é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä ^ ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:43 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p 05 RICORDI D'INFANZIA é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä ^ ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:43 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p 05 INTRODUZIONE Ho riletto in questi giorni (metá di Giugno 1955) "Henry Brulard". Non lo leggevo dalľormai lontano 1922. Si vede ehe allora mi trovavo ancora sotto ľossessione del "bello esplicito" e delľ"interesse soggetti-vo", e ricordo ehe il libro non mi piacque. Adesso non posso dar torto a chi quasi lo giudica il capolavoro di Stendhal. Vi ě una immediatezza di sensazioni, una evidente sinceritä, un ammirevole sforzo per spalar via gli strati successivi dei ricordi e giungere al fondo. E quale luciditä di stile! E quale ammasso di impres-sioni tanto piú preziose quanto piíi comuni! Vorrei cercare di fare lo stesso. Mi sembra addirittura un obbligo. Quando ci si trova sul declino delia vita ě imperativo cercar di racco-gliere il piú possibile delle sensazioni ehe hanno attraversato questo no-stro organismo. A pochi riuscirä di fare cosi un capolavoro (Rousseau, I Stendhal, Proust), ma a tutti dovrebbe esser possibile di preservare in tal modo qualcosa ehe senza questo lieve sforzo andrebbe perduto per sempře. Quello di tenere un diario o di serivere a una čerta etä le pro-prie memorie dovrebbe essere un dôvere "imposto dallo stato": il materiále ehe si sarebbe aceumulato dopo tre o quattro generazioni avrebbe un valore inestimabile: molti problemi psicologici e storici ehe assillano ľumanitä sarebbero risolti. Non esistono memorie, per quanto seritte da personaggi insignificanti, ehe non racehiudano valori sociali e pitto-reschi di prim'ordine. Lo straordinario interesse ehe destano i romanzi di De Foe consiste nel fatto ehe sono quasi dei diári, geniali benché apocrifi. Pensate un po' cosa sarebbero quelli genuini? Immaginate cosa sarebbe il diario di una ruffiana parigina delia Régence o i ricordi del cameriere di Byron durante ľepoca veneziana? Cercherô di aderire il piú possibile al metodo di "Henry Brulard", fi-nanco nel disegnare le "piantine" delle scéne principáli. Ma non posso essere ďaccordo con Stendhal sulla "qualitä" del ricordo. Lui interpreta la sua infanzia come un tempo in cui subi tirannia e prepotenza. Per me ľinfanzia ě un paradiso perduto. Tutti erano buoni con me, ero il Re delia casa. Anche personaggi ehe poi mi furono ostili allora erano "aux petits soins". Quindi il lettore (ehe non ci sarä) si aspetti di esser menato a spasso in un Paradiso Terrestre e perduto. Se si annoierä, non m'importa. Vorrei dividere queste "Memorie" in tre parti. La prima, "Infanzia", condurra sino alla mia frequentazione del Liceo. La seconda "Giovinez- I piú informazioni • MIolEbookReader Modifica ® w & i 1 ^ 4) 100% WfS? q ABC esteso Mar 10:43 Q. © ;s • O • MIolEbookReader - 1 racconti o P OS HP Q 4 za" si'no a/ 2925. La terra "Maturita" sino ad oggi, data in cui considero che cominci la vecchiaia. I ricordi dell'infanzia consistono, presso tutti credo, in una serie di im-pressioni visive molte delle quali nettissime, prive pero di qualsiasi nes-so cronologico. Fare una "cronaca" della propria infanzia e, credo, impossibile: pur adoperando la massima buona fede si verrebbe a dare una impressione falsa spesso basata su spaventevoli anacronismi. Quindi seguiro il meto-do di raggruppare per argomenti, provandomi a dare una impressione globale nello spazio piuttosto che nella successione temporale. Parlero degli ambienti della mia infanzia, delle persone che la circondarono, dei miei sentimenti dei quali non cerchero "a priori" di seguire lo sviluppo. Posso promettere di non dire nulla che sia falso. Ma non vorro dire tutto, Riservo a me il diritto di mentire per omissione. A meno che non cambi idea. piu informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:44 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS I RICORDI un grande specchio con cornice anch'essa di specchio decorata con stel-le ed altri ornamenti di cristallo che mi piacevano assai. Uno dei piii vecchi ricordi che mi sia possibile di precisare nel tempo, perché si riferisce a un fatto storicamente controllabile, risale al 30 Lu-glio 1900, quindi al momento in cui io avevo qualche giorno piú di 3 anni e mezzo. Mi trovavo insieme a mia Madre e alia sua cameriera (probabilmente Teresa, la torinese) nella stanza di toletta. Era questa una stanza piu lunga che larga che prendeva luce da due balconi opposti, situati sui lati stretti, prospicienti l'uno il giardinetto angusto che separava la nostra casa dall'Oratorio di S. Zita, l'altro un cortiletto interne La tavola di toletta che era a forma "haricot"1 con il piano superiore in vetro sotto il quale traspariva una stoffa rosa, e con le gambe raccolte in una specie di sottana di merletto bianco, era posta dinanzi al balcone che dava sul giardinetto e su di essa vi era, oltre alle spazzole ed altri aggeggi, C;*A <^-rt~ I- _ 4 'Si •«•_ > *m. »..•-<. Pianta della stanza di toletta di mia Madre detta, in seguito, "salottino rosa". Era la mattina, verso le 11, credo, e vedo la grande luce di estate che entrava dalla finestra con i battenti aperti, ma le persiane chiuse. Mia Madre si pettinava, aiutata dalla cameriera, ed io non so cosa fa-cessi, seduto per terra nel centra della stanza. Non so se fosse con noi anche la mia bambinaia, Elvira, la senese, ma credo di no. Ad un tratto sentiamo dei passi affrettati che salgono la scaletta interna che comunicava con l'appartamentino di mio Padre che si trovava al mezzanino inferiore proprio sotto di noi, ed egli entra senza bussare e é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä ^ ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:44 Q. O is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p 05 dice una frase in tono concitato. Ricordo benissimo l'accento di quello che disse, ma non le parole ne il senso di esse. "Vedo" invece ancora l'effetto che esse producono: mia Madre lascio cadere la spazzola d'argento a manico lungo che teneva in mano, Teresa disse "Bon Signour!", e tutta la stanza si trovo costernata. Mio Padre era venuto ad annunziare l'assassinio di Re Umberto awe-nuto a Monza la sera precedente, il 29 Luglio 1900. Ripeto che "vedo" tutte le striature di luce e di ombra del balcone, che "odo" la voce ecci-tata di mio Padre, il rumore della spazzola che cade sul vetro della tolet-ta, 1'esclamazione piemontese della buona Teresa, che "ri-sento" il senso di sgomento che c'invase tutti. Ma tutto questo rimane personalmen-te staccato dalla notizia della morte del Re. II senso per cosi dire storico mi venne detto dopo ed esso serve a spiegare la persistenza della scena nella mia memoria. Un altro dei ricordi che posso bene individuare e quello del terremoto di Messina (28 Dicembre 1908). La scossa fu awertita molto bene a Palermo ma io non me ne ricordo; credo che non interruppe il mio sonno. "Vedo" pero nettamente il grande orologio a pendolo inglese di mio non-no, che allora era posto, incongruamente, nella grande sala d'inverno, fermo alia fatale ora di 5.20, e sento uno dei miei zii (credo Ferdinando che andava matto per l'orologeria) spiegarmi che si era fermato per il terremoto della notte scorsa. Poi ricordo che nella serata, verso le 7 e Vi, mi trovavo nella stanza da pranzo dei miei nonni (io assistivo al loro pranzo spesso, perche esso aveva luogo prima del mio) quando un mio zio, probabilmente lo stesso Ferdinando entro con un giornale della sera, che annunziava "Gravi danni e parecchie vittime a Messina per il terremoto di stamane." Parlo della "stanza da pranzo dei miei Nonni", ma dovrei dire di mia Nonna, perché mio Nonno era morto da un anno e un mese. Questo ricordo é visualmente assai meno vivace del primo, invece esso é dal punto di vista della "cosa awenuta" assai piu preciso. Qualche giorno dopo giungeva da Messina mio cugino Filippo che nel terremoto aveva perduto il padre e la madre. Egli andó ad alloggiare dai miei cugini Piccolo insieme ad un suo cugino Adamo, e ricordo come io andassi dai Piccolo a vederlo in una squallida giornata di pioggia in-vernale. Ricordo che aveva con sé una macchina fotografica (di giä!) che aveva avuto cura di prendere con sé fuggendo dalla sua casa di via della Rovere in rovina, e come su un tavolo davanti una finestra dise-gnasse delle sagome di navi da guerra, discutendo con Casimiro del ca-libro di cannoni e della posizione delle torrette; attitudine sua di distac-co fra le orribili sventure che lo avevano colpito che venne giä allora criticata in famiglia ma attribuita caritatevolmente alio "shock" (allora si diceva "impressione") subito dal disastro e che si diceva comune a tutti i superstiti messinesi. In seguito essa venne piú giustamente messa a conto di quella sua freddezza di carattere che si esalta soltanto dinan-zi a quistioni tecniche come appunto la fotografia e le torrette delle prime "dreadnoughts". Ricordo anche il dolore di mia Madre quando parecchi giorni dopo giunse notizia del ritrovamento del cadavere di sua sorella Lina e del cognato. Vedo mia Madre singhiozzare seduta in una grande poltrona nel Salone Verde nella quale nessuno si sedeva mai (quella stessa pero < > piu informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:44 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS ne//a qua/e "vedo" seduta mia bisnonna), ricoperta di una corta mantel-lina di "astrakan moire". Grandi carri militari passavano per le strade per raccogliere indumenti e coperte per i profughi; uno di essi passö an-che per via Lampedusa e da un balcone di casa nostra mi fecero tende-re a un soldato che stava all'impiedi sul carro e quasi era al livello del balcone, due coperte di lana. II soldato era di artiglieria con la bustina bleu filettata di arancione; ne vedo ancora la faccia rubiconda e sento come dice, con accento emiliano, "Grazzie, ragazzo". Ricordo anche come si andasse dicendo che i profughi che erano alloggiati dappertutto e anche nei palchi dei teatri si conducessero fra di loro "in modo molto indecente" e mio Padre che diceva sorridendo "hanno il desiderio di rimpiazzare i morti" - allusione che comprendevo benissimo. Di mia zia Lina, morta nel terremoto (la cui fine apri la serie delle morti tragiche fra le sorelle di mia Madre che offrono il campione dei tre generi di morte violenta, la disgrazia, l'omicidio e il suicidio) non conservo nessun netto ricordo. Essa veniva raramente a Palermo; ricordo invece il marito, che aveva due occhi vivacissimi dietro gli occhiali e una barbetta brizzolata e in disordine. Un'altra giornata e rimasta bene impressa nella mia memoria: non posso precisarne la data che fu perö certamente di molto anteriore al terremoto di Messina, anzi credo venne poco dopo la morte di re Umberto. Eravamo ospiti dei Florio nella loro villa di Favignana, in piena estate. Ricordo che Erica, la bambinaia, venne a svegliarmi phi presto del solito, verso le 7, mi passö in fretta una spugna con acqua fredda sul viso e poi mi vesti con grande cura. Fui trascinato abbasso, uscii da una porticina laterale sul giardino, e poi mi hanno fatto risalire sulla veran- da principále ďingresso alla villa che guardava sul maře ed alla quale si accedeva da una scalinata di sei o sette scalini. Ricordo il sole accecan-te di quella mattinata di Luglio od Agosto. Sulla veranda, che era ripara-ta dal sole da grandi tende di tela arancione che il vento di mare gonfia-va e faceva sbattere come vele (ne sento lo schioccare) erano sedute su sedie di vimini mia Madre, la signora Florio (la "divina beltá" Franca) ed altre persone. Al centro del gruppo si trovava seduta una vecchissi-ma signora, assai curva e con un naso adunco, awolta in veli vedovili che si agitavano furiosamente al vento. Mi portarono dinanzi ad essa che disse alcune parole che non capii, si curvó ancora di piú e mi diede un bacio sulla fronte (dovevo quindi essere molto piccolo, se una signora seduta doveva ancora curvarsi per baciarmi). Dopo di che fui trascinato via, riportato in camera mia, spogliato dei miei vestiti di gala, rive-stito in un piú modesto abbigliamento e condotto sulla spiaggia dove erano di giá i ragazzi Florio ed altri con i quali, dopo aver fatto il bagno, restammo a lungo sotto il cocentissimo sole a giocare al nostro gioco preferito che era quello di ricercare nella sabbia dei pezzettini di rossis-simo corallo che vi si trovavano con una čerta frequenza. Mi venne rivelato nel pomeriggio che la vecchia signora era Eugenia, ex imperatrice dei Francesi, il cui "yacht" si trovava alla fonda davanti a Favignana, che era stata a pranzo dai Florio la sera prima (senza che io, naturalmente, ne sapessi niente) e che aveva nella mattinata fatto una visita di congedo (a quell'ora delle sette, infliggendo cosi, con indiffe-renza imperiále, un vero supplizio a mia Madre e alla signora Florio) ed alla quale si voliéro presentare i rampolli. La frase che essa disse prima di baciarmi pare sia stata: "Quel joli petit!" < > piú informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä ^ ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:44 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p 05 1 Nel manoscritto la forma delia tavola di toletta ě indicata da un dise-gno. (Vedi immagine) • MIolEbookReader Modifica ® w & i I ^ 4) 100% WfS? q ABC esteso Mar 10:44 Q. o • O • MIolEbookReader - 1 racconti o Q p OS INFANZIA I LUOGHI Anzitutto la nostra casa. La amavo con abbandono assoluto. E la amo ancora adesso quando essa da dodici anni non e piii che un ricordo. Fino a pochi mesi prima della sua distruzione dormivo nella stanza nella quale ero nato, a quattro metri di distanza da dove era stato posto il let-to di mia madre durante il travaglio del parto. Ed in quella casa, in quel-la stessa stanza forse, ero lieto di essere sicuro di morire. Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi) sono state dei tetti che han-no servito a ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma non delle CASE nel senso arcaico e venerabile della parola. Ed in ispecie quella che ho adesso, che non mi place affatto, che ho comperato per far piacere a I mia Moglie e che sono stato lieto di far intestare a lei, perche veramen-te essa non e la mia casa. Sara quindi molto doloroso per me rievocare la Scomparsa amata come essa fu sino al 1929, nella sua integritä e nella sua bellezza, come essa continuö dopo tutto ad essere sino al 5 Aprile 1943 giorno in cui le bombe trascinate da oltre Atlantico la cercarono e la distrussero. La prima sensazione che mi viene in mente e quella della sua vastitä. E questa sensazione non e dovuta all'ingrandimento che l'infanzia fa di ciö che la circonda, ma alla realtä effettiva. Quando ne vidi l'area coper-ta di ripugnanti rovine, la sua superficie era di 1600 mq. Abitata soltan-to da noi in un'ala, dai miei nonni paterni in un'altra, dai miei zii scapoli al secondo piano, essa era tutta a mia disposizione durante venti anni, con i suoi tre cortili, le sue quattro terrazze, il suo giardino, le sue scale immense, i suoi anditi, i suoi corridoi, le sue scuderie, i piccoli ammez-zati per le persone di servizio e per l'Amministrazione, un vero regno per un ragazzo solo, un regno vuoto o talvolta popolato da figure tutte affettuose. In un nessun punto della terra, ne sono sicuro, il cielo si e mai steso piü violentemente azzurro di come facesse al di sopra della nostra ter-razza rinchiusa, mai il sole ha gettato luci piü miti di quelle che pene-travano attraverso le imposte socchiuse nel "salone verde", mai mac-chie di umiditä sui muri esterni di cortile hanno presentato forme piü eccitatrici di fantasia di quelle di casa mia. Tutto mi piace in essa: l'asimmetria dei suoi muri, la quantitä dei suoi saloni, gli stucchi dei suoi soffitti, il cattivo odore della cucina dei miei nonni, il profumo di violetta nella stanza di toletta di mia Madre, l'afa < > piü informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä 'S?" ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:45 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p OS delle sue scuderie, la buona sensazione di cuoi puliti delia selleria, il mi-stero di čerti appartamenti non finiti al secondo piano, ľimmenso locale delia rimessa nella quale si conservavano le carrozze; tutto un mondo pieno di gentili misteri, di sorprese sempre rinnovate e sempre tenere. Ne ero il padrone assoluto e di corsa ne percorrevo continuamente i vasti spazi, salendo dal cortile su per la scala "grande" sino alla "loggia" situata sul tetto dalla quale si vedeva il mare e Monte Pellegrino e tutta la cittä sino a Porta Nuova e Monreale. E poiché con deviazioni e giravolte sapevo evitare le stanze abitate mi sentivo solo e dittatore, se-guito spesso soltanto dalľamato Tom che correva eccitatissimo alle mie calcagna, con la lingua rosa penzoloni fuori dal caro muso nero. I Planta di casa Lampedusa. La casa (e casa voglio chiamarla e non palazzo, nome che ě stato de-turpato appioppato come ě adesso ai falansteri di quindici piani) era rin-tanata in una delle phi recondite strade della vecchia Palermo, in via Lampedusa, al n. 17, numero onusto di cattivi presagi ma che allora ser-viva soltanto ad aggiungere un saporino sinistra alla gioia che essa sa-peva dispensare. (Quando poi, trasformate le scuderie in magazzini, chiedemmo che il numero fosse mutato ed esso divento 23, si andava verso la fine: il numero 17 le portava fortuna.) La strada era recondita ma non strettissima, e ben lastricata; e non sudicia come si potrebbe credere perché di faccia al nostra ingresso e per tutta la lunghezza del fabbricato, si stendeva l'antico palazzo Pietra-perzia che non aveva né negozi né abitazioni al pianterreno e che mo-strava soltanto un'austera ma pulita facciata, bianca e gialla, come si deve, punteggiata da molte finestre custodite da enormi inferriate che le conferivano un aspetto dignitoso e triste di vecchio convento o di pri-gione di stato. (Gli scoppi delle bombe, poi, scaraventarono molte di queste pesanti inferriate dentro le nostra stanze prospicienti, con quali lieti effetti sugli stucchi antichi ed i lampadari di Murano puó essere immaginato.) Ma se la via Lampedusa, per lo meno per tutta la distesa della nostra casa, era decente, non cosi lo erano le vie di accesso: la via Bara all'Oli-vella che portava in piazza Massimo era brulicante di miseria e di catodi2 e percorrerla era un affare triste. Divenne un po' meglio quando venne tagliata la via Roma, ma rimase sempre un buon tratto da fare tra sporcizia e orrori. piů informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä "S?" ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:45 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p OS La facciata delia casa non aveva nulla di architettonicamente prege-vole: era bianca con le larghe inquadrature delle aperture color giallo zolfo, il piú puro stile siciliano del 6 e 700 insomma. La casa si stendeva nella via Lampedusa per una sessantina di metri ed aveva 9 grandi bal-coni di facciata. I portoni erano due, quasi agli angoli delia casa, enor-memente larghi come si facevano prima per permettere alle vetture di svoltarvi dentro anche da strade strette. Ed infatti vi svoltavano con fa-cilitä anche gli attacchi a quattro ehe mio Padre guidava con maestria nei giorni di corse al galoppo alla Favorita. Varcato il portone dal quale si entrava sempre, il primo a sinistra guardando la facciata, quasi alľangolo delia via Bara e separato dal canto delia casa soltanto dallo spazio di un paio di metri nel quale si apriva la fmestra grigliata delia portineria, si entrava in un breve andro-ne lastricato con i due muri laterali a stucco bianco, sorretti da un basso scalino. A sinistra vi era la guardiola del portiere (cui faceva seguito nell'intemo la sua abitazione) con la bella porta di mogano nel centro delta quale vi era un grande vetro opaco con il nostro stemma. E subito dopo sempre a sinistra precedendo ai due scalini, I'ingresso alla "scala grande", con la sua porta a due battenti anch'essa di mogano e vetro ma senza stemmi e col vetro trasparente, proprio di fronte alla scala a destra vi era un porticato con colonne di bella pietra grigia di Billiemi che sostenevano il soprastante "tacchetto". Di faccia al portone vi era il grande cortile acciottolato e diviso in spicchi da file di lastrichi. Esso era terminato da tre grandi archi sostenuti anch'essi da colonne di Billiemi che portavano la terrazza che univa, in quel punto, le due ali della casa. Sotto il primo porticato, a destra deWandrone, vi erano pareechie piante, palme soprattutto, in botti di legno verniciate di verde e in fondo una statua, in gesso, di non so quale dio greco alYimpiedi. In fondo pure, e parallela alVingresso vi era la porta della selleria. La "scala grande" era molto bella, tutta in Billiemi grigio, a due rampě di una quindicina di scalini ognuna, incassata fra due muri giallini. Dove cominciava la seconda rampa vi era un ampio pianerottolo oblun-go con due porte in mogano, una di fronte a ciaseuna rampa, quella che dava nella prima fuga conduceva nei locali dell'ammezzato adibiti ad Amministrazione e chiamati "la Contabilitá", Valtra in un piccolissimo sgabuzzino che serviva ai camerteri per mutare di livrea. Queste due porte erano adome di un comicione pure in Billiemi di sti-le Impero, ed erano sormontate all'altezza del primo piano ciaseuna da un balconcino a petto ďoca dorato che si aprivano ambedue sulla picco-la saletta ďingresso alVappartamento dei Nonni. Ho dimenticato di dire che subito dopo 1'ingresso alla scala, pero dalla parte esterna, sul cortile, pendeva il laccio rosso della campana che il portiere doveva suonare per awertire la servitú che si erano ritirati i padroni o che erano venute delle visitě. II numero dei colpi di campana, che i portinai eseguivano magistralmente, ottenendo, non so come, dei colpi secehi e separati, senza noiosi tintinnii, era rigorosamente proto-collizzato: quattro colpi per mia Nonna, la Principessa, due per le visitě della Principessa, tře per mia Madre, la Duchessa, uno per le visitě di lei. Succedevano pero dei malintesi, cosieché essendo talvolta rientrate nella stessa vettura mia Madre, mia Nonna e un'amica che avevano pre-so con sé nella strada, venne eseguito un vero concerto di 4 + 3 + 2 col- < > piů informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä "S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:45 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p QS pi che non finiva piu. I padroni maschi (mio Nonno e mio Padre) usciva-no e si ritiravano senza che per loro si scampanasse. "i i 1 i i Terminata la seconda fuga delle scale si sboccava nelľampio e lumi-noso "tacchetto" cioě in un porticato i cui vani fra le colonne erano stati riempiti, per ragioni di comoditä, da grandi vetrate di vetro opaco a lo-sanghe.3 In esso vi erano pochi mobili: grandi quadri di antenati e un grande tavolo a sinistra sul quale si posavano le lettere in arrivo (e fu li che lessi una cartolina proveniente da Parigi indirizzata alio zio Ciccio nella quale una qualche sgualdrinella francese aveva scritto: "Dis ä Moffo qu'il est un mufle"), due belle cassapanche e una statua in gesso di Pandora nell'atto di aprire la fatale scatola, circondata da piante. In fondo, di faccia alio sbocco della scala, vi era una porta sempre chiusa che immetteva direttamente nel "salone verde" (porta che molto dopo divenne quella d'ingresso al nostro appartamento), e a destra della scala I'ingresso alia "sala grande", protetta da una porta sempre aperta di raso rosso trapunto con la parte superiore recante a colori nel vetro lo stemma nostro e quello Valdina. La "sala grande" era un immenso ambiente, pavimentato a lastre di marmo bianco grigio, con tre balconi su via Lampedusa e uno sul cortile Lampedusa, prolungamento cieco della via Bara. Esso era diviso in due da un arco, lo divideva in due parti ineguali, la prima piu piccola, Valtra assai piu vasta. Con grave rammarico dei miei genitori essa era di deco-razione interamente moderna, poiché nel 1848 vi era caduta una bomba che ne distrusse il bel soffitto dipinto e ne danneggió irreparabilmente le pitture murali. Per lungo tempo pare anzi vi crescesse un bel fico. Essa venne rifatta quando mio Nonno si sposó, cioě nel 1866 o '67, ed era tutta a stucco lucido bianco, con un "lambris" di marmo grigio. Nel centro del soffitto di ognuna delle due parti era dipinto uno stemma, di faccia alia porta d'ingresso vi era un grande tavolo di noce sul quale le visitě deponevano cappelli e cappotti; poi vi erano alcune cassapanche e qualche seggiolone. Era in questa sala grande che stáváno i camerieri, bighellonando sui loro sedili e pronti a precipitarsi nel tocchetto al suo-no della famosa campana. Entrati dalla porta di stoffa rossa della quale ho parlato se si girava verso la parete di sinistra si trovava un'altra porta anch'essa di stoffa ma verde che dava nel nostro appartamento; se si girava a sinistra si doveva traversare tutto I'ambiente finché a destra si trovava uno scali-no e una porta che conduceva all'appartamento dei Nonni e precisa- piu informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i 1 ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:45 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS mente cominciando da quella "saletta" con i due balconcini che davano sulla scala. Varcata la porta di stoffa verde si entrava neU'"anticamera" che aveva sei soprapporte di ritratti di antenati sul suo balcone e sulle sue due porte, un parato di seta grigia, altri quadri e pochi mobili scuri. E l'oc-chio penetrava nella prospettiva dei salotti che si stendevano l'uno dopo l'altro lungo la facciata. Qui cominciava per me la magia delle luci che in una citta a sole intenso come Palermo sono succose e variate secondo il tempo anche in strade strette. Esse erano talvolta diluite dai tendaggi di seta davanti ai balconi, talaltra invece esaltate dal loro battere su qualche doratura di cornicione o da qualche damasco giallo di seggiolo-ne che le rifletteva; talora, specialmente in estate, i saloni erano oscuri ma dalle persiane chiuse filtrava la sensazione della potenza luminosa che era fuori, talaltra, a seconda dell'ora, un solo raggio penetrava dirit-to e ben delineato come quelli del Sinai, popolato da miriadi di granelli-ni di polvere, e andava ad eccitare il colore dei tappeti che era unifor-memente rosso rubino in tutte le stanze. Un vero sortilegio di illumina-zioni e di colon che mi ha incatenato l'anima per sempre. Talvolta in qualche vecchio palazzo o in qualche chiesa ritrovo questa qualita luminosa che mi struggerebbe l'anima se non fossi pronto a sfornare qualche "wicked joke". Dopo l'anticamera veniva la stanza detta del "lambris" perche rivesti-ta sino a mezza altezza appunto da un "lambris" di noce intagliato, dopo ancora la stanza detta "della cena" con le pareti tappezzate di stoffa arancione a fiori, stoffa che ancora in parte soprawive come tappezze-ria della attuale stanza di mia Moglie. E la sala da ballo con i pavimenti a smalto e soffitti sui quali deliziosi ghirigori oro e giallo incorniciavano scene mitologiche nelle quali con rustica forza e grandi svolazzi di pan-neggi si affollavano tutti gli dei dell'Olimpo. E dopo il "boudoir" di mia Madre che era molto bello con il suo soffitto tutto a fiori e rami di stuc-chi colorati antichi, di un disegno soave e corposo come una musica mozartiana. E dopo ancora si entrava nella camera da letto di mia Madre che era molto grande; la parete maggiore dove era la stanza d'angolo della casa con un balcone (I'ultimo) su via Lampedusa, e uno sul giardino dell'ora-torio di S. Zita. Le decorazioni di legno, di stucco e di pittura di questa stanza erano fra le piu belle della casa. Dal salotto detto "lambris" andando a sinistra si entrava nel "salone verde", e da questo nel "salone giallo", e da questo ancora in una stanza che in principio era la mia "day-nursery", in seguito trasformata in sa-lottino "rosso" la stanza nella quale si stava sempre e in seguito ancora in biblioteca. Questo ambiente aveva a sinistra (entrandovi dal salone giallo) una finestra sul cortile grande e sullo stesso muro una porta ve-trata che immetteva sulla terrazza. Ad angolo retto con queste aperture vi era prima una porta (poi murata) che dava in una piccola stanza che era stata stanza da bagno di mio Nonno (vi era anche la vasca di mar-mo) e che serviva da ripostiglio per i miei giocattoli, e un'altra porta ve-trata che conduceva alia terrazza piccola. INFANZIA - I LUOGHI - LE ALTRE CASE < > piu informazioni • MIolEbookReader Modifica ® w ^ i l ^SS" 4) 100% WfS? q ABC esteso Mar 10:45 Q. o • O • MIolEbookReader - 1 racconti o Q p OS Ma la "casa" di Palermo aveva allora delle dipendenze in campagna che ne aumentavano il fascino. Esse erano quattro: S. Margherita Beiice, la villa di Bagheria, il palazzo a Torretta e la casa di campagna a Raitano. Vi era anche la casa di Palma e il castello di Montechiaro ma in quelli non andavamo mai. SORTE DI QUESTE CASE La preferita era S. Margherita nella quäle si passavano lunghi mesi anche d'inverno. Essa era una delle piü belle case di campagna che avessi mai visto. Costruita nel 1680, verso il 1810 era stata completa-mente rifatta dal principe Cutö in occasione del soggiorno lunghissimo che vi fecero Ferdinando IV e Maria Carolina costretti in quegli anni a risiedere in Sicilia mentre a Napoli regnava Murat. Dopo, perö, essa non era stata abbandonata come awenne invece a tutte le altre case si-ciliane, ma continuamente curata, restaurata ed arricchita, fino a mia Nonna Cutö la quäle, vissuta sino a venti anni in Francia, non aveva ere-ditato l'awersione sicula per la vita in campagna, vi risiedeva quasi continuamente e l'aveva posta in condizioni "up to date" (per il Secondo Impero, si capisce, che non era perö molto differente dallo stato di "comfort" che regnö in Europa sino al 1914). IL VIAGGIO II fascino dell'awentura, del non completamente comprensibile che e tanta parte del mio ricordo di S. Margherita, cominciava con il viaggio per andarvi. Era un'intrapresa piena di scomoditä e di attrattiva. In quei tempi non vi erano automobili: verso il 1905 il solo che circolasse a Palermo era l'"electrique" della vecchia signora Giovanna Florio. Un treno partiva dalla stazione Lolli alle 5.10 del mattino. Bisognava quindi alzar-si alle tre e mezza. Mi si svegliava a quell'ora sempre noiosa ma resa per me piü infausta dal fatto che era quella stessa alla quäle mi si propi-nava l'olio di ricino quando avevo mal di pancia. Camerieri e cuochi erano giä partiti il giorno prima. Ci si caricava in due "landaus" chiusi, nel primo mia Madre, mio Padre, la governante Anna I, mettiamo, ed io. Nel secondo Teresa o Concettina che fosse, la cameriera di mia Madre, Fer-rara, il contabile che era di S. Margherita e andava a passare le vacanze con i suoi, e Paolo, il cameriere di mio Padre. Credo che anche un terzo veicolo seguisse, con i bagagli e le ceste per la colazione. Era generalmente fine Giugno e nelle strade deserte cominciava ad albeggiare. Attraverso piazza Politeama e via Dante (che allora si chia-mava via Esposizione) si arrivava alla stazione Lolli. E Ii ci si cacciava nel treno per Trapani; i treni erano allora senza corridoi e quindi senza ritirata; e quando ero molto piccolo ci si tirava dietro per me un vasino da notte in orribile ceramica marrone comprato apposta e che si butta-va dal finestrino prima di arrivare a destinazione. II controllore faceva il suo servizio aggrappato all'esterno della vettura e ad un tratto si vede-va dal di fuori sorgere il suo berretto gallonato e la sua mano guantata di nero. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Durante delle ore si traversava il paesaggio bello e tremendamente triste della Sicilia Occidentale: credo che fosse allora tale e quäle come lo trovarono i Mille sbarcando - Carini, Cinisi, Zucco, Partinico; poi la piü informazioni • MIolEbookReader Modifica ® w & i I ^ 4) 100% WfS? q ABC esteso Mar 10:45 Q. o • O • MIolEbookReader - 1 racconti o Q p OS linea costeggiava il mare, i binari sembravano posati sulla sabbia; il sole giä ardente ci cuoceva nella nostra scatola di ferro. Termos non ve ne erano; ed alle stazioni non c'era da aspettare nessun rinfresco; poi il treno tagliava verso l'interno, fra montagne sassose e campi di frumen-to mietuto, gialli come le giubbe di leoni. Alle 11 finalmente si arrivava a Castelvetrano che era allora lungi dall'essere la cittadina civettuola e ambiziosa che e adesso: era un borgo lugubre, con le fognature allo sco-perto ed i maiali che si pavoneggiavano nel corso centrale; e miliardi di mosche. Alla stazione che giä da sei ore rosolava sotto il solleone, ci aspettavano le nostre carrozze, due "landaus" ai quali erano State adat-tate delle tendine gialle. Alle undici e mezza si ripartiva: sino a Partanna, per un'ora la strada era piana e facile, attraverso un bei paesaggio coltivato; si andava rico-noscendo i luoghi noti, le due teste di negri in maiolica sui pilastri d'in-gresso di una villa, la croce di ferro che commemorava un omicidio; giunti sotto Partanna, perö, la scena cambiava: si presentavano tre ca-rabinieri, un brigadiere e due militi che a cavallo e con la nuca riparata da una pezzuola bianca come i cavalleggeri di Fattori avrebbero dovuto accompagnarci sino a S. Margherita. La strada diventava montuosa: at-torno si svolgeva lo smisurato paesaggio della Sicilia del feudo, deserto, senza un soffio d'aria, oppresso dal sole di piombo. Si cercava un albero alla cui ombra far colazione: non vi erano che magri ulivi che non ripa-rano dal sole. Infine si trovava una casa colonica abbandonata, semi in rovina, ma con le finestre gelosamente chiuse. Alla sua ombra si scen-deva e si mangiava: succulente cose, per lo piü. Un po' in disparte an-che i carabinieri cui si era mandato il pane, la carne, il dolce, le botti- glie facevano colazione allegri giä bruciati dal sole meridiano. Alia fine del pasto il brigadiere si awicinava, col bicchiere pieno in mano: "A nome anche dei miei militi, ringrazio le Loro Eccellenze." E buttava giü il vino che doveva avere 40 gradi di calore. Ma uno dei militi era rimasto in piedi, e girava attorno alla casa, circospetto. Ci si rimetteva in carrozza. Erano le due, Tora veramente atroce della campagna estiva siciliana. Si andava al passo perche incominciava la di-scesa verso il Beiice. Tutti erano muti e di fra il battere degli zoccoli si sentiva solo la voce di un carabiniere che canticchiava: "La Spagnola sa amar cosi." II polverone si alzava. [Anna I, che pure era stata in India] Poi si traversava il Beiice, che era un fiume sul serio per la Sicilia, con financo dell'acqua nel suo greto, e cominciava l'interminabile salita al passo: le giravolte si succedevano eterne nel paesaggio calcinato. Sembrava non dovesse finir piü ma tuttavia finiva: in cima al versan-te, i cavalli si fermavano, frementi di sudore; i carabinieri smontavano, anche noi scendevamo per sgranchirci le gambe. E si ripartiva al trotto. Mia Madre cominciava ad awertirmi: "Stai attento ora, tra poco a sinistra vedrai la Venaria." E infatti si giungeva su un ponte e a sinistra si scorgeva finalmente un po' di verzura, dei canneti e financo un arance-to. Erano le Dägali, la prima proprietä Cutö che s'incontrasse. E dietro le Dägali una collina ripida, traversata sino in cima da un largo viale di cipressi che portava alla Venaria, padiglione di caccia che ci apparteneva. Non eravamo piü lontani. Mia Madre, sospinta dal suo amore per S. Margherita, non stava piü ferma, si sporgeva ora da uno sportello ora < > piü informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä 'S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:45 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p QS dall'altro. "Siamo quasi a Montevago. Siamo a casa!" Si traversava di-fatti Montevago primo nucleo di vita ritrovato dopo quattro ore di strada. Ma quale nucleo! Larghe stradě deserte, case egualmente oppresse dalla povertä e daH'implacabile sole, nessun'anima viva, qualche maia-le, qualche carogna di gatto. Ma passato Montevago tutto andava meglio. La strada era diritta e piana, il paesaggio ridente. "Ecco la villa di Giambalvo! Ecco la Madonna delle Grazie e i suoi cipressi!" Si salutava con gioia perfino il cimite-ro. Poi la Madonna di Trapani. Ci siamo! Ecco il ponte. Erano le 5 di sera. Viaggiavamo da 12 ore. Sul ponte era schierata la banda municipale che attaccava con slancio una "polka". Noi abbrutiti, con le ciglia bianche di polvere e la gola riar-sa, ci sforzavamo di sorridere e di ringraziare. Un breve percorso nelle strade, si sboccava nella Piazza, si vedevano le linee aggraziate della Casa, si entrava nel portone: primo cortile, androne, secondo cortile. Si era arrivati. Al basso della scala esterna il gruppetto dei "familiari" ca-peggiato dall'eccellente Don Nofrio, minuscolo sotto la barba bianca e fiancheggiato dalla potente moglie. "Benvenuti!" "Come siamo contenti di essere arrivati!" Su in un salotto Don Nofrio aveva fatto preparare delle granite di li-mone, pessime ma che erano lo stesso una benedizione. Io venivo trasci-nato da Anna su nella mia stanza e immerso riluttante in un bagno tiepi-do che Don Nofrio, l'inappuntabile, aveva pensato a far preparare, men-tre i miei infelici genitori affrontavano l'ondata delle conoscenze che co-minciavano ad arrivare. LA CASA4 Posta nel centro del paese, proprio nella Piazza ombreggiata, si sten-deva per una estensione immensa e contava fra grandi e piccole trecento stanze. Essa dava l'idea di una sorta di complesso chiuso e autosuffi-ciente, di una specie di Vaticano, per intenderci, che racchiudeva appar-tamenti di rappresentanza, stanze di soggiorno, foresterie per trenta persone, stanze per domestici, tre immensi cortili, scuderie e rimesse, teatro e chiesa privati, un enorme e bellissimo giardino e un grande orto. E che stanze! II principe Niccolö aveva avuto il buon gusto quasi uni-co al suo tempo di non guastare i salotti settecenteschi. Nel grande ap-partamento ogni porta era incorniciata dai due lati da fantasiosi fregi settecenteschi in marmi grigi, neri o rossi che con le loro armoniosissi-me dissimetrie suonavano una fanfára gioconda ad ogni passaggio da un salone all'altro. Dal secondo cortile un'ampia scala a balaustrata di marmo verde, a una sola fuga, portava a una terrazza nella quale si apriva la porta d'ingresso sormontata dalla croce a campanelle. Da questa si entrava nella colossale anticamera interamente ricoperta da due file sovrapposte di quadri rappresentanti i Filangeri dal 1080 al padre di mia Nonna, tutte figure in piedi a grandezza naturale nei piti svariati costumi, da quello di crociato a quello di gentiluomo di camera di Ferdinando II, quadri che malgrado ľestrema mediocritä della loro fattura, riempivano la sterminata stanza di una presenza viva e familiäre. Sotto ciascuno di essi, in lettere bianche su di un cartiglio nero, era-no scritti i nomi, i titoli e gli awenimenti della loro vita: "Riccardo, dife- < > piů informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä "S?" ^) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:46 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p OS se Antiochia contro gli infedeli"; Raimondo, perito nella difesa di Acri; un altro Riccardo "principále istigatore delia rivolta sicula" (cioě dei Ve-spri siciliani); Niccolô I, "guidô due reggimenti di ussari contro le galli-che orde nel 1796". AI di sopra di ogni porta o fmestra vi erano invece le piante panorami-che dei "feudi", allora ancora quasi tutti presenti alľappello. Nei quat-tro angoli quattro statue di bronzo di guerrieri in armatura - concessio-ne al gusto del tempo - reggevano alta una semplice lampada a petrolic Sul soffitto Giove awolto in una nube purpurea benediceva all'imbarco Arugerio ehe si preparava dalla nativa Normandia a salpare verso la Si-cilia; e Tritoni e Ninfe marine folleggiavano attorno alle galere pronte a salpare sul mare madreperlaceo. [Campieri - berretti, divise, fucili, lepri] Oltrepassato pero che si fosse questo suo preludio orgoglioso, la casa era tutta grazia e moine, o, per meglio dire, il suo orgoglio si velava sot-to la mollezza come quello di un aristocratico sotto la cortesia. Vi era la biblioteca racchiusa in armadi di quel sapido stile del Settecento sicilia-no detto "stile di badia", simile a quello veneziano fiorito ma piú rude e meno zuccherato. Quasi tutte opere illuministiche nelle loro rilegature fulve e dorate: ľ"Encyclopédie", Voltaire, Fontenelle, Helvetius, il Voltaire nella grande edizione di Ketil (se Maria-Carolina lo leggeva cosa doveva pensarne?): poi le "Victoires et Conquétes", una raccolta di bol-lettini napoleonici e di relazioni di guerra che facevano le mie delizie nei lunghi pomeriggi estivi pieni di silenzio mentre li leggevo, a pancia in giii, disteso su uno di quei spropositati "poufs" che occupavano il centro delia sala da ballo. Insomma una bizzarra biblioteca se si pensa che era stata formata da quel principe Niccoló che era reazionario. Vi si trovavano anche raccolte rilegate di giornali satirici del Risorgimento, il "Fischietto" e "Lo Spirito folletto", qualche bellissima edizione di "Don Quichotte", di La Fontaine, la storia di Napoleone con le preziose illu-strazioni di Norvins (questo libro lo ho ancora), le opere complete o quasi di Zola le cui copertine gialle si affermavano sfacciate in quell'am-biente "mellow", pochi altri romanzi di basso rango; ma anche i "Mala-voglia" con dedica autografa. Non so se sono fin qui riuscito a dare l'idea che ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di phi stare con le cose che con le per-sone. Poiché era cosi si capirá facilmente come la vita a S. Margherita fosse l'ideale per me. Nella vastitá ornata della casa (12 persone in 300 stanze) mi aggiravo come in un bosco incantato. Bosco senza draghi na-scosti; pieno di liete meraviglie financo nei nomi giocosi delle stanze: la "stanza degli uccellini" tutta tappezzata di grezza seta bianca rugosa nella quale fra infiniti ghirigori di rami fioriti splendevano appunto uccellini multicolori dipinti a mano; la "stanza delle scimmie" dove fra gli stessi alberi tropicali si spenzolavano "oustiti" pelosissimi e maliziosi; le "stanze di Ferdinando" che a me evocavano, prima, l'immagine del mio biondo e ridente zio, ma che invece avevano conservato questo nome perché avevano costituito l'appartamento privato del ridanciano e cru-dele Re Nasone, come del resto dimostrava lo spropositato "lit-bateau" Impero il cui materasso era ricoperto da quella specie di cassa in ma-rocchino che pare si usasse invece della coperta per i letti regali; ma-rocchino verde fittamente inciso dei triplici gigli di Borbone dorati e che sembrava un enorme libro. Le pareti erano ricoperte di una seta di un < > piu informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w & i l ^ 4) 100% IMJi q ABC esteso Mar 10:46 q. © ís • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p 05 verde piů chiaro, a strisce verticali, una lucida e una matta a righine, tal e quale come quella del "salone verde" della casa a Palermo. La "sala della tappezzeria" era la sola cui si uni in seguito una qualche associa-zione sinistra: in essa vi erano otto grandi "succhi ďerbe" su argomenti tratti dalla "Gerusalemme Liberata". In uno di essi, rappresentante il duello tra Tancredi e Argante, uno dei due cavalli aveva uno sguardo stranamente umano che io dovevo poi riallacciare al "House of the Me-tzengerstein" di Poe. Questo "succo ďerba", del resto, ě ancora mio. Noi si stava sempře la sera, strano a dirsi, nella sala da ballo, ambien-te centrale del primo piano, che con otto balconi guardava sulla piazza e con quattro sul primo cortile. Ricordava la sala da ballo della nostra casa di Palermo: 1'oro era la nota dominante del salone. II parato pero era verdino tenero quasi interamente ricoperto di ricami a mano di fiori e foglie ďoro e interamente in oro zecchino matto con decorazioni in oro piů lucido erano i basamenti in legno e le imposte enormi come por-toni di case. E quando nelle serate ďinverno (passammo infatti due in-verni a S. Margherita da cui mia Madre non voleva staccarsi) si stava seduti davanti al caminetto centrale al chiarore di pochi lumi a petrolio la cui luce riprendeva capricciosamente alcuni fiori del parato ed alcune modanature delle chiusure, sembrava di essere rinchiusi in uno scrigno delle fate. Di una di queste serate posso precisare la data perché ricor-do che vennero portati i giornali che annunziavano la caduta di Porto-Arturo. Queste serate non erano, del resto, sempře ristrette alla sola famiglia; anzi non lo erano quasi mai. Mia Madre tendeva a mantenere in vita la tradizione creata dai suoi genitori di mantenere relazioni cordiali con i maggiorenti locali, e molti di questi pranzavano a turno da noi, e due volte la settimana si riunivano tutti per giocare a scopone appunto nella sala da ballo. Mia Madre li conosceva fin da quando essa era bambina, e voleva bene a tutti: a me sembravano, come forse non erano, unanima-mente brave persone: vi era don Peppino Lomonaco, un palermitano che le sue miserrime condizioni economiche avevano costretto ad emi-grare a S. Margherita dove aveva una minuscola casa e un piú minusco-lo appezzamento di terreno: grande cacciatore era stato amicissimo di mio Nonno e godeva di un trattamento di particolare favore: credo fa-cesse colazione ogni giorno con noi ed era Punico che desse del "tu" a mia Madre che lo ricambiava con un rispettoso "Lei"; era un vecchietto diritto, asciutto, dagli occhi celesti e dai lunghi baffi bianchi spioventi, molto distinto ed anche elegante nei suoi logori abiti di buon taglio; ho adesso il sospetto che fosse un bastardo di casa Cutó, uno zio di mia Madre, in poche parole; suonava il piano e raccontava meraviglie delle cacce fatte fra macchie e boscaglie insieme a mio Nonno, al prodigioso acume delle sue cagne ("Diana" e "Furetta") e di trepidi ma sempře in-nocui incontri con le bandě dei briganti Leoně e Capraro. Vi era Neně Giaccone, grosso proprietario del luogo, dal pizzetto ardente e dalla vi-vacitá insanabile, che era stimato il grande "viveur" del paese in quanto passava ogni anno due mesi a Palermo alloggiando all'Hotel Milano che si trovava in via Emerico Amari, di fronte al fianco del Politeama, e che era considerato "fast". Vi era il cavaliere Mario Rossi, piccolo uomo dalla barbetta nera, anti-co ufficiale postale che parlava sempře di Frascati ("Lei capirá, Duches-sa, Frascati ě quasi Roma") dove era stato qualche mese in servizio; vi < > piů informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:46 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS era Ciccio Neve, dal grosso viso rubicondo e dalle fedine alia Francesco-Giuseppe, che viveva con una sorella pazza (quando si conosce bene un villaggio siciliano si vengono a scoprire innumerevoli pazzi); Catania, il maestro di scuola con una barba mosaica; Montalbano, anch'egli grosso proprietario, il vero tipo del "barone di paese" ottuso e grossolano, padre, credo, dell'attuale deputato comunista; Giorgio di Giuseppe, che era l'intellettuale della compagnia e passando sotto le sue finestre la sera, si sentivano i Notturni di Chopin da lui suonati al pianoforte; Giambalvo, enormemente grasso e pieno di spirito; il dottor Monteleo-ne, dal pizzo nero, che aveva studiato a Parigi e che parlava spesso del-la "rue Monge" dove aveva avuto awenture straordinarie; don Colicchio Terrasa, vecchissimo e quasi del tutto contadino, con il figlio Toto, man-giatore famoso; e tanti altri che si vedevano piii raramente. Si noterá come si trattasse unicamente di uomini; le mogli, le figlie, le sorelle se ne stáváno a casa, sia perché le donne in paese (nel 1905-1914) non andassero a fare visitě, sia perché i loro mariti, padri e fratel-li non le reputassero presentabili; ad esse mia Madre e mio Padre anda-vano a far visita una volta per stagione, e da Mario Rossi, la cui moglie era una Bilella, illustre per i suoi meriti gastronomici, andavano anche talvolta a far colazione; e talvolta essa, dopo un complesso sistema di preawisi e segnali, mandava, per mezzo di un ragazzotto che traversa-va di galoppo la piazza sotto il sole accecante, una immensa zuppiera colma di maccheroni di zito alia siciliana, con carne tritata, melanzane e basilico, che, ricordo, era dawero una pietanza da dei rustici e primige-ni. II ragazzotto aveva l'ordine preciso di posarla sulla tavola da pranzo, quando eravamo di giá seduti e prima di andarsene ingiungeva: '"A Si- gnura raccumanna: 'u cascavaddu".5 Ingiunzione forse saggia, ma che non venne mai ubbidita. A questa assenza di donne la sola eccezione era quella di Margherita, la figlia di Nene Giaccone il "viveur" che era stata educata al Sacro Cuore e che era una bella figliola dai capelli fiammeggianti come quelli del padre, e che ogni tanto si faceva vedere. A queste relazioni cordiali con la popolazione, si opponevano le rela-zioni tese con le autoritär il Sindaco, don Pietro Giaccone, non risultava e nemmeno il parroco benche casa Cutö avesse il diritto di patronato; l'assenza del Sindaco si spiega perche vi erano continuamente liti col Comune per gli "usi civici"; era anche lui un uomo galante e per un cer-to tempo tenne presso di se una sgualdrinella che si spacciava per spa-gnola, Pepita, che aveva pescato in un caffe concerto ad Agrigento (!) e che scarrozzava per le vie del paese in una "charrette" trascinata da un "pony" grigio. Mio Padre un giorno che era dinanzi al portone vide pas-sare la coppia nel suo elegante equipaggio; e con l'occhio infallibile che aveva per queste cose si accorse che il mozzo aveva perduto la sua for-cella e che la ruota stava per staccarsi, cosicche benche egli non cono-scesse il Cavaliere-Sindaco e che le relazioni fossero tese, corse dietro alla "charrette" gridando: "Cavaliere, stia attento, la ruota destra si stacca." II cavaliere si fermö, salutö con la frusta e disse: "Grazie, ci penserö." E riprese il cammino senza essere disceso. Dopo venti metri la ruota ef-fettivamente andö a farsi benedire, e il Cavaliere-Sindaco venne rude-mente scagliato per terra insieme a Pepita nel suo abito di "chiffon" rosa. Si fecero poco male; l'indomani comparvero quattro pernici e un < > piu informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä 'S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:46 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p OS biglietto da visita: "II cav. Pietro Giaccone, sindaco di S. Margherita Belice, per ringraziare del buon consiglio non ascoltato." Ma questo sintomo di distensione non ebbe seguito. Ľultimo e il maggiore dei tre cortili delia casa di S. Margherita era U "cortile delle palme" piantato tutto in giro da altissime palme cariche di quella stagione di grappoli non fecondati di datteri. Entrando in esso dal passaggio che vi immetteva dal secondo cortile si aveva a destra la linea lunga e bassa del fabbricato delle scuderie al di la del quale vi era il maneggio. Nel centro del cortile, lasciando a destra le scuderie e il maneggio, vi erano due alti pilastri in pietra gialla porosa, adorni di ma-scheroni e svolazzi che immettevano alle scalinate ehe discendevano nel giardino. Erano delle scalinate brevi (una diecina di gradini in tutto) ma nel cui spazio ľarchitetto barocco aveva trovato modo di dar sfogo a un estro indiavolato, alternando gradini alti e bassi, contorcendo le fughet-te nei modi piú inaspettati, ereando pianerottoli superflui con niechie e panche, in modo da ereare su tanta piecola altezza un sistema di possi-bilitä di confluenze e defluenze, brusche ripugnanze e affettuosi incon-tri ehe conferiva alla scalinata ľatmosfera di una lite di innamorati. II giardino, come tanti altri in Sicilia, era disegnato su un piano piú basso delia casa, eredo affinché potesse usufruire di una sorgente ehe 1i sgorgava. Era molto grande e nella sua complicazione di viali e vialetti perfettamente regolare se lo si guardava da una delle finestre delia casa. Era tutto piantato a lecci ed araucarie, con i viali bordati di siepi di mortella e nel furore delľestate quando la sorgente scemava il suo gettito era un paradiso di profumi riarsi di origano e di nepitella, come lo sono tanti giardini di Sicilia ehe sembrano fatti piú per il godimento del naso ehe delľocchio. II largo viale ehe lo circondava sui quattro lati era il solo diritto in tutto il giardino, perché nel resto di esso il disegnatore (ehe doveva per il suo estro bizzarro essere lo stesso architetto delia scalinata) aveva mol-tiplicato le giravolte, i meandri e gli anditi, contribuendo a conferirgli quel tono di aggraziato mistero ehe tutta la casa aveva. Tutte queste vie traverse pero finivano con lo sboccare sempře nel grande piazzale centrále, quello dove era stata seoperta la sorgente ehe adesso, racehiusa in ornata prigione, rallegrava con i suoi zampilli la vasta fontána nel centro delia quale su un isolotto di rovine artificiali, la dea Abbondanza, chiomata e discinta, versava torrenti ďacqua nel bacino profondo e per-corso da amichevoli ondate. Una balaustrata lo cingeva, sormontata qua e lä da Tritoni e Nereidi scolpiti nelľatto di voler tuffarsi con movimenti scomposti in ogni singola statua ma scenicamente fusi nelľinsieme. Tut-ťintorno al piazzale delia fontána vi erano delle panche di pietra, anne-rita ed impiastrata da muffe secolari ehe intrichi di fogliame riparavano dai venti e dal sole. Ma il giardino era colmo di sorprese per un bambino. In un angolo vi era una grande serra, piena di cactacee e di arbusti rari, il regno di Nino, capogiardiniere e mio grande amico, anche lui di pelo rosso come tanti Margaritani lo erano, forse sotto ľinflusso dei Filangeri normanni. Vi era il boschetto di bambú ehe erescevano fitti e robusti attorno a una fontána secondaria, alľombra del quale vi era lo spiazzo per i giochi, con ľaltalena cadendo dalla quale Pietro Scalea, ehe fu poi ministro delia guerra, si era rotto, prima assai dei miei tempi, il braccio. Vi era in < > piú informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä "S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:46 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p QS uno dei viali laterali, incastrata nel muro, una vasta gabbia destinata un tempo a delle scimmie, nella quale mia cugina Clementina Trigona ed io ci richiudemmo un giorno, proprio una domenica mattina quando il giardino era aperto agli abitanti del paese, che si fermarono attoniti e muti a contemplare, incerti, queste bertucce vestite. Vi era la "casa delle bambole" che era stata costruita per i giochi di mia Madre e delle sue quattro sorelle, in mattoni rossi con le inquadra-ture di finestre in pietra serena, che adesso col tetto sfondato e i pavi-menti dei suoi piani crollati era l'unico angolo sconsolato nel grande giardino che Nino, nel rimanente, teneva in modo ammirevole con ogni albero ben tosato, ogni viale insabbiato di giallo, ogni siepetta a posto. Ogni paio di settimane saliva dal vicino Belice un carro con una grande botte piena di anguille che venivano scaricate nella fontána seconda-ria (quella dei bambii) che serviva da vivaio e nella quale il cuoco invia-va a pescarle con reticelle secondo i bisogni della cucina. Dappertutto agli angoli dei viali si ergevano busti di dei oscuri, rego-larmente privi di naso, e, come in ogni Eden che si rispetti, vi era un serpente nascosto nell'ombra, sotto forma di alcuni arbusti di ricino (del resto bellissimi con le loro foglie oblunghe verdi bordate di rosso) che un giorno mi diedero un'amara sorpresa quando, schiacciando gli acini di un bel grappoletto vermiglio, sentii diffondersi l'odore di quell'olio che in quella etá felice era la sola vera ombra della mia vita. Feci fiutare la mia mano unta al beneamato Tom che mi seguiva e vedo ancora il modo gentile e carico di rimprovero col quale sollevo metá del suo lab-bro nero, come fanno i cani bene educati quando vogliono mostrare il loro disgusto pero senza offendere i padroni. Giardino, ho detto, pieno di sorprese. Ma tutta S. Margherita lo era: piena di trabocchetti giocondi. Si apriva una porta in un corridoio e si intravedeva una prospettiva di stanze, immerse nella penombra delle persiane socchiuse, con le pareti coperte di stampe francesi che rappre-sentavano le campagne di Bonaparte in Italia; in cima alia scala che conduceva al secondo piano vi era una porta quasi invisibile tanto era stretta e conforme al muro e dietro di essa vi era un grande ambiente, zeppo di quadri antichi appesi fino in cima alia parete, come si vede nel-le stampe del "Salon" di Parigi nel Settecento. Uno dei quadri di antena-ti nella sala d'ingresso era mobile e dietro vi erano le stanze di caccia di mio Nonno, gran cacciatore al cospetto di Dio. I trofei racchiusi in ba-cheche di cristallo erano nostrani: pernici dalle zampe rosse, beccacce dall'aria sconsolata, folaghe del Belice; ma il bancone con le bilance, le presse, i misurini per preparare le cartucce, gli armadi vetrati pieni di bossoli multicolori, le stampe colorate che presentavano phi pericolose awenture (vedo ancora un barbuto esploratore biancovestito che fugge urlando dinanzi alia carica di un rinoceronte verdastro) incantavano ľadolescente. Ai muri pendevano anche stampe e fotografie di bracchi, pointers e setters che diffondevano la calma dolcezza di ogni aspetto ca-nino. Ed in grandi rastrelliere erano esposti i fucili, etichettati con un numero che corrispondeva a un registro nel quale erano noverati i colpi sparati da ciascuno. Fu da uno di questi fucili, credo da un'arma per signora a due canne riccamente damaschinate, che sparai, nel giardino, i primi e gli ultimi colpi della mia camera cinegetica: uno dei barbuti campieri mi costrinse a sparare contro alcuni innocenti pettirossi; due, sventuratamente, caddero, con del sangue sulle tepide piumette grige; < > piu informazioni • MIolEbookReader Modifica ® w & i I ^ 4) 100% WfS? q ABC esteso Mar 10:46 Q. o • O • MIolEbookReader - 1 racconti o Q p OS e poiche palpitavano ancora, il campiere stritolo loro la testa fra le sue dita. Malgrado le mie letture di "Victoires et Conquetes" e Tepee de l'in-trepide general comte Delort rougie du sang des ennemis de l'Empire" questa scena mi fece orrore; il sangue mi piaceva, si vede, soltanto me-taforizzato in inchiostro di stampa. Andai diritto da mio Padre, al cui de-siderio si doveva questa strage degli Innocenti, e dissi che mai phi avrei sparato su nessuno. Dieci anni dopo dovevo uccidere con una pistolettata un Bosniaco e chissa quanti altri cristiani a cannonate. Ma non ne ebbi il decimo del-l'impressione che mi fecero quei due miseri pettirossi. Vi era anche la "stanza delle carrozze", un grande ambiente oscuro, nel quale erano due immensi "carrosses" del Settecento, uno di gala tutto dorature e vetri, con gli sportelli dove su un fondo giallo erano di-pinte delle pastorellerie in "vernis Martin"; i sedili, per almeno sei per-sone, erano foderati di "taffetas" di un giallino sbiadito; l'altro da viag-gio, verde oliva con filettature dorate e lo stemma agli sportelli, fodera-to in marocchino verde. Sotto i sedili vi erano dei ripostigli imbottiti de-stinati credo alle prowiste da viaggio nei quali vi era soltanto un solita-rio piatto d'argento. Poi vi era la "cucina delle bambine" con un focolare in miniatura ed una batteria da cucina in rame ad esso proporzionata, che mia Nonna aveva fatto installare nel vano tentativo d'invogliare le figlie ad impara-re la cucina. E poi vi era la chiesa e il teatro con i suoi anditi favolosi per arrivarvi, ma di questi parlero dopo. Fra tanti splendori, io dormivo in una stanza completamente disador-na, che dava sul giardino, detta la "stanza rosa" perche era difatto di-pinta di uno stucco lucido proprio della tinta della "Marechale Niel"; da una parte vi era la stanza di toletta con uno strano bagno ovale di rame installato su quattro alti piedi di legno; ricordo alcuni bagni che mi face-vano fare in un'acqua nella quale era disciolto dell'amido, o della crusca racchiusa in un sacchetto dal quale usciva, quando bagnato, un'acque-rugiola lattea profumata; "bains de son" dei quali si trova traccia nelle memorie del Secondo Impero, la cui abitudine era stata evidentemente trasmessa da mia Nonna a mia Madre. In una stanza attinente identica alia mia ma celeste dormirono suc-cessivamente le mie governanti, Anna I e Anna II, tedesche, e Mademoiselle, francese. Al mio capezzale pendeva una specie di bacheca Luigi XVI, in legno bianco che racchiudeva tre statuine in avorio, la Sacra Fa-miglia, su fondo cremisi. Questa bacheca si e miracolosamente salvata e pende adesso al capezzale del letto nella stanza in cui dormo nella villa dei miei cugini Piccolo a Capo d'Orlando. In questa villa del resto ritro-vo non soltanto la "Sacra Famiglia" della mia infanzia, ma una traccia, affievolita, certo, ma indubitabile della mia fanciullezza a S. Margherita e perciö mi piace tanto andarvi. Vi era anche la chiesa, che era poi il Duomo di S. Margherita. Dalla stanza delle carrozze, si svoltava a sinistra, e, salito uno scalino, ci si trovava in un largo corridoio che terminava poi nella "stanza di studio", una specie di aula scolastica con banchi, lavagne, e carte in rilievo dove avevano studiato mia Madre e le mie zie da bambine. < > piü informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:47 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS Prima di giungere a questa stanza vi erano a sinistra due porte che immettevano in tre stanze di foresteria, le piú ambite perché davano sulla terrazza che terminava lo scalone d'ingresso. A destra invece, fra due "consoles" bianche vi era una grande porta gialla. Da essa si entra-va in una piccola stanza oblunga, con sedie e varie mensole cariche di immagini di Santi; ricordo un grande piatto di ceramica con nel centra la testa di S. Giovanni decollate, grandezza naturale, con il sangue rag-grumato sul fondo. Da questa stanza si entrava nella Tribuna che, all'al-tezza di un alto primo piano, si sporgeva direttamente sull'altare mag-giore, circondata da una bellissima ringhiera di ferro fiorito e dorato. In essa vi erano prega-Dio, sedie e innumerevoli rosari e da essa ogni do-menica alle undici assistevamo alia messa, cantata senza soverchio fer-vore. La chiesa stessa era grande e bella, ricordo, in stile Impero con grandi brutti affreschi incastonati fra gli stucchi bianchi del soffitto, cosi come sono nella chiesa dell'Olivella a Palermo, alia quale somiglia-va in piú piccolo. Da quella stessa "stanza delle carrozze" che, mi accorgo adesso, era una specie di "plaque tournante" delle parti meno frequentate della casa, girando a destra si penetrava in una serie di anditi, di sgabuzzini, di scalette che davano un po' quell'impressione d'inestricabile che han-no certi sogni e si finiva col giungere nel corridoio del teatro. Era que-sto un vera e proprio teatro, con due file di 12 palchi ciascuna, piú un loggione e si capisce, la platea. Capace di almeno trecento persone. La sala era tutta in bianco e oro, con i sedili e i buchi dei palchi in velluto azzurro, assai stinto. Lo stile era Luigi XVI, composto ed elegante. Al centra vi era l'equivalente del palco reále, cioě il nostra palco sormonta- to da un enorme trofeo di legno dorato contenente la croce campanella-ta sul petto dell'aquila bicipite. Ed il sipario, phi tardivo, rappresentava la difesa di Antiochia da parte di Riccardo Filangeri. (Difesa che, a sen-tire Grousset, fu assai meno eroica di quanto il pittore lasciasse intendere.) La sala era illuminata da lampade a petrolio dorate posate su bracci che sporgevano sotto la prima fila dei palchi. II bello e che questo teatro (che aveva s'intende anche un ingresso per il pubblico nella piazza) era spesso in azione. Ogni tanto giungeva una compagnia di comici; erano dei "guitti" che, generalmente in estate, si spostavano su carretti da un paese aH'altro rimanendo due o tre giorni a dare delle rappresentazioni. A S. Marghe-rita dove c'era un teatro vera e proprio rimanevano piu a lungo, un paio di settimane. Alle 10 del mattino si presentava il capocomico in finanziera e tuba a domandare il permesso di recitare in teatro; era ricevuto da mio Padre, o, se lui non c'era, da mia Madre che naturalmente dava il permesso, ri-fiutava il prezzo di affitto (o per meglio dire faceva un contratto per il prezzo fittizio di 50 centesimi per le due settimane), e per di piu pagava l'abbonamento per il nostra "palco". Dopo di che il capocomico se ne andava per ritornare dopo mezz'ora per chiedere in prestito dei mobili. Queste compagnie viaggiavano infatti con qualche scenario di tela di-pinta ma senza mobilio per la scena che avrebbe costituito un bagaglio troppo costoso e ingombrante. II mobilio veniva concesso e la sera pote-vamo riconoscere le nostre poltrone, i nostri tavolini, i nostri attacapan-ni sulla scena (mi duole dire che non erano mai i migliori). Puntualmen- < > piu informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:47 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS te al momento della partenza essi venivano riconsegnati talvolta riverni-ciati cosi malamente che si dovette pregare le altre compagnie di desi-stere da questa bene intenzionata pratica. Una volta, a quanto ricordo, si presento anche la prima attrice, una buona grossa ferrarese di tren-t'anni che doveva interpretare in serata d'addio la "Signora dalle Came-lie"; essa trovava il proprio guardaroba non adatto alia solennita della serata e venne a chiedere degli abiti da sera a mia Madre; e cosi si vide la "Signora dalle Camelie" in abito scollatissimo "vert Nil" coperto di paillettes argentate. Questa delle compagnie girovaghe nei paesi di campagna e un'attivita scomparsa; ed e peccato. La messa in scena era quel che era; gli attori erano evidentemente cattivi; ma recitavano con impegno e con fuoco e la loro "presenza" era certo piu reale di quel che siano le pallide ombre delle pellicole di quint'ordine che in questi stessi paesi si rappresentano adesso. Vi era recita ogni sera: e il repertorio era vastissimo: tutto il dramma ottocentesco vi passava: Scribe, Rovetta, Sardou, Giacometti e anche Torelli. Una volta venne anche dato "Amleto"; fu anche la prima volta che lo sentissi. Ed il pubblico composto in parte di contadini, era atten-to ed espansivo negli applausi. A S. Margherita, almeno, queste compagnie facevano buoni affari, con il teatro gratuito, i mobili pure ed i ca-valli dei loro carri alloggiati e nutriti nella nostra scuderia. Io vi andavo ogni sera, eccetto in quella unica serata nella stagione chiamata "serata nera" nella quale si rappresentava qualche "pochade" francese reputata indecente. L'indomani i nostri amici del paese veniva- no a far rapporto su questa recita libertina ed erano in genere assai de-lusi perché si erano aspettati maggiori indecenze. Io mi ci divertivo assai, ed i miei genitori pure; ed alle migliori compagnie, alla fine del loro periodo, veniva offerto in giardino una specie di "garden party" con rustico ma abbondante "buffet" che rallegrava gli stomaci temo troppo spesso vuoti, di quegli eccellenti "guitti". Ma di giá 1'ultimo anno che sono stato a lungo a S. Margherita, nel 1921, compagnie di comici non ne vennero piú, e si proiettavano invece dei tremolanti "films". La guerra aveva ucciso, fra il resto, anche questa pittoresca miseria delle compagnie girovaghe, che aveva la propria utilita artistica e che ho 1'impressione fosse stata la pepiniera di molti dei grandi attori italiani dell'Ottocento, fra gli altri la Duse. Ma mi accorgo di aver dimenticato di parlare della stanza da pranzo di S. Margherita che era singolare per parecchie ragioni. Anzitutto, era singolare perché esisteva: credo sia molto raro che in una casa del Set-tecento vi sia un ambiente espressamente adibito a sala da pranzo; allo-ra si pranzava in un salotto qualsiasi, cambiando sempře, come del resto io faccio adesso. A S. Margherita invece c'era. Non molto grande, poteva contenere, comodamente, soltanto una ventina di commensali, essa guardava con due balconi sul secondo cortile. Ví si accedeva da tre porte: quella principále che immetteva nella "galleria dei quadri" (non quella della quale ho parlato), una che comunicava con le "stanze della caccia" e la terza che conduceva nell"'office" da dove era Vascensore a corde che lo met-teva in comunicazione con la sottostante cucina. Queste porte erano • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:47 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS te al momento della partenza essi venivano riconsegnati talvolta riverni-ciati cosi malamente che si dovette pregare le altre compagnie di desi-stere da questa bene intenzionata pratica. Una volta, a quanto ricordo, si presento anche la prima attrice, una buona grossa ferrarese di tren-t'anni che doveva interpretare in serata d'addio la "Signora dalle Came-lie"; essa trovava il proprio guardaroba non adatto alia solennita della serata e venne a chiedere degli abiti da sera a mia Madre; e cosi si vide la "Signora dalle Camelie" in abito scollatissimo "vert Nil" coperto di paillettes argentate. Questa delle compagnie girovaghe nei paesi di campagna e un'attivita scomparsa; ed e peccato. La messa in scena era quel che era; gli attori erano evidentemente cattivi; ma recitavano con impegno e con fuoco e la loro "presenza" era certo piu reale di quel che siano le pallide ombre delle pellicole di quint'ordine che in questi stessi paesi si rappresentano adesso. Vi era recita ogni sera: e il repertorio era vastissimo: tutto il dramma ottocentesco vi passava: Scribe, Rovetta, Sardou, Giacometti e anche Torelli. Una volta venne anche dato "Amleto"; fu anche la prima volta che lo sentissi. Ed il pubblico composto in parte di contadini, era atten-to ed espansivo negli applausi. A S. Margherita, almeno, queste compagnie facevano buoni affari, con il teatro gratuito, i mobili pure ed i ca-valli dei loro carri alloggiati e nutriti nella nostra scuderia. Io vi andavo ogni sera, eccetto in quella unica serata nella stagione chiamata "serata nera" nella quale si rappresentava qualche "pochade" francese reputata indecente. L'indomani i nostri amici del paese veniva- no a far rapporto su questa recita libertina ed erano in genere assai de-lusi perché si erano aspettati maggiori indecenze. Io mi ci divertivo assai, ed i miei genitori pure; ed alle migliori compagnie, alla fine del loro periodo, veniva offerto in giardino una specie di "garden party" con rustico ma abbondante "buffet" che rallegrava gli stomaci temo troppo spesso vuoti, di quegli eccellenti "guitti". Ma di giá 1'ultimo anno che sono stato a lungo a S. Margherita, nel 1921, compagnie di comici non ne vennero piú, e si proiettavano invece dei tremolanti "films". La guerra aveva ucciso, fra il resto, anche questa pittoresca miseria delle compagnie girovaghe, che aveva la propria utilita artistica e che ho 1'impressione fosse stata la pepiniera di molti dei grandi attori italiani dell'Ottocento, fra gli altri la Duse. Ma mi accorgo di aver dimenticato di parlare della stanza da pranzo di S. Margherita che era singolare per parecchie ragioni. Anzitutto, era singolare perché esisteva: credo sia molto raro che in una casa del Set-tecento vi sia un ambiente espressamente adibito a sala da pranzo; allo-ra si pranzava in un salotto qualsiasi, cambiando sempře, come del resto io faccio adesso. A S. Margherita invece c'era. Non molto grande, poteva contenere, comodamente, soltanto una ventina di commensali, essa guardava con due balconi sul secondo cortile. Ví si accedeva da tre porte: quella principále che immetteva nella "galleria dei quadri" (non quella della quale ho parlato), una che comunicava con le "stanze della caccia" e la terza che conduceva nell"'office" da dove era Vascensore a corde che lo met-teva in comunicazione con la sottostante cucina. Queste porte erano • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:47 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS bianche, Luigi XVI, con dei grandi riquadri dentro i quali erano applicati ornamenti in rilievo, dorati, di un oro verdastro e matto. Dal soffitto pendeva un lampadario di Murano a "lucerna" sul cui ve-tro grigiastro spiccava il tenue colorito dei fiori. II principe Alessandro che aveva arredato questa sala aveva avuto l'idea di far dipingere sui muri se stesso e la sua famiglia proprio men-tre prendevano i pasti. Erano grandi quadri su tela che ricoprivano cia-scuno interamente una parete dal pavimento al soffitto, con le figure a grandezza quasi naturale. In uno si vedeva la prima colazione: il Principe e la Principessa, lui in abito da caccia verde, con stivali e cappello in testa, lei in "deshabille" bianco ma adorna di gioielli, seduti a un piccolo tavolino intenti a prendere la cioccolata, serviti da uno schiavetto negro con turbante. Lei tendeva un biscotto ad un bracco impaziente, lui sollevava verso la bocca una grande tazza azzurra a fiori. Un altro quadro rappresentava la colazione sull'erba: parecchi signoři e signore stavano seduti attorno a una tovaglia stesa su un prato sulla quale era-no posti maestosi pasticci e bottiglie impagliate: nel fondo si vedeva una fontána e gli alberi erano giovinetti e bassi; credo fosse proprio il giar-dino di S. Margherita, appena piantato. Un terzo quadro il piů grande rappresentava il pranzo di apparato, con i gentiluomini in parrucchino arricciatissimo e le dame in ghingheri; la Principessa aveva un delizioso abito di seta rosa "broché" di argento e al collo un "collier de chien" e una grande collana di rubini sul petto. I camerieri in grande livrea e cordoni entravano recando alti piatti mon-tati di straordinaria fantasia. Vi erano altri due quadri ma ricordo il soggetto di uno solo di essi, perché mi stava sempre in faccia: era la merenda dei ragazzi: due bam-bine di 10-12 anni, streite e impettite nei loro busti a punta, incipriate, erano sedute di fronte a un ragazzo di forse quindici anni, in abito aran-cione a risvolti neri, e con spadino, e ad una vecchia signora in nero (certamente la governante), e prendevano dei grandi gelati di uno strano rosa, forse di cannella, che si erigevano in punta acutissima da lar-ghi calici di vetro. Un'altra delle stranezze di S. Margherita era il centro della tavola da pranzo. Esso era stabile: un grande pezzo di argenteria sormontato da un Nettuno con tridente che minacciava la gente, mentre accanto a lui unAnfitrite faceva loro l'occhietto non senza malizia. II tutto su una scogliera che sorgeva nel centro di un bacino d'argento circondato da delfini e mostri che mediante un congegno a orologeria nascosto in un piede centrale della tavola spruzzavano acqua dalle bocche. Un insieme certamente fastoso e festoso che aveva perö l'inconveniente d'imporre tovaglie che avevano sempre un grande buco nel centro dal quale dove-va spuntare il Nettuno. (I buchi del taglio erano mascherati da fiori o da foglie.) Non vi erano credenze ma quattro grandi "consoles" col piano di marmo rosa; e l'intonazione generale della stanza era rosa, sia per il marmo, sia per la "toilette" rosa della Principessa nel grande quadro, sia per la tappezzeria delle sedie che era rosa anche essa, non antica, ma di delicatissima intonazione. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Come si vede la casa di S. Margherita era una specie di Pompei del Settecento in cui tutto si fosse miracolosamente conservato intatto; cosa rara sempre ma quasi unica in Sicilia che per povertä e incuria ě il < > piů informazioni • MIolEbookReader Modifica ® w & i I ^ 4) 100% WfS? q ABC esteso Mar 10:47 Q. o • O • MIolEbookReader - 1 racconti o Q p OS paese piü distruttore che esista. Non so quali fossero le cause precise di questa durevolezza fenomenale: forse il fatto che mio bisnonno fra il 1820 e il 1840 vi passö lunghi anni in una specie di confino impostogli dai Re Borbone in seguito ad alcune sue indecenze commesse alia Marina; forse la cura appassionata che ne aveva mia Nonna; certamente il fatto che essa aveva trovato in Onofrio Rotolo l'unico amministratore che a mia conoscenza non fosse un ladro. Egli viveva ancora ai miei tempi: era una specie di gnomo, piccolo piccolo con una lunghissima barba bianca; e viveva insieme alia moglie, in-credibilmente grande e grossa, in uno dei molti appartamenti appendi-colari alia casa con ingresso separato. Delle sue cure e della sua scrupo-lositä si raccontavano mirabilia: come quando la casa era vuota egli la percorresse ogni notte col lume in mano per constatare se tutte le fine-stre erano chiuse e le porte sprangate; come permettesse soltanto alia moglie di risciacquare le porcellane preziose; come dopo ogni ricevi-mento (ai tempi di mia Nonna) andasse a tastare le viti che si trovavano sotto le sedie "cannees"; come durante l'inverno passasse giornate inte-re a sorvegliare squadre di facchini che ripulivano e tenevano in ordine ogni angolo piü fuor di mano di quella mastodontica casa. La moglie malgrado la sua etä ed il suo poco giovanile aspetto era gelosissima; ed ogni tanto ci giungeva notizia di tremende scenate alle quali ella lo sot-toponeva perche sospetto di aver fatto troppa attenzione alle grazie di una giovane fantesca. So di certo che piü di una volta andö da mia Ma-dre a rimproverarla vivacemente per le soverchie spese; inascoltato, va da se, e forse maltrattato. La sua morte coincise con la rapida ed improwisa fine di questa bel-lissima fra le piü belle ville. Siano queste righe che nessuno leggerä un omaggio alla sua illibata memoria. Ma a S. Margherita l'awentura per un ragazzo non si celava soltanto negli appartamenti ignoti o nei meandri del giardino, ma anche in molti singoli oggetti. Pensate soltanto quäle fönte di meraviglia potesse esse-re il centro di tavola! Ma vi era anche la "boite ä musique" scoperta in un cassetto, un grosso aggeggio meccanico ad orologeria nel quäle un cilindro irregolarmente cosparso di punte girava su se stesso sollevando dei minuscoli tasti di acciaio e diffondendo una musica gracile e minuziosa. Vi erano poi delle stanze nelle quali si trovavano enormi armadi in le-gno giallo dei quali si erano perdute le chiavi; neppure don Nofrio sape-va dove fossero e quando si e detto questo si e detto tutto. Si esitö a lungo, poi si chiamö un fabbro, gli sportelli furono aperti. Gli armadi contenevano biancheria da letto, dozzine su dozzine di lenzuola, di federe, tanto da fornire un albergo (e dire che ve ne erano di giä in quantitä strabocchevole negli armadi conosciuti); altri contenevano coperte da letto, in vera lana, cosparse di pepe e di canfora; altri biancheria da tavola, tovaglie damascate piccine, grandi e smisurate, tutte con il buco in mezzo. E fra uno Strato e l'altro di queste casalinghe ricchezze erano posti sacchetti di tulle contenenti fiori di lavanda ormai polverizzata. Ma l'armadio piü interessante era quello che conteneva della cancelle-ria del 700; era un po' piü piccolo degli altri ed era rimpinzato di enormi fogli di carta da lettere di puro straccio, di fasci di penne d'oca, lega- • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:48 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS te ordinatamente a dieci a dieci, di "pains ä cacheter" rossi e verdi e di lunghissime stecche di ceralacca. Vi erano anche le passeggiate intorno a S. Margherita: quella verso Montevago che era la piů frequente perché si svolgeva in piano, era di giusta lunghezza (3 km. circa in ciascun senso) e portava a uno scopo preciso se non attraente: Montevago stesso. Poi vi era la passeggiata dalla parte opposta, sulla strada principále verso Misilbesi: si passava dinanzi a un enorme pino-parasole, e poi sul ponte della Dragonara, circondato in modo inatteso da un verde fitto e selvaggio che mi ricordava le scene ariostesche cosi come le vedevo in quell'epoca nelle illustrazioni del Dorě. Quando si arrivava a Misilbesi -un paesaggio di piglio canagliesco, indice di tutte le violenze e i disagi come credevo non ce ne fossero piů in Sicilia: pochi anni fa ho visto una čerta svolta presso S. Ninfa (Rampinzeri si chiama) nella quale ho rico-nosciuto il ceffo canagliesco ma amato di Misilbesi - quadrivio assolato segnato da un'antica casa postale con tre stradě polverose e deserte che sembravano dover condurre a Dite piů che a Sciacca o Sambuca, si ritornava generalmente in vettura perché i sette chilometri regolamen-tari erano sorpassati di giä da molto. La vettura ci aveva seguiti al passo, fermandosi ogni tanto per non sorpassarci e poi di nuovo riacchiappandoci senza affrettarsi, facendo alternare fasi di silenzio e anche di scomparsa secondo le svolte della strada, a fasi di scalpiccianti riawicinamenti. In autunno le passeggiate avevano per meta la vigna di Toto Ferrara, e li seduti su pietre si mangiava l'uva dolcissima e maculata (uva da vino, perché nel 1905-1910 uva da tavola quasi non se ne coltivava da noi) e poi si entrava in una stanza semibuia nella quale in fondo un gran giovanottone si agitava come un forsennato dentro una botte pigiando coi piedi l'uva il cui succo verdastro si vedeva scorrere in un canaletto di legno, mentre 1'aria si riempiva di un pesante odore di mosto. "Dance, and provencal song, and sunburnt mirth."6 No, "mirth" niente; in Sicilia non ve ne era, non ve ne ě ancora mai quando si lavora; le stornelleggianti vendemmiatrici toscane, le trebbia-ture livoniane punteggiate da banchetti, da canti e da accoppiamenti, sono cose sconosciute; ogni lavoro ě '"na camurria",7 una blasfematoria contrawenzione all'eterno riposo concesso dagli Dei ai nostri "lotus-eaters".8 Nei pomeriggi autunnali piovosi la passeggiata si limitava alia Villa Comunale. Questa era posta al limite settentrionale del paese, proprio sul dirupo che contemplava la grande vallata che ě forse l'asse principále est-ovest della Sicilia e, ad ogni modo, uno dei suoi pochi segni geo-grafici evidenti. Era stata donata al Comune da mio Nonno ed era di una malinconia senza limiti: un viale abbastanza lungo bordato da cipressetti giovani e da vecchi lecci affluiva in un piazzale nudo che aveva in faccia una cap-pelletta della Madonna di Trapani, nel centro una aiuola fiorita di "can-nae" rosse e gialle ed a sinistra una sorta di chiosco-tempietto con cupola sferica dal quale si poteva guardare il panorama. E ne valeva la pena. Di faccia si stendeva un immenso costone di basse montagne, tutto giallo per il frumento mietuto, con le ristoppie talvol-ta bruciate che producevano macule nere cosicché si aveva dawero l'impressione di una immane belva accovacciata. Sul costato di questa < > piů informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:48 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS leonessa o iena (secondo gli umori di chi guardava) si scorgevano a ma-lapena i paesi che la pietra giallo-grigiastra delle costruzioni distingue-va assai male dal fondo: Poggioreale, Contessa, Salaparuta, Gibellina, S. Ninfa, oppressi dalla miseria, dalla canicola e dall'oscurita che soprav-veniva alia quale essi non reagivano col benché minimo lucignolo. La cappelletta sul fondo del piazzale era segno delle manifestazioni anticlericali degli studenti in legge margaritani in quel momento in va-canza. Spesso vi si leggevano scritte a lapis le strofě dell'Inno a Satana: "Salute, o Satana / o ribellione / o forza vindice / della ragione." E quan-do mia Madre (che del resto conosceva 1'Inno a Satana a memoria e se non lo ammirava era solo per ragioni estetiche) inviava la mattina dopo il giardiniere Nino a passare una pennellata di latte di calce su quei versi modestamente sacrileghi, due giorni dopo se ne leggevano di aspri: "Ti scomunico, o Přete", "nunzio di lutti e ďire" e quanti altri sfoghi il buon Giosuě si era creduto in dovere di fare contro il cittadino Mastai. Sul dirupo sottostante il chiosco si potevano cogliere dei capperi il che facevo regolarmente a rischio di rompermi il muso; e pare vi fosse-ro li anche delle mosche cantaridi i cui capi polverizzati sono una cosi potente polvere afrodisiaca; che queste mosche vi fossero ero allora si-curo; ma da chi lo abbia sentito dire, quando e perché rimane un mistera. Ad ogni modo di cantaridi, sia mořte che vive, intere od in polvere non ne ho mai viste in vita mia. Queste erano le passeggiate giornaliere e poco impegnative. Ve ne erano di piú lunghe e complicate, delle "gite". La "gita" per eccellenza era quella a Venaria, quel padiglioncino di caccia posto su un'altura un po' prima di Montevago. Era questa una gita che si compiva sempře in compagnia, un paio di volte per stagione, e non mancava in essa una čerta consuetudine comica. Si decideva: "Domenica prossima a colazione a Venaria." E la mattina verso le 10 ci si metteva in moto, le signore in carrozza, gli uomini su asini. Benché tutti o quasi possedessero cavalli o per lo meno muli, l'uso del somaro era tradizionale; vi si ribellava soltanto mio Padre che aveva trovato modo di aggirare la difficoltá dichiarandosi l'unica persona capace di guidare per quelle stradě il "dog-cart" nel quale si trovavano le signore e nelle cui segrete grigliate per i cani che stáváno sotto la cassa erano invece custodite bottiglie e dolci per la colazione. Fra risate e motteggi la brigata prendeva la strada di Montevago. Nel centra del gruppo polveroso era il dog-cart nel quale mia Madre, Anna (o "Mademoiselle" che fosse), Margherita Giaccone e qualche altra cer-cavano di ripararsi dalla polvere con veli grigi di quasi musulmana fit-tezza; attorno caracollavano gli asini (anzi "i scecche" perché in sicilia-no 1'asino ě quasi sempře al femminile, come le navi in inglese) con le orecchie sbatacchianti. Vi erano le cadute vere, gli ammutinamenti asi-nini autentici e le cadute fittizie provocate per amore del pittoresco. Si attraversava Montevago, destando la vocale indignazione di tutti i cani del luogo, si arrivava al ponte delle Dágali, si scendeva nel terreno sottostante, s'incominciava a salire 1'erta. II viale era dawero grandioso: lungo trecento metri circa saliva diritto verso la cima della collina, limitato da ciascuna parte da un duplice fila-re di cipressi. E non cipressetti adolescenti come lo erano quelli di S. Guido, ma grossi centenari cipressoni che dalla folta chioma spandeva-no in ogni stagione il loro austero profumo. I filari erano interrotti ogni < > piú informazioni • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:48 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS leonessa o iena (secondo gli umori di chi guardava) si scorgevano a ma-lapena i paesi che la pietra giallo-grigiastra delle costruzioni distingue-va assai male dal fondo: Poggioreale, Contessa, Salaparuta, Gibellina, S. Ninfa, oppressi dalla miseria, dalla canicola e dall'oscurita che soprav-veniva alia quale essi non reagivano col benché minimo lucignolo. La cappelletta sul fondo del piazzale era segno delle manifestazioni anticlericali degli studenti in legge margaritani in quel momento in va-canza. Spesso vi si leggevano scritte a lapis le strofě dell'Inno a Satana: "Salute, o Satana / o ribellione / o forza vindice / della ragione." E quan-do mia Madre (che del resto conosceva 1'Inno a Satana a memoria e se non lo ammirava era solo per ragioni estetiche) inviava la mattina dopo il giardiniere Nino a passare una pennellata di latte di calce su quei versi modestamente sacrileghi, due giorni dopo se ne leggevano di aspri: "Ti scomunico, o Přete", "nunzio di lutti e ďire" e quanti altri sfoghi il buon Giosuě si era creduto in dovere di fare contro il cittadino Mastai. Sul dirupo sottostante il chiosco si potevano cogliere dei capperi il che facevo regolarmente a rischio di rompermi il muso; e pare vi fosse-ro li anche delle mosche cantaridi i cui capi polverizzati sono una cosi potente polvere afrodisiaca; che queste mosche vi fossero ero allora si-curo; ma da chi lo abbia sentito dire, quando e perché rimane un mistera. Ad ogni modo di cantaridi, sia mořte che vive, intere od in polvere non ne ho mai viste in vita mia. Queste erano le passeggiate giornaliere e poco impegnative. Ve ne erano di piú lunghe e complicate, delle "gite". La "gita" per eccellenza era quella a Venaria, quel padiglioncino di caccia posto su un'altura un po' prima di Montevago. Era questa una gita che si compiva sempře in compagnia, un paio di volte per stagione, e non mancava in essa una čerta consuetudine comica. Si decideva: "Domenica prossima a colazione a Venaria." E la mattina verso le 10 ci si metteva in moto, le signore in carrozza, gli uomini su asini. Benché tutti o quasi possedessero cavalli o per lo meno muli, l'uso del somaro era tradizionale; vi si ribellava soltanto mio Padre che aveva trovato modo di aggirare la difficoltá dichiarandosi l'unica persona capace di guidare per quelle stradě il "dog-cart" nel quale si trovavano le signore e nelle cui segrete grigliate per i cani che stáváno sotto la cassa erano invece custodite bottiglie e dolci per la colazione. Fra risate e motteggi la brigata prendeva la strada di Montevago. Nel centra del gruppo polveroso era il dog-cart nel quale mia Madre, Anna (o "Mademoiselle" che fosse), Margherita Giaccone e qualche altra cer-cavano di ripararsi dalla polvere con veli grigi di quasi musulmana fit-tezza; attorno caracollavano gli asini (anzi "i scecche" perché in sicilia-no 1'asino ě quasi sempře al femminile, come le navi in inglese) con le orecchie sbatacchianti. Vi erano le cadute vere, gli ammutinamenti asi-nini autentici e le cadute fittizie provocate per amore del pittoresco. Si attraversava Montevago, destando la vocale indignazione di tutti i cani del luogo, si arrivava al ponte delle Dágali, si scendeva nel terreno sottostante, s'incominciava a salire 1'erta. II viale era dawero grandioso: lungo trecento metri circa saliva diritto verso la cima della collina, limitato da ciascuna parte da un duplice fila-re di cipressi. E non cipressetti adolescenti come lo erano quelli di S. Guido, ma grossi centenari cipressoni che dalla folta chioma spandeva-no in ogni stagione il loro austero profumo. I filari erano interrotti ogni < > piú informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä 'S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:48 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ P tanto da im incrocio di banchi, e una volta da una fontána il cui masche-rone spútava ancora acqua ad intervalli. E si saliva nell'ombra odorosa verso la Venaria che se ne stáva lassú, immersa nel grande sole. Era un padiglione di caccia costruito alia fine del Settecento che pas-sava per "piccolo piccolo" ma che in realtä avrä avuto almeno una venti-na di stanze. Costruito in cima alla collina dalla parte opposta a quella dalla quale noi venivamo esso guardava a strapiombo la valle, quella stessa ehe si vedeva dalla Villa Comunale ma ehe qui da piú alto appari-va di una ancor piů vasta desolazione. Eccone la strana pianta. [Vedi p. 76] I cuochi che erano partiti da S. Margherita la mattina alle 7 e che ave-vano giä preparato tutto, quando il ragazzo di vedetta aveva annunziato l'approssimarsi del gruppo avevano cacciato nei forni i memorabili tim-balli di maccheroni alia Talleyrand in modo che, giunti, c'era stato appe-na il tempo di lavarsi le mani, che subito si andava in terrazza sulla quale alľaperto le due tavole erano state preparáte. Nei timballi i maccheroni, intrisi di una leggerissima "glas", avevano, sotto la crosta sfogliosa e non dolce, assorbito il profumo del prosciutto e dei tartufi tagliati a li-sterelle sottili come i fiammiferi. C-4-W r m 1 s- i V' / Pianta delia Venaria piů informazioni fB Ü> O ^ O % ILLU 55441 • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:48 Q. © is • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS La collina della Venaria Enormi spinole fredde alia maionese seguivano, e dopo tacchine farci-te e valanghe di patate. Cera da rimanere secchi dalla congestione. II grosso Giambalvo una volta stava per rimanervi dawero: ma un secchio d'acqua fredda in viso e un prudente riposo in una stanza ombrosa lo salvarono. A rimettere tutto a posto arrivava allora una di quelle torte gelate nella confezione delle quali Marsala, il cuoco, era maestro. La questione dei vini, come sempre nella sobria Sicilia, non aveva impor-tanza. I convitati ci tenevano si e volevano che il bicchiere fosse riempi-to sino all'orlo ("niente colletti" gridavano al cameriere) ma poi di fatto di bicchieri senza colletto ne vuotavano uno, al massimo due. Cominciato il tramonto si scendeva verso S. Margherita. Ho parlato di "gite" al plurále; in verita, a ripensarci, la sola "gita" era quella a Venaria; nei primi anni, altre ve ne furono delle quali pero conservo un ricordo alquanto vago; ma la parola "vago" non ě esatta. Sarebbe meglio dire "difficile ad esprimere". Limpressione visuale era rimasta vivacissima nella mente; ma allora essa non si era collegata con nessuna parola. A Sciacca per esempio siamo stati in carrozza a farvi colazione dai Bertolino quando avro avuto cinque o sei anni; della cola-zione, della gente che abbiamo incontrato, del tragitto per arrivarvi non ho nessuna memoria. Viceversa di Sciacca stessa o per meglio dire della sua passeggiata al disopra del mare mi era rimasta nel cervello una im-magine fotografica completa e precisa a tal punto che quando due anni fa sono per la prima volta ritornato a Sciacca dopo ben 52 anni, ho po-tuto facilmente paragonare la scena che avevo sottocchio con quella vecchia rimasta in mente, constatare le molte rassomiglianze e le qual-che differenze.^^^^^^— Come sempre i miei ricordi lontani sono in special modo ricordi di "luce": a Sciacca vedo un mare azzurrissimo, quasi nero, che scintilla furiosamente sotto il sole meridiano, uno di quei cieli della piena estate siciliana nebbiosi a forza di afa, una ringhiera che limita uno strapiom-bo sul mare, una specie di chiosco nel quale vi ě un caffe a sinistra di chi guarda il mare. (Questo vi ě ancora adesso.) Un cielo invece corrucciato e corso da nuvole pregne di pioggia mi suggerisce il nome del Cannitello, piccola casa di campagna su una ripi-da collina alia quale si accedeva da una strada a giravolte che, non so perché, occorreva che i cavalli salissero di galoppo. Vedo il "landau" con i suoi cuscini azzurri impolverati (e che appunto perché azzurri mo- < > piů informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä 'S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:48 Q. e • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p OS stravano che la vettura non era nostra ma presa a nolo), mia Madre se-duta in un angolo che, spaventata essa stessa, tentava di rassicurarmi, mentre di fianco a noi gli alberi sparuti passavano e scomparivano con la velocitä del vento, e gli incitamenti del cocchiere si univano agli schiocchi della frusta e aH'infuriare delle sonagliere (no, la vettura non era proprio la nostra). Delia casa del Cannitello ritengo una memoria che adesso mi permet-te di dire che aveva un aspetto signorile ma poverissimo; allora questo giudizio economico-sociale evidentemente non lo formulavo ma posso serenamente dirlo adesso esaminando la fotografia mentale che ho teste ricavato dall'archivio della memoria. Ho parlato delle persone che frequentavano la casa di S. Margherita; mi resta adesso di parlare degli ospiti che venivano a starvi alcuni gior-ni od alcune settimane. Premetto che questi ospiti erano pochi. Allora non vi erano automobi-li; o per meglio dire ve ne saranno state tre o quattro in tutta la Sicilia, e lo stato orrendo delle strade induceva i padroni di queste "rari aves" a servirsene soltanto in cittä. S. Margherita era lontana da Palermo, allora, dodici ore di viaggio; e che viaggio! Fra gli ospiti di S. Margherita ricordo mia zia Giulia Trigona con Clementina sua figlia e la governante di essa, una tedesca ossuta e severis-sima ben differente dalle mie sorridenti Anne. Giovanna (adesso Albane-se) non era ancora nata e lo zio Romualdo non so dove esibisse il suo bei fisico e i propri impeccabili vestiti. Clementina era, come e adesso, un maschio in gonnella. Decisa, bru-sca e manesca era (appunto per queste sue particolaritä che poi si rive- larono negative) una gradevole compagna di giochi per un ragazzino di sei o sette anni. Ricordo bene certi interminabili inseguimenti in triciclo ehe si svolgevano, oltre ehe nel giardino, nell'interno della casa, fra la sala ďingresso e il "salone di Leopoldo", il che fra andata e ritorno do-veva fare una distanza di circa quattrocento metri. Ho di giä raccontato la storiella della nostra trasformazione in scim-mie nella gabbia del giardino; e ricordo le prime colazioni consumate attorno a un tavolino di ferro nel giardino. Ma temo che quest'ultimo sia uno "pseudo-ricordo": di queste prime colazioni in giardino esiste una fotografia e puô benissimo darsi che io scambi il ricordo attuale della fotografia con uno arcaico delľinfanzia. II che é quanto mai possibile ed anzi frequente. Debbo dire che non conservo nessun ricordo di mia zia Giulia, in que-sta occasione: probabilmente eravamo, Clementina ed io, ancora alľetä dei pasti separati. Vivacissimo é invece il ricordo di Giovannino Cannitello. Era questi il proprietario di quella casa del Cannitello della quale ho parlato. Giovanni Gerbino-Xaxa, barone del Cannitello, era il suo nome completo ed egli apparteneva a una buona famiglia locale, sub-feudataria dei Filan-geri, che avevano avuto il diritto, rarissimo ed assai invidiato di investi-re della baronia, sui loro propri feudi, un totale di due vassalli per ogni generazione. I Gerbino (che erano stati giudici dei tribunáli del "misto e mero") avevano avuto questo privilegio, e mia Nonna per questo lo chia-mava "fra i miei vassalli primissimo vassallo". Giovannino Cannitello faceva allora a me l'effetto di un vegliardo: in realtä non doveva avere piii di quarant'anni. Era altissimo, magrissimo, < > piü informazioni é MlolEbookReader Modifica m m ^ 3| ä 'S?" 4) 100% (M)' q ABC esteso Mar 10:48 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ p QS miopissimo: malgrado i suoi occhiali, che portava a "pince-nez", e che forniti di lenti di straordinario spessore, gli straziavano il naso con il loro peso, camminava curvo nella speranza di riuscire a scorgere alme-no un'ombra di ció che lo circondava. II pover'uomo infatti ě morto cie-co non piú di una ventina ďanni fa. Persona buonissima, delicata, benvoluta e non molto intelligente egli aveva dedicato la vita (e sperperato la maggior parte delle sue sostan-ze) al desiderio di essere una "persona elegante". E dal punto di vista dell'abbigliamento vi era certamente riuscito: non ho mai visto su di un uomo un vestiario piú sobrio, meglio tagliato, meno vistoso del suo. Era stato uno dei tanti farfalloni che la vivace lampada dei Florio aveva at-tratto, esaltato in giravolte e poi abbandonato sulla tovaglia con le ali bruciate. Con i Florio era stato piú ďuna volta a Parigi, alloggiando ad-dirittura al "Ritz", e di Parigi (la Parigi delle "boites", dei bordelli di lus-so, delle ragazze a pagamento) aveva conservato un ricordo abbagliato il quale del resto lo rendeva assai simile al dottor Monteleone del quale ho parlato; con la differenza che i ricordi del dottore si aggiravano in-torno al "Quartier latin" ed all'"Ecole de Médecine". Fra il dottor Monteleone, del resto, e Giovannino Cannitello non correva buon sangue, forse appunto per questa rivalita nel disputarsi i favori della "Ville Lu-miěre". Fu per lungo tempo uno scherzo di famiglia il racconto di come il dottor Monteleone, svegliato la notte perché Cannitello aveva inghiot-tito un litro di petrolio a scopo suicida (perché respinto da una graziosa cameriera) si fosse semplicemente voltato da un'altra parte dicendo: "Calategli uno stoppino nello stomaco e accendetelo." Perché Giovannino Cannitello (che in seguito al tempo francese di mademoiselle Sempell venne chiamato "le grand Esco" cioě "le grand esco-griffe"9) era di temperamento sentimentale oltreché galante. E innume-revoli furono le volte che egli attentö alia propria vita (mediante il guar-dingo uso di petrolio o di vapori di "braciera" a finestra aperta) in seguito a ripulse da parte di sue flamme generalmente di rango ancillare. II pověro Cannitello divenuto quasi cieco e del tutto pověro ě morto non moltissimi anni fa (verso il 1932) nella sua casa di via Alloro, atti-gua alia chiesa dei Cocchieri. Mia Madre che andava a visitarlo sino alla fine ritornava impressionatissima perché egli era talmente curvo che, seduto in poltrona, il suo volto era a venti centimetri dal pavimento e per parlare con lui occorreva sedersi su un cuscino direttamente sul pavimento. Nei primi anni era anche frequente ospite a S. Margherita Alessio Cerda. Poi divenne cieco e benché lo vedessimo sempře a Palermo, a S. Margherita egli non si fece piú vedere. Vi era di lui una fotografia in uniforme di tenente delle Guide, col berretto molie, gli stivali molli, i guanti molli del nostro infelice esercito del 1866; mollezze tutte che si affermarono a Custoza. Ma di Alessio Cerda, personaggio singolarissi-mo, avrö occasione di parlare. Un'altra persona che venne una volta, appunto con una delle prime automobili fu Paolo Scaletta. Credo venisse per caso. Egli andava in al-cune proprieta Valdina a Menfi, non lontano da S. Margherita, quando la sua macchina ebbe una panna. E venne a chiedere ospitalitä a noi. Attorno a S. Margherita si raggruppano molti miei ricordi, gradevoli e sgradevoli, tutti pero cruciali. piú informazioni 7506 • MlolEbookReader Modifica ® w ^ i I ^ 4) 100% WSf q ABC esteso Mar 10:48 Q. o • O • MlolEbookReader - 1 racconti O ■ Q p OS Fu a S. Margherita che alia non tenera etä di otto anni mi venne inse-gnato a leggere. Prima mi si facevano delle letture; a giorni alternati mi si leggeva la "Storia Sacra", una specie di sunto della Bibbia e del Van-gelo i giorni di Martedi, Giovedi e Sabato; e i Lunedi, Mercoledi e Ve-nerdi... la Mitologia classica. In modo che ho acquisito una solida cono-scenza di ambedue queste discipline: sono ancora in grado di dire quan-ti e quali fossero i fratelli di Giuseppe e me la cavo fra le complicate be-ghe familiari degli Atridi. Prima ancora di saper leggere mia Nonna era anche costretta dalla sua stessa bontä a leggermi durante un'ora "La Regina dei Caraibi" di Salgari e la vedo ancora mentre si sforzava di non addormentarsi leggendo ad alta voce delle prodezze del Corsaro Nero e delle smargiassate di Carmaux. Finalmente si decise che questa cultura religiosa, classica e awentu-rosa vicariamente impartita non poteva durare piü a lungo, e si decise di affidarmi alle cure di "Donna Carmela", una maestra elementare di S. Margherita. Adesso le maestre elementari sono delle signorine vivaci, eleganti che ti parlano di metodi pedagogici di Pestalozzi e di James e che si fanno chiamare "professoresse". Nel 1905, e in Sicilia, una maestra elementare era una vecchietta piü che a meta contadina, con la testa occhialuta racchiusa in uno scialle nero; viceversa essa sapeva inse-gnare alia perfezione; in due mesi sapevo leggere e scrivere, non avevo piü dubbi circa le doppie consonanti e le sillabe accentate. Durante in-tere settimane, nella "stanza bleu" che dava sul secondo cortile, separata dalla mia "stanza rosa" soltanto da un corridoio, dovetti eseguire delle dettature sillabate, cioě "del-le det-ta-tu-re sil-la-ba-te" e ripetere die-cine di volte "di, do, da, fo, fa, fu, qui e qua non prendono mai l'accento". Sante fatiche, del resto,- mercé le quali non mi capiterä mai, come capita a un illustre senátore, di sorprendermi della frequenza del-I'errore di stampa, nei giomali e nei manifesti, che fa scrivere "Reppub-blica" con due B. Quando ebbi appreso a scrivere l'italiano, mia Madre mi apprese a scrivere in francese: parlare lo parlavo giä ed ero stato molte volte a Pa-rigi, ed in Francia. Ma a leggere imparai a S. Margherita. Vedo ancora mia Madre seduta con me davanti a una scrivania scrivere lentamente e con grande chiarezza "le chien, le cat, le cheval" su una colonna di un quaderno con copertina azzurra lucida ed insegnarmi che "ch" in francese ě "sc", come in italiano "scirocco e Sciacca", diceva lei. 2 Catoiu (qui italianizzato in catodio), dal greco koctojveiou (sotterra-neo), indica in siciliano un misero locale d'abitazione al pianoterra o se-minterrato (cfr. il napoletano basso). [N.d.R.] 3 Nel manoscritto la forma della vetrata ě indicata da un disegno. (Vedi immagine) 4 Titolo non autografo. V. Prefazione, 5 Caciocavallo. [N.d.R.] 6 "Danza, e canto provenzale, e assolata allegria". J. Keats, Ode to a Nightingale. [N.d.R.] 7 In siciliano, malattia venerea, e, per traslato, fastidio, seccatura. [N.d.R.] 8 Mangiatori di loto. [N.d.R.] 9 Spilungone. [N.d.R.]