ARDENGO SOFFICI Nato a Rignano sull'Arno (nel Valdarno superiore) nel 1879, mOrt0 a Po», ARDENGO SOFFICI Caiano'Cugualriente in provincia di Firenze) nel 1964, pittore. I soggí^"J-Parigi lo orientarono verso il cubismo, che egli divulgo in Italia, stabilizzando Poi |' pittura di paesaggio in una sommaria ma saponta applicazione dei moduli di Cfo ? (non senza qualche nostalgia della tradizione da Giotto a Piero della Francesca) aiT"* agli ulivi, ai cipressi della campagna toscana. Fu anche il primo volgarizzatorc diX baud in Italia: l'incontro con Papini e Prezzolini e la loro frequentazione al te ^ della « Voce » furono infatti decisivi per portarlo anche a interventi letterari; I'adtsT al futurismo ne fece, con Papini, il fondatore di « Lacerba » (1913-1915). Poesie futľ riste, anche piu impressionistiche, in senso visivo, delle marinettiane, furono quelle do Chimismi lirici (1915); e un nitido diario impressionistico ě nelle sue prose rnigliori, da riconoscersi in Arltccbino (1914) e nel Giornah di bordo (1915). Nella maturita il suô atteggiamento di ex-rivoluzionario divenuto conservatore, anche in senso politico (J suo Lemmonio Borh, 1912, sembra una bonaria e paesana anticipazione dello squadiismo fascista), ostentô addirittura aspetti accademici, come nel tono « neoclassico » del vera ■ neWElegia dell 'Ambra (1927); e nei suoi volurru autobiografici, di stile ormai tradizio-nale, assume pose, simpaticamente ingenue, di vecchio savio. Del Soffici memorialista si riporta qui, dai Ricordi di vita artistka e letttraria (1931; ora nel volume VI delle Opere, pubblicate a partire dal 1959 sempře presso il Vallecchi di Firenze), quest'istantanea di Dino Campana. Un autentico servizio reso a Soffici, oltrc che al suo lettore, ě l'antologia Fior jiore a cura di Giuseppe De Robertis (1937), che, raccogliendolo a frammenti, attua la tesi serriana che Soffici «e un dono». DA « RICORDI DI VITA ARTISTIC A E EETTERARJA* DINO CAMPANA A FIRENZE Un mattino d'inverno del 1913, io e Papini andavamo alia tipog^J* •hi in v,a Nazionale, dove si stamr™ „ T .„,ka » net dare ufl'ul"? -.. u ulverno del ]yl3) ÍQ £ p andavamo al occhi Z" 7 aZÍ0Mle' d°Ve si stamPava «Lacerba», per dare -dvía V C°mpOS1ZÍOne e ^'impagiLionc - non sempře agevole ' *J msta p a ancora che foss.mo enfrat. ne[io iflo a vetři che fa« * venne1r0ne ^ "* ' 'msk™ da uffici° direttoriale delFamico ed.tore neroTt ^JUUa ^ e » -dividuo sedu.sur iedi< n«o di tela ~«t P C c un individuo seduto deslderava di "r r C°md°ÍO' Ü ^aIe ~ ci disse ~ ^ P°C ■ guardav er In?- U .PelSOna in P«°'a. che intanto s'era abata i I pelü e bwbľdľ T di una venticinquina ďanni, »«hu10'^ ba dl Un blo«do acceso, k faccia plena e di color roseo, >"u 68o «Ja un paio d'occln celesti, che esprimevano a un tempo sincerita e timidezza come quelli dl certi bambini o di gente campagnuola, cui quella di citta mette in soggezione. Neil' insieme la sua figura somigliava curiosamente a taluni auto-ritratti di Rubens, specie a uno che esiste nel museo di Napoli ■ e del quale mi ricordai in quell'istante; ma ciö che maggiormente colpi non solo me ma anche l'amico mio, fu il resto di quello sconosciuto, e cioe com'egli era vestito. Privo di un qualsiasi soprabito che lo riparasse dal gran freddo di quella mattina, aveva in testa un cappelluccio che somigliava un pentolino, addosso una giubba di mez-zalana ' color nocciola, simile a quelle fatte in casa che portavano i contadini e i pecorai di mezzo secolo fa, i piedi diguazzanti in un paio di scarpe sdotte' e scalcagnate; mentre intorno alle sue gambe ercoline sventolavano i garabuli di certi pantaloni troppo corti per lui e d'un tessuto incredibilmente leggero, gial-lastro, a fiorellini azzurri e rosei, uguale in tutto alle mussoline onde si servono i barbieri di paese per i loro accappatoi, e le massaie povere per le tendine delle finestre che danno sulla strada. Gli domandammo chi fosse e che cosa volesse da noi. Con voce esile e lamentevole, tenendo gli occhi a terra e le mani rosse e gonfie di geloni pendule lungo i fianchi, ci disse che si chiamava Dino Campana, che era poeta e venuto appositamente a piedi da Marradi per presentarci alcuni suoi scritti, averne il nostro parere e sapere se ci fosse piaciuto pubblicarli nella nostra rivista. Lo pre-gammo di aspettare qualche minuto, di darci il tempo di controllare il lavoro tipografico, che poi saremmo usciti insieme per parlare con piü comodo. Finita la nostra funzione, uscimmo infatti con lui: e giü per via Nazionale, dove la sizza ' gelata ci tagliava il viso e faceva sventolare quei suoi strani calzoni, poi per via dell'Ariento riprendemmo e continuammo il nostro discorso. In verita non era possibile giudicare 11 su due piedi con che specie di uomo avessimo che fare, ma il personaggio c' interessava per piü versi, e gli esprimemmo concordi la nostra simpatia e il nostro desiderio di compiacerlo. Quanto ai suoi scritti, gli dicemmo che ce Ii facesse avere quando voleva, mentre noi avremmo poi giu-dicato e risposto se facessero al caso nostro. Campana tirö allora fuori di tasca un vecchio taccuino coperto di carta ruvida e sporca, di quelli dove i sensali e i fattori segnano i conti e gli appunti delle loro compre e vendite, e lo consegnö a Papini. Tirammo avanti fino al Canto dei Nelli, e Ii ci fermammo tutti, non avendo altro da dirci. II freddo terribile ci faceva battere i piedi e lacrimare gli occhi: il nostro nuovo amico tremava come una foglia e si soffiava nelle mani, ridendo nervosamente tra una soffiata e l'altra. AU' improwiso ci salutö e spari di passo •esto verso piazza Madonna s. 1 Svista (non vi sono autoritratti di Rubens > Napoli; in Italia l'unico e agli Uffizi). 2 Lana mista a cotonc. . ,. ,. . , 3 Toscanismo (come sotto i gambuli dci panlaloni): « logorc », (detto pure d! abno o d. tessuto, ' S«na si ha sdotto anchc per quelle che nel toscano occidentalc c sfollo, <( magro, snello »). 4 La tramontane. ,. . c- T 5 NeUa forma fiorentina abbreviata, piazza Madonna dcgli Aldobrandini, d.etro San Lorenzo. 68i FUTUMSMO E « VOCIANI » Mangiamo insieme; il digiuno non ciba nessuno, se non ci nutre Iddio. E in aureola splendeva l'astro della mensa, il sol della polenta per chi ha in sé grande spazio, luce ehe si contenta di tramontare in noi: e quando il cuore é sazio, se ne risparmi poca, anche meschina, essa risorge in tuorlo di gallina. Risorge la tua cara vita dove va piü smarrita o Carlo, contadino di un solco ehe ě sentiero per le térree nostre notti. E ti vedo levar come il mattino in verecondia gli occhi consacrando il pensiero al semplice elemento, mentre ě hello il silenzio a te vicino. DINO CAMPANA Nato a Marradi (nella Romagna toscana) nel 1885, morto nel manicomio di Castel Pulci presso Firenze nel 1932, dopo un lungo periodo di ricovero definitivo seguito a quelli intermittent! della giovinezza, nei cui intervalli aveva fatto vita errabonda per ľ Europa e l'America meridionale. I Canti orfici, raccolta di versi e di «poěmes en prose », furono pubblicati nel 1914 a spcse dell'autore; hanno per sottotitolo « Die Tragödie des letzten Germanen in Italien » [La tragédia deli'ultimo germano ď Italia] e sono dedicati al «Kaiser» Guglielmo II: ciô perché Campana credeva di incarnare nella sua fulva e massiccia persona un ideale etnico alimentato dalla passione per il Su-peruomo di Nietzsche. Altri versi, redazioni varianti, appunti sono stati raccolti da Enrico Falqui (curatore delle ultime, integrate, edizioni dei Canti presso il Vallecchi di Firenze) e da Domenico De Robertis (ľ interessantissimo « quadernetto faentino »). Nei Canti orfici, su un non eliminato fondo di ovvia cultura locale (Carducci, D'An-nunzio) s' innestano rami del simbolismo europeo, specialmente francese, da Baudelaire a Rimbaud (si badi alľequivalenza di prosa e poesia nel genere lirico): col primo Cam-pana ha comune il fascino dell'esotico, l'attrazione profunda delle cittá, il perenne richiamo delľeros, dal secondo (il titolo ě parlante) deriva l'ambizione d'una conoscenza visio-naria ottenuta attraverso il « dérěglement de tous les sens ». II suo incontro coi lacer-biani (si veda il ritratto che di lui ha lasciato Soffici) ě stato insomma superficiale, vincolato com' egli era, non fosse che dalla malattia, a un autentico piano rivoluzio-nario e non puramente letterario. Benché la pretesa di fare di Campana un Rimbaud italiano susciti molte riserve, per alcune sue pagine egli si rivela forse il solo itaUano che sia riuscito, con scarsissima apparecchiatura retorica (di contro, per esempio, alia sapienza della tradizione pascoliana), a comunicare sensazioni primigenie e notturne. DA « CANTI ORFICI» IL CANTO DELLA TENEBRA Mezzi elementari di ripetizione con variazione, di iterazione aliitterante (« Sorgenti » ecc), di lima anche multipla (Sor/e, porte, Morte), di parola semantica ndotta a mera onomatopea (Piň) portano cullando sotto il piano razionale, al livello lstintivo segnato dalla finale invocazione infantile (col piccolo tocco dialettale di bmo). La base del vers. * novenaria; ľ irregolaritä di puntcggiatura puô, ove occorra, farsi autonzzare dal-•'uso futurista. La luce del crepuscolo si attenua: Inquieti spiriti sia dolce la tenebra Al cuore ehe non ama piu! 712 PUTURISMO E « VOCIANI » Sorgen» sorgen« abbiam da ascoltare, Sorgend, sorgenti che sanno Sorgenti che sanno che spiriti stanno Che spiriti stanno a ascoltare ... Ascolta: la luce del crepuscolo attenua Ed agli inquieti spiriti e dolce la tenebra: Ascolta: ti ha vinto la Sorte: Ma per i cuori leggeri un'altra vita e alle porte: Non c' e di dolcezza che possa uguagliare la Morte Piü Piü Piü Intendi chi ancora ti culla: Intendi la dolce fanciulla Che dice all'orecchio: Piü Piü Ed ecco si leva e scompare II vento: ecco torna dal mare Ed ecco sentiamo ansimare II cuore che ci amö di piü! Guardiamo: di gia il paesaggio Degü alberi e l'acque e notturno II fiume va via taciturno... Püm! mamma quell'omo lassü! LA PETITE PROMENADE DU POĚTE D1NO CAMPANA " ciofc 'n sosonB Fondamentalmente quartine di ottonari rimati solo in sede P"^° a UveUo & il metro della carducciana Sacra di Enrico Quinto argutamente aeg vagabondi e delle femminette. Me ne vado per le stradě Strefte oscure e misteriose: Vedo dietro le větráte Affacciarsi Gemme e Rose. Dalle scale misteriose C e chi scende brancolando: Dietro i vetři rilucenti Stan le ciane commentando. La stradina ě solitaria: Non c'é un cane: qualche Stella Nella notte sopra i tetti: E la notte mi par bella. E cammino poveretto Nella notte fantasiosa, Pur mi sento nella bocca La saliva disgustosa. Via dal tanfo Via dal tanfo e per le stradě E cammina e via cammina, Giá le case son piü rade. Trovo Perba: mi ci stendo A conciarmi come un cane: Da lontano un ubriaco Canta amore alle persiane. PIAZZA SARZANO Intitolata a una suggestiva piazza della vecchia Genova (la torre ornata di « qua-dretta » o mattoni di ceramica e il campanile di Sant'Agostino; il « ponte sopra la citta » e il Ponte Monumentale, che cavalca la via Vend Settembre). II contrappunto di varia-zioni (per esempio a « Un vertice colorito » ecc.) c analogo a quello rilevato nel Canto Mia titubra, parificando la tecnica del pocmetto in prosa a quella dei versi. A l'antica piazza dei tornei salgono strade e strade e nell'aria pura si pre-vede sotto il cielo il mare. L'aria pura e appena segnata di nubi leggere. L'aria e rosa. Un antico crepuscolo ha tinto la piazza e le sue mura. E dura sotto il cielo che dura, estate rosea di piu rosea estate. Intorno nell'aria del crepuscolo si intendono delle risa, serenamente, e dalle mura sporge una torricella rosa tra l'edera che cela una campana: mentre, accanto, una fonte sotto una cupoletta getta acqua acqua ed acqua senza fretta, nella vetta con il busto di un savio imperatore: acqua acqua, acqua getta senza fretta, con in vetta il busto cieco di un savio imperatore romano. 1 11 vertice colorito dall'altra parte della piazza mette quadretta, da quattro cuspidi una torre quadrata mette quadretta svariate di smalto, un riso acuto nel cielo, oltre il tortueggiaresopra dei vicoli il velo rosso del roso mattone: ed a quel riso odo risponde l'oblio. L'oblio cosl caro alia statua del pagano imperatore sopra la cupoletta dove l'acqua zampilla senza fretta sotto lo sguardo c'eco del savio imperatore romano. 1 Singulare ncofomuzione, su tortu '■■ 7M 714 FUTURISMO E « VOCIANI » ice. I Dal ponte sopra la cittá odo le ritmiche cadenze mediterran appaiono spogli colle loro torri a traverso le sbarre verdi ma laggiů 1, innumerevoli della luce riempiono il paesaggio di una immobilitá di colli gioia : _ scolo. Sulla piazza acciottolata rimbalza un ritmico strido: un fanciullo'' che fugge melodiosamente. Un chiarore in fondo al deserto della piazza sale ^ tuoso dal mare dove vicoli verdi di muffa calano in tranelli d'ombra- in alia piazza, mozza la testa guarda senz'occhi sopra la cupoletta. Una donna hi**" appare a una finestra aperta. É la notte mediterranea. DaU'altra parte della piazza la torre quadrangolare s'alza accesa sul corroso mattone su a capo dei vicoli gonfi cupi tortuosi palpitanti di flamme. La qua-dricuspide vetta a quadretta ride svariata di smalto mentre nel fondo biana e torbida a lato dei lampioni verdi la lussuria siede imperiale. Accanto il busto darf occhi bianchi rosi e vuoti, e ľorologio verde come un bottone in alto aggancia il tempo alľeternitá della piazza. La via si force e sprofonda. Come nubisuicolfc ^>ľ'\erVľf881an° anCOra lo svariare del verde esi scorge in fondo iltrofeo della V. M. tutto bianco che vibra d'ali neU'aria CARLO MICHELSTAEDTER Nato, di famiglia israelita, a Gorizia nel 1887, ivi morto suicida nel 1911. Aveva compiuto gli studi di filosofia a Firenze {La persuasion e la retlorica é la sua tesi di laurea), dopo aver iniziato quelli di matematica a Vienna; aveva anche vi vi imeressi musicaíi e figurativi. Definite comunemente « un esistenzialista ante litteram » o (cosl Emilio Cecchi) « un precursore delľesistenzialismo », Michelstaedter fece della morte il terna esclusivo (non solo nelľopera citata, ma nel Dialogo delia salute, nei versi ecc.) del suo pensiero e il traguardo della sua esistenza: la morte, sentita come conformitä al vero, affermazione delľuomo (momento della persuasione, contro il camuffamento della rettorica). In senso letterale Michelstaedter non fu un vociano, ma, anche indipen-dentemente dal suo soggiorno nella Firenze della « Voce », i suoi temi filosofico-morali e la tragica rigorosa logicitä delia sua parabola vitale attirarono ľappassionata atten-zione dei vociani in senso largo (Papini, Amendola, Borgese, piü tardi Gentile); lo stoicismo superumano lo awicina, se pur con piü aspro rigore, a esperienze come quelle di Slataper e dello stesso Sem. Una prima raccolta di Scritti fu procurata in due volumi (1912-1913) da uno degli amici piü intrinseci delľautore, filosofo idealista, Vladimíro Arangio Ruiz; una raccolta definitiva, piü ricca di inediti (in particolare di important! lettere), ě quella delle Opere (1958) curata (per il Sansoni di Firenze, in un volume) dall'altro suo fraterno amico, idealista di stampo gentiliano, Gaetano Chiavacci. Da questa edizione ě desunto il brano che segue (della fine del 1909), ehe nelľ incisiva forma d'un dialogo con un arnica morta svolge il tema unico di Michelstaedter, qui interpretando la mancanza di essere come mancanza di amore. "HAH KÉKPITAI 'O OIAÓTTXOS1 — Io so che tu mi tradisci. — Come? — Lo sai. — Non lo so. — Ma lo fai. — Come? — In ciô che fai e non sai ciô che fai. — Mio Dio! che devo fare? 1 «Chi si attacca alia vitt í gia giudicato » IN. di G. Chiavaccij. 717