alpranzo, 61 - Don Fabrizio e i con-ladini, 62 - Don Fabrizio e il figlio Paolo, 6) -La nolizia dello sbarco e di nuovo il Rosario. 64. 67 PARTEn Viaggto per Donnafugala - La lappa, 69 - Precedent! e svolgimento del viaggio, 71 - Arrivo a Donnafugata, 76 - In chiesa, 77 - Don Onofrio Rotolo, 79 - Conversazione net bagno, 82 - La fontána di Anfitrite, 87 - Sorpresa prima del pranzo, 89 - II pranzo e varie reazioni, 92 - Don Fabrizio e le stelle, 96 - Visita al monastero, 97 -Go che si vede da una finestra, 100. 268 269 • Safari File Modifica Vista Cronologia Segnalibri Finestra Aiuto (Š# M & % ^ *>) 100% H> QABC-esteso Sab 16:56 © ~ A archive.org plij II Gattopardo : Tomasi di Lampedusa,... FF:IJ1B017 Seminar of Italian Literátu... Canti orfici di Dino Campana: poesie... ^ Libraries and publications | Masaryk... Q Risultati della ricerca - poeti italiani 103 PAKTE HI Partenza per la cacda, 105 - Fastidi di Don Fa-brizio, 106 - Lettera di Tancredi, 109-La caccia e tl Plebiscito, 113 - Don Ciccto Tumeo inveisce, 121 - Come si mangia un rospo, 1)1 - Epilo-ghetto, 140. 141 PARTE IV Don Fabrizio e Don Calogero, 14} - Prima visita di Angelica, 145 - Amvo di Tancredi e Cavria-ghi, 150 - Amvo di Angelica, 154 - It ciclone amoroso, 157 - Rilassamento dopo il ciclone, 166-Un piemontese amva a Donna/ugata, 170 -Un giretto in paese, 172- Chevalley e Don Fabrizio, 174 -Partenza all'alba, 184. 187 PARTE V Arrivo di Padre Pirrone a S. Cono. Conversazione con gli amid e I'erbuario, 189 - / guai fami-liari di un Cesuita, 199 - Risoluzione dei guai, 202 - Conversazione con l"uomo di onore", 205 - Ritomo a Palermo, 206. 209 PARTE VI Andando al ballo, 211-11 ballo: ingresso di Pal-lavicino e dei Sedara - Malcontento di Don Fa-brizio, 213 - La sala da ballo, 220 - In btbliote-ca, 223 - Don Fabrizio balla con Angelica, 225 -La cena; conversazione con Pallavicino, 227-11 ballo appassisce, si ritorna a casa, 231. 233 PARTE VII La mořte del Principe, 235. 247 PARTE VIII La visita dl Monsignor Vicario, 249 - II quadro e le reliquie, 253 - La camera di Concetta, 256 -Visita di Angelica e del senátore Tassoni, 258 - II Cardinale fine delle reliquie, 264 - Fine di tutto, 268. 270 271 ■ 1 09