Salvátore Silvano Nigro II Principe fulvo Sellerio editore Palermo ?5N »todi d »Ha sinistra, helerecat; imogenito>r. salire sunn: jcchi sfavilW ostentavanoF H un caroer in iunzi0"er: i grandy II mare, k morte, ľimmortalitä ... questa misteriosa immortale dalla coda squamosa... Herbert George Wells, The Sea Lady, 1902 Date e luoghi non sono semplici tacche nel tempo e nello spazio. Inclinano alle tráme, piuttosto; e alle di-latazioni narrative. Una data qui conta, la notte del 26 marzo del 1938, nel quadrante smerigliato di un orologio che segna ore non del tutto esatte; e conta una collocazione, nello scenario mobile di un piroscafo diretto a Napoli. In una cabina dorme Ettore Majorána. II giovane fisico non arriva a destinazione. Non si pre-senta agli appuntamenti. Scompare. E un fatto. Ma ě anche una relazione narrativa. Contiene giä un futuro di storie, non ancora raccontate. E richiama un passato di mitologie e di misteři. Negli anni 1956 e 1957, Tomáši di Lampedusa ě uno scrittore segreto. Da un anno ha cominciato, in silenzio e in solitudine, la stesura del Gattopardo. Ora si piega su un foglio bianco. Avvia un racconto intitolato La siréna. Scrive una data, 1938, e la colora con il nero della notte. E ľ anno in cui, se-condo lo scrittore, il grecista Rosario La Ciura accoglie 47 rinvlto della siréna Lighea. II vecchio profess iarcato sul Rex, che naviga verso Napoli. Ha !e puntamenti accademici, come Majorána. E come UŽ rana non arriva agli incontn. Durante la notte il DJ fessore ě salito in coperta. E si ě lasciato sedurre dS creatura marina. Ha raggiunto la siréna in fond0 i mare, «dove tutto ě silenziosa quiete». H SUo ^ non viene ritrovato. La scomparsa di Majorána "anti cipa" la sparizione di La Ciura, nelle acque stregate del golfo di Napoli che giá, nella notte tra il 4 e il 5 marzo del 1861, avevano inghiottito al largo della pe-nisola sorrentina il vapore Ercole con tutto il suo equi-paggio. Né relitti, né cadaveri, erano stati restituiti. Neirinabissamento era andato disperso lo scrittore Ip-polito Nievo. Lungo la cos ta sorrentina, in vista del golfo di Napoli, la tradizione vuole che fossero gli scogli delle sirene incantatrici, addensati come mWIsoía dei morti di Bócklin. In questo liquido cimitero senza avelli, in mezzo a rocce che attraggono e sgomentano, gli uomini sono colti dal potere di fascinazione della mořte, dalla passione per la scomparsa. Misteriosamente, come nel triangolo delle Bermude. ^ II racconto di Lampedusa narrativizza, attorno a ianno 1938, la veritá fantastica del misterodiMajory La vicenda del fisico siciliano e il racconto sul sitf^ La Ciura sono in rapporto di immaginaria recipr ^ Una data e un luogo sono diventati uno spazio n* . dentro il quale> tra incontri mancati e tracolU P tr* realtá e finzione, il caso Majorána si e c ^ Come a^hetipo di tutte le scomparse, di tutt 48 dal tnon che caratt^ data trama di La Cm* racconto cl con un gio' Po, dalLat siréna terri ha "profeti due anni, e tica, la «ca le braccia esistono ar bašta truccž ventare la r L'anno 1 fantastico c storia persc mulgazion Cfisi politi suPpone i ?Voca gli o dell>inform sParmia la fnCent°> su ?traggio de§li altri 'llnculpOD eu °mol S°re Si 1 •Ha ' í< te Pro. J£tte dalla rondo ai iUo corpo ana "anti. e stregate il 4 e 3 5 0 della pe-il suo equi- 1 restituiti. crittorelp-n vista del fossero gk ne neU'!^ nitero sen* j A\ nrofessori, fisici, matematici, economisti, dalmondo, diP^^V^letterario. Ma unaltra che caratterizzano 1 immag _ «Catastrofe» di La Cmra c prep , ^ dd professore ^JÍ^SSta in un caffé torinese di via ^LKcdo con una bella <>, con una Sna terribilmente seducente. Stavolta Lampedusa ha "profetizzato", anticipandola di poco, di appena due anni, e dislocandola nel «laggiú» di una Sicília mi-tica la «cata strofe » di Nietzsche che in via Po getto le braccia al collo di un cavallo. Nella letteratura esistono anche i "plagi" per anticipazione. A volte bašta truccare date e luoghi. La letteratura sa come inventáre la realta. Ľanno 1938 appartiene alla storia di Majorána, al fantastico del racconto sul professore La Ciura, alla storia personále di Lampedusa. E ľanno della pro-mulgazione delle leggi razziali, e della conseguente crisi politica dello scrittore. II racconto La siréna pre-suppone i predicati molesti delľorizzonte storico. Evoca gli ordini di stampa, le "veline", e il controllo delľinformazione (cosi come U Gattopardo non ri-sparmia la «vessatoria censura borbonica», nelľOt-tocento, sulľimportazione dei romanzi stranieri, e il filtraggio delle «notizie sul sistema costituzionale degli altri stati italiani»). Addossa alľ«infierire» del Minculpop, del Ministero della Cultura Popolare del regime fascista, la responsabilitä delľappiattimento deu omologazione dei giornali: la banalita, la vacuita 49 Ura. ľinconsistenza delle notizie; la tristizia della je Glorifica chi si ě rifiutato di entrare nell'Accad* ďltalia che, proprio nel 1938, sotto la presid^ del senátore Luigi Federzoni, smentiva ogni res^3 di illusione sulľautonomia della cultura dalla polit"U° e dalle imprese delľltalia mussoliniana. Un c ^ opaco di disfatta civile grava, nel racconto, \u\\ Torino fascista del 1938. La stessa topografia delia cittä ě volta al morale. Comprende un margine un orlo, un cerchio ehe cinge ľabisso: il caffě di via Po un «luogo geometrico di vite fallite» e di abitudini pigre, «un adattissimo Limbo» che racehiude íe anime attediate, le ombre vane e smorte di pensionati e di quanti (magari momentaneamente) si sono risolti ad assentarsi dal «mondo». La prosa del racconto ě piana, evidente, e di sobrio disegno. Sa pero ineresparsi. E darsi i colori freddi della rinuncia ascetica o quelli foschi di un linguaggio simildantesco. Dal mondo che mal vive discende agli inferi blandi di via Po il giovane redattore del quotidiano «La Stam-pa», il palermitano Paolo Corběra di Salina. Lampedusa procura al personaggio lo stesso casato del Principe del romanzo, le Stesse «Gattoparderie» er editan« inesatti «tutti i fasti, tutti i peccati, tutti i canoni inc ^ tutti i pesi non pagati». E lo lega a una hl0^^: il a tratti e compatibile con la propria autobi0^ti servizio militare ad Augusta, l'iscrizione al^ ^ di Giurisprudenza, la spensieratezza a Torin razione giornalistica, il rimpianto per la casa distrutta dai «Liberators». 50 «j ch' se^ deUa 'lla, ÄS e ai via P0, l» abitudini •de le anime isionati e di 10 risolti ad >nto é piana, cresparsi- E :ica o que11' infcri blan* US** Paolo Corběra ha deciso di straniarsi per un po' dalle complicazioni e dai disagi delle passioni frivole e delle infedeltä sentimentali; e ha preso a frequentare quel luogo di arida luce, quel parcheggio quieto e ovattato che si avvoltola nelTombra e nel silenzio. Si incuriosisce della recondita personalita di un signore anziano, scon-troso e trasandato; alquanto bisbetico, altezzoso e sup-ponente, che si prodiga in sputi di sdegno. Lo spirito sconosciuto non ha uno stile impeccabile. Si erge inoltre sul proprio «io» come sulla cima di una torre pagana. Dall'alto di siffatta eccellenza, insolentisce contro il basso mondo «cristiano». Lui ě, dantescamente, tra i <iúp 52 nstoc*5 lmeRtedaDí enze Sf*ri& ^seggono aa equindisitn-a voi ed a m oro sono vital; jro patrimw111 se..Piuci«<; centre pe"31 ,be«o con it .1»»» o, amareggiata dall'assillo che altri potessero pompeggiare piú di lui». L'«immortalita» del ceto aristocratico (lo spiega il Principe a Padre Pirrone, con onesto realismo) é cosa di ineluttabile angustia; e nella storia si va acco-modando con la montante temperie democratica: «Non siamo ciechi, caro Padre, siamo soltanto uomini. Viviamo in una realtä mobile alia quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare. Alia Santa Chiesa é stata esplicitamente promessa ľimmor-talitä; a noi, in quanto classe sociale, no. Per noi un palliativo che promette di durare cento anni equivale alľeternitä». E tra i «palliativi» che assicurano distin-zione e perpetuazione ci sono, oltre alle abitudini e ai codici di comportamento, gli urti e le onde di memoria sprigionati dagli antichi arredi e dalle vetuste dimore. Smentisce il tempo il palazzo gattopardesco di Donna-fugata, in un incontro di vivi e di morti dentro la di-mensione invisibile, ma intelligibilmente attiva, di «in-ferni» e «paradisi» secenteschi e settecenteschi che in-sieme collaborano a rinnovare nell'Ottocento gorghi di eccitazione e di corrompimento sensuale. II palazzo inestricabile é posseduto - fin dentro le remote stanze, su e giíi per scalette, cortili e porte nascoste, in mezzo a specchi, ragnatele, oggetti obliati o estintisi nella pol-vere - dagli oscuri démoni degli antenati della famiglia Salina, ora penitenzialmente o sadicamente insanguinati, ora libertinamente incipriati e galanti come gli amorini citeréi di Watteau: «Donnafugata, il senso di tradizione e di perennitä espresso in pietra e in acqua, il tempo congelato». 53 Corběra non si raccapezza. E disorientato; e anch * ritato dal tono asseverativo di quello strano pendol dell'Ade, che misura tassi di memoria e gradi d'imn^ talitá. Corběra ha senz'altro letto IlPiacere di d'Annunzľ E crede di dovere interpretare in chiave superomistica antidemocratica ľorgoglio insolente dello spirito paga incontrato nel caffě di via Po. Sulla base di questo co; vincimento, non puö non riportare a un passo del Piacere il discorso sulla tradizione aristocratica (divinando e tra-visando gli sviluppi ehe nel frattempo comincia ad avere nel Gattopardo): «Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge misera-mente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltä italica, in cui era tenutá viva di generazione in generazione una čerta tradizion familiäre ďeletta cultura, ďeleganza e di arte». Corběra avverte, nelle parole dello sconosciuto, «un pizzico di nietzscheismo fascista». Si sbaglia. E presto si ricrede. Lampedusa vuole che i lettori pereepiscano Corběra, insieme al raeconto che lui fa della sua discesa al Limbo, come fosse contemporaneamente collocato dentro e fuori del Gattopardo. In modo da correggere, nelľerrore di Corběra, ľerrore eventuale dei letto* del romanzo. Corběra dedina su di sé vari braní biografia di Lampedusa. E, come Lampedusa, e nní\ rentato con il protagonista del Gattopardo. Coľ7^ie. una maschera delľautore. Ed ě insieme figura de^ stimone e del lettore ipotetico del romanzo, cheont0. pedusa sta scrivendo contemporaneamente al racc ^ ^ A lui lo spirito apparentemente sconcertante m di u" e!e piecok i» persino ff scostante nato ad A< della pic« celibe. E i simo eilen: studiato c< it děi e il ter un «senso' e una lingi Ciura vive mato, tra n dezza natu «ateri ant ^anno can ha°no dip; LPer cht ci* lo ^ni> 54 fi< ass°delP^ lvmandoetra. mock adavere iO democratico n merge misera-nparendo quella in cui era tenutá certa tradizion i arte»- onoscíí dell* 5U>.« , da cf ■ let'" vari žiií ŕ consegnare il segreto delia propria vita, la narrazione di un evento non ordinario. Corbéra tenta approcci diplomatici. Conduce una piccola inchiesta. Puô čosi dare una carta d'identitä, e persino un curriculum, al coinquilino di «pena». Lo scostante compagno si chiama Rosario La Ciura. E nato ad Aci Castello, in Sicília, «in una povera famiglia delia piccola borghesia». Ha settantacinque anni, ed é celibe. E un senatore «pre-fascista». Ed é un grandis-simo ellenista, di fama internazionale. Ha soprattutto studiato cosmogonie e teogonie greche: la stirpe degli déi e il tempo degli uomini. Delľantichitä classica ha un «senso vivace, quasi carnale»: per lui il greco anúco é una lingua ancora viva, ascoltabile e praticabile. La Ciura vive con decoro, in un palazzo alquanto consu-mato, tra muraglie di libri, «enormi fotografie, a gran-dezza naturale, di statue greche arcaiche», «anfore e crateri antichi» decorati con le «frottole» che i poeti hanno cantato sulla mortalita delle siréne e i pittori hanno dipinto. Gli f a compagnia un grosso boxer, che presenta con singolare compiacimento: «Questo, Corbéra, per chi sa comprenderlo, rassomiglia piú agli Im-mortali, malgrado la sua bruttezza, che le tue sgrin-fiette». E difatti il cane ha un nome mitologico, Eaco, che lo assegna alla stirpe degli déi. Figlio di Zeus e di una ninfa, Eaco era nato in un'isola deserta. Chiese al padre una metamorfosi. Ottenne che le formiche del-ľisola diventassero uomini. Ebbe čosi un popolo di mirmidoni (di "formiche"), sul quale regnare. Lampe-dusa seppe fare quanto Zeus, nel Gattopardo. Ma al- 55 Pinverso. Trasmuto in formiche i fanti in fe2 della dittatura fascista. ' egr^glia La Ciura ha un'attrazione per le acque sals che promettono, per i doni che offrono. Nes jy ^ fascino, la malia. Quelle del mare sono conte neamente acque di perdizione e acque di vita if^' «da la morte», dice con il consueto tono enigma' «insieme all'immortalita». La Ciura ha una fantasia carnale. Riconosce, nel guscio di un riccio aperto, spac* cato a meta, la promessa di piaceri ignoti, l'offerta erotica delle creature delle acque. Le «cartilagini san-guigne» dei ricci, con gli aromi che promanano, sono come le mucose vaginali. I ricci sono «simulacri di organi femminili», talismani di piacere. Nel Gattopardo e il Principe ad avvertire, fino al turbamento, i sortilegi degli scrosci e sciacquii delle acque, le loro proposte di ebbrezze incorruttibili. Don Fabrizio Corbera, Prindpe di Salina, percorre il viale principale del giardino di Donnafugata. Raggiunge, «avido» di rivederla, lafon-tana di Anfitrite: «Soffiate via dalle conche dei Tritoni, dalle conchiglie delle Naiadi, dalle narici dei mosW marini, le acque erompevano in filamenti sottili, pi^ chiettavano con pungente brusio la superficie ver a del bacino, suscitavano rimbalzi, bolle, spume, u lazioni, fremiti, gorghi ridenti; dall'intera to dalle acque tiepide, dalle pietre rivestite di mi£ ^ lutati emanava la promessa di un piacere cnc ^ ^ be mai potuto volgersi in dolore». La fontana_ ^ da divinita marine, che fanno parte del co^an0.?o-regina del mare, Anfitrite. E non manca 56 della &f («sette if il suo omb u f°nta? marine E Per qua «poeta» de versi della delle disce rizzonte ul intraveder immortali g tiene «uno e lascia che mente lega danno in d devozione M p- na 2 ratici fantasia t0, spac-•'offcna gini san-ano, sono Eiulacri di Gattopäé i sortilegi propostedi , Principe ardino í laJaton-• Tritoni- seidone, che abbranca «un'Anfitrite vogliosa» e, ri-promettendosi di baciarla ripetutamente sulľombelico, su quel «nido» dei sensi che la castigatezza bigotta della moglie Maria Stella ha sempre negato al Principe («sette figli ho avuto con lei, sette, e non ho mai visto il suo ombelico»), la rapisce nelľ«ombrla subacquea». La fontána ďacqua dolce finge se stessa come spazio marino. E un'abbreviatura d'oceano. Per quanto scorbutico e irritante, La Ciura ě un «poeta» della solitudine e un sognatore di parole. Sui versi della Teogonia di Esiodo ha inseguito ľimmortalitä delle discendenze divine. E si ě persino sporto sulľo-rizzonte ultimo dell'opera greca, la dove Esiodo lascia intravedere i talami e le alcove che videro le divinitä immortali giacere con gli esseri mortali. La Ciura man-tiene «uno sguardo lontano» e un'«espressione rapita», e lascia che nei suoi discorsi l'«immortalita», pagana-mente legata a un piacere simile a quello che le acque danno in dono, leviti e si manifesti come una parola di devozione esaltata, e come un'ossessione. Insinua pure un suo contatto con ľimmortalitä, un coinvolgimento addirittura. Davanti a un'antica fotografia, che lo pre-senta seminudo in posa di «giovane dio», non si trat-tiene. «Questo», dice a Corběra, presentando la sua immagine di adolescente, «era ed ě, e sarä... Rosario La Ciura». La percussione delle parole ě sintomatica. Lampedusa non manca di rimarcarla. Si apposta alľin-terno della frase, entro una parentesi ďintervento, e rileva la tonalitä forte di quel «sara» che prospetta, per La Ciura, l'eterna permanenza nella giovinezza: la 57 fuoruscita dal tempo degli uomini e la D air«immortalitä». «Accentuö fortement^^2^ mento di Lampedusa. Non stupisce l'apprens^ ^ C% filiale di Corběra. II giovane pensa di essere'^ qUasi in un caso di stolidezza senile. lncaPpat0 I rapporti tra il giovane e il vecchio si evolvon corso del racconto. Passano da una iniziale fascina° ^ a una tremula amicizia, a relazioni talmente corS da includere delle passeggiate notturne per la cittá Arrivano alia partecipazione affettiva. La Ciura rico-nosce al giovane una raggiunta maturazione nella «sintesi di sensi e di ragione», dopo una protrattae commovente «ingenuitä». Solo adesso si decide a con-fidarsi con lui, e a dare ragione delle sue «stranezze» e di alcune asserzioni che «saranno sembrate degnedi un pazzo». La Ciura affida a Corběra, a futura memoria, nell'imminenza possibile di un distacco senza ritorno, l'innocente veritä di una vita malumorosa: il racconto sommesso, senza melodrammatici sovrattoni, di un evento segreto che l'ha segnato per sempre e 1 ha m-nalzato alla solitudine di un privilegio esclusivo. Tutto era avvenuto in Sicilia: «laggiu (cosi dicev, al modo piemontese)». L'avverbio da un suono on^> nel racconto, un'eco come di luogo cavo e in qu^ ^ modo arcaico. «Laggiu» ě l'avverbio de]. tant del mitologico ctonio. Lo prediligono La Mot f ^ Giraudoux, Andersen, Wells (scrittori presen Andersen, nella biblioteca di La Ciura). l di Lampedusa, l'avverbio addita la ^^^n* delle «cose di natura»: l'isola propizia a 58 quale hanno soggiornato gli děi, e nella quale gli del potrebbero ancora tornare, richiamati «negli Agosti inesauribili» dall'oro della luce, dai sortilegi di un sole implacabile, dalle canicole, dagli incanti meridiani, dai prodigi delle notti stellate. La Ciura aveva ventiquattro anni. Studiava pazza-mente per prepararsi a un concorso universitario. Era ďestate. II caldo torrido divampava. Si condensava in braci luminose, e infrolliva i corpi. La Ciura si era lasciato convincere da un amico a fuggire dallo scirocco che, in cittá, aggrediva come un soffio grasso e madido; come il battito di vaste e vischiose ali di pipistrelli. Si era ritirato in una rustica casupola sul mare, ad Augusta, sempre al caldo, ma sotto un sole finalmente tonificante. Studiava. Declamava versi greci antichi. Nessuno poteva condividere quella lingua, che veniva da lontano. Nessuno, tranne un'adolescente emersa dal mare: una crea-tura di allarmante bellezza, un ibrido marino, una donna con le schiene lunghe e le cianche a coda lunata. La Ciura era stato visitato da una sirena, passata attraverso i mari d'inchiostro di una vasta letteratura e i colori brillanti di vari pittori. Proveniva dai castelli e dai palazzi di cristallo in fondo al mare, giá abitati dalle si-renette di Andersen e dalle ondine di La Motte-Fouqué e di Giraudoux. Aveva gli occhi verdi e mostrava denti bianchi, acuminati, da cane, come quelli della sirena Juha nel romanzo La verita sul caso Motta di Mario Soldáti. Preferiva la posa riversa, da Maja desnuda, o da Nudo di Modigliani, con le braccia in arco dietro la nuca e i seni divaricati, che era stata della sirena di 59 Giovanni Alíredo Cesareo e della «donna-sirena o diabolica» disegnata da Carlo Levi per la ' del romanzo di Soldáti America primo amore. Era^í^ vonale come la siréna di Wells, nel romanzo LaT del maře. Da un quadro di Max Klinger, // back sirem, aveva imparato, viscida e avvolgente con äsoo > ascico flessuoso, ad accoppiarsi con gli uomini. Bend* bella bestia, abituata a far schioccare la lingua insan-guinata dopo avere straziato i pešci di cui si nutriva, sapeva dare baci meno ferini di quelli che nel frattempo,' nel Gattopardo, Angelica (a sua volta fornita di «denti di lupatta») riceveva da Tancredi: «le diede un aspro bacio che la fece gemere perché le feri il labbro e le ra-schió il palato». La siréna aveva la regalita della giovi-nezza. II suo corpo, che confondeva e rendeva indeter-minata la relazione tra la donna e il pesce, tra la divinita e l'animalitä, era aromatico: sapeva di salsedine e ca íe; e con 1'odore effondeva gli stessi richiami erotici dí un riccio di mare aperto sulla propria intimita. La siréna era amabilmente gentile. Dalle sue immersioni non mancava di portare in dono agli amanti, per \/'A'\'í\vaxí: le rnomentanee assenze, ramuscoh di cor^ f/au<- Juha nel romanzo íantabiologico di Solcla[^:_ La Cíura c la siréna comunicavano in li démone marino si chiamava Lighea. Era lig ia ^ .'/.,.;> ř/.illiopr. -Non credere alle favole urveme-v,,,, ;r/rv, delto subito al giovaneprofessore,-^ i./liíiino tu .Minu, ainiamosoltanto». Ef*era* avev* m, p*r trc icttimanc: lui mortale, che ma ^ ^ »,,< mho donna, c mai donna (maleodorante ^Ita fornita di ,deľu • *le diedeunaspw teriil labbroeb i regalitá delia gio\i-'a e rcndeva indeter-pesce. tra la diviniw M di salsedineeá .tessirichiamie^ ,giii",:olidi^ to'- fb« y rompimento) si abbasserä a conoscere dopo la grazia di quelľincontro che gli aveva fatto assaporare piaceri sublimi e divine letizie; lei delia stirpe degli dei, i cui amplessi partecipavano delia voluttä carnale comune agli umani e di quella sovrumana e spirituále delle di-vinitä: «Dalle membra di lei immortali scaturiva un tal potenziale di vita che le perdite di energia venivano subito compensate, anzi accresciute. In quei giorni, Corbéra, ho amato quanto cento dei vostri Don Gio-vanni messi insieme per tutta la vita. E che amori! Al riparo di conventi e di delitti, dei rancore dei Com-mendatori e delia trivialitä dei Leporello, lontani dalle pretese dei cuore, dai falsi sospiri, dalle deliquescenze fittizie che immancabilmente macchiano i vostri mise-rabili baci». Le siréne sono figúre faunesche, di sensi-bilitä ferina e di lussuria panica, come le capre con le quali si accoppiano i pastori nelle solitudini dei monti. Era stato Tommaso Landolfi, nel romanzo La pietra lunare, ad accostare per primo le siréne alle fanciulle-capre mannare, che portano le «appendici caprine come le siréne la loro coda». Lighea si era presentata a La Ciura come ľlndifferente e come la Benefica: era lei, la siréna, che correva in soccorso dei naufraghi «per mutare in piacere il loro ultimo rantolo»; era lei che realizzava il «sogno di son-no» di quanti, stanchi delia vita, si sporgevano sulle acque dei mare e la chiamavano; era lei la «corrente di vita priva di accidenti», ľimmortalitä dentro cui con-fluivano «tutte le morti» per ridiventare vita «non piú individuale e determinata ma panica e quindi 61 libera». La sirena era un dono del mare: il • «che non avrebbe mai potuto volgersi in dol^^ piacere nella morte; il piacere dell'accoglienza nel fl ore»; i deirimmortalitä. La Ciura aveva conosciuto \ gazzina lasciva», una «belvetta», una portatrice^d* grazia pagana, che gli «aveva mostrato la via versoi veri eterni riposi, anche verso un ascetismo di vita de rivato non dalla rinunzia ma dalla impossibilitä di ac-cettare altri piaceri inferiori». Lighea aveva invitato La Ciura a seguirlo nel ne-rofondo del mare. Sarebbe cosl scampato al monotono scorrere del tempo, alle sofferenze, alle malattie, alla decadenza, all'irreparabile vecchiaia. Avrebbe trovato salvezza in un «sogno» che non sarebbe finito. Ma solo nel 1938 il professore, ormai vecchio, si decisea raggiungere r«immortalitä» a lungo corteggiata. Fini disperso in mare. E scomparire fu un modo di seppellire la propria morte. Rimase la testimonianza di Corbera: il racconto che il giovane passö al consanguineo narratore del Gatto-pardo, perche lo dissimulasse dentro la piü intima e se-greta biografia del loro antenato ottocentesco Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina. L'operazione non fu facile. Doveva risultare inavvertibile. LampeaW volle documentarsi sui precedenti del caso terribi e meraviglioso. Tornö nella biblioteca di La Ciura-percorse i passi faziosi del vecchio professore e ^ giovane redattore. Si fermö «davanti allo scafwle quäle stavano le opere di Wells». Riascoltö mentaIm il dialogo fra i due sui romanzi dello scrittore ing v< si it il sl frc terr; per. rega. su m quiel lenic. Soli respii rnarir Valev La: üeare «Nel r ;> del prof, e ^perso, r che i Q; ^> "nová 'Sl3, N Ni V >tl> 0 Uale>>/accra Visii iva^ erckiai ttbi<> iestre*enottate>>, avevano accomp, itocratico. Sierano > a un «ornatissimo c, nella quale il bail paesaggio arcaico , rantolava,co* fassolutismo^ ledureo^ Jit'0' V rher" , 1 sir, 0 v y/ pimento- adesso non voglio discutere se ció che 3 So é s ato male o bene; per conto mio credo che !a eS sia state male; ma voglio dirle subtto ao che Lei capirá da solo quando sará stato un anno fra not. in Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mat ě semplicemente quéllo di "fare". Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltá eterogenee, tutte venute da fuori giá complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il "la"... da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: ě in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso». Tanta sconsolatezza non era lontana da quella di La Ciura. Conduceva alia condivisione del «sogno di son-no» del professore del racconto La sirena, deviato pero, e disperso, nei doni velenosi di un esausto e torbido «dormiveglia>>: «11 sonno, caro Chevalley, il sonno ě cio che 1 Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre cm li vorrá svegliare, sia pur per portar loro i piú bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. «SÍ """"i I'aZÍOnÍ SicUiane Sono "^festazioni itico ^ °. stati inv^« i di« ipe aveva guidatoQn* Donnafugata, lungoint li (simili in questoaibiar, ŕtyoíilavevanol'abit* ri.itidi»;•' nir d'un. •c cra íiicilerm,visatar ct i;«raccontV sentiet»,»1' . inda< ;trast j,,ťV k: > í? alle conversazioni, se interroga egli stesso, sente a poco a poco tutto mutarglisi ďintorno. I colon cambiano, ľaspetto di ogni cosa si trasforma. Egli sente raccontare ehe in quel tal luogo é stato ucciso, con una íucilata partita da dietro a un muro, il guardiano del giardi-no... Le violenze, gli omicidii, pigliano le forme piú strane... Dopo un certo numero di tali storie, tutto quel profumo di fiori ďarancio e di limone comincia a sapere di cadavere». Chevalley lascerä Donnafugata alľalba, nel «chiarore livido» del mattino. Salirä sulle «quattro ruote color di vomito» delia vettura di pošta, trainata da un fantasma di cavallo. La conseguenza piú immediata dello «sbarco di gente armata alla marina di Maršala» aveva avuto un'osten-sione fantasmatica a conclusione di un pranzo familiare nella villa palermitana del Principe. Una subitanea al-lucinazione aveva ridisegnato il tranquillo spazio con-viviale, al momento del dessert, in un campo di battaglia golosamente agguerrito. La gelatina al rum era stata servita, «minacciosa», fra articolate metafore guerresche. Un inganno ottico ľaveva trasmutata in una roccaforte preša d'assalto dagli appetiti, marteUata, resa fatiscente cucch rZ11 §nata C d SUol° dall'^tiglieria dei Ä! ^ al2at° Un "Si. ÄZeT • T t1 Pre2Í°SÍ < il ***a slZoZ Cuhlere: <T*d>i,> •SN .Ni,; »olii is n e" una sempliceč-n gli occhi di rubino. onenero. Eta imam: va immobilizzaretiE riaepaesaggio;v*i arlando con Chev* ,ual era, guardav"* IOfie nľchi^0 sere-11 £ ^ ■"V Ji nl°. O •ľ, Marías «ě soprattutto un romanzo sulla morte, sul prepararsi ad essa e sull'accettarla, perfino su una čerta impazienza per il suo arrivo». # Don Fabrizio aveva potuto partecipare dl quella parvenza ď«immortalita» garantita dalla memoria at-tiva del casato. Nel pieno della catastrofe, nel momento in cui si annunciava la fine della tradizione, agognava una «immortalitä» vera: non ľ«eternitä», ehe era per lui una odiabile burla metafisica, ma la laica «immor-talitä fisica» ottenuta da Rosario La Ciura con il rag-giungimento della siréna. La morte era per il Principe un'altra dimensione delľesistenza: «un continuo, mi-nutissimo sgretolamento della personalita», come un andar via di «granellini», congiunto pero «al presagio vago del riedificarsi altrove di una individualita (grazie a Dio) meno cosciente ma piú larga: quei granellini di sabbia non andavano perduti, scomparivano» per ac-cumularsi «chissä dove» e «cementare una mole piú duratura. Mole pero, aveva riflettuto, non era la parola esatta, pesante com'era; e granelli di sabbia, ďaltronde, neppure: erano piú come delle particelle di vapor acqueo ehe esalassero da uno stagno costretto, per andar su nel cielo a formare le grandi nubi leggere e libere». II De rerum nátura del Principe coincideva con quello del racconto su La Ciura. Li la morte era il corpo immortale di una siréna, una «corrente di víta priva di accidenti» nella quale le morti tutte «ri-ventavano vita non Piu individuale e determinata tta panica e quindi libera». Ľunica speranza del Princípe era riposta nella morte. 73 In casa Ponteleone, Tancredi si muoveva « sottile come una biscia». lira entrato nella bibllotec > e insieme ad Angelica. E si era rivolto allo zio c^l stessa «affettuosa malizia» di quando lo aveva distolt* dalľ«intorpidimento voluttuoso» davanti al richiam° erotico della fontána di Anfitrite («Zione... lascia stare queste indecenze che non sono fatte per uomini della tua etá»). Aveva usato per la morte il verbo «corteg-giare», estratto dal vocabolario del lessico amoroso maggiormente legato alle riverenze e agli accerchiamenti. E un legame c'era tra la morte sospirata e il piacere prospettato dalle acque della fontána. In effetti il Principe era assorto in un abbraccio con la morte. Stáva saggiando la (propria) morte attraverso la lettura di una scéna ďagonia čosi com'era rappre-sentata nella copia di un celebre quadro di Jean-Baptiste Greuze appeso a una parete della biblioteca. Lampedusa aveva senz'altro letto le osservazioni dei fratelli de Goncourt sullo stile «fatalmente grazioso» del pittore, che in modo tutťaltro che parsimonioso rendeva ilpa-tetico convenzionale e manierato, aggraziando le miserie umane, magari tra uno scollo largo e un seno abbagliante, un pizzo di troppo e uno scalmanamento accentuata-mente teatrale. E queste note le aveva fatte liberamenie rielaborare dal suo personaggio: «11 vegliardo stáva spirando nel suo letto, fra sbuffi di biancheria pulitis' sima, circondato dai nipoti afflitti e da nipotine che levavano le braccia verso il soffitto. Le ragazze erano canne, procaci, il disordine delle loro vešti sugg^ Piu il libertinaggio che il dolore; si capiva subito che 74 K** o, C** proPrw Don Fabi Sapeva che posizione pi kl Gusto, i girandoilcí gli aveva rise del tomanzc 00016 ía mor *> . ^ era di grande astuzia. Ritagliava il quadro suH'epilogo 0$0 ren^ ^ della vita del Principe; ed espungeva dalla labile trama i'uin |i# fÍgUra maschile> Piegata su se stessa, tra la porta ďingresso e i piedi del letto, e colta nell'atto di battersi 1 to •?fr0ntC COn Ü palmo della mano destra e di Picchiarsi **! * / ^ett° COn Un pugno- 11 vero titol° del quadro era II v,J° % Wiopunito. Greuze era un pittore didattico. La scena liarU |V; Í — *^v**,v, ua un piliuic uiuainco. L,a so i «*£Ar£ ?°r • qUadr° ri§uardava la resipiscenza di un Ü^jtj Jr° mTf at°' arrivato tr°PP° tardi a capire il suo l.i m P re era gia morto- Non restava che il ri- \, i^y* 3 PUnÍre U figHo- <(Quelle lecon P°u' ks pěres ÍP1 et les enfants!», aveva commentato Diderot nei v , II Principe non poteva leggere la tela sei ^ nella sua interezza. La sezione sul figli0 iin'altraparte delromanzodi Lampedusa, a il nquadro ottavo e definitivo, datato 1910- cinaV : ni dopo lo sbarco dei Mille; ventisette 'anni dolT morte del Principe. Sara Concetta Salina la figliaV» nita». Ciö che al Principe era stato precluso, tocchera a Lampedusa recuperare. Sara lo scrittore a ricomporre l'unitä e la saldezza morale del quadro di Greuze, nella sequenza dei due riquadri finali del romanzo, settimo (La morte del Principe) e ottavo {Fine di tutto). Davanti alla tela di Greuze era coniinciata l'iniziazione all'agonia. L'attesa della fine sarä lunga, in mezzoa tante amare riflessioni. La morte era diventata, per il Principe, un pensiero insistente. Solo la chiaritä stellare dava conforto. Avrebbe voluto essere «puro intelletto». don Fabrizio, nelle «gelide distese» del cielo, in com-pagnia delle stelle: le pure, le intangibÜi, le onnipotenti; le sole capaci di dare «gioia senza poter nulla pretendere in cambio, quelle che non barattano». Una ne cercav soprattutto, che brillava incontro all'alba iksc > prima che il giorno chiarisse. La sapeva teüeie -agli appuntamenti. La riconosceva subito appariva simile a un «chicco d'uva sbucciato i ^ e umido» o «avvolta nel suo turbante d v P ^ nali». Invocava Venere. Voleva un appu« am ^ pegnativo. L'ultimo, quelle che avrebbe^isol do si sarebbe decisa a dargli un appuntl* effimero, lontano dai torsoli e dal sangue, 76 a KV-, flute !;r'°- ■ terr in' ii lacor-N'äpoü,* . S la foUa av lutruosa che « guanti di camo disfatto dal di Giunto a Pale: rombante di acqi consuntivo della tammenti che p< ^amente calcola S?0nsideralav l^erä entr0 il k PI o ad pH in ,'^ st 'Ii